Capitolo
V
Non
l’avrebbe mai ammesso, ma aveva passato gran parte della
mattina seduta nella
“stanza delle torture”, cioè ne
salottino della signorina Bernstein, guardando
fuori. Le finestre della stanza, infatti, davano sul viale alberato che
portava
ai cancelli di ferro battuto del maniero, che suo nonno aveva fatto
erigere per
sostituire le antiche mura ormai cadute in rovina e di cui spiccavano
qua e là
dei monconi coperti da rampicanti ed era possibile osservare, tra le
fronde
folte che iniziavano a tendere all’oro e
all’arancione, le carrozze e i cavalli
che si recavano al maniero.
Fece
fatica a concentrarsi sul suo ricamo, seduta su uno scomodo sgabello
–di quelli
adatti alla voluminosa gonna che indossava quel giorno- mentre la
signorina
Bernstein ciarlava del più e del meno, di quanto fossero
belle, raffinate ed
educate le signorine Eckersberg, di come si vestissero sempre
all’ultima moda
di Versailles, di quanto fossero colte, istruite dai migliori
precettori venuti
dalla Francia, di quanto i loro disegni fossero perfetti, le loro
esibizioni di
canto e pianoforte… ad un certo punto Iedike prese un libro
a caso –un romanzo,
una lettura che suo padre avrebbe definito frivolo, ma non ebbe la
voglia di
impegnarsi su qualche tomo di filosofia, la sua mente non poteva
rimanere
concentrata per più di pochi istanti, prima di tornare a due
occhi di zaffiro
che parevano nascondere mille segreti.
Sfogliò
pigramente le pagine per un po’, finchè con la
coda dell’occhio non intravide
una carrozza precorrere il sentiero orlato di colossi arborei.
-Devono
di certo essere vostra zia e le vostre cugine, contessa!-
esclamò la signorina
Bernstein con un tale gaudio nella voce, che a Iedike parve quasi una
timida
vergine in attesa del suo futuro sposo.
Del
resto, come si poteva non preferire la perfetta Sophia o la talentuosa
Christina, così attente all’etichetta e alla buona
creanza? si chiese, con un
sorriso divertito, alzandosi e dirigendosi, a passi lenti e ben
calcolati –più
per non cadere e rischiare di farsi male, che per risultare femminile-,
dando
il braccio alla sua istitutrice, nell’ampio atrio di pietra
scura, ove erano
riunite le tre visitatrici.
Maria
Eckersberg era nata come Marie Helene Christina Frydendahl, figlia dei
conti
Frydendahl e sorella di Ludvig, il padre di Iedike.
In
gioventù era stata conosciuta in tutta la Danimarca per la
sua avvenenza e la
sua grazia, ma anche per il suo carattere fiero e ribelle: era stata
una
graziosa fanciulla dai lunghissimi capelli dorati e gli occhi verdi
come i
prati di quella terra gelida, di statura alta e di costituzione un
po’ robusta,
allegra e di mente acuta, tanto scapestrata quanto posato e tranquillo
era il
fratello minore.
Aveva
dovuto lasciare la sua casa molto presto, quando si era sposata
all’età di
quattordici anni col figlio di un ramo cadetto di un antico casato
nobiliare della
capitale, a cui aveva dato cinque figli, tre maschi e due femmine, che
il suo
sposo aveva messo nelle mani dei migliori precettori ed istitutrici del
regno,
ma il matrimonio era stato tutt’altro che sereno o felice:
Sebastian Eckersberg
era un uomo violento e ottuso, dotato di una cattiveria non
indifferente,
dedito all’alcool quanto alle belle donne e aveva sparso in
Danimarca non pochi
bastardi; aveva sposato la contessa Maria solo per interesse e se
n’era sempre
disinteressato, ritenendo che un paio di gravidanze sarebbero bastate a
tenerla
a bada, ma aveva sbagliato i suoi calcoli e il carattere indomito che
aveva
caratterizzato per secoli la casata dei Frydendahl s’era
acuito col tempo.
Sebastian
Eckersberg aveva dunque tolto i due figli maschi, Søren e
August, alle cure
materne, rimettendoli ad una delle sue amanti –come gesto di
disprezzo verso
quella moglie tanto ostinata- proprio nello stesso periodo in cui la
contessa
Amalie rimaneva incinta del primogenito del conte Ludvig, con sommo
disappunto
del mercante, che aveva sempre sperato di divenire l’erede
della tenuta di
Frydenjord.
Maria,
senza dir nulla, si era recata in visita dal fratello, notando che la
cognata
non possedeva molto, all’infuori di una certa bellezza e di
un carattere
frivolo che a prima vista poteva apparire allegro e gioviale: Amalie
non era
adatta ad essere una moglie e tantomeno una madre e così il
piccolo Ludvig
aveva passato i primi anni della sua vita sotto la sorveglianza della
zia, che
lo aveva amato come un figlio.
Sebastian
Eckersberg aveva però reclamato la moglie e così
Maria era tornata a Copenaghen
in tempo per partorire la figlia Christina, una bimbetta malata e
triste che le
era stata tolta che ancora non camminava e la piccola Sophia,
l’esatto
contrario della sorella maggiore e che Sebastian Eckersberg, come
rappresaglia
per la troppa indipendenza della moglie, aveva affidato alla madre e
una
sorella rimasta nubile –due donne della sua stessa pasta che
non avevano potuto
non rovinare le menti giovani delle due fanciulle.
Maria
era dunque tornata al maniero in cui era nata e cresciuta per occuparsi
della
seconda gravidanza della contessa e della bambina che ne era nata, la
contessina Friederieke Amalie Maria.
Di
nuovo Amalie si era rivelata una pessima madre e così la
cura dell’infante era
passata alla ribelle contessa Eckersberg. Col tempo, però,
soprattutto con la
nascita di Victor, il suo ultimogenito, un bambino molto delicato,
Maria aveva
diminuito le visite e dopo la morte della madre, Friederieke e Ludvig
erano
cresciuti selvatici e ribelli, mentre i suoi quattro figli maggiori
erano diventati
ottusi esattamente come il padre e la donna non aveva mai fatto mistero
di
preferire la nipote Iedike alle figlie.
Ed
infatti si lasciò andare ad un sorriso ampio e sincero
quando la vide comparire
assieme alla signorina Bernstein –la donna più
vuota e stupida che conoscesse,
dopo le sorelle di suo marito e le sue figlie-, agghindata con abiti
che mai
quella giovane scapestrata avrebbe scelto di sua spontanea
volontà, tutti
fiocchi, ruches, pizzi e trine.
-Iedike!
Che gioia vederti, mia cara ragazza!- esclamò Maria,
prendendo le mani della
fanciulla tra le sue.
La
ragazza ricambiò il sorriso con altrettanta gioia.
–Mia cara zia! È così tanto
che non vi si vedeva, pensavo vi foste dimenticata di me!
Sophia,
scuotendo il capo con leggiadria, rise. –Dimenticarsi di voi,
mia cara cugina? E
come si potrebbe?
Iedike
ingoiò il sottinteso della cugina, rivolgendole un sorriso
falso ed affrettandosi
a salutare le due giovani parenti, mentre la contessa Maria prevedeva
una lunga
visita.
Albafica
montò a cavallo subito dopo la colazione e raggiunse in poco
meno di un paio d’ore
Frydenjord, rimpiangendo il dono della velocità,
inutilizzabile dato che doveva
fare attenzione a non farsi scoprire, ma non aveva mai amato
particolarmente
cavalcare ed il tempo perso in groppa a quella bestia –un
bell’esemplare robusto
e dal manto bianco sporco, quasi grigio e lucido- poteva essere
impiegato più
fruttuosamente nella missione.
Decise
che, prima di recarsi al maniero, il quale si stagliava in modo
inquietante
contro il cielo plumbeo del villaggio, si sarebbe recato
dall’anziano Jens
Andersen, per discutere con lui.
Percorse
con un trotto sostenuto la strada che già aveva fatto il
giorno prima,
osservando ancora più attentamente il paesaggio opprimente e
grigio, morto per
certi versi e gli abitanti del villaggio, dalla pelle smunta e lo
sguardo
assente, che si sfilavano il cappello al suo passaggio. Le vacche e le
pecore
che punteggiavano i prati parevano malate, pascolavano stancamente, gli
occhi
vacui come quelli dei loro padroni.
Il
giovane cavaliere d’oro piegò le labbra in una
smorfia amara, pensando che,
qualsiasi cosa stesse succedendo, doveva intervenire velocemente, prima
che per
quella gente non ci fosse più nulla da fare.
Arrivato
davanti alla casupola di legno smontò, legando la sua
cavalcatura ad un palo ed
entrando: l’anziano l’aveva sentito arrivare ed
aveva aperto la porta, con un
sorriso sul volto rugoso.
-Nobile
Albafica.- lo salutò, con una finta solennità.
Cane era sdraiato davanti al
caminetto e sonnecchiava pacifico.
Il
giovane
sorrise mestamente. –Jens Andersen.- disse, a mo’
di saluto, sedendosi su
silenzioso invito dell’uomo, che trasse dal pensile
scardinato la solita
bottiglia di liquore, versandone una tazza piena per
l’ospite. –So che effetto
possa fare questo paesaggio desolato e voi avete la faccia di qualcuno
che ha
appena visto un mucchietto di cadaveri. Bevete, questa, sicuro come il
fatto
che mi chiamo Jens, vi rimetterà in sesto.
Sicuramente
avrebbe rimesso in sesto anche un morto, pensò il ragazzo,
prendendo un sorso
di quel liquido trasparente e fortissimo e strabuzzando gli occhi
quando l’alcol
gli bruciò la gola, scendendo fino alla stomaco da cui si
propagò un calore
fortissimo. Non era certo la prima volta che beveva, ma quella grappa
non l’avrebbero
retta nemmeno Manigoldo e Dégel, si disse.
Jens
scoppiò a ridere nel vedere gli occhi sgranati e il rosso
che tinse le guance
del suo ospite e batté un palmo nodoso sul tavolo sbilenco.
–Questa grappa
stenderebbe anche Hades… bisogna essere abituati, signor
Albafica!
Il
giovane guerriero annuì, poiché gli pareva di non
avere più una lingua per
parlare.
-La
tengo
per le grandi occasioni… di liquori così non se
ne trovano più!- esclamò l’anziano,
soddisfatto, per poi farsi mortalmente serio. –Qualcosa vi
preoccupa.
-Sì.-
gracchiò il guerriero, la gola ancora in fiamme.
–Sì… ho ricevuto una missiva
dalla contessa Frydendahl. Mi invita presso la sua dimora per
pranzare.-
spiegò.
Jens
tacque qualche istante, poi si versò ancora un chicchera di
grappa. –Avete incuriosito
la contessina… la conosco bene, è sempre stata
una bambina curiosa e non è per
niente cambiata. Di certo il vostro modo di fare riservato le fa
immaginare cose
che non dovrebbero esserci.
-Potrebbe
essere pericoloso, se non per la missione, per lei.- disse il guerriero.
-O
forse no. Qualsiasi cosa sta intaccando questa gente, fa fatica ad
attecchire
negli abitanti del maniero, ma dubito che Iedike non si sia accorta di
nulla. Potrebbe
essere d’aiuto, ma fareste bene ad indagare anche al
castello… ieri, dopo che
ve ne siete andato, ho ricordato una cosa.- Jens fece una pausa,
accarezzando
il capo di Cane, che s’era svegliato e aveva strusciato il
muso contro la gamba
storpia del padrone. –Padre Hans arrivò proprio
quando Ludvig, il fratello di
Iedike, tornò dalla Francia… non so quanto
c’entri, ma…-
-Indagherò.-
promise il ragazzo, scrutando gli occhi dell’anziano, carichi
di supplica e di
determinazione. Quell’uomo desiderava con tutto sé
stesso proteggere la
contessa Frydendahl, ma Albafica non sapeva quanto fosse
obbiettivo… se quella
ragazza fosse stato il nemico, nessuno gli avrebbe garantito che Jens
non
decidesse di tradire lui e il Santuario per quella giovane donna.
-Sono
certo che lo farete… e, perché so che lo state
pensando, Iedike non è
coinvolta. La conosco bene, so che non c’entra nulla.- disse
il vecchio, prima
di sorridergli –E preparatevi, perché oggi sono
giunte al maniero la contessa
Maria Eckersberg, la zia della contessina e le sue figlie…
quelle due ragazze
sono due belle testoline vuote e vanitose… vi auguro buon
divertimento.- e, detto
questo, l’uomo scoppiò in una risata.
Sì, Alba è stato messo K.O. dalla grappa. Capita.
Bene, nel prossimo capitolo la Iedike vs. Sophia e chissà cos'alto...