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Autore: MissShinigami    17/09/2012    1 recensioni
Kimberly Williams è una ragazza non poi così normale che abita in un paesino non molto distante da Grandview, dove abita sua cugina.
La cugina M, come la chiama sempre Kim, ha il dono particolare di vedere i fantasmi, cosa comune nella famiglia, poichè lo possiede anche la protagonista...
Tuttavia la cugina M non è mai stata coinvolta in una storia con molte sfumature del thriller!
Genere: Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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La prima cosa che sentii fu il pavimento freddo sotto di me, poi arrivò il freddo.
Aprii lentamente gli occhi, ancora avevo le lenti, anche se non servì a molto: il buio era praticamente total; man mano che mi abituavo a quel posto, notai in alto una finestrella rettangolare aperta, da là arrivava la pochissima luce che mi permetteva di vedere almeno i miei anfibi. Mi mossi, notai con mia grande gioia di avere i polsi legati, fantastico … mi alzai, sentendo la testa incredibilmente pensante.
Feci qualche passo verso la finestrella ma inciampai in qualcosa e ci caddi anche sopra: pneumatici, pneumatici forati e sgonfi.
“Cazzo …” sussurrai.
Ero in casa del tutore, nella cantina o forse nel garage, ed era notte. Qualche ora ancora e il mio piano sarebbe partito, qualche ora ancora e sarei stata fuori di lì. Con Hope.
Ero ancora distesa sui copertoni, quando una porta, che non avevo visto, si aprì.
Mi affettai a rialzarmi, il movimento troppo veloce però mi provocò un forte giramento di testa, capii di non essere molto stabile.
L’uomo entrò, era alto e massiccio con i capelli scuri arruffati e la barba lasciata incolta che dava l’idea di essere sporchissima, gli occhi piccoli. “Vedo che ti sei svegliata e che hai già iniziato a ficcare il naso in giro …”
“Dov’è Hope?!” lo interruppi fregandomene di ciò che stava farneticando.
Il suo volto divenne una maschera d’ira.
Ricevetti uno schiaffo così forte che mi fece cadere di nuovo sulle gomme.
Non disse nient’altro e se ne andò.
Dopo un po’ la testa smise di girare, anche se non del tutto, arrancai verso il muro opposto alla finestrella appoggiandomi. Scivolai a terra, rimasi tutto il resto della notte sveglia, incapace di dormire, le lenti a contatto mi aiutavano a non farlo, erano diventate secche, bucavano e graffiavano, ogni tanto lacrimavo e il dolore che mi procuravano si attenuava.
Vidi le prime luci dell’alba dopo ciò che mi sembrò un millennio … mi venne una battuta sarcastica sullo scorrere del tempo, ma non mi sarebbe stata d’aiuto: ero nella merda.
La porta del garage, avevo capito dove mi trovavo con l’arrivo del sole, si aprì ancora.
“Non mi piace essere interrotto.” spiegò. “Senti, io voglio che questa cosa finisca molto più in fretta di quanto tu creda, perciò dimmi ciò che sai in fretta.” mi ordinò.
Rimasi impassibile e apatica: non avevo la minima idea di cosa stesse parlando, ma non volevo che lui lo sapesse. Non mi avrebbe fatto nulla finché ne rimaneva all’oscuro, dovevo solo resistere, era mattina, era questione di ore.
“AVANTI RISPONDI!!”
Era molto irascibile.
“Non dirò niente finché non avrò visto Hope.” rimasi calma.
Contrasse la mascella facendo scricchiolare i denti, scomparve dietro la porta, ancora.
Dieci minuti.
La porta, ch iniziavo ad odiare con tutta me stessa, si aprì per una terza volta.
Hope.
Mi si gettò addosso piangendo, feci passare le mie mani legate dietro la sua schiena, abbracciandola.
“Scusa! Io volevo avvertirti, dirti di non venire, ma …” singhiozzò. “La Contessa non c’era più, è scomparsa Kim! Non la vedevo più!!”
Rimasi sorpresa.
“La Contessa?” chiese il tutore rimasto sulla soglia.
Non lo considerai neanche. “Non so cosa sia successo ma non ti preoccupare si sistemerà tutto.” la strinsi a me, avvicinai le mie labbra al suo orecchio. “Non fare parola di ciò che sai su di me, niente fantasmi …” sussurrai.
Lei annuì continuando a piangere irrefrenabilmente.
L a strinsi ancora di più.
“Adesso basta!” ci richiamò il tutore.
“Va …” le dico poi le do un bacio sulla fronte sentendomi patetica nel darle solo la protezione di un bacio …
Strinsi i denti: non dovevo piangere.
“Ora, dimmi tutto ciò che sai, avanti!” tuonò il tutore in piedi davanti a me.
Sorrisi rabbiosa. “Io non so niente.” dissi tra i denti.
“MENTI!”
Un calcio allo stomaco mi schiacciò al suolo. Mi mancò il respiro, rotolai su un fianco cercando aria.
“NO! Fermo,così le fai male!”
Era Hope. Ancora non se n’era andata!
Come aveva potuto farle vedere una scena come quella!
“Bastardo …” rantolai a terra.
Ricevetti un altro calcio ad altezza costole.
Trattenni i versi di dolore.
Hope si mise tra me e lui. “Devi smetterla! Non ti ha fatto niente!!”
“È ciò che accade quando si dicono le bugie! Adesso spostati devo parlare con la signorina.”
“NO!”
“Non devi disubbidirmi!” le tirò uno schiaffo.
La bambina crollò a terra dietro di lui iniziando a piangere.
“Adesso, te lo chiedo solo un’altra volta …” iniziò a camminare in cerca di qualcosa attraverso il garage.
Vidi Hope piangere, mi montò ancora più rabbia, vidi il suo labbro spaccato.
Mi rialzai mentre il tutore mi dava le spalle.
Purtroppo se ne accorse. Si voltò, aveva qualcosa in mano.
Io ansimavo, il cuore mi batteva impazzito, la testa era incredibilmente pesante e sentivo un dolore sordo al lato sinistro del mio torace.
“Così non va bene signorina, si sieda pure.”
Lo odiavo.
“Non mi piace che le persone si facciano i fatti miei.” si avvicinò.
Potei vedere bene che teneva un mazzuolo in mano, doveva pesare minimo cinque kili, ma sembrava che per lui non fossero neanche due.
Deglutii, ero spaventata ma dovevo proteggere Hope, anche se non sapevo come … il mio piano era partito, non potevo cedere ora …
“Dimmi ciò che sai, ragazzina. Potresti andartene di qui sulle tue gambe.”
“Che minacce vecchia scuola, se riuscissi ad andarmene stanotte troverei una testa di cavallo nel letto?” l’avevo interrotto ancora.
Si mosse veloce.
Io no.
Finii contro il muro, doveva avermi rotto la spalla o qualcosa del genere.
Scivolai a terra, le gambe non tremavano e non reggevo il dolore.
“Ti piace scherzare, he?”
Hope piangeva sempre più forte.
“Allora farò la conta di quale gamba romperò per prima. Dimmi un numero …”
Iniziavo a vedere sfuocato, non sapevo se per le lenti o perché stavo per svenire. Comunque sorrisi sfidandolo, quanto sarò stata stupida … ma non esserlo non avrebbe cambiato la situazione … “Cinque.” mormorai.
Contò poi il mazzuolo calò.
Sentii prima il rumore del mio osso che si frantumava poi il dolore, un dolore cieco e sordo, mi scosse tutta da capo a piedi, infine si concentrò dove ero stata colpita.
“Adesso forse ti sarà venuta voglia di parlare.”
Tenevo gli occhi aperti per quanto potevo. Li tenevo fissi su Hope, assicurandomi che fosse lì, che stesse bene.
Mi prese per i capelli e mi tirò su, dolore su dolore.
“Cosa sai di tutta questa storia?”
Non riuscii a proferire parola.
Sbuffò e mi lasciò cadere a terra senza tanti riguardi poi si diresse verso la porta. “Andiamo Hope.”
“NO! Io sto qui con Kim …”
“Fa come ti pare.”
Si chiuse la porta alle spalle.
L’ultima cosa che sentii prima di svenire fu la chiave che girava nella toppa.


Riaprii gli occhi e non vidi niente, non che fosse calata di nuovo la notte, ma non avevo più le lenti. Capii di essere supina sul cemento del garage del tutore e capii di stare peggio di quanto avessi creduto di stare: il dolore era lancinante, veniva dalla gamba destra e dalla mia spalla sinistra. Avevo la sensazione di stare per vomitare, ma non sapevo se era dovuta al dolore o al fatto che non mangiavo da quasi un giorno.
Sentii un sospiro vacillante accanto a me, voltai la testa in quella direzione.
“Ti sei … ti sei ripresa …” fece Hope restando lontana, appoggiata al muro grigio.
Perché non si avvicinava?
“Più o meno …”
Dal poco che riuscivo a vedere, non mi guardava neanche.
“Hope, cos’hai?”
Rimase zitta.
Mi rivolsi al soffitto, non dovevo sforzarmi neanche di capire cosa guardavo.
Hope si mosse verso di me e mi infilò gli occhiali.
“Grazie.” dissi vedendola finalmente.
Piangeva in silenzio.
Tornò contro il muro.
Io la guardavo.

Cinque minuti?

Dieci?

Undici …

“Perché fai tutto questo?”
“In che senso?” le sorrisi.
Sembrò rimanerci male. “Non ridere, stai male. Per colpa mia.”
Feci una pausa. “Non è colpa tua.”
“Tu vuoi proteggermi!!”
Sentii un’altra presenza nella stanza, non mi mossi perché la sentii comminare verso di me: la madre di Hope si chinò su di me con i riccioli biondi che le incorniciavano il viso, era normale adesso, niente segni dell’incidente, era davvero bella.
“Tu fai tutto questo per me!! Perché?!”
Io guardai su madre.
“Diglielo.” mi disse.
“Io … ti proteggo perché quando ti ho visto ho riconosciuto me in te … tu sei spaventata, indifesa e sola. Non devi esserlo, non voglio che tu lo sia.”
Hope iniziò a piangere.
“Vieni qui.” le dissi. “Però appoggiati sul braccio buono!” risi.
Hope pianse. “Sono inutile ora! Tu mi stai proteggendo, stia soffrendo a causa mia e io non posso farci niente!!!”
La lasciai sfogare finché non si addormentò.
Poi la imitai.
Ma il giorno era passato e Julie doveva aver già fatto ciò che le avevo detto.
  
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