I l R i t r a t t o
L'allievo
era un ragazzo molto silenzioso.
Amava
osservare gli stessi oggetti per ore ed in questo dimostrava una
caparbietà inusuale. Poteva rimanere affascinato dai
dettagli più
semplici della vita quotidiana e riservare a loro un'ammirazione
senza confini.
Il
giovane aveva imparato ben presto a dipingere. Il suo rozzo talento
non era niente di comune e nulla che avesse mai visto prima in un
artista: possedeva qualcosa di immaturo, come un frutto destinato
forse a non maturare mai e qualcosa di ruvido, come il bozzo di una
farfalla incapace ad evolversi.
Era
una semplice sensazione, ma ogni giorno il ragazzo ritraeva il mondo
sulle sue tele e vagamente in quei dipinti il maestro riscontrava un
miglioramento: indipendentemente dai suoi insegnamenti e da quanto il
giovane fosse attento alle sue lezioni, non progrediva mai. Forse non
desiderava farlo.
Applicava
le tecniche imparate senza esitazioni, eppure l'attimo dopo, immerso
nel suo universo di dolce silenzio, tornava al consueto pennellare
deciso e al contempo spazientito.
Usava
colori cupi e tonalità opache, occasionalmente alternate a
gialli
mischiati al nero: produceva così un beige che si sarebbe
detto
melmoso e denso come acqua di palude.
L'allievo
era un ragazzo che nella sua esistenza aveva dovuto affrontare
numerosi problemi e gravi episodi: tuttavia non si era mai arreso e
nella suprema Arte aveva trovato la sua pace.
Vederlo
dipingere era come ammirare un uccellino costruire il nido: il
frenetico muoversi delle sue piccole dita, come le ali della creatura
piumata, l'incessante fremito delle setole del pennello sulla tela e
il morbido mescolare dei pigmenti sulla tavolozza in un unico colore,
come unici diventavano gli elementi che componevano insieme un nido.
Il
giovane sorrideva spesso e in quella sua espressione si coglieva la
spensieratezza fanciullesca; eppure i suoi soggetti rivelavano sempre
una nota di malinconia e tristezza.
Credeva
il maestro che i suoi dipinti fossero lo specchio più fedele
del suo
allievo e sapeva che la felicità apparente del ragazzo non
avrebbe
mai potuto mascherare anche la sua creatività: essa sgorgava
direttamente dal suo cuore ferito.
Sebbene
più volte gli avesse suggerito temi diversi, il maestro non
aveva
mai imposto la sua volontà all'allievo: aveva compreso che
tramite
la pittura, il ragazzo riusciva a purificarsi dai pensieri
più tetri
che riempivano la sua anima. Era esattamente come risciacquare il
pennello nell'acqua corrente: quella si riempiva di scarto e lo
trascinava con sé, ma le setole tornavano pulite e pure.. o
quasi:
sempre appena tinte di nero, un colore difficile da lavar via.
Anche
quel pomeriggio il suo allievo stava dipingendo. Lavorava
concentrato, incapace di distogliere gli occhi dalla sua mano e dal
tratto nero che tingeva la tela. Aveva realizzato uno sfondo giallino
come di consueto, ma tanto chiaro da essere quasi impalpabile,
l'alone sfuggente di un sogno o di un incubo. Al centro spiccava un
ovale sgraziato dai bordi spessi e ripetuti: agli occhi
dell'osservatore quella forma diventava tanto più un muro
impenetrabile quanto il ragazzo continuava ad enfatizzarne i limiti
geometrici.
Nel
farlo socchiudeva gli occhi e mugugnava tra sé e
sé: appariva
insoddisfatto o al contrario, divertito. Il maestro non sapeva
intuirlo.
Poco
sotto la sommità dell'ovale, con un gesto veloce del polso,
il
ragazzo definì un tratto curvilineo. Cambiò
pennello e lo intinse
di grigio. Riempì l'ovale di pennellate tremolanti,
sovrapposte,
goffe. Non c'era niente in quell'opera che suggerisse lo studio dei
grandi pittori del passato. Anni di storia venivano spazzati ora dal
blu disposto disordinatamente all'interno dell'ovale, sulla destra
rispetto all'osservatore.
Cosa
desiderava realizzare? La risposta giunse in fretta quando in quel
lavorio il maestro vi scorse la forma di un viso: dapprima un naso,
poi occhi cerulei ed infine su uno sparuto ocra, la bocca nera dal
labbro inferiore prominente.
Un'ora
più tardi il giovane artista aveva concluso la sua opera che
appariva così accorata da commuovere: eppure in essa c'era
una forza
agghiacciante, qualcosa di oscuro e travolgente. Lo sguardo di
quell'uomo ritratto comunicava un infelice emozione, ma la sua bocca
mostrava i denti digrignati ed in questo dettaglio il maestro trasse
le sue conclusioni.
“C'è
della violenza. Nell'uso del colore, nella pennellata, nei bordi
spessi. C'è della tristezza. Ma soprattutto, c'è
della solitudine.
E' così che ti senti? Sei tu quello che hai
dipinto?”
Solo
allora il ragazzo si voltò. Lo fece con calma, come se ogni
singolo
muscolo del suo corpo avesse bisogno di tutta la calma necessaria per
fissare la sua attenzione dalla tela al maestro.
“No”
replicò sorridente “siete voi, maestro”.
L'uomo
rimase basito. Fece vagare lo sguardo dal suo allievo alla tela e poi
ancora al suo allievo. Con voce insicura gli domandò
“e perché mi
avresti ritratto così?”.
Entusiasta,
il ragazzo indicò il suo lavoro “perché
è così che siete”
rispose convinto.
L'attimo
dopo si allontanò dallo studio, lasciando il maestro solo;
egli si
sedette sulla comoda poltroncina vicino alla finestra, ma non smise
di fissare quel dipinto.
Fu
un'inaspettata consapevolezza quella che lo colse impreparato in un
turbinio di emozioni.
Il
ragazzo non aveva mai ritratto i sentimenti aleggianti nel suo animo!
Il ragazzo non aveva mai usato l'Arte per sfogarsi. Quel giovane
fanciullo sapeva andare oltre l'apparenza, sapeva rischiarare il
visibile ed illuminare l'invisibile; tuttavia poteva persino indagare
i sentimenti umani?
Si
alzò di scatto. Corse verso le tele appese al muro, tutte
opere
compiute dal giovane che alla luce della rivelazione acquisivano
nuova simbologia. Spaventato si rivolse al suo ritratto, lo prese tra
le mani e lo gettò a terra.
“Io
non sono così!” urlò a se stesso. Poi
calpestò il dipinto:
incredibilmente la tela non si sporcò affatto. Il nero
pigmento che
ovunque il ragazzo aveva utilizzato, si amalgamò
perfettamente con
la sporcizia che la suola del maestro avevo sparso sulla ruvida trama
del tessuto.
Si
sentii smarrito. L'espressione dell'uomo ai suoi piedi
rifletté la
sua.
Non
rivide mai più il giovane allievo.