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Autore: Melanyholland    08/06/2004    4 recensioni
Per non perdere per sempre la sua Ran, stavolta Shinichi dovrà combattere la battaglia più dura: quella contro se stesso
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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6. Sad Rain

Le prime ombre della sera erano scese silenziose, il cielo si era colorato di sfumature nerastre, le stelle non erano visibili perché le nuvole si erano addensate lasciando cadere la pioggia. Si era alzata una brezza fredda, che scuoteva le fronde degli alberi appesantendo le foglie di umidità, mentre all’orizzonte gli ultimi deboli raggi luminosi testimoniavano dietro le colline la morte del sole. I vetri alle finestre dell’agenzia investigativa tremavano ad ogni folata con brevi rumori secchi, simili a colpi di tosse. Conan era seduto sulla sedia della scrivania, la fronte aggrottata, gli occhi seri e freddi rivolti ad un punto imprecisato dell’orizzonte scuro davanti a sé, le braccia conserte; poteva sentire la voce di Ran, ancora tremante e scossa dai singhiozzi, seppure si fosse chiusa in camera con la sua confidente, venuta per darle conforto.

E per consigliarle di lasciarmi perdere

Un gemito sommesso gli fece chiudere gli occhi per un istante, un gesto inconscio, protettivo, che si fa spesso per sfuggire alla realtà delle cose, e che gli fece dimenticare per un breve momento che il dolore non era all’esterno, ma dentro di lui. Li riaprì vedendo la sua immagine riflessa nel vetro, l’immagine di un bambino con il volto segnato da troppe sofferenze per la sua apparente età, negli occhi nemmeno il remoto brillio dell’innocenza e della spensieratezza. Non ricordava di essersi mai visto così adulto da molto tempo. Chinò il capo per non guardarsi, per non affrontare quella realtà che il vetro rifletteva, vide la fasciatura sulla gamba destra, sul pavimento le varie lattine vuote di birra, che mandavano un odore aspro e forte. Sentiva un vuoto dentro, un dolore insostenibile che non riusciva a trattenere ma che non sapeva come sfogare, doveva pensare a come risolvere la situazione, la sua testa era oppressa da mille problemi, vedeva buio, solo buio, senza la minima illuminazione. Avrebbe voluto solo dormire e niente altro, solo abbandonarsi al sonno, per far sparire tutte le angosce e le ansie, per non dover stare così male. Per la prima volta nella sua vita era inerme davanti alla disgrazia che incombeva su di lui, incapace di fare qualcosa.

Fare qualcosa reagire ma come? Probabilmente ormai non c’è più niente da fare Mori sarà già andato alla redazione e domani mattina uscirà il giornale e domani pomeriggio Ran capirà di essere stata ingannata e mi odierà e domani sera io e Ai saremo già morti

Chiuse di nuovo gli occhi per riaprirli subito dopo. Ran aveva denunciato il rapimento alla polizia ma il giornalista non si era fatto vedere in faccia da lei, nascondendole il volto. D’altra parte lui non poteva dire nulla, non prima di aver recuperato la cassetta, o si sarebbe scoperto il suo segreto comunque. Aveva pensato di raggiungere la redazione del giornale per cui lavorava quel pomeriggio, ma la ragazza gli era stata appiccicata per tutto il tempo, dal dottore e anche a casa e con quella gamba ferita non poteva sperare di sgattaiolare via come faceva sempre. Non aveva detto nulla ad Ai per non farla preoccupare e aveva fatto giurare al professor Agasa, con cui si era confidato per telefono, di non parlarne con lei. Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno e il suo ex vicino di casa gli era sembrato il più adatto. Pessima idea. Si era dimenticato delle conseguenze che spesso avevano i suoi colloqui col professore, in particolare delle soluzioni che la sua mente di scienziato riteneva giuste tanto da metterle in atto senza il suo consenso. Davvero un grosso errore. Adesso non solo doveva pensare ai suoi mille problemi, ma anche a trattare con la soffocante volontà di tiragli su il morale di quello che si definiva il suo ² migliore amico² :

"Dai Kudo non mi sembra una situazione così irrisolvibile" esordì in tono leggero Heiji Hattori, piegando il giornale che aveva in grembo e fissando la nuca del piccolo detective, chissà perché intenzionato a non guardarlo in faccia.

"Fai presto a parlare tu, Hattori" Grugnì, senza smettere di dargli le spalle.

"Beh, intanto credevi che la notizia sarebbe uscita nell’edizione serale, invece qui io non leggo niente su di te. Perché non smetti di piangerti addosso e non cerchiamo di capire cosa significa?"

"Io non mi sto piangendo addosso!!" Lo aggredì Conan, finalmente voltandosi con tutta la sedia girevole: ma perché cavolo il professore aveva chiamato proprio lui per aiutarlo? E soprattutto perché diavolo stava sorridendo come un idiota in un momento come quello?

"Oh, finalmente! Quell’aria mogia da complessato non ti si addiceva proprio, sai? Ora che ti è tornata di nuovo la grinta, che sei di nuovo in te, possiamo riflettere con calma sulla faccenda" Concluse Heiji, per nulla turbato dalla sua reazione. Conan lo guardò perplesso per qualche secondo, poi mormorò: "Abbassiamo la voce o Ran e Kazuha ci sentiranno. Questi muri sono fatti di carta..."

"Sei tu che hai urlato amico" rispose Heiji stringendosi nelle spalle e aggiunse: "Allora? Hai pensato a qualcosa?" Conan si aggiustò gli occhiali fissando un punto imprecisato del pavimento:

"Non so proprio cosa pensare. Come hai detto tu ero convinto che la notizia uscisse sul giornale di questa sera. Non riesco proprio a capire perché non ci sia. È davvero strano."

"Forse non ha trovato nessuno disposto a credergli. L’avranno preso tutti per un pazzo." Heiji cominciò a giocherellare con il cappello da baseball, facendolo ruotare sul dito teso della mano destra. Conan fissò il movimento del berretto come ipnotizzato per un po’, riflettendo, poi proseguì:

"Uhm, magari, ma sarebbe troppo bello. Penso invece che voglia andarci con cautela, saperne di più prima di comunicare la notizia in giro, proprio per non rischiare una cosa del genere. Sì, credo proprio che voglia informarsi bene su tutto, prima..."

"Rispondere alle famose cinque w del bravo giornalista, vuoi dire?" Chiese ironico Heiji fermando il berretto e indossandolo alla rovescia.

"Se vogliamo proprio banalizzare..." rispose Conan alzando gli occhi al cielo. Era convinto che la sua ipotesi fosse esatta. Per quanto quel farabutto ne dicesse sugli scandali, chiunque con un minimo di intelligenza deciderebbe di conoscere la vicenda nei particolari prima di sbandierare ai quattro venti che un diciassettenne era regredito all’età infantile. Probabilmente stava indagando sulle cause, sull’inventore della pozione... insomma cercava tutte le informazioni che lui era stato abbastanza furbo da nascondergli. Naturalmente quell’uomo non poteva nemmeno immaginare il pericolo in cui si stava cacciando, ma la sua incolumità non turbava minimamente il piccolo detective. Il problema, ben più grave, era un altro...

"Però se hai ragione, e se questo tizio è bravo nel suo lavoro, allora fra non molto potrebbe..."

"...Venire a contatto con l’Organizzazione degli Uomini in Nero." Conan concluse per lui la frase e continuò: "Sì, ci ho pensato anch’io. Se succederà, quelli lo uccideranno e gli ruberanno la cassetta. E così saremmo a punto da capo, se non peggio." Conan ostentava freddezza e sicurezza, ma Heiji percepì chiaramente la nota di incertezza e preoccupazione nella sua voce. Era da molto ormai che lavoravano insieme e aveva imparato a conoscerlo, a superare il muro che lui si costruiva sempre davanti a tutti, mostrandosi forte per quanto disperata fosse la situazione. Semplicemente, Kudo non voleva farsi vedere debole con nessuno, ma al contrario reputava vulnerabili tutte le persone intorno a sé; così faceva qualsiasi cosa per proteggerle, era pronto anche a caricarsi da solo ogni responsabilità, ogni problema, per lasciare serene le persone a cui teneva. Disposto perfino a soffrire, per far stare bene gli altri. Era questo che lo rendeva ai suoi occhi così speciale, e che non lo faceva smettere di essere suo amico nonostante Kudo lo trattasse sempre in modo distaccato, quasi come se fosse infastidito dalla sua presenza. Quella sera stessa, arrivando all’agenzia, non aveva visto il solito lampo di determinazione e coraggio nei suoi occhi ma solo buio, disperazione, qualcosa di veramente terribile a cui non sapeva dar nome. Sembrava come se la sua vita fosse finita. Heiji era rimasto allibito e avrebbe voluto saperne qualcosa di più, ma Conan si era accorto che lo stava fissando ed era probabilmente per questo che aveva deciso di dargli le spalle e di volgere lo sguardo ovunque in quello studio tranne che a lui. Il dottor Agasa gli aveva solo raccontato del rapimento di Ran e della confessione forzata a cui Conan era stato costretto, ma Heiji era sicuro che fosse successo qualcos’altro, qualcosa di orribile che Kudo non era riuscito a confidare a nessuno. Qualcosa che doveva farlo stare davvero male...

"Kudo, sei sicuro che sia tutto okay?" si arrischiò a chiedere, guardandolo negli occhi azzurri che erano rivolti ad un orologio appeso al muro:

"No che non è tutto okay, stupido! Hai sentito quello che ho detto? Se l’Organizzazione..."

"Io non mi riferivo a quello" lo interruppe, con un tono serio e calmo e mantenendo gli occhi puntati su di lui. Conan sussultò, perché sapeva che se Hattori assumeva quell’atteggiamento significava che era preoccupato sul serio e che quindi non avrebbe fatto cadere facilmente il discorso; però lui non aveva intenzione di dirgli nulla, sentiva il suo cuore lacerarsi ogni volta che ci pensava e non aveva la forza di parlarne, di affrontare la situazione. Occupare la mente con altre questioni e fingere di dimenticare tutto era l’unico modo per non provare dolore. Anche se era solo una fioca illusione, perché la sofferenza c’era, ristagnava dentro di lui, e faceva davvero male, per quanto non volesse pensarci. Spostò lo sguardo sul suo ginocchio sinistro e si strinse nelle spalle, sperando che fingere fosse ormai un’arte che sapeva padroneggiare: "Non capisco di che parli." Disse in tono leggero, incrociando le braccia.

"Io credo di sì invece"

"Ah sì? E chi te lo dice?" rispose in tono di sfida Conan, odiandolo.

Ma che cavolo vuole? Perché non pensa agli affari suoi invece di rompere le scatole a me prendesse la sua fidanzata e se ne tornasse a Osaka per quel che me ne importa può non farsi vedere mai più sì giusto non gli dirò una parola stupido odioso bamboccio del Kansai sempre con quel sorriso idiota sulla faccia ma cosa vuole da me non sono affari suoi no

"Il tuo linguaggio non verbale, tanto per dirne una. Non mi guardi negli occhi da quando sono arrivato.."

"Non ho l’abitudine di fissare negli occhi gli altri ragazzi, Hattori." Grugnì Conan.

"... in compenso prima li serravi di scatto e li riaprivi, quasi fossi spaventato da qualcosa. Ho visto il tuo riflesso sul vetro..." riprese Heiji, fingendo di non averlo sentito: "Infine, rispondendo alla mia domanda hai incrociato le braccia. È un chiaro simbolo di chiusura, come se ti volessi proteggere non aprendoti con me... in parole povere stavi mentendo." Concluse, non riuscendo a trattenere un sorrisetto beffardo. Conan stavolta lo guardò dritto negli occhi, con tanta rabbia che l’amico riuscì a percepirla: "Non rifilarmi queste stronzate!" gli urlò contro, e stavolta il sorriso di Heiji si incrinò:

"Non ho intenzione di restare qui a..."

La porta dello studio di aprì, Kogoro aveva un’espressione raggiante e stringeva in mano un gruzzolo di banconote fruscianti: "Indovinate un po’? Ho vinto al video poker! La mia abilità a quanto pare non si limita al campo dell’investigazione! Che ne dite di fare una bella cenetta a base di carne stasera?" esordì, ad alta voce. Heiji, che si era voltato a guardare l’uomo, posò di nuovo lo sguardo sul suo amico e vide che era tornato calmo e pensieroso, come se nulla fosse successo. Rimase a fissarlo per un momento con benevolenza, poi si rivolse a Kogoro: "Non avevi detto che uscivi per comprare qualcosa, visto che io e Kazuha ci fermiamo a dormire qui?"

"E infatti vi ho assicurato una cena coi fiocchi." Concluse l’uomo trotterellando verso la camera della figlia. Conan evitò accuratamente di restare di nuovo solo con il detective dell’ovest e seguì lo "zio" zoppicando.

Ran era seduta sul suo letto, le ginocchia piegate e i piedi scalzi sul copriletto soffice, abbracciava il cuscino con aria triste. I suoi occhi erano arrossati e sulle ciglia si erano formate piccole gocce di lacrime. Kazuha era seduta accanto a lei, sul bordo del letto, le gambe accavallate e i piedi appoggiati al pavimento, e giocherellava con una ciocca di capelli visibilmente a disagio. Ogni tanto lanciava occhiate tristi a Ran, ma non sapeva cosa dire per tirarla su di morale. Dopo qualche minuto di quel silenzio così pesante finalmente Kazuha si fece forza e ruppe l’atmosfera:

"Coraggio Ran chan. In fondo è andato tutto bene, e tu sei sana e salva..."

Ran annuì, ma sembrava assente, quasi non la stesse ascoltando. Kazuha se ne avvide e riprese:

"Non è da te buttarti giù in questo modo per una cosa del genere. So che c’è qualcos’altro che ti turba. Ti prego...." posò delicatamente una mano sulla sua, Ran si voltò e si ritrovarono vicinissime:

"...dimmi cos’altro è successo. Non posso vederti così..." Ran vide che i suoi occhi erano sinceramente preoccupati, pieni di tristezza, e sentì che non poteva nasconderle niente; e poi, voleva davvero il parere della sua amica del Kansai poiché era certa che l’avrebbe capita, infatti lei viveva un rapporto con Heiji molto simile al suo con Shinichi.

Anche se non è stata mai abbandonata da lui

Di nuovo si sentì sul punto di piangere e le scappò un singhiozzo. Kazuha le cinse le spalle con il braccio e la accarezzò con dolcezza, sorridendole rassicurante quando lei la guardò. Così Ran raccolse tutte le sue forze e cominciò a spiegarle tutto, dei pensieri che aveva cominciato a fare, delle sue illusioni, di come pensava di essersi sbagliata sul conto del suo amico d’infanzia, di quanto dolorosa era stata la sua decisione di darci un taglio con tutto. Kazuha la ascoltò con molta attenzione, aspettando paziente ogni volta che lei si fermava per asciugarsi le lacrime e per singhiozzare, continuando a massaggiarle la spalla. Quando ebbe finito, rimase per un po’ in silenzio a riflettere prima di parlare:

"Sai, Ran chan, c’è una cosa che non riesco a capire. Tu hai preso quella decisione per smettere di soffrire, giusto?" Ran annuì strofinandosi l’occhio con il pugno, Kazuha continuò:

"Però a me sembra che questa decisione ti faccia soffrire il doppio di prima." Ran rimase colpita da quella considerazione, poggiò il cuscino sul letto e cominciò a sprimacciarlo con delicatezza, pensando alle parole dell’amica. Dopo qualche secondo mormorò:

"Sì, lo so. Ma...io non..."

"Secondo me dovresti fare un passo indietro, pensarci su e..." sospirò "parlare delle tue paure con Kudo." Ran sussultò guardandola, Kazuha riprese:

"Capisco che tu sia stanca di aspettarlo in eterno, che lui non dovrebbe metterti al secondo posto dopo i suoi casi, perché fa male. Anche a me succede, pensa che una volta Heiji mi ha invitata al ristorante e io ero davvero al settimo cielo...e invece lui non si è presentato. Lo chiamo un’ora dopo e scopro che è qui a Tokyo, a risolvere un caso, e alle mie proteste cade dalle nuvole... mi sono sentita ferita, io aspettavo con ansia quel momento e lui se ne era addirittura dimenticato. Però riflettendoci con calma ho capito che Heiji è fatto così, e che non posso cambiarlo, ma accettarlo così com’è..." parlava con un tono trasognante, Ran borbottò un po’ infastidita:

"Però Hattori non è mai andato via di casa e c’è sempre quando hai bisogno di lui...invece..."

"Non offenderti, non volevo parlare di me. Quello che intendevo dire è che se Kudo è simile a Heiji quanto mi hai detto, non credo si renda conto che con il suo comportamento ti fa del male. E’ per questo che credo sia meglio parlarne con lui, prima di prendere simili decisioni..."

Ran scosse la testa tristemente: "E’ proprio questo il punto, Kazuha chan. Io sono stanca di parlare con una voce anche se si tratta solo di una chiacchierata, figuriamoci di una cosa seria come questa. Vorrei poterlo guardare negli occhi, stare con lui, come una volta..." un altro singhiozzo " E non discutere con una cornetta del telefono. È chiedere troppo?" ricominciò a piangere, il petto scosso da respiri affannosi, Kazuha la abbracciò, cercando di calmare il suo tremito accarezzandole la testa fino alla nuca, su e giù: "Su, su...non piangere Ran chan...fatti forza, ho un’idea..." disse con voce dolce, Ran si asciugò le lacrime e smise di inzupparle la spallina del giacchetto jeans:

"Chiama Kudo e digli di tornare qui." Ran non poté nascondere la delusione:

"Kazuha chan... il problema è che non lascerebbe mai il suo importantissimo caso per..."

"Non deve lasciarlo... digli che vuoi parlargli a quattr’occhi, fagli capire che è davvero importante per te che venga...anche solo per un pomeriggio, o un’ora...e poi è libero di tornare... ma dov’è che sta?" Chiese Kazuha perplessa, e leggendo il suo stesso stato d’animo nell’amica alzò le spalle e riprese: "Poi potrà tornare al suo caso. Se lui accetta e viene potrai parlargli come vuoi tu, anche se in fondo solo il fatto che ha abbandonato tutto perché tu hai bisogno di lui mi sembra che risolva la questione.." le sorrise con affetto, ma Ran non ricambiò, volse lo sguardo al pavimento:

"E se invece non viene capirò che avevo ragione e resterò sulla mia decisione" aggiunse in tono amaro, anche se adesso nel cuore sentiva un barlume di speranza che prima non c’era.

Kazuha le aveva dato davvero un buon consiglio, sapeva di poter contare sul suo aiuto e adesso si sentiva più sollevata. Sorrise di rimando alla sua amica del Kansai, che smise di cingerla e si sedette di nuovo da piedi al letto, aggiustandosi la gonna con le mani. Data l’atmosfera decisamente più leggera, Kazuha la guardò ammiccando. "Io penso che verrà, in fondo lui è ancora il tuo amato Shinichi no?" Ran arrossì. In effetti aveva ragione, non si può smettere di voler bene ad una persona a comando, e lei desiderava tanto essersi sbagliata, poter parlare con Shinichi dei suoi problemi. Sorrise di rimando a Kazuha, riconoscente del consiglio che le aveva appena dato, poi continuò più confortata:

"Il mio amato Shinichi? ma fammi il favore! Chi potrebbe mai innamorarsi di quel fissato per le indagini?" gridò, ridendo.

"Uhm, fammi pensare.. tu Ran chan?"

"Ma neanche per sogno! Non è vero!" le lanciò addosso il cuscino e Kazuha glielo restituì colpendola in piena faccia. Ran lo tirò di nuovo con forza, Kazuha lo schivò e quello finì dritto addosso a Kogoro, appena entrato nella camera, con uno sfarfallio di piume: "Insomma voi due!"

Gridò l’uomo togliendosi una piuma dai baffi. Le ragazze risero e sulla soglia Conan osservò allibito Ran, senza sapere cosa pensare ma decisamente più riscaldato nel cuore.

Atushi Mori entrò in un bar molto piccolo, completamente al buio se si escludevano le luci rosse e blu soffuse, attraversò un paio di tavoli, dove degli uomini si stavano scolando i loro drink come fossero acqua fresca e si sedette al bancone. Chiamò a gran voce il barman e quello gli si avvicinò irritato per aver dovuto interrompere una conversazione con una bionda mozzafiato:

"Che ti porto, Mori?" chiese, lo sguardo fisso sulle gambe della donna mentre le accavallava.

"Stasera devo festeggiare. Portami un cocktail molto pesante, o del Whisky, fai tu." Disse con voce raggiante, un sorrisetto beffardo stampato sulla faccia.

"Come mai?" chiese il barman mentre gli preparava il suo drink. Mori scosse la testa:

"Non posso dirti nulla, ma è uno scoop sensazionale. Lascerà tutti senza fiato..."

"Vuoi rovinare la vita a qualcun atro?" domandò con tono ironico poggiando il bicchiere di vetro

sul bancone, sempre voltato da un’altra parte.

"Oh no, la vita a quel moccioso gliel’ha già rovinata qualcun altro. Io voglio solo che la gente lo sappia, così lui tornerà famoso, anzi, lo sarà ancora di più." Gli scappò una risata roca e bevve tutto d’un fiato il suo Whisky. Lì vicino, la bionda mozzafiato voltò leggermente il capo verso di loro:

"Ma di chi parli?" Il barman non sembrava affatto curioso, cominciò ad aggiustarsi il collo della camicia lanciando occhiate fugaci alla sua destra: "Non posso rivelarti nulla..." gli ricordò Mori, chiedendogli un altro drink. La donna aprì la sua borsetta nera, sfilò una sigaretta da un pacchetto e la mise fra le labbra, poi si alzò, le gambe sinuose scoperte dalla minigonna di pelle, il seno prorompente visibile attraverso la scollatura del vestito nero. Prese posto accanto al giornalista, si prese la sigaretta fra le dita, smaltate di rosso e lo scrutò attentamente: "Scusi, ha da accendere?"

Chiese con voce sensuale, dall’accento straniero. Mori la guardò un paio di volte da capo a piedi, molto colpito, con una strana espressione sulla faccia: "Sicuro, bellezza." Rispose, tirando fuori dalla tasca un accendino d’argento e accendendole la sigaretta mentre lei gliela porgeva. La donna la portò alle labbra e Mori si ritrovò a pensare a quanto fossero sexy quelle labbra, quei seni, quel fondoschiena...

"Ti offro da bere, se mi dici il tuo nome." La bionda sorrise, divertita:

"Uhm...vediamo...puoi chiamarmi Christy. E il tuo invece?"

"Atsushi Mori. Dovresti aver sentito parlare di me, sai, sono un famoso giornalista..." Allungò le mani verso i suoi fianchi ma lei si ritrasse: "No, non mi sembra." Parlò con voce fredda stavolta e Mori chiese altri due drink, sicuro di trovarla più disponibile dopo qualche bicchiere.

"Ma lo diventerò fra non molto, mia cara. Ho in serbo un grande scoop..." aggiunse con un tono che doveva sembrargli molto accattivante.

"Ah sì? E di che si tratta?" lei era tornata sensuale e si era sporta verso di lui, mostrandogli bene la scollatura. Mori smise di guardarla in faccia e sorrise: "Scusa bellezza, non posso dirtelo."

"Sicuro bello? Io sono così curiosa... Farei di tutto per sapere di chi parlavi prima." gli poggiò una mano sulla gamba, marcando particolarmente la voce su quel ² Tutto² , lui bevve il suo secondo bicchiere di Whisky pensando che quella era forse la giornata migliore della sua vita.

"Non so se posso sbottonarmi, capisci..."

Lei ritrasse la mano: "Oh, allora credo che nemmeno io potrò sbottonarmi con te..." fece per alzarsi ma lui le bloccò il polso: "Calma, bella, te lo dico... parlavo di... di Hyde degli Spirits. Ho una notizia su di lui..." Il volto della donna si fece scuro, borbottò infastidita: "Non mi piace che cerchino di fregarmi. So che non è il giocatore di calcio, perché lui è tutt’oggi molto famoso, e tu parlavi di uno che doveva tornare ad esserlo. Ci vediamo, lasciami il polso..." L’uomo la strinse ancora di più: "Hey, stavo scherzando. Te lo dico in un orecchio, se prometti che terrai la bocca chiusa." La donna annuì e gli si avvicinò, lui approfittò dell’occasione per annusare il suo collo e i suoi lunghi capelli chiari, poi le sussurrò il nome e lei sorrise, un luccichio interessato negli occhi.

"Non puoi immaginare il segreto di quel ragazzino" aggiunse Mori. Lei si sedette e ordinò altri drink al barman, che era ora di pessimo umore, e stette a guardare mentre il giornalista se li scolava, aggrottando le sopracciglia in un’espressione ansiosa e soddisfatta allo stesso tempo.

"Era tutto de-li-zio-so" commentò Kogoro scandendo le parole e stiracchiandosi, mentre uscivano dal ristorante; la pioggia era cessata e portava l’ombrello appoggiato all’incavo del braccio. Ran lo seguiva tenendo sulle spalle Conan, i capelli bruni sciolti che ondeggiavano ad ogni folata di vento, così come il lungo cappotto di camoscio e la gonna lunga fin sopra le ginocchia, di un rosa tenue. Conan teneva la testa sulla sua spalla, sollevato per la spensieratezza e l’allegria con cui la ragazza aveva passato la serata; era confuso, certo, ma per una volta non riuscire a capire qualcosa non lo disturbava minimamente, anzi, gli faceva sperare che le parole di Ran allo stabile fossero state dettate da uno sconforto momentaneo, un esaurimento nervoso di poco conto. Anche se gli avevano dato da pensare a quanto le stesse facendo del male... il suo viso si rabbuiò, poi scorse accanto a sé la figura di Kazuha e le sorrise istintivamente, riconoscente per quello che aveva fatto. Lei lo guardò confusa per un secondo e poi ricambiò il sorriso scompigliandogli i capelli con la mano, ricominciando a parlare con Ran dell’ultima puntata di una fiction rosa che vedevano entrambe. Hattori osservò tutto questo, ultimo in fila, seccato per essere l’unico- al pari di quell’idiota di Kogoro- a non sapere nulla sulla faccenda. Si parò davanti a Ran con un balzo e chiese con falsa gentilezza:

"Sarai stanca, Mouri, di portarti quel piccoletto sulle spalle. L’hai fatto per tutto il pomeriggio, no? Se vuoi posso pensarci io, non c’è problema." Disse tendendo le braccia, ignorando le occhiatacce ostili lanciategli da Conan. Ran sorrise:

"Oh, non è così pesante, però... te ne sarei grata. A te non dispiace, vero?" Voltò la testa per quanto poteva verso il bambino, che cambiò velocemente espressione con non poco divertimento di Heiji e balbettò: "Veramente io..."

"No, il piccolo Conan kun è felice di non farti stancare..." Gli sorrise con malignità e se lo caricò sulle spalle, lasciando che Ran e Kazuha facessero un po’ di passi avanti prima di riprendere a sua volta a camminare. Conan sbuffò, stringendo volontariamente con molta forza le spalle dell’amico, di nuovo lui non ci badò e riprese a interrogarlo: "Visto che la situazione mi sembra più leggera e tu più rassicurato che ne dici di dirmi cos’è accaduto, Kudo?"

"Non ho intenzione di dirti quello che è successo, perciò smettila di insistere Hattori!" Rispose stizzito, chiudendo gli occhi a fessura.

"Quando fai così sembri proprio un bambino, Kudo. Sai che se volessi potrei saperlo da Kazuha."

"Allora perché non rompi le scatole a lei?" Domandò Conan, ancora più arrabbiato.

"Perché siamo amici, e voglio che ti confidi con me." Il suo tono si fece serio, Conan rimase interdetto per un secondo, pensando che forse era stato ingiusto con il detective dell’ovest. In fondo lui gli era stato sempre vicino, l’aveva aiutato ogni volta che ne aveva avuto bisogno, molto spesso mettendo a rischio la sua vita e... la sua reputazione. Conan sorrise ricordando la recita di Ran e la festa di Halloween di qualche mese prima. Heiji era un ragazzo su cui poter contare e la sua amicizia, seppure alle volte soffocante e a dir poco fastidiosa, gli era davvero utile. Pensò un po’ in colpa che non era una bella cosa che lo sfruttasse solo quando gli serviva e non lo reputasse per niente quando succedevano certe cose. E poi parlare con Kazuha era stato un toccasana per Ran, chissà se sarebbe successo anche a lui confidando al suo amico le sue preoccupazioni...

"Il fatto è che è difficile per me parlarne con chiunque; non l’ho detto nemmeno al professor Agasa, a cui di solito confido tutto..." le risate allegre delle ragazze davanti a loro soffocarono il sospiro di Conan, sul punto di raccontare tutto al suo amico. Volse lo sguardo alla sua sinistra per cercare le parole: "Quando eravamo allo stabile, dopo che l’ho salvata, Ran... " Conan sobbalzò, il cuore cominciò a battergli forte, quell’uomo laggiù era...sì non poteva sbagliarsi era

"Atsushi Mori!!" Gridò, un lampo di odio e determinazione negli occhi:

"Vuoi dire che quello laggiù è il nostro uomo?" Chiese Heiji, anche lui con la stessa luce negli occhi: "Allora seguiamolo, non si è accorto di noi." Conan conosceva l’impulsività del detective dell’ovest e in passato gli aveva creato non pochi problemi e fastidi.... questa volta però non cercò di dissuaderlo dall’agire subito e mormorò con sicurezza: "Andiamo, che aspetti?" si allontanarono e sparirono nel buio, mentre le due ragazze e Kogoro continuavano tranquillamente a camminare, senza essersi accorti di nulla.

Si tennero a una distanza di sicurezza, lontani dalle luci dei lampioni, ignari del fatto che se anche fossero stati meno cauti l’uomo non avrebbe potuto accorgersi di loro, tanto era ubriaco; lo seguirono per un po’, Conan insistette per essere lasciato andare dato che il dolore alla gamba non era così insopportabile, e alla fine Heiji cedette e lo accontentò. Dopo circa mezz’ora arrivarono davanti ad un palazzo di sette piani e videro il giornalista prendere dalla tasca un mazzo di chiavi e infilarne a fatica una nella toppa del portone, che richiuse dietro di sé una volta entrato.

Heiji schioccò le dita imprecando: "E adesso come facciamo ad entrare?"

"Non preoccuparti, avviciniamoci" esclamò Conan, gli occhi fissi sull’edificio e un sorriso soddisfatto sulla faccia. Avendo notato la sicurezza nella sua voce Heiji non protestò e insieme si ritrovarono davanti al portone. Conan alzò la testa verso i vari pulsanti dei citofoni, cercando di leggere i nomi sulle targhette: "Hattori, suona al terzo pulsante da sopra, io non posso." Ordinò

con tranquillità, il ragazzo lesse la targhetta e si voltò verso di lui perplesso: "Scusa, ma perché dovremmo citofonare al signore e alla signora Takenata?" Conan non batté ciglio e Heiji capì che come al solito non aveva intenzione di rispondere, così si strinse nelle spalle e fece come gli aveva detto. Dopo qualche minuto si sentì la voce assonnata e infastidita di una donna: "Ma chi è?"

"Mi scusi signora, sono rimasto chiuso fuori e mia mamma si arrabbia se scopre che sono ancora in giro a quest’ora... potrebbe aprirmi per piacere?" Conan aveva parlato con la vocetta più infantile che gli riusciva e la signora Takenata, evidentemente troppo stanca per andare a fondo della questione e rassicurata dal fatto che a parlare fosse stato un bambino, non fece obiezioni e aprì il portone. I due entrarono nel palazzo e videro davanti a loro le porte chiuse di un ascensore e accanto una rampa di scale di marmo; Heiji diede una rapida occhiata alle targhette vicino alle porte del piano terra e scosse la testa, Conan nel frattempo si avvicinò alle scale, le esaminò e poi si sistemò davanti all’ascensore, aggrottò la fronte e si tenne il mento fra il pollice e l’indice, riflettendo:

"Non ha preso le scale, per terra fuori è ancora bagnato e avremmo trovato delle impronte... ce ne sono due qui invece, davanti alla cabina dell’ascensore, perciò è salito con questa..."

"Allora sarà semplicissimo capire a che piano si trova il suo appartamento... essendo stato lui l’ultimo ad utilizzarla, non ci resta che salire le scale fino al piano in cui le porte dell’ascensore saranno aperte..." Concluse per lui Heiji. Sorrisero raggianti e iniziarono l’operazione. Al quarto, come previsto, trovarono l’ascensore e vicino ad una porta la targhetta con su scritto il nome del giornalista.

"Bene, che cosa facciamo adesso, Kudo?" Sussurrò Heiji in trepida attesa, rimanendo esterrefatto alle parole seguenti dell’amico: "Assolutamente niente. Andiamocene." Rispose calmo a voce bassa e fece per avviarsi verso la scalinata, quando fu preso per la collottola della camicia e sollevato di peso, ritrovandosi faccia a faccia con l’espressione infastidita e delusa del detective dell’ovest:

"Ma come sarebbe a dire? Dopo tutto questo casino, dopo essere arrivati fin qui vorresti lasciar perdere tutto e andartene?"

"Nooo, certo che no Hattori, io direi di buttare giù la porta, aggredirlo legandolo e imbavagliandolo e costringerlo a dirci dov’è la cassetta con torture disumane..." rispose sarcastico Conan, Heiji non poté evitare di sorridere anche se non aveva cambiato opinione: "Non intendevo questo, però..."

"Non c’è niente da fare per ora." Spiegò paziente Conan: "Vorrei più di te far finire tutto alla svelta, ma quel Mori è un tipo tosto, bisogna muoversi con cautela. Propongo di tornare a casa e di venire di nuovo qui domani mattina presto, aspettare che lui esca ed entrare in casa per cercare la cassetta. Sono sicuro che l’avrà nascosta da qualche parte, non può portarsela sempre dietro, rischierebbe di perderla o chissà che altro, ed è troppo preziosa per lui." fece una smorfia amara: "Di certo starà ancora indagando sulla faccenda, non è certo facile risalire all’Organizzazione...perciò uno di noi due lo pedinerà e l’altro verrà qui in casa a cercare il nastro. Adesso perché non mi lasci andare?"

Concluse irritato Conan, Heiji sorrise divertito: "Scusa piccolo Conan kun..." lo liberò ignorando le sue occhiatacce ed insieme si allontanarono dall’edificio. Mentre si dirigevano verso l’agenzia Conan sentì in tasca il cellulare che vibrava, lo prese ed esaminò la schermata:

"Ma guarda, Ran mi ha mandato un messaggio..." lo lesse un paio di volte, sentì di nuovo un brutto peso sullo stomaco, un brutto presentimento che gli fece aggrottare la fronte e socchiudere gli occhi: "Qualche problema, Kudo?" chiese Heiji preoccupato, notando la sua espressione:

"Ran vuole che la chiami subito... dice che è importante".

  
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