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Autore: Ely79    13/09/2012    3 recensioni
La notte avvolge il Monte Titano, nascondendo trame silenziose, dove politica e sangue si mescolano fino a divenire una cosa sola nelle fauci di una bestia oscura, venuta da lontano.
Storia prima classificata al contest "Un'Ora e.. la Violenza" indetto da Original Concorsi.
Genere: Dark, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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De ore turris - IV
missdark

IV

Ore 01:09
Salita al Montale1

Onofrio rifletteva sugli eventi che aveva tessuto e a cui aveva assistito.
Con un’agilità sorprendente, la forma animale di Ozana aveva scalato le pareti della Torre Montale, portando penzoloni tra le fauci il corpo esanime. Aveva infilato le zampe nelle buche pontaie che un tempo erano servite per realizzare le scale provvisorie che conducevano alla sommità della torre, issandosi con la stessa sicurezza con cui si muoveva tra gli alberi. Di tanto in tanto, stille di sangue erano precipitate a terra, tingendo le ginestre e le ortiche di una patina tetra e luccicante.
Onofrio si era limitato a seguire distrattamente le operazioni di occultamento, più interessato a crogiolarsi nei primi sbuffi di piacere che la caldaia della sua anima stava emettendo. Non aveva cercato la smorfia d’orrore che gli presentava il trapassato sopra la sua testa, disgustato dai cordoni intestinali che pendevano nel vuoto come macabri festoni, dall’alone violaceo delle sue labbra e dalla vacuità del suo sguardo. Uno sguardo che trovava ironicamente simile a quello che l’uomo aveva avuto in vita.
Alla sommità della torre, la licantropa aveva sfondato la porticina di legno che dava sull’interno, facendo piovere pezzi d’ingranaggi rugginosi e schegge di legno. Aveva scaraventato all’interno quel che restava di Scarito, richiudendo l’uscio alla bell’e meglio. La prigione era in disuso da decenni, nessuno avrebbe prestato attenzione alle condizioni dell’ingresso.
Dalle mura di pietra grigia non era emerso alcun suono quando il cadavere era piombato sullo strato di ragnatele e sporcizia in fondo al pozzo.
Raggiunta la Testa del Gigante, Onofrio si fermò. Da sotto la giacca estrasse uno spesso fascio di banconote e alcuni documenti di cambio. La donna lupo li cacciò a forza sotto al corsetto, accompagnata da un sorriso maligno.
Le campane suonavano la una del mattino. I sibili dei meccanismi di rotazione sottolineavano con stridente cupezza lo scorrere della notte.
Ripulitasi sbrigativamente del sangue, Ozana aveva indossato abiti da viaggio semplici e dimessi, che la facevano somigliare a una delle tante donne di servizio delle dimore gentilizie della Repubblica. Nessuno le avrebbe prestato attenzione, vedendola camminare per strada.
«Bene, signorina. Direi che questo è un “a mai più rivederci”» salutò Leonardelli, aggiustando con calma il panciotto.
La rumena annuì, prendendolo sotto braccio e sfiorandogli il volto paffuto con le dita.
«Vreau sa fac dragoste cu tine. Si mananca atunci inima ta, prost săraci. Nu sunt sigur ce să se aştepte2» aggiunse strusciandosi contro di lui con voce bassa e languida.
Il Capitano la allontanò freddamente, quasi temesse di contrarre chissà quale malanno dalla pelliccia ruvida e scura che portava avvolta attorno alle spalle. Sapeva dalle cronache che, dopo aver portato a termine i suoi lavori, Ozana soleva sfogare le ultime vampe animalesche nel letto di qualche malcapitato senza arte né parte che, inevitabilmente, il giorno successivo sfiorava la morte per crepacuore scoprendosi suo occasionale amante. Preferiva non rientrare nel suo nutrito carnet.
«A mai più rivederci, signorina» ripeté sbrigativo, indicandole la via.
La donna storse il naso, a metà tra l’indispettito e il sarcastico.
«Sì, sì, mai più, mai più… La revedere3, Ca-pi-ta-no» scandì avviandosi.
Leonardelli rimase a guardare il sicario imboccare il ripido sentiero mangiato dai rovi e dall’oscurità. Di lì sarebbe scesa fino ai piedi dello strapiombo, svanendo entro la mattina seguente dai confini della Repubblica, portando con sé il suo carico di segreti e sangue.
Contemplò il dondolio delle fronde al passaggio della donna, finché questa non scomparve dietro le rocce a picco come ricciolo di vapore. Pregustava compiaciuto i futuri sviluppi del piano. Prima si sarebbe sparsa la voce della sparizione di Scarito, poi avrebbero cominciato a emergere dicerie sul suo conto, qualche dettaglio scabroso sul suo rapporto con una donna misteriosa, le lettere, parole proferite casualmente dal Conte e via dicendo, fino a costruire un castello di maldicenza attorno alla figura di Francesco. Ciò avrebbe screditato il fratello il quale, ormai privo di una guida, sarebbe stato incapace di gestire le bordate che sarebbero giunte da parte sua e dai suoi sostenitori. In breve, la riforma ereditaria sarebbe diventata legge, ponendo le basi di una nuova dinastia europea.
Tutto secondo i piani elaborati per molte notti.
Tutto preciso come gli ingranaggi di una macchina ben oliata.
Tutto perfetto.
O quasi.
Onofrio non poteva sapere che ai piedi del monte, Antonio Scarito attendeva Ozana e le notizie che portava.
La donna lupo procedeva rapida sul sentiero, pregustando la generosa ricompensa fornita dal secondo Capitano, di gran lunga più interessante di quella appena ricevuta: oltre ad una lauta ricompensa in documenti di cambio, l’attendevano anche un’automobile con riserve di acqua e carbone sufficienti per raggiungere nottetempo la costa adriatica e le vigorose grazie di un garzone del forno di Via Basilicius, che lei stessa aveva scelto come compenso suppletivo per il doppio gioco perpetrato.
Ozana non amava quel tipo di espedienti – era troppo alto il livello d’incertezza -, preferiva un classico omicidio, schietto e pulito, senza complicanze di quel genere, ma doveva ammettere che dietro l’aria dimessa e sciatta di Antonio aveva potuto percepire un’intelligenza vivida e acuta, un desiderio di potere torbido e imponente, la scaltrezza di un’autentica macchina da politica. Leonardelli faceva la voce grossa ed era preda dei propri istinti: nessuna delle trame da lui ordite avrebbe potuto concretizzarsi finché il giovane Scarito fosse stato in circolazione. Sarebbe stato importante soddisfare a puntino quel cliente: aveva il sospetto che avrebbe potuto riceverne ulteriori incarichi.
Antonio intanto controllava distrattamente che la porzione carnale del compenso continuasse a dormire beata sul sedile posteriore della Landaulette. Per un incredibile colpo di fortuna, il garzone non era di turno quella notte e aveva deciso di brindare ai colleghi bevendo come una spugna nel retro del ristorante dove il Consiglio aveva cenato. Offrirgli un passaggio era stato facile, fare in modo che accettasse di tener compagnia a una donna sola e bisognosa di calore maschile ancora di più.
Già da prima della loro investitura, Antonio teneva d’occhio il collega, di cui apprezzava l’ambizione ma deprecava i modi. Si era prodigato per verificare ogni possibile voce a suo carico, ogni indizio. Il che non si era rivelato troppo difficile, poiché Onofrio, per quanto abile, aveva coinvolto troppe persone nel suo piano, perché non arrivasse il momento in cui una dietro cortese – ed economicamente cospicua - sollecitazione, cominciasse a riferire quanto sapeva. Mettere insieme i tasselli era stato semplice. Quando aveva scoperto che le trame di Onofrio passavano dalla morte di Francesco, si era sentito di riconoscere all’omologo un merito importante: quello di mettergli a disposizione una scusa per accaparrarsi l’ingente patrimonio, cui solo il primogenito avrebbe avuto accesso. Eliminato l’erede originario, nessuno si sarebbe potuto opporre alla successione.
L’indomani tutta San Marino si sarebbe svegliata con un banchiere benemerito e un Conte uccisi brutalmente ed un governante accusato dell’omicidio con prove schiaccianti, dalle testimonianze dei falsari che avevano scritto lettere e documenti, alle evidenti tracce di sangue che Ozana aveva badato a lasciare sui suoi abiti, alla confessione dell’autista di Francesco, pagato da Leonardelli per diffondere per primo le maldicenze sul padrone. I gendarmi avrebbero persino scoperto un incolpevole mastino legato e ucciso a bastonate nelle scuderie di Onofrio, con brandelli delle vesti del Conte fra i denti.
E lui, che in quel momento si trovava ai piedi di ogni cosa, nascosto dietro al velo delle buone maniere e della rispettabilità come dalle tenebre del bosco, sarebbe assurto agli onori delle cronache. Avrebbe mostrato grande contrizione per gli eventi, dolore per la perdita del fratello, inflessibilità nel giudicare il proprio pari secondo le leggi vigenti, autorevolezza nel guidare la Repubblica e coraggio nel sobbarcarsi da solo i compiti di due Reggenti a quattro mesi dal termine della carica.
Quattro mesi. Il tempo che Onofrio aveva contato di impiegare per rendere effettiva la legge sull’ereditarietà della carica.
Doveva ringraziarlo per aver pensato così a lungo termine: grazie al suo piano male in arnese, a lui ne sarebbero serviti al massimo due. Il Consiglio non avrebbe mai ammesso il ripetersi di simili circostanze e avrebbe accettato la sua proposta senza problemi.
Onofrio, che aveva appena raggiunto la Cesta4, guardò l’orologio da taschino.
Antonio, molti metri più in basso, fece altrettanto.
L’una e sedici minuti.
Entrambi in orario per realizzare ogni progetto.


 1 Salita al Montale : sentiero di collegamento tra la Cesta e il Montale.
 2 Vreau sa fac dragoste cu tine. Si mananca atunci inima ta, prost săraci. Nu sunt sigur ce să se aştepte.: Voglio fare l’amore con te. E poi mangiarti il cuore, povero stupido. Non sai cosa ti aspetta.
 3 La reverde: addio.
 4 Cesta: seconda rocca di San Marino.

   
 
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