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Autore: Ilarya Kiki    12/09/2012    1 recensioni
La vita di Amy Wong fa schifo.
Lavora sottopagata in un call-center in una cantina, vive sola in un monolocale nel peggior sobborgo della sua città, Leadenville, con un dirimpettaio invadente e le bollette con cui fare i conti.
Ogni notte va ad ubriacarsi e vaga, solitaria, per le strade notturne come un fantasma…
Finché non si imbatte in una strana ragazza dai capelli rossi.
Quell’incontro stravolgerà la miserabile esistenza di Amy, e la farà intrecciare con i fili rossi dei destini di innumerevoli creature in un misterioso disegno più grande, l’ordine del mondo e l’equilibrio tra bene e male,
fino a risalire al suo oscuro e terribile passato.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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13 Luglio, afoso pomeriggio estivo.

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“Amy, corri! Niente cena sennò!”
La voce di sua madre attraversò il giardino bonaria, in pieno contrasto con l’allegra minaccia che stava pronunciando.
“Mamma! Un secondo, è successa una cosa!” rispose la voce di Amy, mentre la ragazza scendeva di volata dal motorino, facendo quasi rotolare giù sull’asfalto della strada davanti al cancello il suo altro occupante, e correva a perdifiato sul vialetto fino ad affacciarsi alla finestra spalancata della cucina, dietro la quale sua madre armeggiava tra i fornelli e le stoviglie.
La madre sorrise, vedendo la figlia tutta trafelata.
Era un afoso pomeriggio estivo, o più precisamente fine pomeriggio, poiché in realtà l’ora era piuttosto tarda –più o meno le 19 meno un quarto-, ma il sole vivo e brillante persisteva a scaldare come in pieno giorno, forse solo un po’ più obliquo, come accade in ogni assolata giornata d’estate.
Era quell’ora insomma in cui tutto il mondo comincia progressivamente a tingersi d’oro caldo, l’ora in cui nel cuore di tutti si fa strada il desiderio di godersi le ultime mezz’ore di luce, di stare accanto ai propri cari, il vago e tenero sentore di essere in pace col mondo, stringendosi al proprio innamorato.
La luce d’oro entrava calda nella bella cucina, ed accarezzava l’erba un po’ ingiallita ed i cespugli del giardino.
“Allora? Cos’è successo di così eclatante?”
“Serji mi ha invitata a cena fuori stasera! Adesso!”
La donna spostò lo sguardo sul ragazzo a cavalcioni del motorino davanti al cancello, il quale sorrise un po’ imbarazzato e salutò con la mano. Come al solito, storse un po’ il naso guardando i suoi jeans rattoppati ed i suoi piercing, ma poi sospirò, sorridendo e simulando una resa giocosa.
“Sai mamma, oggi facciamo tre mesi, e…”
“Ma sì, ma sì. Dai, sbrigati, non vorrai mica farlo aspettare tutta la notte, eh.”
“Grazie mamma!”
“Guarda però che stasera c’era la torta-gelato. Ma sia, scelta tua.”
“Tenetemene da parte una fetta!” gridò Amy mentre già correva verso il cancelletto, andandosi a scontrare precisamente di faccia contro suo padre, di ritorno dal lavoro. L’uomo lanciò un imprecazione a mezza voce nello scontro, ma poi mutò umore quando vide la faccia gioiosa di Amy, e la salutò allegramente con una pacca sulla spalla.
Serji aveva già inforcato il manubrio ed acceso il motore quando Amy saltò sul sellino minuscolo, non adatto realmente ad ospitare più di una persona, agganciandosi la fibbia del casco sopra la folta chioma.
Il motorino scoppiettò e partì sgommando, lasciandosi alle spalle la bella casa inondata di sole, e la ragazza circondò il ragazzo con le braccia, reggendosi a lui per non cadere durante il breve tragitto fino al parco ed i suoi prati.
Aveva 18 anni, era innamorata, ed era felice.

Il parco di Leadenville era ancora pieno di ragazzini che prendevano a calci palloni, a quell’ora, ma Amy e Serji sapevano che presto sarebbero tutti fuggiti via dall’ombra e dal vento fresco della sera per correre a cenare dalle loro famiglie, ed il prato sarebbe finalmente stato tutto per loro.
Serji smontò dal vecchio motorino e lo incatenò ben bene ad un palo della luce appena fuori i cancelli del parco, facendo sferragliare il lucchetto, e poi si tolse la vecchia cartella che portava indossata al contrario e se la rimise addosso nella sua giusta posizione, dietro le spalle –per permettere ad Amy di salire sul motorino infatti aveva spostato la sacca sul davanti, e la sua ragazza lo aveva preso in giro perché sembrava che fosse “incinto”-.
Stesero la coperta di plaid che si erano portati sull’erba, lontano dalle radici scomode e dure degli alberi vicino al sentiero, ed Amy prese ad armeggiare dentro lo zaino, per scoprire cosa le aveva preparato Serji per quel picnic estivo. Mentre estraeva una vaschetta di plastica, notò che il suo ragazzo si era seduto sull’erba, invece che sul telo.
“Cosa ci fai lì?” chiese, alzando un sopracciglio.
“Assorbo l’energia della terra.” Rispose lui, sorridendo in modo complice e cominciando a togliersi scarpe e calzini –spaiati-. “Camminare con le scarpe su strade ricoperte di cemento ci fa male, perdiamo il contatto con la nostra terra. Non lo sapevi?”
“Sei un fricchettone del cazzo.” Amy sorrideva. Amava quel suo essere fricchettone del cazzo.
“Credi che sia roba da fricchettoni? E allora secondo te perché quelli che praticano le arti marziali vanno in giro a piedi nudi, perché gli puzzano?” Mimò con un gridolino in stile Bruce Lee una mossa di cunfù, finendo per rotolare sul prato e per scagliare con una scarica di calci innocui i suoi piedi non proprio puliti davanti alla faccia di Amy. Lei simulò una faccia schifata, senza però riuscire a trattenersi dal ridere.
“Fa bene a volte tornare in contatto con la terra, ti disintossica.”
“E tu ti rotoli nell’erba? In mezzo alle cacche di cane?”
“Ehi, ma che schifo! Non avrà mica cagato qualche cane, qui in giro!”
Serji si rialzò in piedi di scatto, cominciando a controllarsi i vestiti nell’eventualità di aver pestato qualche “ricordino”, tra le risate di Amy.
“Scherzavo, dai! Vieni qui!”
Il ragazzo finalmente si sedette accanto ad Amy, ma prima che lei potesse accorgersene le aveva afferrato i fianchi ed aveva cominciato a farle il solletico, facendola ridere e dimenare fino alle lacrime, e gridando “Tiè la cacca di cane! Sporcati, sporcati!”. Qualche passante si voltò verso la coppia, arricciando il naso.
La luce del sole stava lentamente morendo, infiammando i capelli pel di carota del ragazzo ed illuminando di riflessi miele quelli della ragazza, castani.
“Allora, quando pensi di tingerli?” chiese Serji, stendendosi sul telo con le braccia incrociate dietro la nuca, con la testa appoggiata sul grembo di Amy.
“Dai, finiscila! Te l’ho detto un milione di volte che mia madre m’ammazzerebbe!”
“Ma cosa gliene frega a lei? I capelli sono i tuoi, mica i suoi.”
Amy accarezzava il sogno di tingersi i capelli con qualche striscia di un colore assurdo già da qualche tempo, ma era perfettamente consapevole dell’impossibilità della cosa e di tutte le possibili, tremende conseguenze che questa avrebbe portato. Chiusa in casa per un mese, come minimo.
Serji però non si faceva problemi a farle proposte del genere, non aveva di questi pensieri, lui: era libero. Se n’era andato da casa sua già da un paio d’anni –una facoltosa famiglia di industriali- dopo aver litigato con suo padre. Amy aveva ascoltato quella storia almeno un milione di volte: suo padre pretendeva che si iscrivesse alla facoltà di economia, ma lui aveva tutt’altre idee, e così era uscito di casa ed era diventato attivista di Greenpeace. Sembrava avere in mente solo di salvare il mondo dai quei capitalisti come suo padre che inquinavano il mare, il cielo e la terra, quel fricchettone.
Amy sorrise tra sé e sé, poi vide il tramonto e pensò che era una luce perfetta per una bella fotografia.
“Ehi, che fai!?”
“Dai, sorridi! Cheeese…”
Amy aveva tirato fuori dalla tasca la sua polaroid e l’aveva piantata in faccia al suo ragazzo steso sopra di lei, oscurandogli la visuale, e lui rotolò fuori da quell’inquadratura oscena mettendosi a ridere.
“Se vuoi fare una foto, falla bene!” ma non aveva finito di parlare che Amy aveva gia scattato.
“Mi sa che sei venuto con la bocca aperta.”
“Dai! Ma ti stavo parlando!”
“Domani la faccio sviluppare e scopriremo se sei davvero così brutto.”
Serji non era per nulla brutto, anche se non tutti riuscivano ad apprezzarlo: la sua carnagione chiara era macchiata qua e là da qualche vaga ombra di lentiggini, i suoi capelli “arancioni” erano folti, sempre indomabili e spettinati sopra la sua testa, ed Amy adorava infilarci le mani in mezzo e scompigliarli ancora di più. Inoltre, aveva un gran bel fisico –grazie a tutto il moto che faceva, sempre in prima linea con i suoi compagni del circolo ambientalista di Leadenville- anche se la cosa che attirava maggiormente l’attenzione erano sicuramente i piercing: ben due gli bucavano il labbro inferiore, uno da una parte ed uno dall’altra, aguzzi e luccicanti come i canini metallici di un vampiro, ed un altro perforava la radice del naso, tra le due sopracciglia. Per non parlare della sfilza di orecchini più un espansore di legno scuro che ornavano le sue orecchie.
Amy era convinta che stesse cercando di trasformare anche lei in una specie di puntaspilli vivente, ma la cosa non le dispiaceva per niente, anzi, la eccitava: per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, e voleva sentirsi anche lei un po’ ribelle, in guerra contro l’umanità per difendere il mondo dalla sua stessa stupidità.
La stava quasi convincendo a farsi fare un piercing al labbro.
“Ho fame. Dai, apri la scatoletta!”
Amy si decise finalmente a tirare fuori il cibo, e scoprì che Serji le aveva preparato le sue polpette speciali, così si misero a mangiare semi-sdraiati sul prato, scherzando ed imboccandosi a vicenda.
Fu una serata speciale, incantata dalla luce soave e magica della luna piena.
Quando furono più o meno le due e mezza, decisero che era ora di tornare a casa.

Le luci delle sirene della polizia e dell’ambulanza furono visibili già dall’inizio della via.
Amy e Serji le trovarono parcheggiate attorno alla bella casa di Amy: carabinieri e medici correvano dappertutto, e qualche vicino impiccione era sceso con una vestaglia sulle spalle.
Duplice omicidio: il signore e la signora Wong erano stati uccisi da ripetuti colpi di pistola, che li avevano colpiti alla testa ed al cuore.

Amy non ricordava molto, di quella sera.
Aveva pianto, sì. E poi c’era Serji.
Ricordava bene un volto, un ragazzo dalla faccia feroce, gli occhi annebbiati e pesti, capelli neri e labbra carnose, spinto a forza in manette in una gazzella. Ed un nome: Chester Dos Santos.
Una sentenza troppo lieve: sette anni di carcere, per duplice omicidio colposo ed appartenenza al circolo delle Bestie di Satana. Erano delinquenti che asserivano di fare sacrifici in nome del diavolo, e sotto l’effetto di droghe pesanti compievano i più efferati omicidi. I suoi genitori erano stati scelti come vittime sacrificali, le avevano spiegato i carabinieri, ed il loro omicidio avrebbe dovuto far parte di uno di quei terrificanti ed assurdi rituali.
La sua vita finì con l’esistenza dei suoi genitori.
Quella fu la prima delle due grandi “fini”.

“Poi…andai a vivere con Serji…finii la scuola e mi unii anch’io al suo circolo…mi tinsi i capelli e mi feci il piercing…”
“E poi?” chiese Cherì, con un sussurro.
“E poi…due anni dopo siamo riusciti ad unirci ad una spedizione nel pacifico, su una barchetta, contro le baleniere giapponesi…Serji ha preso il tetano…e poi…”
Amy singhiozzava, stretta tra le braccia di Tarja e Davey, che si erano seduti accanto a lei sul letto. Cherì le stringeva una mano, accoccolata sul pavimento davanti a lei. Tutti restavano in un profondo e rispettoso silenzio, mentre lei raccontava.
“Quella foto…” continuò la blu, indicando il sorriso immortalato in pellicola appeso sopra il comodino “…è quella che gli ho scattato con la polaroid quella sera.”
Allungò la mano e la staccò dal muro, stringendola al petto.
“Dovevamo salvare il mondo…”
Scoppiò in un pianto ancora più disperato, liberatorio, sentendo uscire dal suo cuore quel dolore tremendo, vivo, mai cancellato, che usciva come un torrente irrefrenabile, una volta distrutta la diga.
Erano passati cinque anni, tre dalla morte di Serji.
Tre anni passati ad ingoiare la vita amara, acida di solitudine, vuota, lacerata, senza scopo. Che scopo avrebbe avuto vivere, se tutto ciò che aveva amato le veniva strappato via dal destino crudele?
Ma che razza di vita era?
Aveva affondato tutto con l’alcool e la solitudine, aveva provato a diventare insensibile come una scatola vuota, ad isolarsi da quelle emozioni che avrebbero potuto ricordarle la sua vita di prima, ad allontanarsi da tutto ciò che avrebbe potuto perdere di nuovo, a non soffrire più in un alternarsi di giorni tutti vuoti come il suo cuore, tutti ugualmente inutili e odiosi…
Ma quel dolore non era mai scomparso, anzi, forse era cresciuto, ed ora stava sgorgando fuori dalle sue lacrime e dalle sue urla facendola a brandelli.
Cristo, se faceva male.
Sentì le braccia di qualcuno che la stringevano forte, che le impedivano di disfarsi in mille pezzi, che la tenevano in piedi e le ricordavano che, in realtà, in fondo adesso non era così sola.
“Puoi ancora salvare il mondo.” Disse la voce di Davey.
Annette era ancora sul divano, e guardava la scena in silenzio.
“Basta che continui a crederci.”

Amy pianse per diverso tempo, poi si calmò un po’ ed affermò di avere un urgentissimo bisogno di sonno e riposo, che non ce la faceva più. Tutti furono d’accordo e con lei e così si ritirarono a dormire. Davey le rimboccò le coperte.
Amy si addormentò quasi subito: stava malissimo, ma si sentiva dentro qualcosa di nuovo. Come se il masso pesantissimo che portava nel cuore si fosse sciolto tutto, lasciando una ferita aperta.
Si addormentò così, leggera, mentre nel suo petto sanguinante già cominciava a nascere tenera pelle nuova.
  
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