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Autore: Ato    14/09/2012    4 recensioni
Dalla storia: "Itachi non gli credeva, nonostante si mostrasse molto apprensivo ogni volta che ne parlavano. Gli rivolgeva domande accorte e intelligenti, con gentilezza lo induceva ad ammettere che tutto quello aveva un che di assurdo, che non era sano sentirsi spiati e che soprattutto nessuno ci sarebbe riuscito.
Quando era di particolare buonumore, Itachi gli dava un buffetto sulla fronte, gli sorrideva, mormorava qualcosa come sono certo che hai già superato l’età dell’amico immaginario, Sasuke. [...]
Sasuke sentì quella consapevolezza al centro del petto come se fosse stato istantaneamente penetrato dalla più affilata delle armi.
Si era fidato del poligrafo. Aveva sbagliato.
Qualcuno era morto per questo.
Più di qualcuno, a dire il vero."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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Così finisce anche questa storia, ovviamente con un tema che è la mia ossessione del momento.

Mi era capitato solo una volta di scrivere una sottospecie di thriller psicologico – associare questo genere alla fanfiction poi mi fa più ridere che altro XD – comunque ho scoperto che mi piace tentare di riannodare i fili di una trama che si è sciolta nei capitoli precedenti.

Ovviamente, non sono certa di esserci riuscita. Perciò se qualcosa non dovesse essere chiaro, aggiungerò qualche spiegazione modificando le note.

Per ora me ne sto tranquilla nel mio angolino di rete col buon proposito di pubblicare presto qualche altra storia.

Buona lettura J

 

 

Capitolo 3

 

Sasuke aveva trascorso qualche giorno completamente rinchiuso in camera, senza nemmeno aprire bocca, eccetto per assaggiare frutta rigorosamente estiva o per mormorare qualche no privo di energia, solo a volte rabbioso.

Pecora, tigre, drago. Poi incroci le dita.

Qualcuno l’aveva incastrato con una tecnica particolare, sottile. Era diventata la sua verità senza che lui nemmeno se ne accorgesse. Liberarsi dell’estate l’avrebbe aiutato ad annullare la tecnica, eppure la sua natura gli sfuggiva ancora.

Se ti liberi di Itachi, sparisce anche l’estate. È colpa sua se fa tanto caldo.

Era stato Itachi a creare l’illusione di un’estate perpetua.

Qualcuno aveva creato un clone oscuro di Itachi? Forse quando lui era in coma, forse… qualcuno aveva moltiplicato le realtà e l’aveva incastrato in una vaghissima illusione?

Sasuke sapeva di doversi liberare – non sapeva bene come incrociare le dita alla fine della sequenza di sigilli, ma ne sarebbe uscito. Sapeva anche che in qualsiasi modo sarebbe stato doloroso, come un addio che ti strappa un pezzo di cuore e ricordi e ti fa impazzire di dolore. Perciò Sasuke aveva temporeggiato, senza sapere bene se un giorno avrebbe trovato una giustificazione a quell’indugio. Aveva atteso ore intere che i riflessi rossi intorno a lui si attenuassero, come era accaduto per pochi istanti di quella notte in cui Itachi gli aveva parlato del passato non solo come un uomo che del passato conservi gelosamente i segreti, ma come un uomo che quei segreti di vita vissuta è pronto a condividerli con una persona amata.

Era il tramonto quando Sasuke si accorse che i riflessi rossi nell’aria erano unicamente quelli emanati dal sole basso dietro la collina all’orizzonte. Si guardò intorno sospettoso, e scoprì che era sparito anche l’occhio rosso: non riusciva a scorgerlo nemmeno se si voltava repentinamente con l’intento di coglierlo alla sprovvista.

Sasuke si precipitò fuori dall’albergo e quando vide Itachi seduto ai margini della sorgente… non se ne rese conto subito, ma tra le labbra aveva una preghiera intima e solidissima – fa’ che sia lui.

«Hai intenzione di chiedermi perdono per il comportamento strano di qualche giorno fa?» cominciò, senza muovere un passo verso di lui.

Itachi continuò a dargli le spalle, nonostante a un certo punto della domanda si fossero fatte appena più rigide. «Ti ho già detto tempo fa che non ti avrei più chiesto perdono, Sasuke».

Lui non avrebbe saputo dire precisamente l’effetto che gli fece quella risposta. Forse ascoltarla era stato qualcosa di simile a riemergere dalla sorgente dopo un tuffo avventato – come rinascere, trovare il vero Itachi era come rinascere.

Sasuke gli si avvicinò, con le labbra umide e poche parole impastate tra i denti, incapace di farle uscire fuori.

«Immergi solo le gambe nell’acqua, otouto, ti farà bene per… dopo».

Sasuke ascoltò il consiglio di suo fratello. Si sedette sul marmo che rivestiva il margine della conca e gettò i piedi nell’acqua fino a bagnarsi anche i polpacci.

«Sai perché non ho intenzione di chiederti perdono, no?»

Non c’è bisogno che tu mi perdoni, Sasuke.

Perché quando una persona ama davvero arriva un certo momento nella sua vita in cui si rende conto che il suo amore basta a se stesso.

«Lo so», annuì Sasuke, gettando uno sguardo a suo fratello nascosto dietro ciocche di capelli scurissimi.

«Allora…» riprese Itachi, senza palesare alcuna intenzione di voltarsi verso di lui, «ti libererai dell’estate, no?»

«Vorrei capire se tu sei… cioè eri, ora mi sembri il vero te stesso…» Sasuke trovò che era troppo difficile spiegarsi «se ho trascorso mesi vicino al tuo clone oscuro, a una pallida imitazione di ciò che sei veramente; oppure tutto questo è un’illusione e io ho vissuto davvero per anni senza sapere quanto fosse gelida l’acqua sorgiva» disse, tentando di mettere le cose nella maniera più semplice possibile.

«Non posso dirtelo io».

«E poi tu sparirai in ogni caso, no?»

Itachi annuì lentamente. Sorrise, ma la linea delle labbra non nascondeva alcuna scintilla di divertimento. «Almeno ti libererai anche di tutto questo calore».

«È che mi sembra tutto prematuro», ragionò Sasuke. «Sia dirti di nuovo addio sia vivere l’estate come fanno tutti qui intorno, come dicevi tu. Forse hai ragione a dire che le persone sono più felici d’estate, forse è tutta questa luce, forse è l’aria di libertà… ma non fa per me, non ancora. Mi ricordo che un giorno ero pieno di odio, e di rabbia… non sono nemmeno certo che non sia ancora così. Come si fa a diventare felici da un giorno all’altro? Non manca qualcosa tra la devastazione e la felicità? Qualcosa che faccia da ponte…»

«Certo».

«E cos’è?»

«L’odio ti distrugge, mentre la serenità ti fortifica. Ma prima che questo possa accadere, probabilmente c’è bisogno di rinascere, di rimettere a posto i pezzi, di ricomporsi».

«E sarà possibile?»

«Sarà come riemergere dalla sorgente dopo un tuffo avventato».

Sasuke sfiatò, senza nemmeno capire se fosse meravigliato dal fatto che Itachi aveva scelto parole uguali alle sue per rassicurarlo. «E probabilmente sarò ancora ossessionato dalla verità».

«Questo non è sbagliato, otouto, nel profondo lo sai anche tu».

«Non lo so… bene», precisò, un po’ confuso. «Per conoscere la verità ho disturbato il sonno dei morti. E non sono nemmeno sicuro di averlo fatto solo per questa sete di conoscenza, forse volevo solo rivederli», ammise, tentando di tenere gli occhi bene aperti, perché sapeva che dietro le palpebre, se solo le avesse abbassate, avrebbe scorto il sorriso di sua madre e il volto fiero di suo padre.

«Tu hai fatto bene a pensare che il passato sia vero. È vero perché è immutabile, e rivederli ti è servito a tante cose», mormorò Itachi, con un sorriso lieve, prima di assumere un’espressione più severa. «È stato l’amore per la verità a risvegliare davvero la tua coscienza. Senza di quello avresti rischiato di cedere di nuovo a sentimenti distruttivi».

Sasuke annuì, pensando di avere sempre avuto quella sensibilissima propensione a conoscere la verità, ma non l’aveva mai elaborata del tutto perché per troppo tempo non si era sentito in diritto di scegliere la sua via. Solo una persona gli aveva restituito quel diritto – non importa cosa decidi di fare, Sasuke…

«Ma non puoi pensare che le verità del passato siano utili a determinare le verità che cerchi nel presente, otouto. Non funziona così, non sempre».

«Stai di nuovo dicendo che non esiste davvero la verità?» Sasuke sentì il panico nella sua voce e sentì il bisogno di studiare attentamente il profilo di suo fratello. Il timore che di nuovo non fosse lui, che fosse diverso, un clone oscuro o un’illusione poco studiata… quel timore rischiava di distruggerlo.

«Sto dicendo che la verità è soggetta a cambiamenti. È in continuo divenire. Come la vita».

Sasuke scosse la testa, scostando lentamente una ciocca di capelli dalla fronte. Quella era proprio un’uscita tipica di suo fratello. Non riusciva nemmeno a capirla del tutto, sembrava qualcosa di ineffabile ma suadente. «La verità sarebbe la vita?» indagò, quasi divertito.

«Guarda qui» bisbigliò Itachi.

«Che cosa?»

Itachi si avvicinò piano a lui, posandogli due dita sul polso. Con la spalla sfiorava la sua e Sasuke notò che avevano davvero la stessa pelle. «Come potresti dire che io non sono qui in questo momento? Che non ti sto toccando?»

Sasuke trattenne il respiro per un istante, chiuse gli occhi. Qualcuno gli sfiorava la spalla – lo proteggeva? – qualcuno gli sfiorava il polso – controllava se fosse vivo?

«Quando tornerai a casa, otouto, e io non ci sarò…»

«Non sono certo che tornerò a casa», precisò Sasuke, senza nemmeno sapere bene cosa intendesse per casa.

«Devi decidere tu, ovviamente. Ma a casa…»

 

«Casa è dove c’è qualcuno che pensa a te, Sasuke».

«Ti ho detto che non ci torno, cretino».

Qualcuno gli toccava le spalle, la schiena…

 

«Le persone sono davvero felici solo a casa. Non nel senso che altrove non si possa essere felici… ma solo a casa si conosce un tipo di felicità compiuta, mentre in giro per il mondo la felicità tende sempre a cambiare, e può sfuggirti dalle mani in niente» ragionò Itachi. Parlava con le parole di sempre, ma nel suo petto era seppellita un’esperienza tanto dolorosa da sembrare assoluta.

Sasuke sentì che fosse anche sua, perché quel dolore si espandeva e lui non poteva fare a meno di provarlo insieme a suo fratello.

«E quando tornerai a casa, otouto… se tornerai» soggiunse Itachi, per evitare qualcuna delle sue rappresaglie, «ti prego di non cercarmi nella mia stanza, o in giardino, o nello studio. Non andare a parlare sulla mia tomba e non passare inutilmente alla mia pasticceria preferita per comprare dolci che non mangerai. Vieni alla sorgente ogni tanto, e tenta di non venirci da solo. Ti ho mai detto che non esiste nessuna verità se non hai qualcuno con cui condividerla?

«E poi, otouto, non piangere mai quando ripenserai alle mie parole come se fosse impossibile ascoltarle ancora…» Itachi sollevò lentamente il braccio, passandoglielo sulle spalle. Avvicinò il viso al suo, sospingendo la fronte contro la sua tempia. La pelle di Itachi era caldissima e non mentiva. «Non cercarmi altrove, Sasuke. Io sono dentro di te. Io vivo in te».

Sasuke si sentì tremare per un momento, e sentiva il sangue che scorreva impazzito nelle vene, e il cuore che rimbalzava tra le pareti del petto come in tumulto, e la nuca e le guance in fiamme…

Il corpo reagisce ugualmente alle emozioni forti e alle bugie.

Eppure a volte… il corpo reagisce ugualmente alle emozioni forti e alla verità.

Dipende dalla verità.

Ti amerò per sempre, Sasuke.

Io vivo in te.

«Come faccio a liberarmi dell’estate?» chiese, senza allontanarsi.

«Secondo te sono un’illusione o un clone oscuro?»

Sasuke strinse i pugni.

Ed eseguì i sigilli.

Pecora, tigre, drago. Poi incroci le dita.

Così.

 

***

 

Un occhio rosso lo scrutava attentamente. Era poco distante da lui, ma non era gigante. Era quello del tipo mascherato che si faceva chiamare Madara Uchiha.

«Mi fa piacere rivederti, Sasuke», lo salutò. «Vedo che ti sei liberato dell’estate».

Sasuke annuì seccamente, con le braccia rigide lungo i fianchi e lo sharingan attivo.

«E l’hai fatto nel modo giusto», continuò l’altro, «liberandoti dal secondo livello di illusione. Posso presumere che hai capito che anche la verità non è che una mera illusione?»

Sasuke assottigliò lo sguardo, tentando di tenere a freno la rabbia.

Aveva capito che tutto quel mondo era frutto di un’illusione di Tobi – Shisui era morto, e anche Itachi, e Konoha non era più quella che lui aveva conosciuto da piccolo. Aveva sempre saputo tutte quelle cose, ma in una maniera vaghissima, come se la realtà – la realtà che erano tutti morti e che lui era solo – non fosse altro che un sogno lontano, di bambino.

Gli sembrava di aver passato mesi o anni in quell’illusione, e se all’inizio l’aveva fatto con tanta partecipazione, come se fosse semplicemente giusto essere circondati da persone morte, dopo un po’ aveva trovato qualcosa che non era per niente giusto: Itachi in quella dimensione lo amava, ma non nel modo in cui tentava ancora di trattarlo come un bambino manipolabile, non nel modo in cui lo invitava a essere perfetto, non nel modo in cui gli ripeteva che la verità non esiste ed esistono solo genitori morti che chiedono pietà e vendetta.

Itachi, il vero Itachi, aveva imparato ad amarlo nel modo in cui si ama qualcuno che è degno di ogni forma di amore, lo amava nel modo in cui lo faceva sentire libero e in diritto di scegliere, nel modo in cui lo invitava ad aprire gli occhi sul mondo invece di tenerli chiusi nell’oscurità, perché la perfezione non esiste, e per questo nasciamo in grado di assorbire le cose.

E poi – Sasuke se ne accorgeva solo in quel momento – era abbastanza certo che lui non avrebbe mai condannato a morte qualche shinobi con tanta leggerezza, non quando aveva il controllo di sé. Capì quanto fosse impossibile che per tutto quel tempo non avesse sentito nemmeno i sensi di colpa per il suo operato – c’erano stati, ovviamente, ma erano stati lievissimi.

Solo in quel momento sentì di essersi tolto un enorme peso dal cuore: non aveva mai ucciso nessuno, nemmeno in nome di un ideale.

E non aveva sbagliato – non quando aveva eseguito i sigilli giusti.

Aveva capito che Tobi lo aveva pian piano indotto a liberarsi dell’illusione – dell’estate… no, della verità – per essere certo di riportarlo dalla sua parte. È stato l’amore per la verità a risvegliare davvero la tua coscienza. Senza di quello avresti rischiato di cedere di nuovo a sentimenti distruttivi.

«Non ti devi preoccupare, Sasuke. Anche se è appena crollata la certezza che vale la pena combattere per la verità… tu hai ancora l’amore dei tuoi genitori. E la vendetta nei confronti del villaggio che te li ha tolti. Distruggerlo sarà il dolore e il piacere di un attimo, poi sarai con me e non esisterà più alcuna sofferenza quando guarderemo la luna insieme».

Nessuna sofferenza.

Sasuke sorrise amaramente, sfiorandosi la spalla, poi il polso.

Nessuna verità – la vita – i vivi, qualcuno che fosse tanto vero da toccarlo e salvarlo col suo tocco, e assicurarsi che fosse vivo col suo tocco.

«Non me ne importa niente del tuo piano» proclamò, tentando di tenere a freno l’istinto di attaccarlo nella sua stessa illusione.

«Noto che sei più testardo di quanto avessi immaginato. Eppure avevo capito che morivi dalla voglia di uccidere il jinchuuriki della volpe. Hai cambiato idea troppo velocemente».

«Sono cambiato io», gli assicurò Sasuke, ripensando a quello che aveva detto a Orochimaru. Persino lui si era reso conto di non poter essere ancora un bambino manipolabile. E ora odiava ancora di più tutti quelli che ne avevano approfittato ed erano stati i suoi marionettisti.

«Lo sai, Sasuke…» riprese Tobi, senza dare a vedere di essersi scomposto, «se invece di eseguire i sigilli per liberarti dell’illusione avessi eseguito quelli per liberarti di un clone oscuro… avrei continuato a darti il tormento. Ti avrei presentato un altro Itachi e ti avrei messo in condizione di odiarlo… ci riuscivi così bene un tempo, no? E poi sono convinto che eseguivi i suoi ordini in maniera molto più fedele quando dicevi di odiarlo piuttosto che quando dicevi di amarlo, Sasuke».

Lui sussultò, senza sapere bene cosa rispondere. «È stato facile capire che ero nel secondo livello di un’illusione. Non ero tormentato dai sensi di colpa per le persone che morivano a causa mia, mi rendevo a stento conto che tutto quello si ripeteva in maniera ciclica e Itachi… Itachi non era Itachi. Quell’illusione era solo uno squallido tentativo di imitare la sua Izanami».

«Quindi Itachi ti ha mostrato anche quella tecnica…» Tobi scosse la testa, la voce era molto più profonda, turbata. «È sempre stato la mia spina nel fianco», ammise, palesemente sollevato all’idea di essersene liberato già da tempo. «Eppure non avresti dovuto capire tutto così facilmente…»

Sasuke lo guardò attento. «Probabilmente Naruto lì fuori ti sta mettendo sotto torchio e ogni tanto l’illusione ti è sfuggita di mano».

Probabilmente Naruto stava anche blaterando qualcosa al riguardo del fatto che l’avrebbe salvato, come al solito. Sasuke riusciva quasi a sentirne la voce.

Ma non si era salvato solo grazie a lui.

Era successo qualcosa di più sottile, e c’era dell’altro. Iniziava a sospettare che persino nell’illusione più potente, forse, la vittima conservava un misero spazio di libertà a cui nessun altro uomo poteva accedere. E più quello spazio veniva riempito da emozioni potenti – come le bugie, coma la verità, come quelle derivate dal tocco di una persona amata – più quello stesso spazio si ingigantiva. Fin quando lo spazio libero non diventava più grande di quello in cui si era stati intrappolati.

A lui era successo qualcosa del genere, forse.

«E che combinavi quando non ero io a controllare l’illusione?»

Sasuke attivò lo sharingan ipnotico, pronto a liberarsi anche del primo livello di quel genjutsu.

Non si liberava da solo da tempo, l’ultima volta era stato liberato da Itachi.

Ma in quel momento qualcuno lo stava toccando all’esterno, Sasuke lo sentiva. Sarebbe riuscito a liberarsi.

«Adesso basta».

Che combinavi quando non ero io a controllare l’illusione?

Parlava con Itachi. Quello vero.

Quello che viveva dentro di lui.

 

***

 

La prima cosa che riconobbe come viva fu una mano allacciata al suo polso, che gli indagava la circolazione del sangue con due dita fermissime.

Solo dopo Sasuke si accorse di avere già gli occhi aperti e che un altro paio di occhi – verdi, veri – si specchiavano nei suoi, spalancati.

Sasuke si sollevò di scatto, scoprendo che l’altra mano di Sakura era stata ferma per tanto tempo intorno al suo viso solo quando improvvisamente la sentì scivolare via.

Si strofinò gli occhi per mettere a fuoco quello che lo circondava. Era ancora un po’ confuso.

L’ultima cosa che aveva riconosciuto come viva prima di finire in trappola erano le spalle di Naruto premute contro le sue.

La guerra era andata avanti senza di lui per almeno mezz’ora, forse di più. I demoni erano tutti schierati e col chakra attivato al massimo. A terra c’erano corpi feriti o magari morti. Qua e là combattevano ragazzi che lui a stento riconosceva nei suoi ricordi da tredicenne. Si guardò intorno in cerca di una tuta arancione e di qualcuno abbastanza fuori di testa da fare amicizia coi demoni.

«Naruto!» la voce di Sakura gli trapanò i timpani, ma lo aiutò a capire dove girarsi per trovare il dobe.

Naruto si voltò in uno scatto, il viso illuminato dalla gioia. Lui doveva proprio essere una di quelle persone capaci di godersi l’estate, forse addirittura una di quelle persone che all’estate sono capaci di darle un senso. «Sasuke!» urlò. «Ti sei svegliato? Riporta immediatamente qui quei tuoi occhi da teme e aiutami a sconfiggere questo tizio».

Sasuke scosse la testa, già esasperato. Tentò di alzarsi, ma una mano ferma attorno al suo braccio glielo impedì. Subito dopo sentì la pressione di dita gentili sulle sue palpebre. Sakura lo invitò a chiudere gli occhi senza dire una parola. Lo ripulì velocemente di tutto il sangue che gli era scivolato sulle guance per il prolungato uso dello sharingan e poi gli lenì la pelle gonfia con un po’ di chakra curativo.

Sasuke si alzò dopo averla fissata solo per un misero momento, chiedendosi quale verità si nascondesse tra le dita di una ragazza che prima aveva tentato di ucciderlo, e poi aveva trascorso istanti lunghissimi a tenergli il polso per controllare che fosse vivo e a toccarlo costantemente per farlo uscire al più presto dall’illusione.

Si avviò velocemente verso il centro del campo di battaglia, richiamando il Susano’o e lanciando una freccia alla volta di un demone codato impazzito. Sasuke la osservò nel momento in cui si conficcò nella sua zampa e proseguì subito alla volta di Naruto.

Si disse che quella era l’ora decisiva, che doveva liberare la testa dai migliaia di pensieri in cui desiderava indugiare.

Io credo che l’unico modo di concepire il passato sia osservarlo dall’esterno, così da non permettergli di diventare una gabbia, ma solo una fonte di salvezza.

Una fonte di salvezza.

Sasuke non riuscì a trattenere un sorriso lievissimo, ed era negli occhi più che sulle labbra.

Il passato aveva sempre un modo strano di salvarlo. Come quando aveva ricordato dei giorni in cui Itachi gli aveva insegnato a usare arco e frecce, e poco dopo aveva scoperto che il suo Susano’o era un arciere.

Come quando aveva iniziato a dubitare di essere vicino al vero Itachi, e il passato gli aveva fatto visita in sogno, ricordandogli le lezioni di Itachi sui vari livelli di illusioni.

Sasuke pensò che probabilmente esistono modi molto più eleganti di quelli di Orochimaru per insinuarsi nelle persone. Forse bisognava solo lasciarsi conoscere.

Ed era stato strano, strano e bello, scoprire di conoscere Itachi a tal punto da renderlo reale vicino a sé quando non c’era un occhio rosso a controllare l’illusione. Sasuke si rese conto di conoscere a tal punto Itachi e il modo in cui lui influiva sulla sua vita che il proprio subconscio aveva utilizzato una proiezione di suo fratello per salvarlo – sarebbe sempre stato salvo grazie a lui.

Forse Itachi avrebbe continuato a salvarlo anche da lontano, anche se i morti erano più distanti di quanto sarebbe mai riuscito a immaginare.

Non cercarmi altrove, Sasuke. Io sono dentro di te. Io vivo in te.

O forse Itachi era più vicino di quanto chiunque avesse potuto immaginare. Chiunque tranne lui. Lui lo sentiva.

Sasuke si portò una mano sugli occhi, arretrando di qualche passo.

Sentì la schiena di Naruto contro la sua, e scoprì che quella sensazione gli era già familiare, nonostante avessero combattuto solo mezz’ora così prima che lui fosse caduto nell’illusione. La schiena di Naruto era calda, e ricoperta di chakra luminoso – era attaccata alla sua, per proteggerlo, per ricevere da lui lo stesso tipo di protezione.

Ed era vera. Di una verità che si trova solo tra i vivi.

«Guarda tutto, nii-san».

Avrebbero guardato insieme.

 

***

 

 

Epilogo

 

Nekomata aveva osservato attentamente le mosse del piccolo che gli somigliava. Era rinvenuto all’improvviso dall’illusione che l’aveva fatto giacere a terra con gli occhi sbarrati per quasi un’ora. Aveva fissato turbato e forse anche commosso le dita che la ragazza gli aveva premuto sul polso. Aveva evitato di guardarla negli occhi eppure si era lasciato curare da lei. Nekomata aveva trovato quel comportamento curioso, ed era stato altrettanto meravigliato a vedere come in pochi istanti quello avesse raggiunto il ragazzo improbabile che aveva riempito di chiacchiere la povera testa di Kurama.

Si era avvicinato a lui e aveva ripreso a combattere riparandosi contro la sua schiena come se non avesse fatto altro per tutta la vita.

Nekomata capì due cose.

Il ragazzo che gli somigliava faceva tutto ciò che gli sembrava giusto – lasciarsi toccare, lasciarsi proteggere, forse proteggere a sua volta. E da quanto aveva capito dai discorsi di Tobi, probabilmente confondeva ciò che era giusto con ciò che era vero – lasciarsi toccare, lasciarsi proteggere, forse proteggere a sua volta. Nekomata pensò che non era detto che sbagliasse, dopotutto.

La seconda cosa che Nekomata capì in quell’istante era il motivo per cui quello che blaterava promesse insensate e quella dalle mani ferme desideravano guardare infinitamente gli occhi del ragazzo che chiedeva vendetta.

Nel suo sguardo c’era lo sguardo di due persone che vivevano in un corpo solo.

 

 

Fine

 

   
 
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