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Autore: GretaTK    10/09/2012    2 recensioni
"Quello era il loro giorno di riposo dopo la conclusione ufficiale del nuovo album, e David, imprecando, si stava chiedendo perché allora il suo telefono di casa squillasse imperterrito, svegliandolo bruscamente e senza dargli pace. [...]
-Pronto?-
-Buongiorno, ehm… c’è David Jost per caso?- domandò una voce femminile dall’altra parte della cornetta.
Era troppo sottile e fragile per essere quella di una donna adulta, ma qualcosa in quel tono determinato ed ansioso nello stesso momento, aveva già una parvenza di maturità intellettuale più che fisica.
-Si, sono io, chi parla?-
-Sono Hanna-
-Mi dispiace, non conosco nessuna Hanna-
-Forse non mi sono spiegata bene. Sono tua figlia Hanna. Io e Lynet siamo appena atterrate ad Amburgo, puoi venirci a prendere?-.
Il silenzio di tomba che ne seguì fu la prova schiacciante di come il fiato di David si bloccò nel bel mezzo della sua gola, così come il cuore."
Tratto dal secondo capitolo.
Spero vi piaccia :) 
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutte!
Prima di lasciarvi al capitolo volevo solo dirvi che... questo non è l'ultimo! Sento sospiri di sollievo o mi sbaglio?! ;) ahahah
E' che scrivendo mi sono dilungata un pò troppo e alla fine si è creato un ulteriore capitolo :P
Vedo che il diciottesimo ha fatto scalpore.... spero sia lo stesso anche per questo!
Godetevi questo penultimo capitolo (questa volta per davvero!)
Fatemi sapere che ne pensate, ne sarei davvero enormemente contenta!
Un bacione a tutte,
GretaTK.




Capitolo 19, Se avessi la possibilità di cambiare il tuo destino, lo faresti?








Il Sole stava sorgendo, come ogni mattina. Era pallido e debole, ma c'era.
I suoi raggi lo raggiunsero, illuminandogli il volto, ma senza scaldarlo.
A causa del loro riflesso sulla neve, la luce era accecante.
Era una bella situazione, dopotutto.
Si voltò ad osservare la sveglia. Le nove del mattino.
Nonostante la stanchezza doveva costringersi ad alzarsi e prepararsi per una nuova sessione di interviste e photo-shoot, come al solito.
Insomma, era una mattina come tutte le altre, quella.
Il Sole spuntava all'orizzonte, la sveglia strillava esasperante e la colazione lo attendeva al piano di sotto.
Però, nonostante la solita routine, per Georg quel giorno era cominciato in modo completamente diverso.
Ed anche per le gemelle Jost ed i gemelli Kaulitz.
Persino per David.
Quella stessa sera avrebbero preso il volo per Amburgo, ed ognuno di loro si aspettava qualcosa di diverso dal loro ritorno in patria.
Il bassista proprio non riusciva a smettere di pensare alla sua Katline, a come l'avrebbe accolto, al suo profumo dolce, così intenso e rilassante da farlo sentire veramente a casa.
L'avrebbe stretta forte fra le braccia, come a sigillare una specie di patto fra loro che li avrebbe destinati a stare insieme per tutta la vita.
Le sue iridi verdi si sarebbero fuse con quelle ambrate di lei, ed un sorriso enorme sarebbe comparso su entrambi i loro volti.
Sarebbero stati felici di nuovo.
Realmente felici di nuovo, perché sarebbero stati insieme.
Completi come non mai.
Già il cuore gli batteva all'impazzata nella cassa toracica al solo pensiero.
Ma poi, senza poterne fare a meno, si ritrovò a pensare di essere uno schifoso egoista.
Certo, lui era contento di tornare a casa dalla donna della sua vita, da sua madre, dai suoi vecchi amici. Ma i suoi compagni di viaggio sarebbero stati altrettanto euforici di questo?
Certo che no.
Loro avevano paura a tornare.
Se avessero potuto non avrebbero rimesso mai più piede in Germania. Avrebbero di gran lunga preferito girare il mondo intero senza fermarsi mai, piuttosto.
E come dargli torto? L'ombra scura e spaventosa di Karoline incombeva su di loro e sul loro destino decisamente in bilico precario.
Era tutto così incerto ed insicuro, per loro.
Poteva solo immaginare come si sentissero persi e terrorizzati. Per non parlare di David, povero.
Il manager avrebbe avuto i nervi a fior di pelle tutto il giorno, e quello dopo ancora, ne era assolutamente certo.
Era sicuro anche del fatto che non avesse minimamente chiuso occhio, quella notte.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma aveva come avuto la sensazione di captare la sua angoscia.
Infatti, durante il sonno, aveva fatto sogni agitati e confusi, di quelli che non ti ricordi cosa succede, ma la sensazione di pesantezza che ti grava sul cuore rimane lì per tutto il giorno.
E Georg riusciva unicamente a pensare che quelle sensazioni gli fossero state trasmesse proprio dall'uomo.
Sospirò demoralizzato, mettendosi seduto sul letto con i piedi per terra.
Appoggiò i gomiti sulle ginocchia, ed il viso fra le mani grandi e callose.
Tutt'a un tratto si sentì svuotato.
Nemmeno il pensiero di Katline riusciva a risollevarlo completamente.
Si rendeva conto solo in quel momento che, mentre lui non aveva desiderato altro che tornarsene a casa fra le braccia della sua ragazza, i suoi amici ed il suo manager stavano soffrendo come mai prima d’allora.
E sì sentì un emerito stronzo.
Per aver pensato solo a sé stesso.
Egoista.
Per aver consolato i suoi amici senza averli in realtà capiti davvero.
Ipocrita.
Per aver gioito mentre loro soffrivano.
Insensibile.
Intrufolò le dita fra i suoi lisci capelli castano ramati, stringendoli con tutta la forza che gli rimaneva.
In quel momento credette che non sarebbe più stato in grado di muoversi da lì, nemmeno se avesse avuto Kat ad un solo metro di distanza intenta ad invocare supplichevole il suo nome.
 
 





 

 

[ *** ]










 
 
 
Aveva assaggiato appena un angolino del suo toast prosciutto, pancetta, formaggio e uovo.
E già gli veniva da star male.
Eppure tutte le mattine Gustav si ingozzava come un matto di quei toast che lui amava tanto.
Quel giorno, però, non era proprio in vena di mangiare.
Il suo sguardo era vuoto, ed il suo stomaco chiuso.
Come tutti gli altri, del resto.
Georg aveva bevuto un sorso del suo succo d'arancia e dato un morso ad un muffin alla vaniglia, abbandonando poi il tutto sul piatto e cominciando a giocherellarci distratto.
Bill aveva preso solo una tazza di caffè amaro, ma appena l'aroma gli aveva sfiorato le narici, aveva riposato la tazza sul piattino, togliendosi dalla testa di provare almeno ad assaggiarlo.
Tom, invece, aveva bevuto un bicchiere di acqua e successivamente tentato di mandar giù almeno un morso di quel waffeln ricoperto di zucchero a velo, ma i risultati erano stati decisamente scarsi, dato la fatica che aveva fatto per ingoiarlo.
Le due gemelle invece non avevano nemmeno fatto finta di provarci.
Si erano sedute ai loro posti senza nemmeno prendere qualcosa da bere dal tavolo del buffet.
Fissavano un punto non ben definito sul tavolo, in silenzio e perse in pensieri tutti loro.
E si tenevano per mano.
Quella era l'unica cosa che erano in grado di fare, in quel momento.
Solo quello, niente altro.
E David le osservava, osservava tutti.
Faceva scorrere il suo sguardo preoccupato e ferito su ognuno di loro, notando che nemmeno lui aveva toccato cibo, proprio come i suoi ragazzi e le sue bambine.
Quella situazione stava prendendo una piega decisamente insopportabile.
Nemmeno Natalie era riuscita a bere più di una tazza di caffè latte.
E pensare che dovevano tutti affrontare una giornata pesante.
Nonostante fosse l'ultimo giorno a Tokyo, loro avrebbero dovuto darsi un gran da fare.
Ma ce l'avrebbero fatta? Aveva fiducia in loro, ma il manager era sicuro che non sarebbero mai stati in grado di dare il cento per cento di loro, soprattutto Tom e Bill.
Avrebbero dovuto affrontare due interviste radiofoniche, avrebbero avuto appena il tempo di mettere qualcosa sotto ai denti per poi cominciare con delle interviste per tre riviste diverse, comprendendo anche i photo-shoot.
Verso le cinque, se tutto fosse andato bene, sarebbero stati di nuovo in hotel, dove avrebbero fatto i bagagli e si sarebbero preparati per raggiungere l'aeroporto, dato che dovevano essere là due ore prima della partenza.
E poi era tutto un grande punto interrogativo.
Nessuno sapeva cosa sarebbe successo dopo. Sapevano solo che, se avessero potuto, avrebbero evitato quella partenza in qualsiasi modo, oppure avrebbero cambiato destinazione.
Purtroppo per loro una cosa del genere non era minimamente pensabile, e si sarebbero dovuti adeguare ai doveri e alle loro responsabilità senza fiatare.
E per ora, la voglia di controbattere e opporsi, non ce l'aveva proprio nessuno.
Nemmeno Tom, che solitamente si divertiva a mettere in discussione tutte le decisioni del manager.
Vederlo così silenzioso e preoccupato non poteva che far accrescere in lui la paura.
Il maggiore dei Kaulitz aveva sempre affrontato ogni situazione a testa alta e del tutto sicuro di sé, tanto da sembrare solamente uno sbruffone egocentrico, eppure era sempre stato lui a confortare Bill, a caricarsi di responsabilità, nonostante sembrasse così svogliato e buono solo a scherzare e a provarci con le ragazze.
Ma Tom era più di questo, e se perdeva lui la speranza, la perdeva automaticamente anche Bill.
Lui, che era così disperatamente dipendente dal gemello, sarebbe stato perso senza il suo punto fermo che era il chitarrista.
D'altronde cosa avrebbe potuto fare vedendo il suo appiglio crollare? Sarebbe crollato insieme a lui, e a catena sarebbe sprofondato tutto il resto, comprese le sue figlie.
E pensare che tutta quella sofferenza e paura erano provocate da una sola persona lo faceva arrabbiare, gli faceva del tutto perdere il controllo.
Era tutta colpa di Karoline.
Solamente colpa sua.
Se l'avesse avuta di fronte in quel momento sarebbe persino stato in grado di picchiarla da quanto era forte la rabbia in lui.
Voleva fargliela pagare in ogni modo possibile, solo quello, e sapeva che, impegnandosi con tutto sé stesso e lottando per quello che voleva, ce l'avrebbe fatta.
L'avrebbe sconfitta, oh se l'avrebbe fatto!
Ed in un modo talmente perfetto che lei non sarebbe più tornata.
David, le gemelle ed i ragazzi avrebbero potuto continuare a vivere la loro vita senza la paura di perdersi.
E quel giorno sarebbe arrivato presto.
Quel giorno era proprio lì, dietro l'angolo, e quello stesso giorno loro si sarebbero sentiti invincibili come mai prima d'allora in tutta la loro vita.
 
 










 

 

[ *** ]










 
 
 
Quella giornata era stata noiosa e lugubre, nonostante il Sole non avesse mai smesso di brillare.
Eppure il tempo era passato così in fretta.
Sembrava tutto così surreale: il vento freddo, il suono assordante dei clacson per le vie della città, il sapore delizioso del sushi fresco.
Era come vivere un sogno sfocato, dove nessuno dei sensi era abbastanza potente per poter vedere in modo nitido, per poter gustare il sapore del cibo, per poter ascoltare i rumori che li circondavano.
Avrebbero solo voluto che quello fosse un brutto incubo, e che al loro risveglio si sarebbero ritrovati nei loro comodi letti l'uno fra le braccia dell'altra.
Avrebbero tirato un sospiro di sollievo e sarebbero tornati a dormire con un gran sorriso stampato sul viso.
Ma erano svegli, e lo sapevano fin troppo bene.
-Siete stanche, vero?- mormorò David, accarezzando le guance di entrambe le figlie ed abbracciandole con lo sguardo -Ancora un photo-shoot e poi possiamo andare in albergo-
-Vorrei che questo servizio fotografico durasse per sempre, allora- sussurrò atona la mora, facendo attenzione a tenere lo sguardo ben piantato a terra.
La bionda invece non disse niente, limitandosi a lanciare una veloce occhiata alla gemella per poi tornare a fissare anch'essa un punto impreciso di fronte a sé.
-Bambine mie...- all'improvviso una voce stridula e acuta si propagò per tutta la stanza, interrompendo il manager sul nascere.
-Insomma, non riesco a capire cosa vi prende!- esclamò furioso il fotografo, evidentemente omosessuale -Non vi state impegnando nemmeno un po’! Cosa sono quei musi lunghi e quegli sguardi vuoti?! Tirate fuori qualche emozione perdio!-.
Gustav e Georg si guardarono nello stesso istante, tristemente, per poi spostare la loro attenzione sui gemelli.
Bill aveva abbassato lo sguardo, inerme a qualsiasi cosa, a qualsiasi parola.
Il suo sguardo trasudava disperazione.
Tom invece, come da prassi nel suo carattere, venne attraversato da un lampo di rabbia, e all'improvviso i suoi occhi si colmarono di fuoco.
-Vuoi qualche emozione?!- esclamò furibondo contro il fotografo, puntandogli un indice davanti al petto -Vuoi qualche cazzo di emozione?!- urlò più forte, avvicinandosi a lui mentre quest'ultimo faceva un passo indietro per la paura.
-Tom, smettila- riuscì a riprenderlo il gemello, guardandolo preoccupato.
Lui però non l'ascoltò.
-Eccoti un'emozione!- disse, prima di sollevare lo sgabello sul quale era seduto e lanciarlo contro lo sfondo del set, lasciandoci un grosso buco nel mezzo.
Dopo di che se ne andò, uscendo dalla stanza a grandi falcate.
-Tom, ma sei impazzito?!- gli urlò dietro Bill, già pronto a rincorrerlo, ma Hanna lo bloccò.
-Voglio andarci io-.
Lo guardò dritto negli occhi nocciola, implorandolo senza l'uso di parole.
Il cantante sospirò, distogliendo lo sguardo dalle sue iridi grigio verdi, per poi dare il suo consenso con un solo cenno del capo.
Lei non perse tempo, voltandosi immediatamente per raggiungere il chitarrista.
Sapeva perfettamente che si sarebbe diretto all'esterno dell'edificio per fumare una o due sigarette col tentativo di scaricare la tensione.
Cosa che non gli sarebbe sicuramente servita.
Tom per sbollire aveva bisogno del tempo. Non molto, a dirla tutta, ma solo di quello.
Appena Hanna aprì la porta d'entrata, lo cercò con lo sguardo, trovandolo subito.
Se ne stava in piedi in fondo alla scalinata dell'edificio, aspirando nervosamente dal filtro di una sigaretta.
Per un primo momento la ragazza non seppe cosa fare.
Se ne stette qualche secondo ferma in cima alle scale a pensare, decidendosi poi a raggiungerlo.
Non aveva idea di come comportarsi. Avrebbe dovuto chiamarlo o semplicemente arrivargli accanto?
Prese un respiro profondo e silenzioso, e lo abbracciò stretto stretto da dietro.
Lui, preso alla sprovvista, sobbalzò, facendo poi cadere lo sguardo sulle mani appoggiate sul suo addome.
Capendo subito chi fosse si calmò, sovrastando una delle mani di Hanna con la sua.
Sospirò pesantemente, chiudendo gli occhi e godendosi il torpore di quel corpo avvinghiato a sé.
-Fortuna che sei tu- sussurrò caldamente, accarezzandole un braccio -Se era Bill a quest'ora uno dei due era sicuramente morto. Probabilmente io-.
Il ragazzo ridacchiò fra sé e sé senza alcun sentimento, ed Hanna si alzò sulle punte per lasciargli un bacio sul collo.
Dei forti brividi lo invasero, e dopo aver buttato via la sigaretta che teneva fra le dita, si voltò verso di lei, prendendole il viso fra le mani.
Hanna lo guardò intensamente, e poi abbassò le palpebre, incapace di reggere un secondo di più il suo sguardo, e gli baciò il palmo della mano.
-Hai esagerato- gli disse, senza alcun tono di rimprovero nella voce -E poi sono io quella impulsiva-
-Mi dispiace- rispose lui, appoggiando la fronte sulla sua.
-Sei sempre il solito- sussurrò con difficoltà lei, trovandosi ad un solo centimetro dalle labbra di Tom.
-Se non fossi così però non ti piacerei così tanto, no?- gli chiese lui ammiccando, lanciando uno sguardo furtivo alle sue labbra dischiuse.
-Forse hai ragione- rispose Han con voce roca, lasciandosi completamente andare al bacio caldo e passionale del chitarrista.
Le dita di Tom penetrarono in profondità fra le mosse ciocche biondo grano di Hanna, attirandola maggiormente a sé.
Voleva sentirla ancora più vicina, come se quel contatto con gli bastasse, e sapeva con assoluta certezza che mai gli sarebbe bastato.
O più semplicemente non ne avrebbe mai avuto abbastanza di lei.
Hanna, a quell'esplicito bisogno di Tom di sentirla vicina, gli allacciò le braccia attorno al collo, stringendolo più che poteva.
I loro corpi erano l'uno completamente attaccato all'altro, eppure loro volevano di più.
-Vorrei tanto poterti ammanettare a me per poterti avere accanto senza aver paura che qualcuno possa portarti via-
-Non succederà più Tom, te lo prometto-.
E per suggellare quella specie di patto vincolante, lo baciò per l'ennesima volta.
 
 
 







 

 

[ *** ]

 
 









 
 
-E' un imbecille, ecco che cos'è!- sbraitò Bill fuori di sé, inveendo contro il gemello -Si è comportato da stupido come al solito! Perché lui deve sempre farsi vedere, no? Perché se non recita la parte del figo non è contento!-.
Il cantante camminava su e giù per il loro camerino, gesticolando come un matto.
-Bill- lo chiamò Lynet, senza risultato.
-Oh no, spariamo parolacce a raffica e lanciamo le cose, tanto io posso fare tutto perché sono Tom Kaulitz!-
-Bill, calmati. Stai andando fuori di testa come tuo fratello-.
Finalmente, a quelle parole, il vocalist fermò la sua intensa e logorroica parlantina, bloccandosi nel bel mezzo del camerino.
Incatenò le pupille con quelle della mora, riprendendo fiato.
Lyn si alzò dal divanetto sul quale era seduta, avvicinandosi a lui senza interrompere il loro contatto visivo.
Gli prese le mani fra le sue, stringendogliele forte, appoggiando successivamente la fronte alla sua.
Chiuse gli occhi e respirò a fondo il suo profumo, facendosi inondare da una sensazione di pace che niente altro al mondo era in grado di darle.
-Calmati, non serve a niente arrabbiarsi. Lo sai anche tu come si sente in questo momento. E' spaventato e preoccupato, e sai meglio di me che sa essere veramente impulsivo quando vuole. Ora però non ha bisogno di rimproveri, ma solo di sentire che le persone che gli vogliono bene gli sono accanto, tutto qui-.
Era incredibile il modo in cui Lynet aveva capito Tom, e la cosa che lo lasciava ancora più basito era che, a causa della rabbia nei suoi confronti e nella voglia si scaricare la sua preoccupazione su chiunque gliene avesse dato l'occasione, Bill non l'aveva capito.
-Hai ragione- concordò lui, slegando le dita da quelle della ragazza per abbracciarla -Come farei se non ci fossi tu che costantemente mi riporta sulla giusta strada?-
-Ah non lo so, ma non credo che resisteresti a lungo- rispose lei sogghignando, stringendo le braccia attorno al busto del vocalist.
-Purtroppo devo darti ragione per una seconda volta- sussurrò, lasciandole un leggero bacio sul capo.
-Come sarebbe a dire purtroppo?!- esclamò indignata lei, alzando il capo per poterlo guardare negli occhi.
Lui scoppiò a ridere, stringendola ancora più forte per non farsela scappare.
-Che stronzo! Lasciami!- esclamò Lynet, tentando di recitare bene la parte dell'offesa.
-Non te lo ricordi?- domandò improvvisamente serio lui, fissandola intensamente.
-Cosa?- chiese confusa lei, tentando in tutti i modi di capire a cosa lui si riferisse.
-La sera del nostro primo bacio ti ho detto che ti avrei stretta a me e non ti avrei più lasciata andare, ed è quello che ho intenzione di fare-.
Lynet non seppe spiegare cosa provò in quel momento, era un'emozione troppo grande da poter essere espressa a parole.
Probabilmente si sentì come se avesse finalmente trovato il suo destino.
Ed effettivamente, era proprio così.
 
 
 









 

[ *** ]

 
 
 









 
-Mi dispiace tanto per quello che è successo. Purtroppo i ragazzi oggi sono un po’ alterati e Tom è difficile da gestire, certe volte-.
Come al solito il manager si ritrovava a mettere a posto i casini che quei quattro mettevano in piedi.
In questo caso di uno solo di loro, quello che di guai ne causava più di tutti.
-Per quanto i problemi che hanno possano essere gravi non credo che sia l’atteggiamento giusto per affrontarli, questo- esclamò irritato il fotografo, mettendo a posto le sue attrezzature.
-Le pagheremo i danni per il telo, ma la prego, finisca il servizio fotografico. Le prometto che non succederà più nulla del genere-.
L’uomo ci pensò per qualche secondo, per poi sospirare sconfitto ed accettare la richiesta di David.
-Quel ragazzo deve capire che per quanto sia ricco, famoso e reclamato dalle donne di tutto il mondo, non gli è comunque concesso di fare quello tutto che vuole quando meglio crede-.
-Non ha nemmeno idea di quanto concordo con lei- rispose David esasperato, sollevato dal fatto che, al mondo, qualcuno la pensava come lui, una volta tanto.
 
 
 









 

 

[ *** ]

 
 
 










 
Erano le cinque, ed erano appena arrivati in hotel.
Non si erano mai sentiti tanto infelici di tornarsene in albergo in tutti quegli anni di tour e viaggi promozionali.
Era la prima volta che desideravano con tutti loro stessi di arrivare in ritardo, così da non riuscire a preparare i bagagli e raggiungere l'aeroporto in tempo per prendere il loro volo.
Prima che i ragazzi riuscissero a mettere piede nell'ascensore insieme alle gemelle, il manager li richiamò.
-Lo so che nessuno di voi è entusiasta di tornare, ma vi voglio tutti pronti per le sei spaccate. Se pensate che non preparare i bagagli per perdere l'aereo sia una mossa da furbi, vi sbagliate di grosso, perché non mi interessa come vi troverò a quell'ora, vi trascinerò comunque con me, a costo di portarvi fuori dall'hotel in mutande. Sono stato abbastanza chiaro?-.
Nessuno rispose a parole, si limitarono tutti a scuotere il capo in segno d'assenso.
-Bene- disse come ultima cosa il manager prima di voltarsi e raggiungere il bancone della reception.
Intanto, nell'ascensore, nessuno sembrava aver voglia di parlare.
Ognuno di loro teneva la testa bassa, aspettando in silenzio di arrivare al loro piano.
-Sapevamo che prima o poi questo giorno sarebbe dovuto arrivare- esclamò ad un certo punto Bill.
-Questo non significa che sia la fine di tutto- controbatté Lynet decisa, alzando lo sguardo sul suo ragazzo.
-Ho sempre amato tanto questo lato di te che non perde mai la speranza, ma questa volta credo che non basterà sperare nell'impossibile-
-E chi ti da la garanzia che sia impossibile averla vinta su Karoline? Non è invincibile, né un Essere Divino, è semplicemente un Essere Umano. Forse solo un po’ troppo furba e sicura, ma pur sempre una donna senza superpoteri-
-Che provi anche solo a presentarsi a casa di David- prese parola Hanna, puntando la sua attenzione su Bill -E la prenderò a sberle fino a farla diventare viola. Vedrai come cambierai subito idea sul fatto che lei sia sovrannaturale- terminò decisa, incrociando le braccia al petto.
-Lo sapevo che io e te siamo uguali- disse Tom sorridendo sghembo -A volte mi spaventa addirittura un po’ la cosa- terminò, passandole un braccio sulle spalle ed attirandola a sé.
Il sonoro e metallico ding dell'ascensore li avvisò che erano arrivati a destinazione.
I ragazzi uscirono da lì con passo lento, dirigendosi come al solito alle rispettive stanze.
Quando ognuno si trovò dinnanzi alla propria porta, si guardarono tutti, uno per uno.
Non dissero niente. Dare aria ai loro pensieri era inutile, perché tanto i loro occhi tristi e le loro espressioni preoccupate dicevano tutto ciò che c'era da sapere.
E, come per incoraggiarsi, tentarono di scambiarsi un sorrisetto appena accennato, prima di entrare nelle loro suite del tutto privi della voglia di ribellarsi, consci ormai del fatto che, al loro destino, non sarebbero potuti sfuggire per sempre.
Era tempo di fare i conti col fato, che loro lo volessero o no. 

  
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