Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Black Drop    05/09/2012    1 recensioni
Non si giudica un libro dalla copertina. Eppure Elena sembra dimenticarlo completamente, una volta fatta la conoscenza del fidanzato di quella che per lei è come una sorella maggiore.
Il suo obbiettivo? Separarli.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disappointed girl,
Big trouble!



Mi guardai intorno, cercando di decifrare l’ambiente in cui mi trovavo, ma c’era troppo buio.
Improvvisamente il terreno sotto di me si illuminò e mi resi conto di essere su una piattaforma sospesa su un immenso incendio.
Ero forse sopra l’inferno?
Sentii una vocina squillante alle mie spalle e voltandomi mi trovai faccia a faccia con il Bianconiglio.
“Alice!” strillò in preda al panico. “Dobbiamo andare!”
“Io non sono Alice!”
Il coniglio sgranò gli occhi, spaventato. “E dov’è Alice, allora?”
Scossi il capo. “Non lo so.”
Il Bianconiglio guardò terrorizzato il suo orologio da taschino e scappò in tutta fretta, tamponandosi la fronte con un fazzoletto.
In quel momento sentii caldo. Guardai in basso e notai che il fuoco era più vicino. la piattaforma si stava abbassando, o erano le fiamme ad essersi alzate?
Cacciai un urlo, arretrando e cadendo sul pavimento duro e ruvido, sempre più caldo per via del fuoco.
“Dana!”
Spalancai gli occhi e fissai il soffitto bianco della mia stanza, cercando di tornare alla realtà.
Kirk mi strattonava per un braccio con sguardo assonnato.
“Ti stanno chiamando.” Biascicò porgendomi il cellulare.
Lo afferrai e diedi una fugace occhiata al nome di mia madre sul display, prima di rispondere.
“Dana, tesoro, Elena è sempre lì da te, vero?” chiese mia madre con voce lontana.
“Sì. Avvicina il telefono alla bocca mamma, non si sente nulla.”
“Ma così non ti sento io.” Si lamentò.
Sospirai. “Lascia stare.”
Mi alzai dal letto e andai davanti allo specchio. Notai subito le occhiaie violacee.
“Comunque Bernardette ha detto che non può venire oggi!” Gridò mia madre dal telefono.
Stordita dal tono troppo alto, ragionai su ciò che mi aveva appena detto. Mia zia non sarebbe venuta? Cosa?
“E perché?” chiesi, cercando di moderare la voce.
“Dice che c’è uno sciopero dei treni!” Strillò mia madre.
Vidi nello specchio la mia faccia deformarsi in una smorfia.
“Non può prendere un autobus o venire in macchina?” la mia voce era un sibilo stridulo.
“Lei non ha la patente!” rispose a voce alta. Allontanai di qualche centimetro il cellulare dal mio orecchio.
“Mamma perché stai urlando in questo modo?” esclamai spazientita.
“Sei tu che hai detto che non sentivi!” ribatté come a volermi assordare.
Sollevai gli occhi al cielo, digrignando i denti. Stavo cominciando ad arrabbiarmi sul serio.
“Vabbè, perché non può prendere un autobus?” domandai con una smorfia.
“Chi?”
“Zia Bernardette, mamma! Stiamo parlando di lei!” strillai, pestando un piede sul pavimento.
Notai in quel momento Kirk che rideva beatamente spaparanzato sul letto, con le lacrime agli occhi. Probabilmente riusciva a sentire anche mia madre, da quanto stava urlando.
“Oh, sì!” riprese lei facendomi allontanare di nuovo il telefono. “Dice che ha paura!”
Esitai per alcuni secondi.
“Ha paura delle persone che stanno nell’autobus?” chiesi scettica.
“No, no! Niente del genere!” urlò guadagnandosi le proteste del mio orecchio indolenzito. “No, lei ha paura degli autobus!”
L’unica cosa che sentii nel mio silenzio interdetto fu la risata di Kirk. Lo vidi affondare la faccia in un cuscino, cercando di calmarsi. Non ci riuscì.
Dal canto mio, non sapevo cosa dire, non sapevo se ridere o piangere.
“Ha paura degli autobus?”
“Sì!” confermò mia madre sovrastando i singhiozzi soffocati di Kirk. “Quindi verrà fra due giorni, quando ci saranno di nuovo treni.”
Fissai la schiena di Kirk, scossa dalla risate. Forse avrei dovuto anch’io reagire in quel modo, eppure non riuscivo a togliermi di dosso quella sensazione di nervoso e negatività.
“Sicura che non hai capito male?” mormorai implorante.
“No, non sono ritardata!” ribatté mia madre, tutta indignata.
“Ah… certo.” Feci sconsolata, continuando a tenere gli occhi puntati su Kirk, che era riuscito a calmare un po’ le risate.
“Salutamela.” Balbettò asciugandosi le lacrime.
“Kirk ti saluta.” Dissi atona rivolta al telefono.
“Oh, che tesoro!” esclamò mia madre, alzando nuovamente la voce.
“Sì, sì, ciao mamma.” Sibilai, prima di chiudere la chiamata.
Kirk si lasciò sfuggire un’altra risata, mentre mi avvicinavo a lui, con aria affranta.
“Mia zia è pazza.” Affermai mentre mi lasciavo cadere sul letto.
Lui si coprì la bocca con una mano, cercando di controllarsi.
“Ma no. Non dire così.” Mi mostrò un sorriso raggiante. “Ognuno ha le sue fobie.”
E ricominciò a ridacchiare. Aspettai che si calmasse e si mettesse seduto, al mio fianco.
“Scusami.” Mormorò, coprendosi il volto con le mani. Dalla sua voce intuii che stava ancora sorridendo.
“Figurati.” Sospirai imbronciata.
Fissai Kirk e per un attimo lo invidiai. La sua famiglia tutto sommato era abbastanza normale, il più strano probabilmente era lui.
“Andiamo, non sarà poi così terribile tenerla altri due giorni o quanto è.” Kirk poggiò una mano sulla mia spalla, cercando di confortarmi.
Abbassai il capo. “Ce l’ha con me. E io non so nemmeno perché.” Piagnucolai, mentre lui mi accarezzava la schiena.
“E io che devo dire? Si terrorizza solo a guardarmi in faccia.” Mormorò con un sorriso. “Sono così brutto?” chiese poi sarcastico.
“Ma con me non è mai stata così acida. Io ero l’unica che trattava sempre bene” protestai guardandolo tristemente.
Kirk non rispose. Mi strinse a sé e mi accarezzò i capelli. “Vedrai che tornerà a comportarsi bene.” Bisbigliò a bassa voce.
Chiusi gli occhi, sistemando la testa dell’incavo del suo collo.
“Grazie, Kirk.”
 
*
 
Aprii l’armadio violentemente, sovrappensiero. Dana passava dall’essere triste all’essere isterica e tutto per colpa di quella ragazzina. La stessa ragazzina che mi trattava come se fossi feccia, che aveva visibilmente paura di me, senza una ragione vera e propria.
Era arrivata all’improvviso e aveva scatenato tutto quel caos in meno di un giorno.
Seccato pensai che aveva bisogno di imparare a comportarsi meglio con gli sconosciuti e mi ritrovai a ridere quando osservai la maglietta che mi era capitata tra le mani. Me la infilai, pregustando la reazione della cuginetta di Dana e scesi al piano di sotto. Non mi chiesi se fosse meglio non provocarla, non ci pensai minimamente.
Nel salotto c’era la tv accesa e Randy si voltò a guardarmi non appena arrivai. Dana uscì dalla cucina dicendo che andava a farsi una doccia e io entrai, deciso a cercare qualcosa con cui fare colazione.
Elena era seduta nel tavolo, sorseggiando una tazza di latte.
“Ehi.” La salutai con un cenno della testa, guadagnandomi un’occhiata stranita. Poi il suo sguardo si abbassò sui miei vestiti e i suoi occhi si spalancarono.
Mi avviai verso il frigorifero sorridendo di sottecchi, per poi afferrare la bottiglia di succo. Quando la poggiai sul tavolo Elena mi osservò stupita.
“Fai colazione con quello?” mormorò impaurita.
Annuii. “Non mi sembra una cosa così strana, dopotutto.”
Lei fece spallucce e tornò a guardare la sua tazza di latte.
“Credevi forse che bevessi birra a colazione?” domandai sospettoso.
Lei non rispose, diventando improvvisamente rossa, confermando il mio pensiero.
Strinsi leggermente gli occhi, studiandola. Da una parte non m’importava nulla di quello che pensava, dall’altra il suo comportamento superbo mi dava profondamente fastidio. E mi irritava il fatto che Dana stesse male a causa sua.
“Senti un po’” iniziai poco convinto. “Dana dice che con lei sei sempre stata gentile, ma ieri a me non è sembrato che tu lo fossi.”
Lei alzò gli occhi su di me, infastidita.
“Ieri ti ho detto che non erano fatti tuoi.” Bisbigliò, senza convinzione.
Ghignai beffardo. “E ti aspetti che io faccia come vuole una bambina?”
Una parte di me si pentì immediatamente di averla provocata, rischiavo di peggiorare la situazione. E come volevasi dimostrare Elena strinse gli occhi a due fessure.
“Tu non c’entri nulla in questa storia. Che t’importa?”
“Mi importa di Dana.” Risposi secco.
Lei sembrò sorpresa, quasi non si aspettasse quella risposta.
Seguì il silenzio, un po’ pesante, che ci avvolse per diversi minuti. Mi chiesi come si sentisse a stare sola con me nella stanza, visto l’effetto che le facevo.
“Ti faccio paura?” domandai di colpo.
Lei reagì come se le avessero dato uno schiaffo. Sobbalzò, dandomi l’impressione di essersi rovesciata un po’ di latte addosso.
“Co… come?” balbettò in un filo di voce.
Sbuffai. “Direi che questo è ovvio. Mi chiedo perché.”
Elena abbassò la testa e si mordicchiò il labbro nervosamente. Poi mi fissò ad occhi sgranati, visibilmente turbata.
Sollevai un sopracciglio, aspettando che parlasse. Tutto quel silenzio mi dava fastidio.
“Non è che tu… ecco…” si sistemò nervosamente i capelli scuri. “Io non…”
Sollevai lo sguardo al cielo con uno sbuffo.
“Va bene!” esclamai spazientito. “Andiamo per esclusione.”
La ragazzina mi scrutò stranita.
“È il tatuaggio?”
Elena deglutì. “Quelli non sono simboli satanici?” domandò a voce talmente bassa e fine che quasi faticai a sentirla.
“Sì, ma li ha scelti il tatuatore. Io ho solo accettato perché mi piaceva come ci stavano.” Precisai con un sorriso beffardo. “Non sono un satanista.” Aggiunsi tornando serio.
Lei annuì poco convinta. “E la tua maglietta?”
“Che ha la mia maglietta?” domandai sforzandomi di non riderle in faccia.
Fece una smorfia. “C’è disegnata la morte che mostra il dito medio. È macabro e volgare.”
Risi. “Tu dici macabro, io originale.”
“E quella di ieri?” chiese stizzita. “Quella con scritto Cannibal Corpse.”
Le sorrisi. “È una band.”
Elena mostrò un’espressione scioccata. “Che razza di band ascolti, tu?”
Le feci cenno di lasciar stare e mi alzai dal tavolo, iniziando a sparecchiare.
“In ogni caso, non dovresti comportarti così male con le persone.” Constatai mentre aprivo la lavastoviglie. “Dana ci è rimasta male.”
Dopo di che uscii dalla cucina, lasciandola sola.
 
*
 
Entrai nella mia stanza, richiudendomi la porta alle spalle. Quel Kirk era davvero strano. Accettava di farsi tatuare simboli di dubbia esistenza solo perché gli piacevano, indossava magliette macabre e ascoltava musica fatta da gente strana come quei Cannibal Corpse e il tizio che aveva indirettamente dato il nome al suo gatto.
Sospirai, mentre cercavo con foga una maglietta pulita. Ne presi una giallo pallido e la poggiai sul letto, mentre mi toglievo quella sporca di latte che avevo addosso.
Quando Kirk mi aveva chiesto se mi faceva paura me ne ero versata mezza tazza addosso per lo spavento. Sperai che lui non se ne fosse accorto. Non potevo dargli anche quella soddisfazione.
Una volta che mi fui cambiata mi chiesi dove avrei dovuto mettere la maglia da lavare. Dana stava facendo la doccia e non mi andava di tornare dal suo strano fidanzato a chiederglielo, così decisi di aspettare.
Mi avvicinai alla scrivania e osservai da vicino le riviste che la notte prima avevo visto dalla mia scomoda e scricchiolante brandina.
Erano riviste di vario tipo: alcune erano musicali, altre di moda e faidate e qualcuna di videogiochi. Sotto di quelle c’era il portatile nero, circondato da vari quaderni e blocchetti. Mi chiesi cosa fossero.
Prima che potessi aprirne qualcuno sentii bussare alla porta e la voce di Dana mi avvisò che stava entrando.
Chiuse la porta dietro di sé e mi lanciò un’occhiata leggermente nervosa. In quel momento ricordai le parole di Kirk: secondo lui Dana ci era rimasta male. Non avrebbe potuto sbagliare più di così.
Conoscevo Dana da molto prima di lui, ero sicura che se lei si fosse offesa me ne sarei accorta. E poi perché avrebbe dovuto? Ero io quella a cui era stato fatto un torto.
“Tutto a posto?” chiese gentilmente mia cugina, nonostante l’aria un po’ ostile.
Annuii meccanicamente.
“Ho una maglietta sporca, dove la metto?” dissi afferrando la maglia dalla brandina.
“Oh, dalla a me. La metto a lavare subito così sarà pulita già domani.” Fece un sorriso educato, mentre prendeva tra le mani l’indumento.
Feci spallucce. “Non è necessaria tutta questa fretta.”
Lei si morse il labbro, aveva una strana espressione. Tornò a scrutare la maglia.
“Cosa è successo?” domando studiandola.
“Ah…” mi sentii improvvisamente in imbarazzo, non volevo parlarle del discorso fatto con quel Kirk. “Sono la solita distratta, sai. Mi sono buttata un po’ di latte addosso per sbaglio.” Mi sforzai di sorridere.
Dana annuì senza commentare, fortunatamente.
Ci furono alcuni secondi di silenzio prima che io mi schiarissi la gola, attirando nuovamente la sua attenzione.
“Posso chiederti cosa sono quelli?” balbettai accennando alla scrivania.
Dana sussultò, portandosi una mano sulla bocca.
“Oddio, ho lasciato tutto qui!” esclamò picchiandosi sulla fronte e lasciando la mia maglietta. “Non hai toccato nulla vero?” mi chiese come fossi una bambina piccola. Mi sfuggì una smorfia.
“No.” Ribattei indispettita. Non avevo mica cinque anni. “Ho solo chiesto cosa sono.”
Lei sospirò di sollievo.
“È il mio lavoro.” Rispose, afferrando le riviste e i quaderni. “Ora lo porto in camera mia, non preoccuparti.”
“Non c’è bisogno, non mi dava alcun fastidio.” Le dissi un po’ brusca.
Dana mi guardò con aria seria, forse anche un po’ triste. Mi chiesi che problema avesse.
“Preferisco tenerli io. Non vorrei che si perdessero, sai.” Mormorò piano, le braccia occupate dalla montagna di carta che prima ingombrava la scrivania.
Mi offesi. Perché Dana non voleva lasciare le sue cianfrusaglie di lavoro nella mia stanza, aveva forse paura che facessi qualche guaio, come i bambini piccoli?
“Fa’ come vuoi!” sbottai pungente, fregandomene delle sue occhiatacce.
Mi sedetti sulla brandina, facendola scricchiolare sotto il mio peso, mentre mia cugina usciva dalla stanza. Mi accorsi che aveva dimenticato la maglietta.
Mi sporsi dalla porta nel corridoio.
“Dana devi lavare la maglietta, ti sei dimenticata?” mi accorsi solo dopo del tono aspro che avevo avuto. Più o meno nello stesso momento in cui una mano afferrò la mia maglietta da dietro.
“Non è mica la tua serva.” Sibilò Kirk infastidito, superandomi con la mia maglia in mano. Entrò in camera sua e lo sentii parlare a Dana, troppo flebilmente per capire cosa stesse dicendo.
Richiusi la porta della mia stanza con uno sbuffo. Dana era diventata come gli altri adulti, dovevo riportarla indietro. E convincerla a mollare quel tipo spaventoso.
 
*
 
Kirk entrò in camera con qualcosa di bianco in mano.
“La tua cara cuginetta vuole che lavi questa.” Biascicò guardandomi storto. “Anzi, pretende.”
Sospirai, prendendo l’indumento.
“Sì, l’ho dimenticata in camera sua. A quanto pare si è sporcata con il latte, prima.”
Notai Kirk stringere per un secondo gli occhi e sorridere.
“Be’?” sollevai un sopracciglio, perplessa.
Lui scosse la testa, facendomi cenno di lasciare perdere.
“In ogni caso, la tua ragazzina dovrebbe imparare a portare rispetto agli adulti.” Mi lanciò uno sguardo eloquente. “O almeno ad essere più gentile.”
Annuii con uno sbuffo.
“Però con me non era mai stata così.” Mi lamenti sottovoce. Mi sentivo stupida ad offendermi per una cosa simile, io che avevo sempre ignorato l’opinione altrui e che ora mi abbattevo perché una ragazzina mi aveva risposto male.
Kirk mi circondò le spalle con un braccio.
“Ti rende così triste?” domandò dolcemente.
Mi sfuggì un minuscolo sorriso. “Io ero la sua preferita.” Mormorai ripensando ai bei tempi passati, quando ero ancora tra le grazie di Elena.
Sospirai, pensando che avrei dovuto sopportare tutto quello per altri due giorni prima che mia zia arrivasse a Pasadena.
“Su col morale.” Sussurrò con un sorriso, cercando di incoraggiarmi. “Stasera devo andare a lavoro, devi resistere per alcune ore sola con lei.”
“Certo, visto che mia zia ha paura degli autobus.”
Kirk cercò inutilmente di trattenere una risata e si coprì il volto con la mano libera. Sorrisi anch’io sforzandomi di prenderla sul divertente e cercando di trattenere il nervoso.
“Magari ha paura degli incidenti.” Ipotizzò lui tra le risate.
“Non dovrebbe neanche prendere il treno, allora.”
Kirk corrugò le sopracciglia riflettendo. “Non so cosa dirti.”
Gli accarezzai il volto con una mano e lo baciai.
“Forse è solo una fobia insensata. Come la tua paura delle api.” Bisbigliai a un centimetro dal suo viso.
Lui fece una smorfia, imbarazzato.
“Non è insensata, sai benissimo cosa mi è successo con le api.” Ribatté indignato, mentre il suo viso prendeva un colore rossastro. “Ho ancora le cicatrici.”
Risi beffarda prima di baciarlo di nuovo.
“Come no, Kirk.” Sussurrai ironicamente sulle sue labbra per poi catturarle con le mie. Lui ovviamente non si oppose.
 
 
“Dov’è andato il tuo fidanzato?” Elena parlò per la prima volta da quando avevamo iniziato a guardare quel film. L’aveva scelto lei, dicendo che gliene avevano parlato bene. Dal canto mio Mega Piranha non mi stava piacendo per niente.
“Ha un nome.” Sibilai stizzita.
La sentii sospirare. “Dov’è Kirk?”
Notai il tono pungente che assunse la sua voce quando pronunciò il suo nome.
“È a lavoro.” Risposi passandomi una mano sugli occhi.
Randy saltò con grazia sul divano e si accomodò al mio fianco, sotto lo sguardo distratto di Elena.
“Che lavoro fa Kirk?” domandò, pronunciando di nuovo il suo nome, quasi fosse un insulto.
“Lavora in un dojo.”
“Un che?”
Sorrisi. Quella situazione sapeva di dejà vu.
“Un dojo, Elena. È una palestra di arti marziali.” Spiegai, felice di non dover più seguire il film.
Lei assottigliò lo sguardo, ragionando. “Non farà l’inserviente?” chiese quasi disgustata.
Mi sfuggì una risata. “No. Lo gestisce insieme al suo maestro.”
Elena mostrò un’espressione confusa.
“Maestro?”
Le sorrisi gentilmente. “Sì, il suo insegnante di arti marziali.” Dissi mentre lasciavo che Randy annusasse la mia mano. “Quando Kirk ha finito le scuole è andato ad aiutarlo nel dojo e ora oltre a fare l’insegnante aiuta anche nella gestione.”
Lei sembrò ragionare sulla mia frase. Corrugò le sopracciglia.
“Quindi... lui sa picchiare?” domandò leggermente turbata.
Per poco non scoppiai a ridere a quella definizione. Sapevo benissimo che se l’avesse detto a Kirk lui si sarebbe offeso e avrebbe spiegato che le arti marziali erano una disciplina superiore rispetto al semplice pestaggio, come diceva sempre il suo maestro.
“Se la vuoi mettere così.” Risposi semplicemente.
Elena non sembrò convinta. “Scusa, se fa l’insegnante dovrà pur saper fare qualcosa.”
“Ovvio. Però a lui non devi dire che sa picchiare.” Ridacchiai immaginando la scena. “Potrebbe prendersela.”
Mia cugina sollevò un sopracciglio, poi decise di continuare a fare domande.
“E quanto è bravo? Insomma, che cintura è?”
Mi sfuggì un sorriso compiaciuto. “Kirk è cintura nera di karate. Ha partecipato anche ad alcuni tornei.” Dichiarai tutta contenta che me l’avesse chiesto. Forse stava iniziando ad apprezzarlo.
Elena parve ragionare su tutto ciò che aveva appreso, per poi guardarmi con un’espressione a metà tra l’incuriosita e l’indignata.
“Come fai a stare con lui?” domandò acida.
Mi morì il sorriso in faccia.
“Che razza di domanda è?” chiesi a mia volta, cercando di moderare il tono.
Elena sollevò le spalle con fare innocente, lanciandomi un’occhiata eloquente, come se la risposta fosse ovvia.
“È ricco?” abbassò la voce come se l’oggetto della conversazione fosse dietro di lei.
Strabuzzai gli occhi, non credevo alle mie orecchie. Cosa diavolo era successo in quei quattro anni in cui non ci eravamo più viste?
“Non sto mica con lui per i soldi!” sbottai non riuscendo a placare del tutto la rabbia.
 “Meno male, sarebbe stato davvero squallido!” esclamò con una smorfia.
Mi morsi il labbro, facendo violenza su me stessa per non urlarle contro. Mi coprii il volto con le mani, tentando di calmarmi.
“Come… come puoi pensare che io faccia una cosa simile?” dalla mia voce traspariva l’irritazione, nonostante tutto.
Elena fece spallucce, senza dare troppa importanza a quella domanda. Almeno così mi sembrava.
“Quindi perché stai con lui?” ripeté testarda.
La guardai come se fosse pazza. O forse un po’ lo era davvero.
“Elena perché credi che le persone si fidanzino?” domandai sconcertata.
Lei fece una smorfia, senza rispondere. Abbassò la testa e si osservò le ginocchia per alcuni secondi.
“Vuoi dire che lui ti piace davvero?” mormorò con voce flebile.
Sbuffai, stanca di quella storia.
“Cos’ha che non va?” sbottai nervosa e la mia voce risuonò stridula. “Cioè, so cosa non ti piace di lui, ma aldilà di tutto questo, cos’ha che non va?!”
Elena mi lanciò un’occhiataccia.
“Aldilà di tutto questo? Ma l’hai visto?!” ribatté aspramente.
Risi beffarda. “Direi che lo conosco abbastanza!”
Come risposta ricevetti uno sguardo indignato. “Come fai a non renderti conto del pazzo con cui vivi?! Quello è fuori come un balcone!”
“Potrei dirti la stessa cosa!” ribattei tagliente.
Lei si zittì, forse offesa. Avevo esagerato.
Si alzò in piedi fulminandomi con lo sguardo.
“E tu sei più pazza di lui a non renderti conto di come stanno le cose!” se avesse sputato veleno probabilmente sarebbe stato più dolce del suo tono.
Scappò verso le scale e salì al piano di sopra, lasciandomi sola con Randy e i Mega Piranha della tv.
 
*
 
Non appena misi piede dentro casa fui travolto dall’abbraccio di Dana, che mi stringeva con troppa foga. Capii in un istante che qualcosa non andava.
“A cosa devo questa calorosa accoglienza?” domandai ricambiando perplesso l’abbraccio. “Soprattutto quando torno tutto sudato da lavoro.”
Dana mi guardò in faccia con un sorriso e captai subito il velo di rabbia e tristezza che traspariva nel suo sguardo. Intuii che dovevano aver litigato. Di nuovo.
“È stata molto cattiva?” borbottai. Non ero sicuro di voler sentire la risposta.
Dana abbassò il capo e alzò le spalle.
“Lo siamo state tutte e due, credo.” Sussurrò malinconicamente.
Sbuffai infastidito. Da quando era arrivata Elena non aveva fatto altro che incasinarci la vita. Mi irritava parecchio, ma non avrei mai potuto dirlo perché sapevo che, anche se ora era arrabbiata con lei, Dana ci teneva davvero tanto.
“Ce la fai a resistere ancora qualche minuto mentre mi faccio la doccia?”
Lei sorrise nuovamente, annuendo.
Le diedi un bacio prima di allontanarmi raccomandandole di non farsi venire una crisi isterica. La sentii ridere nervosamente e non seppi dire se fosse un buon segno o meno. Preferii non indagare.
 
 
Mi accorsi di aver dimenticato l’accappatoio fuori dal bagno solo una volta uscito dalla doccia. Imprecai stringendomi le braccia al petto, cercando di combattere il freddo.
“Dana!” urlai avvicinandomi alla porta per farmi sentire meglio.
Aspettai alcuni secondi, nudo, completamene bagnato, in mezzo al bagno. Dopo un po’ decisi di riprovare.
“DANA!!” gridai con tutto il fiato che avevo, sperando con tutto il cuore che non fosse in cucina o dove non potesse sentirmi.
Perché diamine c’era così freddo, improvvisamente?
Certo, bisognava considerare che era notte, che la finestra era socchiusa, che io ero bagnato e senza vestiti in un bagno che lentamente si stava trasformando in una ghiacciaia.
Finalmente ricevetti risposta.
“Kirk, stai chiamando?” chiese Dana da fuori.
Mi venne quasi da ridere.
“Ho dimenticato l’accappatoio. Me lo porti, per favore?” risposi ad alta voce. “Mi sto congelando!” aggiunsi come a chiederle di fare in fretta.
La sentii allontanarsi. Girai la chiave nella serratura, così che Dana potesse entrare subito con la mia salvezza, mi voltai e feci qualche passo verso il centro del bagno, giusto per non rischiare di morire assiderato.
Quando sentii la porta aprirsi alle mie spalle feci per girarmi, felice di potermi finalmente asciugare al caldo. Mi fermai giusto in tempo, sentendo un urlo perforante assordarmi e intuendo con un secondo di ritardo che quella non era Dana.
Mi si gelò il sangue nelle vene e questa volta non era per il freddo, mentre la porta alle mie spalle sbatteva e Elena scappava lontano dal bagno continuando a urlare.
Cercai di ragionare lucidamente sulla situazione senza ridere o farmi prendere da un attacco di vergogna acuta. Ero girato. Elena non aveva visto niente che non fosse la mia schiena e, va bene, ora sapeva che anch’io avevo un sedere. Tutto qui. Non c’era da imbarazzarsi.
Eppure intravidi nelle specchio sopra il lavandino il mio volto arrossarsi violentemente. Mi accorsi di non avere più freddo, al contrario provavo un gran caldo, soprattutto alla faccia.
Deglutii nervosamente, sperando che Dana tornasse presto.
Come se mi avesse letto nel pensiero, entrò in quel preciso istante tenendo tra le mani il mio accappatoio.
“Che è successo?” domandò corrugando le sopracciglia. “Ho sentito Elena urlare.”
Afferrai l’accappatoio e me lo infilai velocemente, non so se per il freddo o per paura di essere visto da qualcun altro.
“Oh, niente di che.” Cominciai sarcasticamente. “Credo che forse tua cugina non riuscirà più a guardarmi in faccia.” Proferii mentre mi tamponavo i capelli bagnati. “O a guardarmi proprio.” Aggiunsi con un minuscolo e amaro sorriso.
Dana strinse gli occhi scuri tenendoli puntati nei miei.
“Che hai fatto?”
Sollevai le sopracciglia sconcertato.
“La mia unica colpa è quella di aver girato la chiave per poter fare entrare te!” esclamai indignato.
Come risposta ricevetti solo un’occhiata dubbiosa, seguita poi da un’aria consapevole.
“Non sarà mica entrata?” chiese, con uno strano luccichio negli occhi, mentre le sue labbra si allargavano lentamente in un sorriso derisorio.
Le lanciai uno sguardo eloquente facendola così scoppiare in una risata. “Hai finito?” sbottai indispettito, facendola ridere ancora di più. Alzai gli occhi al cielo e cominciai ad asciugarmi, mentre Dana usciva dal bagno tra le risate borbottando qualche cosa che non capii.
Sbuffai infastidito. Elena non faceva che lanciarmi occhiatacce e parlarmi sgarbatamente. Mi chiesi come sarebbe stato il suo comportamento dopo il suo faccia a faccia col mio candido sederino.
Preferii non pensarci.
 
*
 
Mi strinsi le ginocchia al petto, cercando di calmarmi. Mi passai una mano sul volto, asciugando le lacrime, con un singhiozzo.
Ero andata da mia cugina convinta di passare dei bei momenti e invece stavo facendo una collezione di terribili esperienze. Tanto valeva che rimanessi a casa con mia madre.
Presi fiato e soffocai un singhiozzo. Non volevo che mi sentissero piangere. Chissà cosa stavano pensando ora. Perché ovviamente Kirk l’aveva detto a Dana, ci avrei scommesso qualsiasi cosa.
Mi coprii il viso con le mani.
Dana era stata un mostro. Si era innervosita e mi aveva trattato male, ingiustamente. Provai nostalgia per i bei momenti passati con la vecchia Dana, quella simpatica, quella gentile.
Ora era solo noiosa come gli altri adulti e innamorata di un pazzo. Che tra l’altro avevo appena visto nudo, come se non bastasse tutto il resto. Dopo avergli fatto capire senza volerlo che avevo paura di lui ero pure entrata in bagno nel momento più sbagliato possibile.
Stava andando tutto storto.
Ormai le lacrime scendevano senza che riuscissi più a trattenerle. Mi diedi della stupida tentando di non farmi sentire. Sarebbe stata la ciliegina su una terribile torta.
 
 
Quando Dana era venuta a chiamarmi per la cena avevo detto di non aver fame. Avevo mentito.
Non mi andava di scendere e cenare con loro. Non mi andava di vedere lei. Tanto meno mi andava di vedere lui. Non dopo quello che era successo. Era troppo imbarazzante.
E così mi ero ritrovata più o meno tre ore dopo, raggomitolata nella mia brandina cercando di placare la fame.
Sbuffai irritata. L’unica era di scendere giù e cercare qualcosa da mangiare.
Guardai l’orologio che avevo al polso. Era mezzanotte.
Decisi di aspettare ancora mezz’ora per non rischiare di incontrare nessuno.
Presi il cellulare e schiacciai un tasto a caso, facendo illuminare lo schermo. Mia madre non aveva più richiamato né tentato di contattarmi in qualche modo. Ricordai quando Dana mi aveva rimproverato: aveva detto che mia madre sarebbe stata davvero preoccupata.
Con un sospiro cercai di convincermi che si era tranquillizzata sapendo che ero a casa di mia cugina. Eppure una parte di me sembrava convinta che l’avessi solo liberata di una scocciatura.
Passai una mano sul volto, decisa a distrarmi da quei pensieri negativi. Ne avevo già avuti fin troppi per quella sera.
Decisi di uscire dalla mia stanza subito. Una volta fuori fui avvolta dal buio del corridoio. Scesi lentamente le scale e mi avviai verso la cucina, mentre il mio stomaco ruggiva per la fame. Mi accorsi troppo tardi della luce accesa nel soggiorno e mi ritrovai senza volerlo davanti al divano dove mia cugina e il suo fidanzato erano intenti a scambiarsi tranquillamente effusioni.
Non so dire cosa successe prima, loro si scostarono o io urlai, con gli occhi sbarrati e le mani sul volto. Le loro voci si aggiunsero alla mia e sentii solo un miscuglio di esclamazioni e imprecazioni, senza più capire di chi fosse ogni voce.
“Oddio!”
“Merda!”
“Oddio!”
“Ma che cavolo!”
“Oddio!!”
“Elena!”
“ODDIO!!”
Mi coprii la bocca con le mani, rossa in volto. Cosa si dice in queste situazioni?
“Ditemi che non ho interrotto niente di troppo intimo!” sbottai tentando un’occhiata fugace nella loro direzione. Due paia di occhi mi fissavano spalancati. I primi neri come la pece e imbarazzati, gli altri color del ghiaccio e irritati.
Dana si schiarì la gola, nervosa.
“No. Ma che dici?” balbettò in evidente difficoltà.
Kirk sorrise perfidamente, almeno così sembrò. “Ma poteva diventarlo.” Dichiarò con aria di sfida.
Vidi mia cugina dargli una gomitata nelle costole e la faccia del ragazzo deformarsi in una smorfia. Si massaggiò gli occhi per un istante per poi puntarli dritti su di me.
“Dico solo che potrebbe fare più rumore quando entra in una stanza.” I suoi occhi di ghiaccio si assottigliarono e mi sentii gelare. “Soprattutto se non sei in casa tua.”
Presi fiato, sforzandomi di reggere il suo sguardo. “Perché potrei interrompere i padroni di casa mentre si dedicano ad attività private?”
Dana si sollevò dal divano lanciando un’occhiataccia prima al suo fidanzato poi a me.
“Basta così!” esclamò allargando le braccia.
Sospirai e il mio stomaco si contorse nuovamente. “Stavo scendendo a prendere qualcosa da mangiare.” Mormorai.
Mia cugina annuì e mi trascinò in cucina. Una volta sole mi fece un cenno verso il tavolo e andò al bancone.
“Ti ho lasciato la cena qui. Immaginavo che ti sarebbe venuta fame.”
Mi porse una pentola chiusa e un piatto di ravioli e mi osservò mangiare in silenzio per diversi secondi. Sembrava triste. Per un attimo mi chiesi se fosse perché avevo interrotto lei e Kirk.
“Mi rendo conto di essere stata troppo dura prima.” Iniziò a bassa voce, dopo essersi schiarita la gola, sedendosi di fronte a me.
Presi un raviolo e me lo portai alla bocca, senza rispondere e tenendo gli occhi puntati sul mio piatto. Con la coda dell’occhio notai le sue mani muoversi nervosamente sul tavolo.
“Però non posso neanche darti ragione.” La sua voce s’indurì appena. “Non dovrei scusarmi solo io, Elena.” Detto questo si alzò ed uscì dalla stanza. Fissai i ravioli, mentre una minuscola lacrima mi scorreva sulla guancia.






Salve! Non ho molto da dire. Sono negata a trovare i titoli. :/
Anyway... questo è sicuramente il capitolo che mi sono divertita di più a scrivere, spero che per lo meno vi faccia sorridere. :)
See ya! 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Black Drop