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Autore: LawrenceTwosomeTime    09/09/2012    2 recensioni
Una doppia relazione che è quasi un incidente di percorso, un cantante morto, una misteriosa setta. Un viaggio. Si tratta di realtà o illusione? O un miscuglio delle due?
Genere: Introspettivo, Mistero, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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”Nick è morto”
Sulle prime non capisco di quale Nick stia parlando.
“Nick Nolte?”
“Macché!”
“Nick… Cave?”
“Neanche per sogno, lui è vivo e vegeto”
“Nick, Nick… insomma, aiutami”
“Nick Marsh
Sono disorientato.
“Nick Marsh il produttore discografico? Quello lì?”
La ragazza sbuffa.
“Certo che sei proprio ottuso! Nick Marsh dei Flesh for Lulu”
La guardo con aria interrogativa. Necessito di maggiori informazioni.
“Dai, quello che si è sposato Katharine Blake dei Miranda Sex Garden!”
Un lampo di consapevolezza mi attraversa il cervello.
Quello lì? Bé, sono scioccato. Ma non posso dire che mi dispiaccia”
“Voi maschietti siete gelosi perché si è preso Katharine tutta per sé”
“Non è solo per questo! Non è che la loro prima collaborazione musicale sia stata brillante…”
“Oh, lasciamo perdere. Senti, vuoi unirti a noi?”

Lo spazio allestito da questi ragazzi che sembrano un misto tra goth e cowboys occupa una piccola porzione della piazza. Hanno appeso dei manifesti, sventolano opuscoli e fotografie. “Nick è morto”, non fanno che ripetere.
La gente ne è attratta per qualche misterioso motivo; forse per la frase che sembra lasciata in sospeso, forse per l’aura funeraria e sacrale che emanano, come fosse morto un santo laico, un personaggio del folklore popolare rimasto fino a ora sconosciuto.

“Almeno si può sapere come è morto?”
Lei mi fissa quasi maliarda. I suoi occhi grandi e scuri contrastano con i capelli biondi. È inquietante e al tempo stesso provocante.
“Segreto”, dice, e si porta un indice alle labbra.
“Come, segreto?”
La ragazza ammicca.
“Solo ai membri anziani è concesso saperlo”
Membri anziani? Ma che cos’è, una setta? Questa cosa mi fa paura, ma cerco di non darlo a vedere.
Devo andarmene di qui, con calma, lentamente, senza attirare l’attenzione.
“A proposito, mi chiamo Greta”
Mi porge la mano. Un invito irresistibile.
“Stefano”, balbetto stringendogliela.
Segue un attimo di silenzio carico di aspettativa.

“Be’, Stefano, sei libero di seguirci (Ma non sono libero di andarmene, penso). La mattinata è dedicata alla propaganda, ma non devi pensare male: non ne traiamo alcun profitto. Vogliamo solo rendere noto ciò che passa sotto silenzio. Il pomeriggio, invece, torniamo alla nostra sede ed entriamo in comunione con Nick”
Mi viene vicino e mi appoggia un braccio sulla spalla. Avvicina la bocca al mio orecchio e sussurra: “Non puoi assolutamente perdertelo”

In capo a un’ora realizzo che mi piace parlare con la gente.
Si, ecco, non sono un fan di Nick Marsh e non lo rimpiango, ma sono fiero di sapere chi sia. Le persone mi sembrano sempre ostili quando le vedo camminare per strada; è sufficiente stabilire un contatto, una comunicazione, per sfatare questa sensazione: alcune sono bendisposte, altre curiose, altre umili, alcune saccenti ma non provocatorie, certi sono ottusi, certe parlano per dare aria alla bocca, e in generale è bello ascoltare il suono delle voci degli altri.
Quando l’orologio batte mezzogiorno, siamo riusciti a “convertire” dodici persone. È tempo di tirare le tende e salire sull’anonimo pullman che ci condurrà alla nostra sede.

Durante il viaggio, Greta ci allieta con aneddoti sulla vita di Nick, sulle influenze musicali che l’hanno portato a collaborare con altri artisti della sua generazione, e sulla sua vita privata. In molti si chiedono che ne sarà di Katharine e la sua bambina di cinque anni, Ava Sophia.
Sono seduto di fianco a una ragazza un po’ rotondetta, pasciuta in modo sano. Mi dice di chiamarsi Dorotea. Ha i capelli corvini e una voce dolce. Mi sembra un po’ l’antitesi di Greta, che è più magra e spigolosa.
Scopriamo di avere molte cose in comune e facciamo a gara per vedere chi conosce più cibi giapponesi.
Mah, dico tra me e me, perlomeno in questa “setta” si fanno incontri piacevoli.
Poi mi addormento.

Non ho idea di quanto tempo sia passato. La testa mi duole in modo disdicevole e ho un velo davanti agli occhi. Strofinandomi le palpebre noto che anche Dorotea si sta svegliando da quello che sembra un sonno molto profondo.
L’intero pullman si stiracchia e sbadiglia, Greta compresa. È come se un incantesimo ci avesse trasformati tutti nella Bella Addormentata; è un miracolo che l’autista sia rimasto sveglio.

Smontiamo e ci disperdiamo in una pianura erbosa al cui centro sorge una specie di cerchio composto di menhir e dolmen di fabbricazione moderna, appuntiti e squadrati. Una tenda bianca fatta di un materiale elastico copre interamente lo spazio circolare, leggermente rialzato, a cui si accede attraverso una scaletta di pietra.
Non ho la minima idea di dove ci troviamo.

Un uomo emaciato dal passo malfermo prende la parola.
“Signore, signori, benvenuti a tutti. Io sono Alesteir, ma potete chiamarmi Alistair, non cambia molto (aspetta una risata che non viene). Ho fondato, insieme a degli amici che purtroppo oggi non sono presenti, la Società per la Santificazione di Nick Marsh”
Brusio eccitato.
“La società ha una lunga storia, nei cui particolari non indugerò per evitare di annoiarvi. Sappiate solo che aspettavamo Nick al varco, perché eravamo consapevoli, come tutti del resto, che chiunque alla fine deve piegare il capo alla Tetra Mietitrice, sia egli un cantante o un evasore fiscale, grazie al cielo (questa volta qualcuno ridacchia). Ma non incediamo sulla via della procrastinazione… seguitemi, seguitemi all’interno del cerchio”

Lo seguiamo. Greta mi fa l’occhiolino. Subito dopo sento una mano che sfiora la mia; è la mano di Dorotea.

Seduti a gambe incrociate sotto il telo bianco che svolazza scosso dal vento, osserviamo Alesteir (o Alistair) che tira fuori da un borsone un contenitore di latta e lo apre. Dentro ci sono dei confetti bianchi che non mi ispirano simpatia.
“Venite, venite a ricevere la vostra comunione”

Sudo freddo. Vedo le persone di fianco a me che ordinatamente si alzano e ricevono i confetti dalle mani di Greta, poi ritornano al proprio posto, un’espressione indecifrabile sul viso. Senza nemmeno rendermene conto, tengo la pastiglia tra pollice e indice e subito dopo me la caccio in gola.

Quando siedo Dorotea si sporge verso di me e mi sussurra: “Vedrai, sarà bellissimo. Io l’ho già fatto una volta. Si dice che non sia possibile prendere il volo più di due volte nella vita”
“Perché?”, domando, la bocca impastata.
“Perché poi si muore”
Dovrei sentirmi inquieto, ma accolgo la notizia senza scompormi. Non voglio dormire. Non di nuovo.

Dormo.

C’è odore di paglia. Un odore rassicurante.
La vista è sfuocata.

Dove mi trovo?

Piano piano, lentamente, metto a fuoco quello che sembra un dormitorio: letti a castello, lumi a olio che al momento sono spenti, travature sul soffitto. È una specie di cascina.
Mi sento come se mi fossi svegliato da un brutto sogno. Ho come la sensazione di aver vissuto un’altra vita, una vita falsa, che però ora mi manca.
Ma non ero seduto in mezzo alle pietre?, mi dico, incerto. C’erano altre persone.
Le stesse persone che vedo adesso, mi comunica una sorta di sesto senso tardivo.

“In piedi, gente! È tempo di andare a scuola!”

Una fitta di panico mi attanaglia. Scuola? Io la scuola l’ho finita anni fa.
Poi ho fatto un’accademia specialistica di secondaria importanza, e contemporaneamente ho cercato di concludere l’università. Ho cambiato tre facoltà, e poi mi sono arreso… basta così, ho deciso. Non ho provato nessun rimorso.
Ma ora come… perché… sospetto di aver detto addio a un brutto sogno per risvegliarmi in un incubo ancora peggiore.

Sciamiamo come insetti nei bagni pubblici, ci laviamo, ci vestiamo davanti ai nostri armadietti e percorriamo un breve corridoio rivestito di pannelli di legno che sa di cavolo.
Un’aula semicircolare stipata di quelle che sembrano panche da chiesa ci attende.
Di fronte a un leggio situato vicino a una grande lavagna si erge Aleister. Non sembra più sciancato.
La sua voce risuona come il ruggito di un orso.
“Oggi verificherò la vostra preparazione sulle equazioni differenziali. Sedete”
Ci sediamo. Mi scappa la cacca.
Aleister fa scorrere il dito lungo le file di studenti, mormorando cose incomprensibili. Infine si decide.
“Signor Biffis!”
Il cuore mi sale in gola.
Il professor Alistair inizia a scrivere una serie di simboli complicati sulla lavagna, e continua per diversi minuti; anziché retrocedere, il panico cresce.
Nel giro di poco, il rettangolo nero è ricoperto di numeri e sigle.
Aleister lo indica.
“La bilanci”

Oh no, oh no, oh no. Ho il fiato corto. Le palpitazioni.
Sono al liceo. Non riuscirò mai a finire il liceo. Figuriamoci un’università. Non avrò mai un diploma di maturità.
È troppo. Non ho studiato questa roba è impossibile da capire la odio sto andando in iperventilazione.
Mi alzo in piedi e fuggo con le lacrime agli occhi.
Incespico, mi lascio la porta alle spalle e corro. Corridoi. Corridoi infiniti.
L’adrenalina si esaurisce in modo sorprendentemente rapido. Rallento e mi accascio contro la parete.
Mi raggomitolo per terra.

Un tocco gentile mi fa sollevare la testa. È Greta. Solo che non sembra lei.
“Ti sei svegliato nel dormitorio sbagliato?”
Che significa?
È magra, molto più magra di come la ricordavo. La sua magrezza è accentuata in modo grottesco; sembra uno scheletro. I capelli paiono rifulgere di un fuoco interno e gli occhi sono come carapaci di scarabei vivi.
“Cosa intendi con ‘il dormitorio sbagliato’?”
“Sai, ci sono molti dormitori diversi tra loro”, dice lei, comprensiva, “e si svolgono diverse attività a seconda del dormitorio. Esistono differenti versioni di te”, aggiunge, “che si alternano nelle varie sezioni”
“Cioè, adesso un altro me sta facendo cose diverse dal me presente? Se trovassi il suo dormitorio lo incontrerei?”
“No”, mi spiega paziente, “quando tu giungi nella zona occupata dall’altro te, tu diventi automaticamente l’altro te, e l’altro te precedente si trasferisce. Capisci?”
“Pe-penso di si”
“Vai sempre dritto, poi gira a destra, a destra, per sette volte”
Mi da un bacio sulla guancia, si tira su e se ne va.

Asciugo le lacrime col dorso della mano, poi mi incammino anch’io.

C’è… un giardino. La luce di un sole invisibile mi investe il volto, respiro miasmi di bruma.
È un giardinetto interno tenuto in modo impeccabile. Tralci di edera e altri rampicanti si attorcigliano tutt’intorno al colonnato, il prato all’inglese odora di acido formico. Un capannello di ragazzi adoranti salmodia intorno a una statua di Nick Marsh. Rumore bianco.
Mi avvicino con deferenza e mi inginocchio, adorando come un musulmano alla Mecca.
Alzare e abbassare le braccia senza soluzione di continuità, come nel saluto al sole, mi trasmette una piacevole sensazione di capogiro. Il mondo intorno a me si offusca, i contorni dei corpi e i fili d’erba si fanno più nitidi.
Una leva scatta da qualche parte.
In un mutare talmente impercettibile che dubito della sua concretezza, la statua comincia a sciogliersi a partire dalla testa. Una nuvola di farfalle scaturisce dal suo interno.
Ai piedi della pozza raggrumata che si è formata sotto il corpo di bronzo spuntano radici del colore delle ossa. L’odore di nitrato di ammonio è talmente forte che svengo.

Gabbiani. Brezza. Mi scuotono.
Ondeggio davanti a un gabinetto, la cabina di una doccia, dimeno la testa. No.
Sono sul lungomare. Una fila di edifici cadenti bagnati da una luce crepuscolare fiancheggia la distesa di sabbia. L’acqua blu sembra così vicina, e insieme così lontana. Dorotea mi sorride.
È… grassa. Grassa in modo intollerabile. Una botte di lardo. I capelli sono neri come la notte, il timbro più dolce del miele quando mi chiede: “Come stai?”
“Mi… devo essermi appisolato un momento”
Lei annuisce.
“Sai, ci tenevo a trascorrere con te questa trasferta. È il mio ultimo viaggio”
Ultimo viaggio?
“Io non potrò più svegliarmi, capisci?”
Capisco.

Ci teniamo per mano. Il riverbero accarezza i nostri corpi come una madre affettuosa.
Girandomi verso di lei, la vedo radiosa e fresca e piena di vita. Qualcosa mi punge i piedi.
Sabbie mobili.
La sabbia mi attira verso il basso, e l’unica cosa che vedo sono le caviglie di Dorotea, l’unica cosa che sento i suoi strilli impauriti, l’unica cosa che tocco, i suoi polsi sudati. Poi la sabbia mi riempie la bocca.

Buio fetale. Piacevole senso di completezza, di finezza e finitura. Un fuoco fatuo illumina una stanza poco alla volta.

Di fronte a me, una ragazza dai capelli castani, con delle sfumature rossicce. Mi fissa con i suoi occhi profondi, seduta su una sedia stile liberty. Pizzo e velcro ovunque. Quella bocca sottile, quel corpo perfetto, scolpito e insieme ben tornito.
“Chi sei?”, domando.
“Greta Dorotea. Ci conosciamo”
Greta e Dorotea. Due facce della stessa medaglia. Una sola persona.
Lei si accende una sigaretta.
“Oggi morirò. Morirò per colpa tua”
“Che cosa stai dicendo?”
“Non preoccuparti. Era previsto. Per Nick. Devo sacrificarmi in ogni caso”
Mi muovo verso di lei, ma più avanzo e più lei sembra allontanarsi.
“Posso fare qualcosa per impedirlo?”
Lei sorride beffarda.
“Non è possibile. Tu preferisci una parte di me all’altra, non mi ami nella mia interezza. Chi preferisci?”
Sussulto.
“Io… Non lo so”
“Già. Certo. Facciamo un piccolo esperimento sociale. Prova a immaginare il piacere che ti darebbe masturbarti pensando a una bella ragazza che detesti”
Colto alla sprovvista, le parole mi muoiono in gola.
“Allora?”
“Io… Suppongo, non molto”
“Già. E alla migliore amica dell’infanzia?”
“Abbastanza, immagino”
“E a Greta?”
“Molto”
“E a Dorotea?”
“Questo gioco è assurdo. Come faccio a saperlo?”
“Quando sarò morta, avrai ancora il coraggio di pensare a me in quel modo? Senza aver consumato?”

La conversazione ha preso una piega che non mi piace. Vorrei dirglielo, ma mi si chiude la trachea.
Greta Dorotea si alza, va alla finestra. La apre. In un unico, fluido movimento si getta di sotto.

Non so quanto in alto ci troviamo. Non sento il rumore del corpo che incontra il suolo.

“Ehi, ragazzo!”
Una mano mi cala sulla spalla e mi ritrovo in uno studio di registrazione. Puzza di fumo e di alcool.
Mi volto.

Nick Marsh mi fronteggia in tutta la sua iconica ruvidezza.
Faccio un salto indietro e lo fisso con gli occhi strabuzzati.

“Tu… sei morto”
Lui sogghigna rigirandosi nella bocca uno stuzzicadenti e apre le mani in un gesto di accoglienza, novello Gesù bambino. Una chitarra elettrica del colore della ruggine (o del sangue rappreso) gli penzola da una spalla.
“Non continuativamente”
Non so perché, ma sento la rabbia montare in me.
“Che cazzo significa? Sto sognando? Sei reale?”
“Amico, amico, vacci piano. Tieni un sorso di Old Turkey, ti farà sentire meglio”
Accetto la bottiglietta di whisky e tracanno.
Lui la riprende osservando il livello del liquido con aria critica.
“La morte… è come un prisma. Osservandola da differenti prospettive, cambia il contenuto”
“Il contenuto di cosa? Della morte?”
“Di tutto! Della vita, delle ideologie, delle astrazioni…”
“…”
“…”
“Che cosa stai registrando?”
“Oh, una re-release”, butta lì con falsa modestia.
Avrei voglia di ucciderlo una seconda volta.
“Canta per me”
Nick ammicca e mi fa un inchino. Poi attacca The power of suggestion.

  
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