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Autore: PiccolaEco    03/09/2012    4 recensioni
L'amore non ha nè tempo nè luogo.Anche un semplice tendone da circo può diventare palcoscenico di sguardi, sorrisi, pettegolezzi e batticuori.
L'universo di Ranma narrato sotto un'altra prospettiva.
L'universo di Ranma come non lo avete mai visto prima.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mousse, Shan-pu, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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POV SHAN-PU

–E anche per oggi abbiamo finito! Ricordate, guys, che mancano solo tre giorni al Great Event!-                                                                                                                                             
Il Grande Spettacolo o Great Event, come ama definirlo il nostro direttore… già, solo tre giorni e poi potrò dire addio per un po’ a tutto questo: agli esercizi, all’andare avanti e indietro, alle assurde prove a cui ci sottopone quel folle direttore, ai pettegolezzi infondati di quelle oche giulive delle mie “compagne”. Insomma, mi aspettano tre mesi di assoluto riposo, chissà magari tornerò  in Cina dalla mia famiglia, dalla bisnonna…è così tanto che non li vedo!
Con un sospiro mi lascio cadere stancamente all’indietro e inclino la testa all’insù: mi soffermo sulla luce bianca dei riflettori, quegli stessi riflettori che fra tre giorni saranno tutti puntati su di me…al solo pensarci mi sale l’ansia!
Mi stiracchio ancora un po’ e mi massaggio il collo e le spalle: è sempre più dura essere una contorsionista! Uno di questi giorni pure mi verrà il colpo della strega se non sto attenta a come mi muovo!
Esco fuori in giardino per sgranchirmi le gambe e per prendere una boccata d’aria fresca. La mia attenzione viene improvvisamente catturata dalle voce acuta e decisa di Akane Tendo.
–Natsumi, Kanae: forza, saltate nel cerchio, su!
Le due tigri sembravano non volerle minimamente dare ascolto: una delle due si era piantata a terra spalancando le fauci e tirando fuori la lingua, come annoiata da quei pesanti esercizi; l’altra, invece, era intenta a rotolarsi nell’erba, stiracchiando le lunghe zampe striate.
A detta di tutti, Akane era forse la miglior domatrice di belve feroci che si fosse mai vista, eppure, ogni tanto, mi sembrava che fosse sull’orlo dell’esasperazione. Non la biasimo: con quest’afa, chi volete che mantenga i nervi saldi? Scuoto la testa nella convinzione che quella sciocca non sarebbe mai riuscita a smuovere quelle tigri nemmeno di un centimetro, poi mi avvio nel mio camerino per una doccia fresca, la soluzione migliore per combattere il caldo torrido. –Allora a domani, Mousse. So che è oggi il tuo compleanno ma la mia sorpresa sarà pronta solo per domani… mi spiace, dovrai aspettare ancora un po’! 
Mi ritiro indietro di qualche passo nello scorgere la snella figura di Xiwan abbracciare Mousse e allontanarsi allegramente dal suo camerino. Un moto di stizza mi coglie all’improvviso e d’un tratto l’unico pensiero che mi attanaglia la testa e andare da quella smorfiosa e dirle che deve piantarla di fare la gatta morta con Mousse.
–Perché lui è solo un povero ingenuo- mi dico convinta, avendo realizzato appieno quel pensiero.
Vedo Mousse richiudere lentamente la porta, abbattuto. Certo, lui non è mai stato il tipo che sprizza gioia da tutti i pori, anzi: a dirla tutta, è sempre apparso come un eterno sventurato preso continuamente a schiaffi dalla vita. Eppure, questa volta, mi è sembrato particolarmente abbattuto, quasi… deluso? Sia chiaro: non che mi importi seriamente di quella talpa, la mia è solo pura curiosità. Credo.
–Oh, al diavolo, Mousse: mi stai facendo diventare matta!- sbotto prima di girare i tacchi e andare in cerca di qualcosa che gli levi quella maledetta espressione da depresso che si ritrova. 
–Tu sei Shan-Pu, vero? 
La figura minuta di Xiwan mi compare davanti, facendomi trasalire. I nostri sguardi si studiano per qualche minuto, poi decido di interrompere quel pesante silenzio: –Sì, sono io. E tu sei Xiwan, la ragazza nuova… dico bene? 
Anzicchè rispondere o asserire col capo, Xiwan sorride furbescamente. –Guarda che mi sono accorta che ci stavi spiando da un po’. Ho avvertito la tua presenza.
*Questa piccola mocciosa si è accorta della mi presenza, ma ha finto ugualmente di non essersi accorta di nulla* penso, senza staccare lo sguardo dalla ragazzina.
–Ti stai chiedendo perché ho finto di non accorgermi di te?- mi legge nel pensiero. –Semplice: volevo coglierti di sorpresa per fare quattro chiacchiere con te. 
Stringo i pugni fino a impiantarmi le unghie nella pelle: questa ragazza è pericolosa, anche troppo. 
–Non ci girerò molto, quindi arriverò subito al sodo: lascia in pace Mousse, allontanati definitivamente da lui. Sei tu la causa della sua sofferenza e non posso in alcun modo vederlo struggersi per una vile gatta morta come te. 
–Come prima cosa, in quanto fiera discendente della tribù delle Amazzoni, io non prendo ordini da nessuno, tantomeno da una ragazzina spuntata fuori dal nulla. In secondo luogo, puoi stare tranquilla: io non provo assolutamente nulla nei confronti di Mousse, anzi… se te lo prendessi, mi faresti davvero un favore. Lei sorride nuovamente. Odio il suo sorriso: è talmente falso e ipocrita!
–Oh, ti prego, risparmiami la solita scusa da “ragazza indifferente”. Leggo la mente e l’anima delle persone, so benissimo quello che provi per Mousse…–Come puoi sapere qualcosa di cui nemmeno io stessa sono a conoscenza?
Le tre secche parole che seguirono furono sufficienti a mandarmi il sangue al cervello e a risvegliare il mio spirito di amazzone guerriera.
–Stupido orgoglio amazzone.
D’impulso l’afferro per un polso, stringendoglielo fino a farle stringere gli occhi dal dolore.
–Non osare mai più insultarmi in questo modo. Non sono violenta, ma posso diventare molto, molto cattiva. Sono stata chiara? 
Non aspetto nemmeno una sua risposta, le molto il polso con uno scatto e mi dirigo al mio camerino per un’altra strada.

Quando arrivo davanti all’ingresso del camerino, qualcosa cattura la mia attenzione: sui gradini davanti la porticina se ne sta appollaiata una splendida colomba bianca dagli occhi rossi. Grazie al fazzoletto lilla attorno al collo, riconosco essere la stessa che mi aveva condotto da Mousse quel giorno in cui lui e Xiwan si erano messi insieme. Mi avvicino lentamente al candido uccello, ma anche quando sono ormai ad un passo, il candido uccello non spicca il volo, ma resta a fissarmi emettendo di tanto in tanto un verso gutturale. Mi inginocchio per prenderlo tra le braccia ed è a quel punto che mi accorgo che ha l’ala destra ferita gravemente. Rientrata in camerino, poggio la colomba sul tavolino all’ingresso e mi dirigo in bagno; tiro fuori la cassetta per il pronto soccorso al cui interno ho lo stretto necessario per ogni evenienza: acqua ossigenata, ovatta, stecche, garze, cerotti. Non me ne intendo di animali, in fondo sono un’artista circense, non una veterinaria, tuttavia cerco di fasciare alla bell’e meglio l’ala della colomba. –Ecco fatto.- sospiro quando ho terminato il lavoro. Dopo aver rimesso a posto la cassetta, mi siedo accanto alla colomba. –Tu devi essere una delle colombe di Mousse, dico bene? 
Ma che faccio: adesso mi metto anche a parlare con gli uccelli? Devo essere davvero sotto stress se mi riduco a parlare con un essere che non può né capirmi né rispondermi. Prendo meccanicamente ad accarezza il dorso del piccolo volatile bianco, sentendo lo stress accumulato fluire via a poco a poco.
–Quel Mousse: dovrebbe stare più attento ai suoi animali! A proposito… sarà meglio che ti riporti da lui, va’. Nel momento stesso in cui mi alzo, il mio sguardo viene catturato da un piccolo oggetto abbandonato in un angolo del mio letto: una scatola quadrata raffigurante un drago cinese dalle varie tonalità di rosso, giallo e arancio. Cercando di fare mente locale su chi me l’abbia data e del perché sia lì, mi avvicino per darvi un’ occhiata più approfondita, rigirandola un paio di volte fra le mani, l’apro e con mia grande sorpresa noto che è vuota. La rigiro ancora tra le mani, finchè non scorgo un’ incisione sul fondo: “
Xiāng de huíyì”, “scatola dei ricordi”.

Con un profondo respiro mi faccio forza e busso due volte alla piccola porta di legno in alto alla quale è appesa una targhetta con scritto “Musi”, il nome di Mousse in lingua madre.
Con la mano sinistra stringo il pacchetto, con la destra la colomba al petto. Un’ inspiagabile ansia si dirama in tutto il mio corpo: io e Mousse non ci siamo più visti né parlati da quella volta alla rimessa. Dopo qualche secondo mi appaiono davanti un inconfondibile abito bianco e un paio di lenti spesse come fondi di bottiglia. 
–Buon compleanno, Mousse.

  
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