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Autore: Elizabeth_Tempest    16/09/2012    5 recensioni
Nella Danimarca settecentesca, il destino di una testarda contessa e di un misterioso giovane venuto da lontano s'intrecceranno.
"Friederieke guardava fuori dalla finestra, annoiata, rigirandosi pigramente il lavoro tra le mani; il cucito non l’aveva mai entusiasmata, lo aveva sempre trovato noioso dato che non ne trovava una vera utilità pratica –del resto i suoi abiti arrivavano sempre da qualche sartoria della capitale, dove suo padre spendeva un vero e proprio patrimonio per farle avere sempre i modelli più in voga alla corte francese.
Si concentrò sul ricamo, tentando di ricordare cosa fosse di preciso… forse un usignolo? si chiese, lanciando un’occhiata perplessa ai fili azzurri.
Non le sovvenne nulla ed alzò lo sguardo, sperando di poter sbirciare il lavoro della signorina Bernstein che invece pareva tutta presa dalla sua opera e la teneva in modo tale che la fanciulla non potesse vedere cosa stesse ricamando." [dal primo capitolo]
La storia è ambientata prima degli eventi di The Lost Canvas, ed è collegato ad uno dei gaiden.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Pisces Albafica
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo V

Non l’avrebbe mai ammesso, ma aveva passato gran parte della mattina seduta nella “stanza delle torture”, cioè ne salottino della signorina Bernstein, guardando fuori. Le finestre della stanza, infatti, davano sul viale alberato che portava ai cancelli di ferro battuto del maniero, che suo nonno aveva fatto erigere per sostituire le antiche mura ormai cadute in rovina e di cui spiccavano qua e là dei monconi coperti da rampicanti ed era possibile osservare, tra le fronde folte che iniziavano a tendere all’oro e all’arancione, le carrozze e i cavalli che si recavano al maniero.

Fece fatica a concentrarsi sul suo ricamo, seduta su uno scomodo sgabello –di quelli adatti alla voluminosa gonna che indossava quel giorno- mentre la signorina Bernstein ciarlava del più e del meno, di quanto fossero belle, raffinate ed educate le signorine Eckersberg, di come si vestissero sempre all’ultima moda di Versailles, di quanto fossero colte, istruite dai migliori precettori venuti dalla Francia, di quanto i loro disegni fossero perfetti, le loro esibizioni di canto e pianoforte… ad un certo punto Iedike prese un libro a caso –un romanzo, una lettura che suo padre avrebbe definito frivolo, ma non ebbe la voglia di impegnarsi su qualche tomo di filosofia, la sua mente non poteva rimanere concentrata per più di pochi istanti, prima di tornare a due occhi di zaffiro che parevano nascondere mille segreti.

Sfogliò pigramente le pagine per un po’, finchè con la coda dell’occhio non intravide una carrozza precorrere il sentiero orlato di colossi arborei.

-Devono di certo essere vostra zia e le vostre cugine, contessa!- esclamò la signorina Bernstein con un tale gaudio nella voce, che a Iedike parve quasi una timida vergine in attesa del suo futuro sposo.

Del resto, come si poteva non preferire la perfetta Sophia o la talentuosa Christina, così attente all’etichetta e alla buona creanza? si chiese, con un sorriso divertito, alzandosi e dirigendosi, a passi lenti e ben calcolati –più per non cadere e rischiare di farsi male, che per risultare femminile-, dando il braccio alla sua istitutrice, nell’ampio atrio di pietra scura, ove erano riunite le tre visitatrici.

 

Maria Eckersberg era nata come Marie Helene Christina Frydendahl, figlia dei conti Frydendahl e sorella di Ludvig, il padre di Iedike.

In gioventù era stata conosciuta in tutta la Danimarca per la sua avvenenza e la sua grazia, ma anche per il suo carattere fiero e ribelle: era stata una graziosa fanciulla dai lunghissimi capelli dorati e gli occhi verdi come i prati di quella terra gelida, di statura alta e di costituzione un po’ robusta, allegra e di mente acuta, tanto scapestrata quanto posato e tranquillo era il fratello minore.

Aveva dovuto lasciare la sua casa molto presto, quando si era sposata all’età di quattordici anni col figlio di un ramo cadetto di un antico casato nobiliare della capitale, a cui aveva dato cinque figli, tre maschi e due femmine, che il suo sposo aveva messo nelle mani dei migliori precettori ed istitutrici del regno, ma il matrimonio era stato tutt’altro che sereno o felice: Sebastian Eckersberg era un uomo violento e ottuso, dotato di una cattiveria non indifferente, dedito all’alcool quanto alle belle donne e aveva sparso in Danimarca non pochi bastardi; aveva sposato la contessa Maria solo per interesse e se n’era sempre disinteressato, ritenendo che un paio di gravidanze sarebbero bastate a tenerla a bada, ma aveva sbagliato i suoi calcoli e il carattere indomito che aveva caratterizzato per secoli la casata dei Frydendahl s’era acuito col tempo.

Sebastian Eckersberg aveva dunque tolto i due figli maschi, Søren e August, alle cure materne, rimettendoli ad una delle sue amanti –come gesto di disprezzo verso quella moglie tanto ostinata- proprio nello stesso periodo in cui la contessa Amalie rimaneva incinta del primogenito del conte Ludvig, con sommo disappunto del mercante, che aveva sempre sperato di divenire l’erede della tenuta di Frydenjord.

Maria, senza dir nulla, si era recata in visita dal fratello, notando che la cognata non possedeva molto, all’infuori di una certa bellezza e di un carattere frivolo che a prima vista poteva apparire allegro e gioviale: Amalie non era adatta ad essere una moglie e tantomeno una madre e così il piccolo Ludvig aveva passato i primi anni della sua vita sotto la sorveglianza della zia, che lo aveva amato come un figlio.

Sebastian Eckersberg aveva però reclamato la moglie e così Maria era tornata a Copenaghen in tempo per partorire la figlia Christina, una bimbetta malata e triste che le era stata tolta che ancora non camminava e la piccola Sophia, l’esatto contrario della sorella maggiore e che Sebastian Eckersberg, come rappresaglia per la troppa indipendenza della moglie, aveva affidato alla madre e una sorella rimasta nubile –due donne della sua stessa pasta che non avevano potuto non rovinare le menti giovani delle due fanciulle.

Maria era dunque tornata al maniero in cui era nata e cresciuta per occuparsi della seconda gravidanza della contessa e della bambina che ne era nata, la contessina Friederieke Amalie Maria.

Di nuovo Amalie si era rivelata una pessima madre e così la cura dell’infante era passata alla ribelle contessa Eckersberg. Col tempo, però, soprattutto con la nascita di Victor, il suo ultimogenito, un bambino molto delicato, Maria aveva diminuito le visite e dopo la morte della madre, Friederieke e Ludvig erano cresciuti selvatici e ribelli, mentre i suoi quattro figli maggiori erano diventati ottusi esattamente come il padre e la donna non aveva mai fatto mistero di preferire la nipote Iedike alle figlie.

Ed infatti si lasciò andare ad un sorriso ampio e sincero quando la vide comparire assieme alla signorina Bernstein –la donna più vuota e stupida che conoscesse, dopo le sorelle di suo marito e le sue figlie-, agghindata con abiti che mai quella giovane scapestrata avrebbe scelto di sua spontanea volontà, tutti fiocchi, ruches, pizzi e trine.

-Iedike! Che gioia vederti, mia cara ragazza!- esclamò Maria, prendendo le mani della fanciulla tra le sue.

La ragazza ricambiò il sorriso con altrettanta gioia. –Mia cara zia! È così tanto che non vi si vedeva, pensavo vi foste dimenticata di me!

Sophia, scuotendo il capo con leggiadria, rise. –Dimenticarsi di voi, mia cara cugina? E come si potrebbe?

Iedike ingoiò il sottinteso della cugina, rivolgendole un sorriso falso ed affrettandosi a salutare le due giovani parenti, mentre la contessa Maria prevedeva una lunga visita.

 

Albafica montò a cavallo subito dopo la colazione e raggiunse in poco meno di un paio d’ore Frydenjord, rimpiangendo il dono della velocità, inutilizzabile dato che doveva fare attenzione a non farsi scoprire, ma non aveva mai amato particolarmente cavalcare ed il tempo perso in groppa a quella bestia –un bell’esemplare robusto e dal manto bianco sporco, quasi grigio e lucido- poteva essere impiegato più fruttuosamente nella missione.

Decise che, prima di recarsi al maniero, il quale si stagliava in modo inquietante contro il cielo plumbeo del villaggio, si sarebbe recato dall’anziano Jens Andersen, per discutere con lui.

Percorse con un trotto sostenuto la strada che già aveva fatto il giorno prima, osservando ancora più attentamente il paesaggio opprimente e grigio, morto per certi versi e gli abitanti del villaggio, dalla pelle smunta e lo sguardo assente, che si sfilavano il cappello al suo passaggio. Le vacche e le pecore che punteggiavano i prati parevano malate, pascolavano stancamente, gli occhi vacui come quelli dei loro padroni.

Il giovane cavaliere d’oro piegò le labbra in una smorfia amara, pensando che, qualsiasi cosa stesse succedendo, doveva intervenire velocemente, prima che per quella gente non ci fosse più nulla da fare.

Arrivato davanti alla casupola di legno smontò, legando la sua cavalcatura ad un palo ed entrando: l’anziano l’aveva sentito arrivare ed aveva aperto la porta, con un sorriso sul volto rugoso.

-Nobile Albafica.- lo salutò, con una finta solennità. Cane era sdraiato davanti al caminetto e sonnecchiava pacifico.

Il giovane sorrise mestamente. –Jens Andersen.- disse, a mo’ di saluto, sedendosi su silenzioso invito dell’uomo, che trasse dal pensile scardinato la solita bottiglia di liquore, versandone una tazza piena per l’ospite. –So che effetto possa fare questo paesaggio desolato e voi avete la faccia di qualcuno che ha appena visto un mucchietto di cadaveri. Bevete, questa, sicuro come il fatto che mi chiamo Jens, vi rimetterà in sesto.

Sicuramente avrebbe rimesso in sesto anche un morto, pensò il ragazzo, prendendo un sorso di quel liquido trasparente e fortissimo e strabuzzando gli occhi quando l’alcol gli bruciò la gola, scendendo fino alla stomaco da cui si propagò un calore fortissimo. Non era certo la prima volta che beveva, ma quella grappa non l’avrebbero retta nemmeno Manigoldo e Dégel, si disse.

Jens scoppiò a ridere nel vedere gli occhi sgranati e il rosso che tinse le guance del suo ospite e batté un palmo nodoso sul tavolo sbilenco. –Questa grappa stenderebbe anche Hades… bisogna essere abituati, signor Albafica!

Il giovane guerriero annuì, poiché gli pareva di non avere più una lingua per parlare.

-La tengo per le grandi occasioni… di liquori così non se ne trovano più!- esclamò l’anziano, soddisfatto, per poi farsi mortalmente serio. –Qualcosa vi preoccupa.

-Sì.- gracchiò il guerriero, la gola ancora in fiamme. –Sì… ho ricevuto una missiva dalla contessa Frydendahl. Mi invita presso la sua dimora per pranzare.- spiegò.

Jens tacque qualche istante, poi si versò ancora un chicchera di grappa. –Avete incuriosito la contessina… la conosco bene, è sempre stata una bambina curiosa e non è per niente cambiata. Di certo il vostro modo di fare riservato le fa immaginare cose che non dovrebbero esserci.

-Potrebbe essere pericoloso, se non per la missione, per lei.- disse il guerriero.

-O forse no. Qualsiasi cosa sta intaccando questa gente, fa fatica ad attecchire negli abitanti del maniero, ma dubito che Iedike non si sia accorta di nulla. Potrebbe essere d’aiuto, ma fareste bene ad indagare anche al castello… ieri, dopo che ve ne siete andato, ho ricordato una cosa.- Jens fece una pausa, accarezzando il capo di Cane, che s’era svegliato e aveva strusciato il muso contro la gamba storpia del padrone. –Padre Hans arrivò proprio quando Ludvig, il fratello di Iedike, tornò dalla Francia… non so quanto c’entri, ma…-

-Indagherò.- promise il ragazzo, scrutando gli occhi dell’anziano, carichi di supplica e di determinazione. Quell’uomo desiderava con tutto sé stesso proteggere la contessa Frydendahl, ma Albafica non sapeva quanto fosse obbiettivo… se quella ragazza fosse stato il nemico, nessuno gli avrebbe garantito che Jens non decidesse di tradire lui e il Santuario per quella giovane donna.

-Sono certo che lo farete… e, perché so che lo state pensando, Iedike non è coinvolta. La conosco bene, so che non c’entra nulla.- disse il vecchio, prima di sorridergli –E preparatevi, perché oggi sono giunte al maniero la contessa Maria Eckersberg, la zia della contessina e le sue figlie… quelle due ragazze sono due belle testoline vuote e vanitose… vi auguro buon divertimento.- e, detto questo, l’uomo scoppiò in una risata.










Sì, Alba è stato messo K.O. dalla grappa. Capita.
Bene, nel prossimo capitolo la Iedike vs. Sophia e chissà cos'alto...

   
 
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