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Autore: Contrast    09/09/2012    11 recensioni
Conor.
Così si chiama la mia fuga estiva.
Che nome buffo, Conor. Forse sarebbe risulato in maniera migliore con una 'N' in più.
Connor.
Molto meglio.
-
E dopo tutto quello che è successo, continuo a pensarti.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNO



  « Non c'è patto che non sia stato rotto, non c'è fedeltà che non sia stata tradita, fuorché quella di un cane fedele. »  

 


Lunedì mattina di una giornata di scuola. Non si poteva scegliere inizio migliore. Ma per fortuna mancava solo una settimana all'inizio delle vacanze estive.
Ovvio, non era vacanza per tutti. Molti dei miei amici, infatti, con la fine della scuola, iniziavano i lavori estivi.
Economicamente parlando io non ne avevo bisogno, ma quasi ogni giorno andavo a passare i pomeriggi con loro e a dargli una mano.
Martedì: Ellie, bar;
Mercoledì: Rice, negozio di vestiti;
Giovedì: Ethan, dog sitter;
Sabato: festa!;
La domenica, invece, era riservata esclusivamente alla mia famiglia. E con "famiglia" intendo anche i miei adorati cani.
Otis e Elvis. I miei piccoli idoli. Che poi di piccolo non avevano davvero niente…
Otis, Boxer, prende il nome dalla famosa canzone di Jay-z e Kanye West. Stando hai miei gusti musicali si sarebbe comadamente potuto chiamare Tre Cool in onore del batterista dei Green Day, o direttamente Kanye West, mio idolo personale; ma quando gli diedi il nome decisi che Otis era quello giusto, quello che più era fatto per lui.
Alto, slanciato, con il pelo corto ma allo stesso tempo molto morbido; quando passo la mano su di esso alcune volte riporto un po' dei sui peli marroni chiaro e bianchi sul palmo.
Facilmente iscrivibile ad una competizione cinofila per il suo portamento altezzoso e il suo fisico perfetto, ha allo stesso tempo il muso più dolce del mondo. Con i suoi occhietti dolci e completamente immersi nel colore nero, è facilmente riconoscibile quando sta insieme ad Elvis, un bellissimo Bovaro bernese dalla felicità e dalle proporzioni un po' eccessive. A quest'ultimo, gli basta vedermi rientrare a casa che mi è già saltato addosso facendomi finire per terra. Con Elvis si può essere alti anche due metri, ma quando un cane di 60 kg ti viene incontro prendendo la rincorsa, c'è poco da fare se non cadere a terra.
Il suo pelo alquanto lungo fa invidia ai miei capelli, in quanto richiede, ogni volta che gli si viene fatto il bagno, di usare anche il balsamo.
Di un nero lucente, la pancia color avorio, le zampe color rame e un carette solare ed allegro, Elvis è il cane più dolce ed ubidiente che si possa trovare.
Ha anche una funzione molto importante: pronto per lui in garage da attacare al suo collo quando andiamo a sciare, c'è un kit di pronto soccorso di quelli che si usano per la neve.
La domenica è interamente riservata a loro due, per cui anche quella è sempre sfruttata per lo più in passeggiate. Fu proprio grazie ad una di queste a farmi tenere quel lunedì pomeriggio impegnato.

Stavamo camminando felicemente a passo di cane tutti e tre insieme. Elvis, come suo solito, era molto attivo e rischiò più di una volta di farmi mollare la presa dal guinzaglio. Otis, al contrario, non si permetteva quasi mai di perdere il controllo e di iniziare ad andare a destra e a sinistra. Così continuammo quasi tranquillamente, fino a che il primo non decise di cambiare direzione e di passare per fratte.
Non era, per mia fortuna, una strada sconosciuta all'uomo; così riuscimmo dall'altra parte del percoso.
Seduto ad uno dei tavoli da picnic lì presenti c'era il mio migliore amico Jamie.
Un ragazzo biondo dai capelli lunghi ed occhi azzurri, paragonabile ad un serfista australiano con uno stile non da meno. Al polso portava sempre braccialetti di ogni tipo - per lo più di corda - tipici di quelle parti e magliette con su scritto 'Santa Cruz' con un'onda stampata sopra. Insomma, parecchio figo.
Con il saluto dei serfisti( mignolo e pollice alzati i aria) - neanche a farlo a posta - mi salutò e mi fece cenno di avvicinarmi.
Arrivata davanti a lui non mi fece neanche abbracciarlo che aveva già iniziato a spiegarmi la situazione del giorno a venire: suo padre era riuscito in qualche modo ad incastrarlo per farlo lavorare per lui ogni lunedì e giovedì fino alla fine di luglio. Così mi aveva chiesto se andavo a fargli compagnia.

Iniziavo davvero a domandarmi se i miei amici mi avessero preso per una compagna da lavoro; solo in quest'estate erano già in quattro ad avermelo chiesto! Avrei potuto aprire una mia azienda.

Se vi annoiate durante il lavoro, se siete dei tipi socievoli che non possono stare senza qualcuno con cui stare, acquistate anche voi la vostra compagna da lavoro!
Solo dieci euro l'ora.

Sarei senza dubbio diventata milionaria…
Alzai con forza la sbarra della seggiovia e feci attenzione a non cadere scendendo.
In cinque minuti di camminata ero già arrivata nel centro del paesino in cui andavo a scuola. Presa una viuzza laterale alla strada principale, mi ritrovai davanti ad un camion che stava caricando mobili. Sorpassai il colosso che mi impediva di vedere l'entrata del negozio del padre di Jamie.
Aprendo la porta trasparente misi a fuoco il locale dalle parenti bianche. Un posto molto luminoso e ben arredato, in quanto fosse un negozio di arredamento.
Seduto dietro al bancone - che faceva da scrivania moderna - c'era Jamie che si destreggiava fra mille ricevute.
«Ciao bellissimo!» dissi poggiando la borsa sul bancone e andando da lui.
Poggiai le miei labbra sulla guancia e gli lasciai un bacio rumorosamente. Profumava del bagnoschiuma all'orodore di pini, adorabile.
«Hey, pronta per lavorare?» chiese con un sorriso convincente.
«Che cosa? Lavorare? Io sono venuta per vederti massacrare di fatica mentre scarichi i mobili dal camion e ora tu mi dici che devo faticare anch'io?» domandai colta dalla sopresa.
«Tu starai qui al bancone, devi solo dividere queste carte dalle ricevute.» mi spiegò.
«Ok, si può fare!» acconsentii prontamente. Fare da segretaria mi era sempre piaciuto.

«Sei figo così» urlai da dentro il negozio a Jamie, del quale si vedevano solo le gambe dietro ad un enorme divano che portavano in due.
«Vorrei vedere te che porti 'ste cose!» disse facendo il finto arrabbiato. Scoppiai a ridere insensatamente, come se nel resto del pomeriggio avessi fatto altro.
Subito dopo si sentì, da lontano, lo strusciare di un paio di scarpe da ginnastica contro la breccia.
«Aspetta Jamie, ti aiuto io!» disse una voce dando vita al paio di scarpe. Si capiva subito che colui non poteva essere di queste parti. Il suo accento forse un po' troppo inglese si distingueva benissimo fra il nostro scozzese.
E non c'è davvero nulla di peggio per uno scozzese che sentire un inglese parlare con il tipico e scocciante accento del sud, l'accento di Londra.
I londinesi si vantano di parlare un inglese perfetto, con una pronuncia ed una dizione da invidiare. Ma non è affatto così. Sicuramente noi della Scozia non saremo i migliori nell'esprimerci - dire 'a' al posto di 'e' è un vizio davvero brutto da togliere - ma almeno non ci vantiamo. Invece, quelli del sud… farebbero rabbia a chiunque!
E proprio per questo già mi stava simpatico. Come si dice, gli opposti si attraggono.
In tre riuscirono finalmente ad alzare il divano anche dall'altro lato, e gli si potettero intravedere le gambe.
Indossava dei pantaloni baige un po' calati sul sedere ed ad un occhiello della cintura era attaccato un capello rosso della Obey. Che senso aveva portarlo ai pantaloni?
Con molta lentezza riuscirono a trasportare il divano dentro e, dopo due minuti, l'avevano sistemato nell'altra stanza.
Ancora non avevo visto la faccia dell'inglese.
Jamie arrivò davanti a me con un balzo.
«Allora signorina - da quando mi chiamava così? - volevo presentarti mio cugino. È venuto qui dall'inghilterra, così in questi giorni ci aiuterà anche lui per il lavoro. Cerca di non essere troppo acida» gli feci una smorfia di rimando.
Ci scambiammo un rapido sguardo di intesa; in seguito prese aria nei polmoni ed iniziò a chiamarlo. «Conor!» si sentì rimbombare per tutto il negozio.
Conor, davvero, Conor? Davvero esisteva qualcuno al mondo che si chiamasse Conor!?
«Ma che razza di nome è» me ne uscii molto tranquillamente.
«Che razza di nome è Nim?» esordì 'Conor', sbucando da dietro la parete.
Alto, occhi azzurri, maglietta nera; «Come fai a sapere come mi chiamo?»
Labbra fine, pelle chiara «è stato Jamie ad illuminarmi» ed infine il sorriso: luminoso, vivace ed allegro risplendeva su tutto il suo viso.
«Sono Conor» si presentò porgendomi la mano.
«Nim, piacere» risposi mostrando uno dei miei migliori sorrisi. Afferrai la mano davanti a me. Da essa si poteva sentire il battitto del cuore lievemente accellerato del londinese.
«Non sei di queste parti, giusto?» domandai già sapendo la risposta e lasciando andare la sua mano.
«Sì infatti. Sono di Brighton, Inghil-»
«Brighton! La conosco, mio padre lavora lì vicino, a Newbury» intervenni io, non lasciandolo finire.
Sfoggiò di nuovo il suo sorriso.
Guardandolo un'altra volta nel volto notai un piccolo neo sotto l'occhio sinitro. Sembrava tanto un 'punto di riconoscimento personale', ma allo stesso tempo non risultava brutto su di lui. Al contrario, gli aggiungeva un non so che di particolare.
«Io dovrei andare a casa a sistemare le valige. È stato un piacere Nim! - mosse il capo indicandomi - Ci vediamo dopo Jamie.» E, salutando anche il cugino, si avviò verso la casa di quest'ultimo con il capello attacato ai pantaloni. La prossima volta che ci saremmo riincontrati gli avrei chiesto della sua utilità.
Non appena ebbe chiuso la porta, guardai Jamie.
«Allora?» chiesi senza aver fatto una domanda precedente.
«Allora cosa?» rispose il biondo non capendo.
«Perché non mi hai detto di avere un cugino che viene dall'inghilterra?!»
«Era una sorpresa il suo arrivo, per tutti quanti, non solo per te.» Ogni volta che affrontava questo discorso finiva sempre col dire che fossi 'Miss Universo'; il che da un lato non era del tutto falso, perché la mia modestia scarseggiava un pochino. Ma mi dava fastidio che pensasse questo di me. Almeno non me lo diceva alle spalle.
Ma come si dice, se si ama qualcuno si amano anche i suoi diffetti. Ovviamente il nostro è un amore fraterno.
Feci finta di non aver sentito c'ho che mi aveva detto e variai.
«Per quanto rimarrà?» mostrai un'espressione indefferente.
«Fino agli inizi d'agosto, non di più - prese un po' di tempo per pensare - perché, ti interessa?» chiese con un sorriso malizioso.
Guardai con gli occhi il cielo e sospirai rumorosamente «non mi può intessare una persona di cui conosco solo il nome il quale mi fa anche schifo» dissi con convinzione. Alzò un sopracciglio e mi guardò per farmi intendere che per me era proprio così. «No, no, no, no, no Jamie, non pensarlo neanche. Ma forse potrebbe essere il tipo da una sveltina e via…» ammisi abbassando lo sguardo.
«Nim!» mi richiamò giocosamente Jamie, anche se quello che gli avevo detto era la verità, forse.
Il cugino del mio migliore amico come *divertimento* estivo; era un'idea da prendere in considerazione.





Wellaaaaaa

Ho scoperto che anche Conor lo dice, mi sento realizzata adesso.
Salve a tutti!
Come avrete potuto notare non sono una che aggiorna velocemente e come avrete potuto notare mi piace dire "come avrete potuto notare", è la quarta volta in 2 capitoli che lo scrivo *faccia alla Conor nel video dell'aereoporto(?)*
Quindi è iniziato questo lungo flashback in cui, a volte, mi vedrete scrivere con alcuni verbi al presente, che stanno a significare che è una cosa che è ancora presente nel tempo reale della storia.
Ci tenevo a dirvi che l'intero capitolo l'ho scritto in presenza del mio gatto( ciao Ombra) che credo vi saluti tutti quanti - anche se sta dormendo - e vi chiede anche di recensire c:
Accetto sia le critiche che i commenti positivi, purchè più lunghi di 10 parole.
Mi dileguo, altrimenti sto qui a parlare per ore.
Grazie mille delle 7 recensioni al prologo, siete stati pazzeschi!
Un bacio,
Annie x


Cazzo quanto è bello.

  
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