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Autore: coco1994    31/08/2012    5 recensioni
Stavi sognando. Un sogno meraviglioso.
Volavi sopra un mare di nuvole, libera e leggera, e con quel tuo sguardo intensissimo osservavi diretta il Sole, senza stringere neanche un po' i tuoi occhi strani.
Il Sole, la stella.
E tu brillavi come lui. Una cometa splendente, eri questo nel sogno.
Libera.
E felice.
Tieniti stretto questo ricordo, piccola, tienitelo stretto.
Passerà del tempo, da adesso in poi, prima che tu possa anche solo immaginare di brillare.

Buonasera! Sono di nuovo qua, stavolta con quella che si potrebbe definire la mia personale versione di Digimon Adventure 03. I protagonisti sono i soliti, un po' cresciuti ma neanche più di tanto. Per quanto riguarda il genere, la categoria "Drammatico" doveva esserci per forza, con gli altri due intendevo dire che sto cercando di creare una storia sullo stile dei due anime - combattimenti, digievoluzioni eccetera eccetera. Ho fatto del mio meglio per inserire i fatti di questa storia senza contraddizioni con le serie ufficiali! Se la storia vi piace, scrivetemelo (se non vi fa fatica).
Arrivederci e a presto!
P.S.Una cosa importante: praticamente non considero l'ultima puntata della seconda serie, ma immagino che la cosa non vi stupisca affatto.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 09:

F  o  l  l  i  a

 

 

 

 

 

 

 


 

“Questo dolore puro, senza oggetto, questa essenza di dolore è senza dubbio il dolore del folle; non ci rendiamo mai conto (per quanto sappiamo nominare la follia e liberarcene) che i folli, molto semplicemente, soffrono.”

Roland Barthes, Amare Schumann

 

 

 

 


 

Quel palazzo era un vero labirinto. Bastava svoltare un angolo e subito appariva una scala, che immancabilmente finiva con l’intrecciarsi con un’altra sua simile proveniente – o almeno così sembrava – direttamente dalle tenebre. Inoltre, perfino i corridoi più brevi erano disseminati di porte, collegamenti e scorciatoie per cui, chiaramente, si finiva per non completarne nemmeno uno. Dopo pochi minuti, quindi, Shiori si era già completamente persa.

La creatura che l’accompagnava non aveva detto una parola da quando avevano lasciato il salone: si limitava ad avanzare, in silenzio, stringendole una spalla e costringendola così a camminare. Non che a Shiori importasse granché. Ben poche cose attiravano la sua attenzione in quel momento e certamente non una mano su una spalla, per quando la mano fosse gelida e la stretta scomoda e quasi dolorosa.

Uno strattone le fece inequivocabilmente segno di fermarsi. Alla loro destra c’era una porta nera e lucida, a due battenti e talmente grande che pareva strano trovarla all’interno di un edificio e non all’ingresso. L’essere lasciò andare la bambina e appoggiò il palmo tra le due maniglie, dando una leggera spinta; i due battenti si aprirono, senza fare il minimo rumore.

Shiori fu fatta entrare. Davanti a lei si aprì una stanza grande, e spoglia. Sembrava un specie di grotta, costruita senza cura; le stesse pietre grezze e scure, appena sbozzate, coprivano pavimenti soffitto e pareti e si interrompevano solo alla porta di ingesso, alla porticina del bagno e all’unica finestra della stanza. Una feritoia, più che una finestra, posta molto in alto sulla parete di fondo, e da lì passava un singolo fascio di luce offuscata, che colpiva in pieno il viso della bambina, senza nemmeno accecarla. Davanti alla porta, sulla sinistra, si appoggiavano le quattro gambe di un tavolo di legno rozzamente intagliato su cui stavano due sgabelli capovolti. Addossato alla parete di fondo c’era un letto a due piazze e accanto, nell’angolo a destra, la porticina del bagno, di legno morbido e chiaro, coperta da uno spesso strato di polvere scura.

Vivere lì non poteva che essere terribile. E lo sarebbe stato, per lei, perché quella…

<< Questa è la tua stanza. >> disse il suo accompagnatore.

Appunto.

L’essere uscì senza dire nient’altro e la porta chiusa a chiave vibrò un’unica nota sorda, la cui eco durò a lungo nel silenzio perfetto della stanza. Nello stesso istante, la gola di Shiori si strinse e la bambina annaspò, alla ricerca di aria. Sembrava che non ce ne fosse mai abbastanza. Alzò gli occhi e le parve che le alte pareti si chiudessero su di lei: chiuse gli occhi, raggomitolandosi su se se stessa e continuando a ripetersi che no, non era vero, non era vero, non era…

Un piccolo lamento giunse alle sue orecchie. Tre piccoli tonfi, tre passi, si avvicinarono a Shiori e qualcosa le sfiorò lieve una spalla, per poi aggrapparsi alla manica destra del pigiama della piccola, il suo preferito, quello verde con le mucche alate. Shiori allentò la presa alle ginocchia e alzò il viso. Accanto a lei, esattamente alla stessa altezza, c’era l’altra creatura, quella lilla uscita dall’uovo bianco e decorato. Quella che le avevano affibbiato e che, si rese conto, non voleva nemmeno vedere perché dava un sapore definitivo a quell’incubo da cui non si sarebbe mai svegliata.

Lo seppe improvvisamente, con la più assoluta certezza. Era perduta. E mentre pensava a questo e il cervello andava in tilt, la piccola creatura lilla alzò le braccia e con gli occhi pieni di tutta la pena e la tristezza mai provate da qualcuno, tentò di abbracciarla.

Il mondo di Shiori si tinse di rosso.

Scrollò con violenza il braccio; l’esserino, colto alla sprovvista, inciampò e cadde, ma Shiori lo intercettò a metà strada, con una pedata data con la precisa intenzione di fare più male possibile. Il colpo fu violento, tale da mozzare il fiato alla creatura e fu solo per questo che non urlò; volò per la stanza e cadde rantolando ai piedi del letto, e da lì non si alzò più.

Lo stomaco di Shiori si contorse come un disperato gatto arrabbiato e la bambina urlò, urlò fino a non avere più voce, finché non sentì la gola bruciare e il sapore rugginoso del sangue sulla lingua.

Rovesciò il tavolo e gli sgabelli, gettò a terra le coperte e ridusse a brandelli le lenzuola. Corse alla porta e la tempestò di pugni e calci, sbucciandosi nocche e piedi e poi diede un’ultima, sonora testata, graffiandosi a sangue, prima di cadere, nuca a terra e occhi rivolti al soffitto.

“Alzati.” le disse la rabbia.

“Alzati e fai capire che stai male.”

“Alzati e fai soffrire.”

Shiori si tirò in ginocchio.

"Alzati."

Puntellandosi con una mano, fece per tirarsi su…

"Alzati."

… e ricadde supina.

"Debole. Debole. Sei debole."

Ci riprovò. Un ginocchio, poi l'altro, entrambe le mani spinsero contro la pietra… e cadde ancora.

"Debole."

Digrignò i denti.

"Debole."

Le gambe non risposero all'impulso – ma forse si risparmiò solo il dolore di un'ulteriore ricaduta.

"Debole."

Non le era mai importato essere debole, di tanto in tanto. Lei era una bambina forte; ma comunque piccola, comunque umana. C'erano casi in cui la debolezza era gradita. C’erano stati, ne era certa.

Eppure sentiva che non ne avrebbe più avuto diritto.

"DEBOLE!"

Non poteva permetterselo più, non poteva da quando aveva provato a piangere, nel momento in cui il portone della fortezza si era chiuso dietro di lei, e non era finita bene. Al primo singhiozzo che si era azzardata a fare – il primo, in realtà, che non era riuscita a trattenere, che nonostante tutto le era uscito dalle labbra – aveva ricevuto il primo ceffone della sua vita. E le aveva fatto male, perché non era un ceffone di una madre o di un padre, ma di un mostro che l'aveva appena portata via da loro e per il quale non era che carne da battaglia.

Appoggiò un piede nudo sulla pietra e la mano opposta la mantenne in equilibrio. Con l'altra, stretta a pugno, spinse per terra, con tutte le forze rimaste.

"Debole?"

Ecco, era in piedi. E quindi?

Si guardò intorno, persa. Non aveva nulla da fare. Si mosse verso l'angolo sinistro, oltre i resti del tavolo e dell’unico sgabello rimasto, perché l'altro era volato contro la parete. Evitò il letto, duro e freddo, e appoggiò la fronte al muro fresco. Sollievo.

Le gambe tremarono un'ultima volta e Shiori scivolò a terra, stringendosi ancora alle ginocchia.

"Sì, sei debole."

La piccola tirò su col naso.

"Sì, lo so." rispose a se stessa.

Dall'altro lato della camera, la creatura ferita singhiozzò ancora, dopo un lungo silenzio, e Shiori si sentì un mostro. Si spostò un po' a sinistra, in modo che il letto la nascondesse alla vista di chiunque fosse entrato. Lì rimase, per lungo tempo, a piangere di nascosto le ultime lacrime che avrebbe sparso tra quelle mura maledette.

 

La stanza era immersa nel buio, ma non un buio totale; dall'unica finestra filtrava una luce tenue, ma sufficiente a distinguere i contorni delle cose.

Quando Shiori riprese conoscenza era stesa sul pavimento. Un pavimento di pietra fredda e dura, la stessa che c'era in ogni luogo nel castello, ma le bastò un attimo per capire che quella era la sua camera ed era stesa nello stesso identico punto dove si era rintanata la prima notte che aveva trascorso alla fortezza – trenta centimetri a sinistra del letto, invisibile a chiunque fosse entrato dalla porta.

Ma non ci si era stesa da sola, dopo aver lottato contro la propria rabbia, uscendo perdente dallo scontro. E la cosa peggiore, constatò alzandosi, era che, dall'altra parte della stanza, non c'era nessun Digimon ferito, ferito da lei, a emettere singhiozzi di dolore.

Dov'era Amimon?

Fu questo a spaventarla, più di tutto il resto, più della sua mente confusa che non riusciva a ricordarsi cosa fosse successo. Cominciò a lottare contro la nebbia nella sua testa, sforzandosi di concentrarsi come riusciva sempre a fare. Scappare dentro la sua mente le era sempre risultato facile; e allora perché non ne era capace? Perché ogni tentativo le faceva più male? Voleva urlare. Strinse la testa, pronta a sbatterla contro il muro…

C’era qualcosa, sulla sua tempia destra. Stringendo gli occhi si avvicinò alla luce e pose le dita nel fascio luminoso. Era sangue raggrumato.

Era stata colpita – per la prima volta da che ne aveva memoria. E mentre si chiedeva come fosse successo, si ricordò chi era stato.

Un sorta di artiglio le perforò il petto e ridusse in briciole il suo cuore a pezzi. Gemette piano e mentre si accasciava tremando sulle ginocchia un conato di vomito la scosse. Sputò bile sul pavimento – da quanto era lì? Da quanto non mangiava? – e solo a quel punto percepì la presenza di qualcuno in piedi nell’ombra. I brividi divennero singulti violenti, qualcosa sferzò l'aria e lei comprese chi era lì. Dietro di lei c'era Darklullabymon, che le puntava il bastone alla schiena.

 

Il solito corteo accolse Darklullabymon alla sua uscita dalla camera.

<< Chiudete la porta. >> ordinò << Sprangatela. >>

I Digimon obbedirono velocemente e con efficienza. Nessuno si azzardò a chiedere il perché di tutte quelle precauzioni con una stanza vuota.

 

Darklullabymon non c'era più. Ne era certa. Ma non era altrettanto certa che fosse un bene.

Smise pian piano di tremare e constatò che la porta davanti a lei era aperta. Doveva scappare. Andarsene. Doveva trovare Amimon.

E da quando saresti capace di fare per lei qualcosa che non le provochi dolore?

Strinse gli occhi. Era molto tempo che non aveva pensieri del genere. Diversi anni, almeno da quando…

Plic.

Una goccia cadde a terra, molto vicina a lei e produsse quel suono ovattato di quando l’acqua cade nell’acqua. D’un tratto le parve di non sapere più come respirare.

Plic.

Oh, no, non era un’impressione. Stava davvero soffocando.

Plic.

Si raddrizzò. Attorno a lei c’era solo acqua. Quella non era la sua stanza. Conosceva comunque quel posto – comprese immediatamente – era perfettamente logico che lei fosse lì. Darklullabymon sapeva del suo terrore. Sapeva del suo trauma.

Quale posto migliore, quindi, per spedire una traditrice?

L'acqua continuava ad arrivare da non si sa dove. Le aveva ormai raggiunto i fianchi e procedeva inesorabile verso la vita.

Sperò di non essere lasciata lì a marcire a lungo, o sarebbe impazzita prima.

Quel castigo sarebbe stato diverso.

Non poteva essere leggero.

Non poteva essere veloce.

Non poteva, perché la colpa era stata troppo grave.

L'acqua le superò il petto e il cervello le urlò di alzarsi, prima di affogare. Rimase comunque a terra.

Quando sarebbe iniziato? Temeva la punizione, ma prima fosse iniziata, prima sarebbe finita. E non voleva diventare pazza appena prima della fine.

L'acqua le lambì i capelli, che presero a vorticare come serpenti, poi, alla fine, raggiunse la gola.

Una mano le si posò sulla spalla.

Shiori non si sorprese. Si voltò lentamente, per vedere in volto la risposta che dentro di sé sapeva, cioè sotto che forma la sua incontrovertibile fine le sarebbe arrivata.

Incrociò lo sguardo con l'essere dietro di lei e non sentì che dolore.

Ed espresse il primo desiderio dopo tanti anni di vuoto, dopo tante notti senza speranza, dopo tanti anni di nulla. Espresse il suo primo desiderio, e fu di smettere di esistere.

 

 

 

Venerdì 30 Settembre 2005. Tokyo.

Ogni singola volta che a Digiworld si presentava un problema (piuttosto spesso, quindi), la risposta preferita di Daisuke alla domanda “Che facciamo?” era immancabilmente “Andiamo a prendere a calci quelli che hanno fatto tutto ‘sto casino, così dopo non ci provano più” e alla fine, seppur con qualche rifinitura che rendeva il tutto forse un po’ meno virile ma certamente più efficace, più o meno era sempre quello il piano messo in pratica.

Bei tempi, quelli, pensava Daisuke mentre camminava verso casa: i cattivi erano da una parte, i buoni dall’altra e anche quei buoni che avevano per un motivo o per un altro deviato dal sentiero giusto, se non ci ponevano rimedio da soli, necessitavano al massimo di una bella dose di ceffoni per rinsavire.

Ultimamente, rifletteva ancora, non era più così facile. I cattivi erano più cattivi che mai e i buoni passavano le giornate in depressione per via di una negligenza altrui, invece che cercare contromisure al disastro. Perché, comunque la si mettesse, il senso di colpa c’era. Punto.

Daisuke diede un calcio a una lattina trovata per strada, irritato come non mai.

<< Dai… >> gli sussurrò Demiveemon dallo zaino che il ragazzo portava sulle spalle.

<< Scusa. >> Il ragazzo si chinò a raccogliere la lattina – aranciata – e la gettò nel primo cassonetto appropriato che incontrò sul suo cammino.

Quella era, senza ombra di dubbio, la crisi peggiore che il gruppo aveva avuto da quando era un Digiprescelto. Andava a scuola e vedeva gli sguardi persi di Hikari e Takeru; si trovavano insieme e Miyako non lo prendeva più in giro, mentre Iori non lo faceva più sentire scemo; e batteva a calcio Ken. Infine, non gli serviva uno psicologo per capire che anche lui non si comportava del tutto normalmente. Gli bastava sua sorella.

Si trascinò lungo la scala fino a casa sua, dove trovò la porta aperta e la mamma ad accoglierlo con un sorriso.

<< Salve, erede maschio. Com’è andata a scuola oggi? >>

Scrollando le spalle, Daisuke mugugnò un << Al solito >> prima di lasciarsi cadere sul letto. << C’è Jun? >>  gridò, mezzo soffocato dai cuscini.

<< Non ancora. >> rispose la donna dalla cucina proprio nel momento esatto in cui la porta d’ingresso si apriva ancora e un allegro << Sono a casa! >> echeggiava tra le pareti, strappando un lamento a Daisuke. No, sua sorella non sarebbe riuscito a sopportarla.

<< Mamma! Io esco! >> gridò ancora, mentre si infilava un paio di pantaloni più adatti.

<< Adesso? >> domandò la signora Motomiya uscendo perplessa dalla cucina.

<< Sì. >>

<< E dove vai? >>

<< A correre! >>

E infilò la porta ben prima che sua sorella avesse finito di levarsi scarpe, sciarpe, cappotto e una lunga serie di accessori strettamente necessari.

Fuori lo accolse un gelido venticello autunnale che dieci minuti prima, poteva giurarlo, non c’era. Strinse forte tra le braccia lo zaino con Demiveemon e imboccò il viale che portava al parco, sforzandosi di concentrarsi soltanto sulle prime foglie gialle che cadevano dagli alberi e su niente di più impegnativo.

Si fermò diverso tempo dopo, esclusivamente perché la milza lo minacciò di andare in vacanza a tempo indeterminato. Era tanto che non si portava così al limite e, al di là del dolore, si sentì soddisfatto di se stesso. Si appoggiò alle ginocchia, madido di sudore, scostandosi dal viso alcune ciocche con un gesto veloce della testa. Fulminò con gli occhi alcuni nonnini che passavano per caso e lo fissavano interdetti e anche un gruppo di ragazzine, tra cui forse una o due non lo guardavano con evidente disgusto. Si sdraiò sulla prima panchina libera, di un bel verde brillante, lasciando la testa oltre il bordo, pensoso.

Il buio arrivò dopo poco e Demiveemon, purché si impegnasse a comportarsi come cane, poteva stare fuori dalla borsa senza che nessuno si accorgesse di lui.

Il piccolo Digimon blu si avvicinò titubante al collo del ragazzo e si sporse appena.

<< Ehi >> sussurrò, << Stai bene? >>

<< Boh >> rispose sinceramente l’altro.

Demiveemon si agitò un poco, titubante, prima di afferrare con forza lo scollo della maglietta di Daisuke e di tirare con forza, puntando i piccoli piedi nelle costole, finché non si trovò a fissarlo negli occhi.

<< Senti, Dai >> iniziò, << non ti arrabbi, vero, se ti dico che secondo me stai perdendo un po’ la testa? >>

<< Dici? >> mormorò sarcastico quello.

<< Sì, >> continuò Demiveemon serio, << dico. >>

Qualcosa di quello che vide spinse Daisuke a prendere più sul serio del solito le parole del suo Digimon e così scelse di mettersi a sedere di sua spontanea volontà.

<< D’accordo, d’accordo… Hai ragione. >> Daisuke sospirò, << Me ne rendo conto, però… non so come fare per riprendermi. Non so cosa fare! E se non so cosa fare con me, come posso aiutare gli altri? Perché anche gli altri sono… >>

<< Lo so. >>

<< Quindi, se lo sai, capisci bene che sono a un punto morto! Cioè, è una situazione che non ho mai affrontato e io ho qualche problema con certe novità. >>

<< Lo so. >>

<< Certe novità mi mandano in panico! >>

<< Lo so. >>

<< E allora, visto che sai tutto, perché non mi trovi tu una soluzione? Perché non so che fare! >>

<< Lo so. >>

<< Lo so che lo sai, dannazione, te l’ho detto io che non lo so… Ahi! >> gridò di dolore il ragazzo, quando la testata del Digimon lo colpì al naso.

<< Ehi, Daisuke. >>

<< Che vuoi? >>

<< Solo ricordarti… che raramente tu hai saputo cosa fare. >> sciorinò Demiveemon tutto d’un fiato. Quando vide che il ragazzo non solo non gli tirava un pugno in testa, ma non aveva ancora capito, alzò gli occhi al cielo e decise di continuare.

<< Intendo dire che tu sei più un tipo per l’azione, che per il ragionamento. Perciò, >> tossicchiò, << prima di diventare completamente pazzo, pensa a chi potrebbe sapere cosa fare. >> poi sorrise, concludendo, << Non c’è nulla di male a chiedere aiuto quando ne hai bisogno. >>

<< Oh. >> era rimasto sorpreso. Demiveemon l’aveva colto del tutto in contropiede, ma finalmente il cervello del ragazzo iniziava di nuovo a recepire i messaggi.

Il suo Digimon aveva ragione. Dannatamente ragione.

<< Demiveemon, >> annunciò solenne, << tu sei un genio. >>

<< Io sono normale. >> ribatté la piccola creatura, << Sei tu che sei stupido. >> spiegò candidamente mentre Daisuke digitava un numero di cellulare.

<< Ma che divertente. >> il ragazzo si schiarì la voce. << Grazie… per avermi tirato su. >> si sentì in dovere di dire, mentre il telefono dall’altra parte squillava.

<< Figurati. Mi sembrava ti stessi fondendo con la panchina e, con tutto il rispetto, se proprio ti vuoi fondere con la panchina, scegli una posizione più comoda… Aspetta. Intendevi su di morale? >>

<< Lascia stare. E sappi, comunque, che semmai mi volessi fondere con qualcosa, sarebbe un letto. >>

 

 

 

Gocce scivolavano lungo le pareti di pietra fredda, scorrendo tra le scanalature, fino al pavimento su cui cadevano una dopo l'altra producendo un suono ritmico, insistente e agghiacciante.

Amimon aprì gli occhi a quel suono. Troppo buio per distinguere qualcosa. Mosse appena le braccia, solo per sentire il rumore di catene in ferro spesso e resistente. Mosse le gambe e accadde lo stesso. In più c'era solo il rumore dell'acqua increspata.

Era inginocchiata nel buio. Ma non era sola.

<< Ben svegliata. >>

Amimon strinse i denti a quel suono. Da un angolo buio emersero due figure che il Digimon conosceva bene, una che avanzava diritta, a suo modo regale, l'altra che saltellava evidentemente ebbra di gioia. Darklullabymon si avvicinò ad Amimon senza produrre alcun rumore, con al seguito Pattogmon con un sorriso da orecchio a orecchio. Il Digimon di cenere mostrò fino all'estremo il suo intero corredo di denti aguzzi, l'espressione con cui un vincitore sadico guarda lo sfidante distrutto al termine del gioco.

Tutto questo Amimon lo registrò appena, soffermandosi invece sul fatto che Darklullabymon non avesse il solito bastone. << Non ti farà niente. >> esclamò Pattogmon notandone lo sguardo e per qualche strana ragione sembrò esaltata.

Darklullabymon si avvicinò ancora. << Niente di fisico, tesoro. >> le sussurrò.

L'acqua raccolta ai piedi di Amimon sfrigolò, quando il Digimon sentì il sangue salirle alla testa.

Pattogmon sembrò leggermente seccata. << Hai ancora spazio per l'odio, in quella tua testolina? Non sei semplicemente disperata? >>

<< Dov'è Shiori? >> chiese Amimon senza considerare nemmeno per un secondo la sua vecchia compagna.

Un breve secondo di silenzio, il sorriso di Pattogmon che si allargava ancora, gli occhi di Darklullabymon che si riempivano di gioia malata, la mente di Amimon che registrava e capiva.

D'altronde la soluzione gliel'avevano data appena dieci secondi prima. “Niente di fisico, tesoro”.

Amimon scattò in avanti e le catene dietro di lei si tesero allo spasmo, senza però cedere.

<< Dov'è Shiori? >>

Darklullabymon si pose l'indice sulle labbra e sorrise anche lei.

Non avevano alcuna intenzione di dirglielo.

Darklullabymon scosse le testa e seguita da Pattogmon le dette le spalle, varcando la soglia.

Da dietro la porta sprangata, Amimon cacciò il primo urlo.

 

 

 

Daisuke arrivò perfettamente in orario e già questo dette a Taichi parecchio da pensare.

Era seduto mollemente al tavolino di un bar e osservava un po’ il cielo notturno, un po’ la gente che passava, ognuna, a modo suo, particolare: si partiva dalla ragazza carina da morire con tre spasimanti palesemente innocui a cinque metri di distanza al bambino dagli occhi azzurro cielo che cercava di mangiare un gelato ben più grande di lui, mentre i nonni lo guardavano con occhi adoranti. Taichi si concesse un attimo l’aria quotidiana e tranquilla di quella sera di settembre. Sapeva di normalità, di casa e di sicurezza e Taichi raccolse un chicco di quella pace che emanava e lo assaporò fino in fondo, perché aveva imparato a considerare come doni preziosi ognuno di quegli attimi dolci.

Era appena passata l’ora di cena quando scorse la chioma di Daisuke in lontananza e ritornò con i piedi per terra. Un po’ se l’era aspettata la richiesta che Daisuke gli aveva fatto a telefono un paio d’ore prima – “Avrei bisogno di parlarti. Quando possiamo vederci?” – ma non era sicuro di quale piega quel futuro discorso avrebbe preso.

<< Ciao. >> esordì avvicinandogli una sedia. L’altro, sedendosi, gli rivolse un cenno col capo e Demiveemon gli sorrise. Questo tranquillizzò un po' il ragazzo più grande.

Taichi scrutò il volto di Daisuke, che guardava per terra; erano sempre simili, ma anno dopo anno le differenze si facevano sempre più nette. I capelli del più giovane, oltre ad avere una piega diversa, erano palesemente più rossi; gli occhi più grandi contribuivano a dargli quell’aria da eterno bambino giocherellone che lo contraddistingueva; infine, per quanto fosse presto per dirlo con assoluta certezza, Taichi era sicuro che Daisuke l’avrebbe superato in altezza.

Daisuke ordinò un caffè e un pezzo enorme di dolce al cioccolato e quando arrivò cominciò a mangiarla con gioia evidente, passando di tanto in tanto qualche boccone a Demiveemon, sotto il tavolo.

<< Mi sa che non hai cenato. >> dedusse Taichi.

<< Ehatto. >> borbottò l’altro inghiottendo l’ultimo pezzo di torta. Con la pancia piena diventava dieci volte più cordiale. << Ero a correre. >> Spostò il piatto vuoto sul bordo del tavolo e una cameriera stupita da tanta velocità lo portò via.

<< Sai… mi aiuta a pensare. >> confessò.

<< Be’, ti capisco. E a cosa hai pensato? >>

Daisuke smise di nuovo di guardarlo in faccia – accidenti, l’effetto benefico del cibo era già finito? – e Taichi sentì di cominciare a innervosirsi. Maledizione, doveva dire una sola frase e lo faceva patire così? Era un bel po’ che conviveva con i nervi a fior di pelle e ora ci si metteva pure…

Calma.

Inspirò, espirò.

Calma.

Non serviva a nulla arrabbiarsi, lo sapeva. Oltretutto, non era giusto trattarlo male solo per scaricare un po’ di tensione. Sarebbe stato sufficiente aspettare e Daisuke avrebbe vuotato il sacco da solo, non era il tipo da tenersi tutto dentro. Be’, neanche lui stesso era il tipo da tenersi tutto dentro, ma una volta l’aveva fatto e ancora non aveva detto niente a nessuno*, comunque…

<< Taichi, devi fare qualcosa. Devi dare agli altri una scrollata. >>

Cosa?, pensò.

<< Cosa? >> esclamò.

<< Svegliarli. Rimetterli in sesto. >> spiegò Daisuke, << insomma, toglierli da questo stato di… paura e rimorso e tristezza e rabbia e dolore in cui sono! >>

Ah, e così aveva la fama di riuscire a compiere miracoli? Come poteva quello anche solo pensare che lui, da solo, potesse guarire tutti i loro amici da quel colpo basso che avevano ricevuto e riportarli a come erano? E poi anche lui, Taichi, non ne era uscito bene. Era un ragazzo normale e anche lui era stato male, anche lui soffriva, anche lui…

<< Per favore. >> bisbigliò Daisuke. << Puoi aiutarli solo tu. >>

Oh. Così, non solo sapeva compiere miracoli, ma era anche il solo a saperlo fare. Almeno secondo il suo amico.

<< E tu? >> gli venne da chiedere.

Il viso di Daisuke si fece rigido, granitico, con un’espressione che Taichi non gli aveva mai visto. Lo osservò mentre, a occhi bassi, faceva piccoli respiri veloci, affannati, poi uno più profondo appena ebbe raggruppato la forza necessaria. A quel punto, con una voce che sembrava ghiaccio invernale spezzato dall’ennesima tempesta, dischiuse la bocca in modo irregolare, come una frattura, e parlò.

<< Ho paura. >>

Dirlo gli era costato tanto, era evidente; ma era anche evidente che non aveva potuto farne a meno, come testimoniavano le mani tremanti strette intorno a Demiveemon.

<< Ho paura, Taichi. >>

Questo fece molta impressione al ragazzo più grande e qualcosa, dentro di lui, si mosse. Gli ci volle solo un attimo a capire. Gli occhi di Daisuke erano gli stessi occhi di sua sorella, che lo guardavano spenti e non sorridevano più assieme alla bocca; erano gli occhi di Takeru, che aveva incontrato due giorni prima, che alla domanda “Come stai?” avevano smentito quel “Bene” sussurrato a mezza voce. Inoltre, poteva giurare che anche gli altri loro compagni avessero lo stesso sguardo.

Pensò che se lui stesso, Taichi, non era nemmeno un adulto, loro non potevano nemmeno essere considerati ragazzi, ma solo ragazzini. Poco più che bambini.

Pensò che lui aveva visto Shiori per la prima volta un mese prima, per cui non poteva ricordarla bambina eppure, sentendo quello che le era successo, se l’era comunque immaginata.

Shiori, nella sua mente, aveva il volto di sua sorella a tre anni che in ginocchio sull’asfalto di Hikari Ga Oka tossiva e quasi si strozzava senza riuscire a soffiare nel fischietto per svegliare Greymon; se lui non ci fosse stato?

Poi aveva avuto il volto di Takeru a sette anni che, sul monte Fato, vedeva Angemon diventare piume; se Angemon non fosse mai rinato?

Pensò che fino a quel momento, l’idea di perdere aveva solo sfiorato i Digiprescelti. Chi non ha mai penso, non ha mai avuto bisogno di rialzarsi e non ha la più pallida idea di come fare.

Onestamente, non avevano realmente perso; ma era come se fosse successo e questa era la strada diretta verso la perdita di sé – e rimettersi insieme, poi, è molto, molto più difficile.

Daisuke se n’era reso conto e l’idea lo terrorizzava.

Taichi non poteva biasimarlo. Non poteva biasimare nessuno. Poteva solo cercare di invertire il processo, lui, che aveva la capacità di seppellire la paura in fondo al suo cuore, accanto a tutte le cose buone che aveva visto e fatto e lì, quindi, renderla insignificante. Sapeva la strada. Doveva solo mostrarla agli altri.

Per questo non si sentì indeciso, nemmeno per un istante, quando strinse la spalla di Daisuke, gli sorrise e gli disse << Ci penso io. >>

 

 

 

Amimon si svegliò dopo ore. Il sottile strato di fuoco che la ricopriva era pallido e incerto e si poteva intravede la pelle nera sottostante. La gola, invece, ardeva con forza, per il gran urlare. Una goccia d’acqua la colpì sulla schiena e Amimon percepì che le ci volle un po’ a evaporare. Si stava spegnendo ed era la prima volta da che era digievoluta in Amimon, anni prima, poco dopo che Shiori aveva capito che lei non era un nemico.

Shiori. Shiori. Dov’era Shiori? Come poteva fare per saperlo?

<< Ehm ehm. >>

Appoggiata allo stipite della porta, Pattogmon la guardava, ancora gioiosa.

<< Non mi inviti a entrare nei tuoi appartamenti? >>

Amimon abbassò veloce la testa. Poteva immaginare Pattogmon che scoppiava di gioia a quella vista, ma non le interessava. Doveva avere la mente chiara per riuscire ad avere l’informazione che le serviva.

 

 

 

Il piano di Taichi era semplice. Breve e conciso, portava direttamente all’effetto desiderato: per questo gli piaceva tanto. Aveva lasciato Daisuke sulla porta di casa da appena dieci minuti che già si trovava davanti all’appartamento di Yamato e aspettava che il ragazzo gli aprisse.

Il suo piano era semplice e portava direttamente all’effetto desiderato: per questo avrebbe funzionato.

Bastava continuare a ripeterselo, poi se ne sarebbe convinto.

Aveva scelto di iniziare con qualcuno di facile, qualcuno di poco problematico. Certo, il suo migliore amico era scosso e addolorato; ma Yamato era forte. Di fronte a Gennai era esploso, buttando fuori tutto e bastava che si ricomponesse per tornare quello di prima. Oltretutto, Taichi era certo che avesse già iniziato.

Il problema, però, erano gli altri. Non erano solo spaventati: erano anche stanchi. Lottare continuamente per la salvezza di un mondo era qualcosa che sfibrava l’anima; bastava perdere l’equilibrio acquisito con fatica che ci si rendeva subito conto di quanto fosse difficile ciò che si faceva.

Perciò doveva agire in fretta; si era dato dello stupido un numero infinito di volte per aver perso così tanto tempo. A quel punto, quindi, non poteva fare tutto da solo. Aveva bisogno di aiuto.

Yamato aprì finalmente la porta e non poté trattenere un po’ di stupore quando vide davanti a sé il suo migliore amico, considerato che era quasi mezzanotte. Tuttavia si scostò subito, lo fece entrare e non fece domande, così Taichi iniziò a parlare e gli disse tutto, proprio tutto, come aveva più o meno intenzione di fare con altre dodici persone prima dell’alba. Quando ebbe finito, si rese conto di aver trovato tutto l’aiuto necessario.

Il biondo aprì di nuovo la porta con una mano e tese l’altra a sganciare il cappotto dall’attaccapanni lì accanto.

<< Da chi iniziamo? >> chiese con la sua voce bassa e musicale.

Taichi fece una smorfia e sorrise << Dal più vicino. >>

<< Allora Mimi. >>

Taichi si arrestò a metà scala.

<< Come? >>

<< Mimi è la più vicina. >>

<< Credevo fosse… >>

<< Credevi male. >>

<< Allora non inizieremo dal più vicino. Io Mimi non la affronto senza Sora. >>

Calò un attimo il gelo, quando Taichi pronunciò il nome proibito, ma solo un attimo; dopotutto, loro erano Taichi e Yamato e Sora era una ragazza che conoscevano quasi meglio di loro stessi.

<< Mi sembra una richiesta legittima. >> commentò il biondo.

<< Lo so. Andiamo da Izzy. >>

<< Non è il più vicino, dopo Mimi. >>

<< Non importa. Andiamo da Izzy. >>

Il piano di Taichi, secondo Yamato, poteva essere definito come una terapia d’urto dolce. In sostanza, si trattava di mandare il Digiprescelto del coraggio a parlare con tutti, uno per uno, per analizzare ansie e paure e trovare un modo di superarle con il suo solito ottimismo. Insomma, dovevano per prima cosa operare sul piano psicologico. L’idea non era male; il punto era che Yamato aveva cercato il più possibile di non ridere al pensiero di un Taichi psicologo, ma non gli era riuscito molto bene e quando il ragazzo castano, dopo aver fatto altezzosamente finta di niente, gli aveva scoccato un’occhiataccia, Yamato era scoppiato a ridere. Dopo diversi minuti, un Taichi rabbioso aveva fatto notare al biondo che anche lui avrebbe dovuto fare lo psicologo; solo per questo era andato da lui prima di tutti. Solo a questo punto Yamato chiuse la bocca.

Da Izzy ci fu da affrontare per la prima volta il problema principale: come non farsi beccare dai parenti e, soprattutto, come non essere scambiati come ladri. Lì la fortuna era il giardino tutto intorno, con alti alberi robusti da scalare. Era già capitato che ci salissero per arrivare a bussare alla camera di Koushirou, quando era divertente cercare di coglierlo di sorpresa, nonostante alla fine venissero sempre scoperti.

Non ci vollero più di dieci minuti a raggiungere la finestra giusta. Si sarebbero sentiti piuttosto soddisfatti di loro stessi se non fosse stato per il fatto che, a due metri dall’arrivo, Izzy avesse aperto la finestra, sbottando: << Che accidenti state facendo? I miei stasera sono a teatro. Sono sicuro di avervelo detto. >>

Comunque sia, riuscirono ad entrare nella casa.

<< Sei ancora in piedi? >>

Il ragazzo più piccolo annuì e riprese posto alla scrivania, davanti – ovviamente – a un computer, << Sto lavorando al software di rintracciamento della fortezza. >>

Yamato aggrottò le sopracciglia << Non era quel programma che stavi sviluppando con… >>

<< Con Gennai? Già >> concluse Izzy, già perso nell’analisi dei suoi dati << e non ho intenzione di abbandonarlo, qualsiasi cosa sia successa, perché ci servirà comunque e buttarlo via sarebbe da idioti. >> Afferrò il mouse e modificò velocemente qualche riga.

<< Allora, qual è il piano? >> indagò senza staccare gli occhi dallo schermo.

<< Prego? >>

<< Qual è il piano? >>

<< Be’, l’idea era venire qui a dare un calcio alla tua depressione perché tu poi potessi aiutarci con gli altri, ma non mi sembri granché depresso, onestamente, >> dichiarò Yamato.

<< Se sono depresso? Certo che sono depresso. Ma non permetterò che questo mi fermi. >> chiarì il ragazzo, << Comunque mi sembra un buon piano. >> aggiunse cortese.

A Taichi venne da ridere. Si stava dimostrando più facile del previsto: nemmeno Izzy era un problema.

<< Benissimo. Senti, ci puoi accompagnare oppure… >>

<< Se mi dai due secondi per avviare una scansione, sono tutto vostro. >>

<< E poi, sarebbe possibile far venire qui i nostri Digimon? Non importa subito, però, prima di parlare ai ragazzini… Insomma, sarebbe meglio averli. Si può? >> 

<< Mi stai prendendo in giro? >> domandò Izzy, offeso.

 

Jyou stava studiando. Ovviamente. Del resto, sapeva di essere una persona piuttosto ansiosa, l'università lo terrorizzava, perciò come risolvere il problema in modo migliore, se non iniziando a studiare per l’ammissione almeno un anno prima dei test?

Una settimana prima era incappato in un argomento piuttosto complesso, che lo aveva mandato un po’ in panico; quella sera, però, ne stava venendo a capo e non si sarebbe fermato finché…

Dlin dlon.

Chi accidenti era a quell’ora? Avrebbe avuto tutto il diritto di non rispondere e mentre stava seriamente considerando la cosa, suonarono di nuovo. Poi ancora. E ancora. Non sarebbe riuscito a concludere niente con quel rumore.

Si alzò con rabbia, deciso a litigare con chiunque fosse dall’altro lato della porta, quando udì la voce di Izzy dire, stancamente << Jyou. Lo sappiamo che sei sveglio e stai studiando, ma è importante. Potresti aprire, per favore? >>

Dieci minuti e poche spiegazioni più tardi, Jyou era stato mezzo al corrente di tutto.

<< Quindi sareste voi i miei psicologi? >>

<< Frena il sarcasmo, vecchio. Lo sappiamo che sei tu il più psicologo tra noi, visto che hai esaminato la facoltà di psicologia fin nei minimi dettagli. >>

<< D’accordo, d’accordo. Allora, qual è il messaggio di Taichi? >>

<< Non è il massaggio di Taichi, è il concetto che volevamo rimanesse impresso… >>

<< Come ti pare. Questo messaggio? >>

<< Vuoi le parole precise? >> intervenne Yamato, perché sennò facevano tardi, << “Piantatela di piangervi addosso e vedete di non perdere la testa che da solo mica posso fare granché. Accidenti.” >>

<< Non è molto dolce per essere una terapia d’urto dolce. >>

<< Be’, la parte dolce c’è già stata. >>

Jyou inarcò un sopracciglio, lasciando correre, << Da chi è Taichi, ora? >>

<< L’abbiamo mandato… >> iniziò Yamato.

<< L’hai mandato. >> corresse Koushirou.

<< Sì, insomma, l’ho mandato da Sora. >> sorrise, << Dopotutto è capace di rigirarsi la signora Takenouchi come gli pare, se dovesse beccarlo. >>

 

<< La prego, signora, lo so che è tardi, ma Sora mi deve assolutamente aiutare con matematica che sennò domani prendo meno di venti! >> sciorinò Taichi appena si aprì la porta. Era patetico, ma non gli era venuto in mente niente di meglio. Non quando si era accorto che le luci in casa erano accese, che la mamma di Sora era sveglia e cercare di far scappare la sua amica da una finestra equivaleva a un suicidio.

La signora Takenouchi osservò la nuca abbassata del ragazzo che conosceva da sempre con un cipiglio un po’ sorpreso e un po’ divertito << Taichi, è l’una di notte. Tua mamma sa che sei qui? >>

Il ragazzo rabbrividì al pensiero.

<< No! Ero a dormire da un amico quando mi sono ricordato che domani c’è il compito e io >> pigolò << non avevo aperto libro. >>

<< Da chi eri? >>

<< Oh, ehm… da Izzy. Che è molto bravo, però è un anno dietro di noi e io ho bisogno d’aiuto subito. >> sorrise, cercando di sembrare tenero e innocente.

La signora lo osservò per un po’, con un’espressione che Taichi non riuscì a decifrare.

<< D’accordo. >>

<< Davvero? >>

La mamma di Sora gli fece cenno di entrare e lo guardò inscenare un ulteriore melodramma davanti a sua figlia, stupita dal fatto che il ragazzo non ricordasse che quella era la stessa identica scusa che usava da piccolo per portare Sora fuori a giocare a calcio con lui.

 

Da Mimi, Taichi arrivò in ritardo. Senza Sora.

<< Dove è Sora? >> sillabò Koushirou.

<< Sua mamma era sveglia. >> mormorò Taichi, ricevendo occhiate di pietà, << No, tranquilli, è stata gentile: sono riuscito a spiegare tutto a Sora, però non c’era verso di farla uscire. >>

Jyou incrociò le braccia. << Adesso è un problema. Chi va da Mimi? >>

<< Io no. >>

<< Io no. >>

<< Neanch’io. >>

<< Assolutamente no, Izzy, tu da Mimi ci vai. >>

<< Non da solo. >>

Jyou si strofinò le tempie.

<< Yama, va con lui. >>

<< Co… perché? >>

<< Perché riesci a trasmettere calma e serenità. >>

<< Non riuscirai ad abbindolarmi, Tai. >>

<< Sono serio! >>

<< Stop! Basta così. Io e Yamato da Mimi, voi iniziate con gli altri. Taichi da Hikari, Jyou da Iori, poi vedete un po’. >>

Annuirono assieme, poi si divisero, cominciando a correre. Erano solo le una e quarantatré. La notte era ancora giovane.

 

Qualcosa rimbalzò sullo stomaco di Miyako.

<< Poyomon… smettila. >> mormorò. Ovviamente, la creatura non smise.

Maledizione! Per una volta che riusciva a dormire, non poteva subire quello!

Si tirò a sedere a sedere di scatto e spalancò la bocca per urlare, ma soffici piume rose gliela tapparono. Ma non era Poyomon. Era Biyomon.

<< E tu cosa ci fai qui, ora? >> chiese la ragazza, sputando penne.

<< Sono venuta a prenderti. Andiamo da Sora. >> disse Biyomon allegra, spalancando la finestra.

<< Ah no, non ci penso nemmeno. Non mi porterai in volo con il rischio di farmi cadere. >>

<< Neanche se siamo in due? >> chiese, sempre sorridendo, indicando Poyomon.

Ah, splendido. Adesso sì che era al sicuro. Miya sbuffò, ma decise di obbedire.

Alla fine il viaggio non fu male. Casa di Sora non era troppo lontana e spesso la facevano camminare sui tetti comportandosi semplicemente come corrimano.

Quando scivolò nella finestra aperta di Sora sentì che da grande avrebbe fatto la spia. Sì, era deciso.

<< Vi aspettavo. >> sussurrò Sora senza accendere la luce, << Ciao, Biyomon! Sei stata bravissima! >>

Colpì con il dorso della mano la poltrona rossa vicino al suo letto e Miya si sedette, un po’ di malumore. Voleva tornare a casa, andare a letto e tirarsi le coperte fin sopra la testa, senza scocciature.

<< Miya. >> mormorò Sora dolcemente.

<< Che vuoi? >> borbottò nervosa.

<< Possiamo parlare un po’? >>

<< Tanto ormai sono qui. >>

Sora guardò Poyomon, che le rivolse un’occhiata rassegnata.

<< Senti… ecco, i Digimon sono un po’ preoccupati per voi. Sembra che stiate perdendo un po’ la testa. >>

<< Cosa? >> scattò Miyako. Adesso era arrabbiata.

<< Hai capito. Però io non sono d’accordo. >>

<< Lo credo bene, io sono perfettamente… >>

<< Secondo me, hai già perso del tutto la testa. >> dichiarò Sora senza mezzi termini.

L’altra ragazza assunse un vacuo sguardo di sorpresa a quella frase, che si tramutò presto in ira. Era furiosa.

<< Ah, davvero? E allora tu… >>

<< Sssssh! >> sibilarono in coro i due Digimon e Miyako si trovò, di nuovo, quasi soffocata dalle piume. Sora la raggiunse, scuotendo la testa.

<< Vedi? >>

Miya sputò una penna rosa e si lasciò cadere a terra.

<< E anche se fosse? >> mormorò con rabbia, << meglio pazza che in questa situazione. Meglio pazza che sapere di Shiori. >>

Quello era il punto. Quello era il problema, proprio come le aveva detto Tai.

Loro non hanno mai realmente perso. Non conoscono veramente la sconfitta, perciò non sanno come uscire da questo caos. Probabilmente continuano a pensare “E se fosse successo a me?” che non è una stupidaggine. Cosa aveva Shiori di diverso? Nulla. Era una di noi. Quindi, come tale, l’idea di essere al suo posto è ancora più paurosa. È quell’idea che alimenta la paura, quell’idea che rende la sconfitta da ipotetica a reale.

Quel ragazzo era un genio. E un capo perfetto. Sora sapeva che non sempre voleva avere quel titolo, ma se necessario aveva tutto ciò che serviva per spronare gli altri e guidarli: fegato e forza d’animo. Quel che restava era diffondere l’uno e l’altra e dimostrare che andare avanti è ancora possibile.

<< Io invece preferisco così. Sapere e non essere pazza, perché mi dà l’opportunità di fare qualcosa per risolvere questa situazione >> prese fiato, << e vorrei che tu scegliessi lo stesso. >>

<< Non posso. >>

<< Sì che puoi. Ti conosco e ora come ora sono più lucida di te, quindi posso dirti con sicurezza che puoi farlo, se lo vuoi. >>

<< Ma ho… >>

<< Paura? Anch’io. Ma non lascerò che la paura mi domini. Chi ha paura perde subito. Chi ha paura e coraggio di affrontarla, può vincere. Io preferisco andare per una strada che non sia già segnata, che mi dia possibilità di scelta. >>

Indicò la collana che aveva al collo.

<< Prima che sapessimo di Shiori, mia mamma mi dette questa. Le avevo chiesto perché ci fossero tante persone con “inclinazioni alla malvagità” e lei mi rispose – non subito, in realtà – che la parola inclinazione era giusta: indica qualcosa che si è portati a fare. Inoltre, per questo unico effetto ci sono più cause. Bisogna analizzare i retroscena, le motivazioni, per trovare una soluzione. Pensa a Ken. Pensa a Shiori. >> si sganciò la collanina dal collo, << e pensa che questo discorso può valere anche per coraggio e vigliaccheria. Pensa che nessuno dei due è un assoluto, ma che possono unirsi e scambiarsi in ogni momento, per permetterti di fare ciò che ritieni giusto. >>

Guardò Miya, che fissava lei e la collana con gli occhi spalancati lucenti nel buio.

<< Appena Izzy avrà perfezionato il software per rintracciare la fortezza nera, io e gli altri vecchi Digiprescelti andremo a cercare di tirare fuori Shiori da lì. Se vuoi venire ad aiutarci, sei la benvenuta, ma non sei obbligata. Noi andremo comunque e lotteremo finché possibile. >> sospirò, in pace con se stessa. << Questo è tutto quello che volevo dirti >> concluse, << e sono felice che tu mi abbia... >>

<< Verrò. >>

Sora si voltò. Miya piangeva silenziosa.

<< Verrò. >>

<< Davvero? >> chiese piano Poyomon.

<< Sì. >> rispose, mentre il suo Digimon le stringeva il collo, felice << Davvero. >>

 

<< Sora mi ha mandato un messaggio. Miya è tornata a casa e sta meglio. >> annunciò Mimi.

<< Allora abbiamo finito! >>

<< Già. Miya era l’ultima. >>

Taichi rimase un attimo imbambolato. Aveva funzionato? Il suo piano banale e costruito alla meno peggio aveva funzionato? Questo sapeva molto di miracolo.

<< Te l’ho mai detto che sei un genio? >> disse allegro Agumon, rifilandogli una gomitata al fianco.

<< Bene, gente. >> esclamò Jyou con tono autoritario, << Sono le tre e mezzo di notte e io sono il più grande qui, quindi vi voglio vedere filare a casa prima che qualcuno si addormenti in mezzo di strada provocandomi un mucchio guai. >>

<< Guarda che sappiamo cavarcela da soli. >> borbottò Daisuke, che era voluto venire a tutti i costi.

<< Ne dubito. Ti stai addormentando qui. Ti vedo che sei aggrappato a quel lampione come se ne andasse della tua vita. >>

<< Non è vero! >>

<< Filare, ho detto! >>

Uno dopo l’altro, gli diedero ascolto.

Mimi andò verso casa insieme a Yamato, Koushirou e i loro Digimon, leggermente sovrappensiero. Vuotò il sacco a venti metri dal suo condominio.

<< Ehi, Izzy, ma i dati di quel software per il rintracciamento non ce li aveva tutti Gennai? >>

Chiamato in causa, il ragazzo si arrestò e si diede dell’idiota per aver anche solo pensato che Mimi non se lo ricordasse; era con lui e Tentomon quando aveva spedito il tutto all’essere digitale, il giorno prima della faccenda Shiori.

<< Già. >> confessò.

<< E allora? >>

<< E allora sono andato a prenderlo >> ammise, << e ho parlato con Gennai. >>

Yamato si fermò << Stai scherzando. >>

<< No. >>

Il biondo cominciava ad arrabbiarsi << E per quale assurdo motivo tu… >>

<< Avevo una domanda. >>

<< Quale? >> ringhiò.

Izzy rispose proprio mentre Mimi si mise tra loro per impedire la rissa.

<< Mi chiedevo come potessero pensare che non ce ne saremmo mai accorti. Tu non te lo sei mai chiesto? >>

<< Io sì. >> disse Mimi, dopo un attimo.

<< Anch’io. >> ammise Yamato. << Cosa ti ha risposto? >>

Koushirou riportò alla mente la scena.

<< Mi ha raccontato della notte dell’attentato >> spiegò << mi ha raccontato di come Shiori Yamamiya abbia fatto saltare tutti i loro schemi riuscendo a percepire la digievoluzione di Koromon a un quartiere di distanza. Di come così Parrotmon fu fatto scivolare sulla Terra. Di come la digievoluzione in Greymon avesse a quel punto strappato il muro tra i due mondi, permettendo a Darklullabymon di passare e di tornare indietro con Shiori. Di come le loro stesse difese li avessero chiusi nella torre, permettendo loro di uscire solo quando Shiori era già nella torre. >> lo attraversò un pensiero, << vi ricordate che Elecmon disse che loro avevano modificato la fortezza? Gennai mi ha spiegato che prima non era che un’alta torre circondata da un giardino pieno di rose bianchissime. Dopo la cattura di Shiori, svanì tutto insieme. >>

<< Ancora non hai risposto alla domanda. Stringi. >>

<< Quando gliel’ho chiesto, si è messo a ridere, una risata amara. Ha detto che non pensava che non l’avremmo mai saputo, come tutti i suoi colleghi, ma non sapevano come fare. Avevamo più o meno sei anni, non potevano dirci che il giorno in cui eravamo stati scelti per salvare il loro mondo una di noi era stata rapita e, per quanto ne sapevano, uccisa. Poi si sono occupati di creare i Digivice e i Digimedaglioni per contrastare Apokarimon, poi è arrivato Piedmon e ha quasi distrutto il lavoro di una vita, insieme ai compagni di Gennai. Così lui si è trovato da solo a conoscere la verità, insieme ai Digimon supremi. >>

<< Azulongmon sapeva e non ce l’ha detto? >>

<< Già. È stato quando gli ho chiesto il perché che lui ha tirato in ballo la vergogna. Mi sembrava una cosa stupida, gliel’ho fatto notare, così mi ha fatto un discorso piuttosto serio… >> Izzy chiuse gli occhi. Ricordava tutto, parola per parola.

 

<< Credi che sia una cosa stupida, Koushirou? Ebbene, ti sbagli. La vergogna può molto, perché significa che in passato hai commesso un errore e niente è più difficile che affrontare i propri errori. Nessuno è perfetto, eppure facciamo di tutto perché niente rovini la nostra immagine. Umani, Digimon o esseri come me non sono diversi. Ho passato secoli a rimuginare da solo su quello che avevo fatto e piano piano il dolore è diventato talmente abituale da non essere più una sorpresa. Quando mi misi in contatto con voi, sull'Isola di File, ero talmente abituato che non è stato difficile tacere. Mi sembravate così piccoli... >>

Lui, Izzy, si era alzato furibondo << Anche Shiori era piccola! >> aveva urlato.

<< Infatti. >> aveva continuato Gennai, senza scomporsi << Avevo già rovinato la vita a una creatura innocente e indifesa, che forse già da tempo era stata cancellata. A quel tempo vidi Takeru, il più piccolo di voi, stringere al petto l'uovo di Patamon e ho pensato che, forse, un peso come quello di Shiori non era giusto passarlo a bambini come voi. Qualcosa del genere era meglio affidarla a vecchi come me. >>

 

<< A quel punto me ne sono andato, non prima di dirgli che non l’avremmo perdonato lo stesso. >>

<< E ti ha risposto? >> chiese Mimi titubante.

Koushirou annuì, gravemente << Ha detto che il nostro perdono non l’avrebbe comunque pulito. >>

 

 

 

<< Allora. >> esordì Pattogmon cercando senza successo un posto comodo dove sedersi nella cella << Come ti senti dopo essere stata totalmente, definitivamente e completamente sconfitta da me? >>

Amimon si lasciò sfuggire un sorriso sghembo, scoccando a Pattogmon uno sguardo di completo disgusto << Mi sento invidiosa per la fortuna che hai avuto. >>

Il sorriso del Digimon di cenere si incrinò un istante solo.

<< E così vuoi sapere come il mio genio vi ha sconfitte? Ti accontenterò. >> schizzò d’acqua il volto di Amimon << ho risvegliato la rosa di Shiori. >>

Quello fu un brutto colpo per il Digimon a terra.

<< Cosa hai fatto? >>

<< Ho dovuto impiegare tutto il mio potere per farlo, ma ci sono riuscita. L’ho risvegliata e – bam! – per qualche minuto ero capace di rintracciare la traccia di Shiori quel giorno in cui i ragazzini sono entrati qui e ho scoperto che ad aprire la porta del tunnel dove era Hikari siete state voi. A quel punto è stato facile. La vostra reazione è stata solo un sovrappiù. >>

Pattogmon era pazza. Non era solo marcia fino al midollo, era anche pazza. Risvegliare una rosa era rischioso. Poteva uccidere chi ci provava, oltre alla persona a cui era dedicata. Che rimaneva comunque in pericolo per tutto il tempo in cui la rosa era sveglia.

<< E la rosa? >> boccheggiò Amimon.

<< Quale rosa? Ah! Quella rosa. Be’, è con Shiori. Le servirà, nel posto in cui è ora. >>

 

 

 

Il compito era andato meglio del previsto, considerando che non aveva aperto libro e aveva dormito meno di quattro ore. Forse era lo stato di ottimismo in cui si trovava: doveva analizzare a fondo la cosa, assolutamente.

Ma in altro momento. Aveva da fare.

Davanti al proprio computer, con la casa deserta, Taichi frugò nello zaino ed estrasse il disco che Izzy gli aveva dato prima di entrare in classe quella mattina.

Stasera non hai il club di calcio, giusto? Ho chiesto in giro e sono tutti occupati, quindi lo devi fare tu. Inserisci il disco nel computer, poi installi il programma lì presente sul Digivice. È facile, giuro. Poi vai a Digiworld e vedi se rilevi qualcosa, ma, per favore, non fare nient’altro!

Sì, Izzy, certo, Izzy. Come no.

Digiworld lo accolse con raffiche di vento che quasi lo fecero volare via.

Grazie, disse ironico verso non si sa dove e non si sa chi. Estrasse il Digivice dalla tasca e guardò se c’erano lucine a lampeggiare. Niente. Sarebbe stato troppo comodo e facile. Iniziò a camminare e Agumon lo raggiunse poco dopo. Un passo dopo l’altro attraversarono la prateria e raggiunsero il più freddo, ma più calmo, ghiacciaio.

A quel punto apparve una lucina.

C’era riuscito al secondo tentativo! Bene, il programma di Izzy sembrava funzionare, ma ormai che era lì tanto valeva controllare con cura. Si voltò, alla ricerca di un televisore… e trovò Yamato Ishida a un metro da lui.

<< Che ci fai qui? >> gli scappò da urlare.

<< Sono a fare il baby-sitter. >> spiegò << Izzy mi ha detto di averti dato il programma e ho pensato che non avresti mai fatto come ti era stato indicato. >>

<< Ho verificato che il programma funziona! >>

<< E stavate per andare a vedere la fortezza da vicino. >> concluse Gabumon.

Agumon sbuffò << D’accordo, d’accordo, è vero. >> si accostò a Tai << Ma perché sono sempre così? >> gli chiese all’orecchio.

<< Non ne ho idea. >> sbottò il ragazzo.

<< Via, via. Veniamo in pace. >>

<< Prego? >>

<< Pensavamo di accompagnarvi. >>

In quattro fu più facile trovare il televisore giusto. Si trovava tra due alti blocchi di ghiaccio, in una conca tutt’altro che rassicurante. Si guardarono intorno prima di scendere, senza notare la figura acquattata tra i rami di un abete che li osservava da almeno dieci minuti.

Explomon, quello era il suo nome, lavorava nella fortezza; all’aspetto ricordava una marionetta, fatta però di candelotti di dinamite. Non era molto forte negli scontri diretti, per questo faceva spesso la guardia fuori dall’entrata della fortezza e spaventava gli impiccioni con esplosioni ben mirate. Quella però era un’occasione troppo ghiotta. Ben due Digiprescelti e i loro Digimon in una scatola di ghiaccio che aspettava solo di essere chiusa. Era pronto con due candelotti già da un pezzo e aveva individuato i punti giusti in cui lanciarli. Aspettava solo che si decidessero a scendere.

Eccoli che mettevano i piedi – o le zampe – oltre il bordo… ecco che scivolavano giù… ecco che erano in fondo. Flesse le braccia all’indietro, per lanciare le bombe esplosive. Poi qualcosa fece saltare in aria lui.

I quattro in fondo alla conca si voltarono di scatto e videro un ragazzo con un Digimon, in piedi sopra di loro.

<< Mi dovete un favore. >> sorrise Wallace.

Taichi sorrise << Che ci fai qui? >>

<< L’ho chiamato io. >> spiegò Yamato << Ho pensato che ci sarebbe servito più aiuto possibile. >> poi, più serio, concluse. << Mi devi un’intercontinentale. >>

<< Che state facendo? >> urlò Terriermon.

<< Stiamo andando la vedere la fort… >> iniziò Taichi, ma fu interrotto da Yamato.

<< Fai piano! E se ci fossero altre sentinelle? >>

Taichi annuì rapidamente.

<< Venite giù! >> urlarono ai due in cima.

Quando li raggiunsero, mostrarono loro il Digivice col software. << Izzy ha aggiunto un programma per rintracciare la fortezza nera, lo stiamo testando. L’abbiamo individuata nello spazio di mezzo qua fuori e volevamo vedere se effettivamente fosse tutto a posto. >>

<< Come fate a capire che è qui? >>

<< Seguiamo la lucina. >>

Wallace girò il cellulare verso i giapponesi << E se vi dicessi che non c’è nessuna lucina? >>

Ai due sfuggì imprecazione colorita.

<< Dev’essersi spostata. >>

<< Be’, sei un genio, Agumon. >>

<< Su, risaliamo. >>

Avevano tre Digimon e nessuno sapeva volare. Quindi si inerpicarono faticosamente lungo la ripida parete di ghiaccio, mentre Terriermon volteggiava, giungendo in cima prima di loro e notando qualcosa in lontananza.

<< Ragazzi? >>

<< Cosa vuoi? >>

Terriermon indicò in lontananza. << La vostra fortezza vola? Se sì, ecco, è laggiù. >>

Quella era davvero la fortezza. Volava tra le montagne innevate del settore limitrofo, abbassandosi sempre di più.

<< Dove sta andando? >> chiese Yamato.

<< Non lo so, però… >>

<< Yamato! >> urlò Gabumon << Guarda le torri! >>

Erano circondate di nebbia viola.

<< Che significa quando c’è tutto quel gas? >>

<< Che sta per attaccare! >>

I sei si catapultarono nella neve, scendendo a rotta di collo lungo il pendio.

<< A cosa starà puntando? >>

<< Non ne ho idea, non conosco quel settore! >>

Sbucarono in una valle, circondati a montagne aguzze. Calpestando un soffice tappeto d’erba fresca continuarono a correre verso la fortezza, che, davanti a loro, continuava ad avanzare. Dovevano precederla e avvertire del pericolo chiunque fosse sul suo cammino, dovevano farcela a tutti i costi.

Taichi aveva preso il Digivice per far megadigievolvere Agumon quando l’immensa struttura si fermò, lontana da tutto, su un altopiano roccioso. I sei si fermarono, incerti.

La fortezza proseguì ancora un po’, a scatti, mentre la nebbia viola iniziava a disperdersi, come se ciò che la tratteneva non ci fosse più. Guizzò verso l’alto, disperdendosi in gran parte nell’aria. Il castello si arrestò del tutto, a mezz’aria, e un cupo rombo vibrò una nota sorda per tutta la valle. Poi, sopra tutto, si udì un lungo urlo acuto, da animale ferito, che gelava il sangue.

A quel punto il rombo si fermò e l’ala sinistra della fortezza esplose.

 

Il colpo mandò i tre ragazzi e i loro Digimon a gambe all’aria, assordandoli. Stringendo le enormi orecchi al petto, Terriermon vide il mondo esplodere in punti luminosi e quando mise a fuoco un bel pezzo di fortezza cadde a terra a mezzo metro da lui. Il botto l'aveva stordito e le orecchie gli fischiavano in modo incredibile.

<< Terriermon! Terriermon! >> urlava Wallace.

<< Lascia perdere! I Digimon sono estremamente più sensibili di noi ai suoni, l'esplosione li ha tramortiti parecchio! >> gridò Yamato, sollevando Gabumon << Prendilo e andiamo via di qui! >>

Taichi strinse Agumon al petto e si voltò a guardare il castello in fiamme. L'esplosione era avvenuta alla base e con essa era crollato tutto ciò che c'era sopra. Il resto, nonostante la pietra, bruciava.

Centinaia di Digimon fuggivano dal fumo e dal fuoco, sparpagliandosi nel cielo o gettandosi giù dall'altopiano. I primi fuggitivi passarono loro accanto, senza degnarli di un'occhiata.

Merda. Adesso dovevano anche andare a caccia di malvagi Digimon terrorizzati per tutta Digiworld. Taichi prese a correre, cercando disperatamente di digitare con la mano sinistra il numero di Koushirou sul cellulare, mentre con la destra teneva stretto il Digimon dinosauro.

Altre esplosioni minori fecero saltare in aria le torri e poi attaccarono il corpo centrale. La terra tremò e i ragazzi e i Digimon che li precedevano caddero, rotolando nella polvere. Per un attimo la fortezza parve resistere. Poi, d'un tratto, si ripeté l'urlo precedente e una colossale colonna di fuoco consumò le ultime resistenze della struttura. Le mura rimaste si accartocciarono su sé stesse, frantumando i blocchi ancora integri e una sola figura si stagliò in quell'inferno: piccola e nera, con un manto infuocato, ansimava dopo aver dato fondo a gran parte delle sue energie. Annusò l'aria e si voltò di scatto verso i tre ragazzi, puntando su di loro i grandi occhi neri, spalancati in modo abnorme e infuocati pure loro, come una finestra sul massacro.

Del tutto fuori controllo, Amimon urlò ancora e il mondo, accanto a lei, si incendiò.

 

 

 

Fortezza nera, sotterranei. Dieci minuti prima.

 

Amimon lasciò cadere la testa sul petto.

La rosa… era sveglia?

<< Ehi? >>

La rosa… era con Shiori?

<< Ehiiiiiii? >>

Qualcuno l'afferrò per il mento, tirandole su il viso. Gli occhi che incrociò erano pieni di disappunto.

Pattogmon.

<< Non è divertente se sei sotto shock. >>

Il dolore le esplose sulla tempia destra, dove il dorso della mano di Pattogmon si andò a schiantare con tutta la forza che aveva.

Neanche quello la smosse.

<< Sai, ora sei ferita proprio nello stesso punto di Kiki-chan. >>

Shiori. Shiori e la sua rosa. Cos'altro le stava portando via?

La prima apertura della rosa aveva spento i capelli e lo spirito di Shiori.

La seconda apertura le aveva macchiato l'anima.

E la terza, cosa sarebbe successo alla terza?

La mano di Pattogmon le strinse la gola e la schiacciò al muro.

<< Ti ho detto di rispondermi! >>

Non sono la tua bambola, disse Amimon fra sé e sé. Anche se non era del tutto vero.

L'altra la lasciò un attimo prima che soffocasse. Con un verso stizzito le voltò le spalle.

<< Penso che andrò a vedere Kiki-chan. Lei almeno mi dà soddisfazione. >>

Ancora intontita, Amimon registrò il discorso un secondo più tardi del normale.

<< Cosa? >> non poté fare a meno di lasciarsi scappare.

Pattogmon si fermò con un piedi fuori dalla porta e tornò indietro, di nuovo euforica.

<< Allora le mie parole sono servite a qualcosa! Cominciavo a pensare che fossi andata completamente fuori di testa, il che, ti dirò, non mi sembra proprio impossibile, soprattutto se… Come dici? >>

Alzò la voce << Che mi fai schifo. >>

La pedata le prese in pieno l'addome, ma la accolse con piacere. Non avrebbe lasciato che quell'essere andasse a tormentare Shiori.

<< Guarda che lo so che mi stai tenendo impegnata. Ti conosco, Dodo-chan. >>

<< E allora? >> gracchiò Amimon, sputando per terra un grumo di sangue << Perché sei qui? >>

Pattogmon rise, dolcemente.

<< Perché non posso fare granché per peggiorare la situazione di Kiki-chan. >> sussurrò con voce dolce, inginocchiandosi davanti ad Amimon << Se credi che la rosa sia la cosa peggiore, Dodo-chan, ti sbagli di grosso. >>

Il Digimon di fuoco si irrigidì al muro, mentre la paura le scavava un solco nel petto.

<< Dov'è Shiori? >> chiese in preda al panico.

<< Pensavi forse che la punizione sarebbe stata come le altre? Non comportarti da sciocca, non lo sei. Sei una volpe. >>

<< Dov'è Shiori? >>

<< Il fatto che tu sia semplicemente in cella non vuol dire niente. Tu hai poche debolezze. Cercare di farti del male è uno spreco di tempo e di forze. >>

<< Dimmi dov'è! >>

<< A meno che non si usi la carta giusta. E noi abbiamo la carta giusta. >>

<< Shiori, dove... >>

<< Esatto! Indovinato. Proprio lei. >> ghignò << Lei è la tua più grossa debolezza, il nostro asso nella manica per farti stare buona. È sempre stato così. Far soffrire lei è un gioco da ragazzi e se soffre lei, soffri anche tu. Comodo no? >>

Amimon quasi sputò i propri polmoni, mentre ancora cercava di rompere le catene << DOV'È SHIORI? >>

<< Aaaaaah, d'accordo! Secondo me è meglio se non lo sai, ma visto che insisti tanto… >>

Pattogmon avvicinò il proprio viso a quello del Digimon infuocato, probabilmente per non perdersi l'espressione che avrebbe fatto. Sorrise compiaciuta, per scaldare l'atmosfera. Poi vuotò il sacco.

Il cuore di Amimon saltò un battito, poi andò a schiantarsi sulla cassa toracica come un colpo di cannone. Il terrore puro riempì gli occhi neri di Amimon e Pattogmon rise, rise, rise, drogata di felicità come mai prima di allora.

E continuò a ridere quando vide il fuoco di Amimon spegnersi piano piano.

E continuò a ridere quando ne percepì il cuore battere all'impazzata.

E continuò a ridere quando le disse << Su, fammi un bell'urlo! >> pregustando già la scena.

E continuò a ridere quando, dopo essersi asciugata gli occhi, incrociò ancora lo sguardo di Amimon e vi vide lo stesso terrore di prima.

Poi, d'un tratto smise di ridere, quando lesse nello sguardo del Digimon qualcos'altro. Qualcosa che soverchiava tutte le emozioni normali.

Fu il suo turno di provare paura, quando il terrore scomparve dagli occhi di Amimon.

Fu il suo turno di provare terrore, quando il fuoco del Digimon divampò, vivo come non mai, e sciolse le manette di metallo, che cadde in grandi gocce per terra.

Fu il suo turno di provare a urlare, quando la creatura di fuoco varcò del tutto il confine che aveva appena raggiunto. Purtroppo non fece in tempo neanche ad aprire la bocca. E perse l'ultima occasione che avrebbe mai avuto per farlo.

Fu il turno di Amimon di urlare. Lanciò un grido acuto e primordiale da animale ferito, tanto forte da rimbombare tra le montagne, sgranando gli occhi allucinati come il folle che era appena diventata.

Poi fu solo la sua rabbia, la sua furia!

Venne il bianco e spazzò tutto e poi fu rosso, rosso ovunque.

Rosso come il tramonto, rosso come il sangue, il rubino, carminio, amaranto, scarlatto, ogni rosso insieme agli altri.

Rosso come può essere solo un fuoco che brama distruzione per il mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Be'… Ciao a tutti. Sì, sono proprio io l'essere ignobile che vi parla.

Non ho scuse, quindi non le cercherò. Quasi quasi spero di non esservi mancata, perché se vi sono mancata vuol dire che aspettate questo capitolo da nove mesi e quattro giorni e questa non è solo zero voglia di scrivere… Questa è crudeltà senza limiti.

Non farò mai più promesse su una data d'uscita di un capitolo, a meno di non averlo già pronto e vi posso garantire già da ora che non accadrà - MAI.

Se c'è qualcosa che posso fare per farmi perdonare, ditelo. Sì, lo so che mi sto scavando la fossa da sola, ma mi sento troppo in colpa.

Il capitolo l'ho scritto nell'ultimo mese e mezzo e l'ho finito *guarda l'orologio* sedici minuti fa. Prima avrò scritto sì e no una pagina (che poi ho cancellato). È un po' più lungo degli altri, anche perché se c'è una cosa che mi è frullata in testa in questi mesi, sono le idee e ne ho tenute parecchie. Qua ce ne sono solo alcune, quelle, a mio giudizio, che sono state le migliori.

Non mi azzarderò a chiedere commenti perché meriterei di non averne nemmeno mezzo, comunque voglio ringraziare le persone che hanno aggiunto la storia alle ricordate.

Chiedo scusa a tutti, davvero, ma soprattutto a Werewolf1991, kymyit e Kyz. Ho appena riletto i vostri ultimi commenti e mi viene da piangere.

Possa questo capitolo avervi ripagato almeno di un infinitesimo dell'attesa che avete dovuto patire.

La vostra pentita

coco1994

 

 

 

*piccolo omaggio alla mia prima storia, visto che l'anniversario della sua pubblicazione l'ho bellamente ignorato. Tanto per ricordare che non ho cambiato le mie idee :)


  
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