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Autore: Shari Deschain    18/09/2012    6 recensioni
Damon, dietro di lui, incrociò il suo sguardo nello specchio.
«Che cos'è?», domandò ancora, quasi ringhiando.
«Uhm», mormorò Stefan. «Credo sia un livido», ammise.
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Stefan Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'He ain't heavy. He is my brother.'
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Warnings: Fluff (kind of); H/C (kind of anche qui)
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Disclaimer: Magari fossero roba mia. Li tratterei meglio dei loro veri possessori e_e
N/A: Scritta per 500themes_ita, prompt #209. Moralità colpevole
─ IDEK, volevo solo un po' di fluff su questi due. Tutto quello che voglio da questo show è un po' di fluff su questi due, ma il mondo non vuole darmelo. Mondo, sei brutto e cattivo.
─ Timeline indefinita. Diciamo da qualche parte tra la prima e la seconda stagione.






Unspoken





Una delle prime cose che, una volta vampiro, Damon aveva imparato ad ignorare era il senso di colpa. O, per meglio dire, il concetto di colpa in generale. Quello di responsabilità ─ che il resto del mondo ci credesse o meno ─, rimaneva ancora annidato da qualche parte dentro di lui, e no, non erano la stessa cosa, e sì, si poteva vivere anche in quel modo.
Lui ci riusciva.

(Una vocina all'interno della sua testa a volte gli suggeriva malignamente che in fondo lui poteva permetterselo perché sapeva che c'era Stefan a portare il peso della coscienza di entrambi, ma quella voce riusciva a farsi sentire solo dopo due o tre bicchieri di buon liquore, quindi non gli era affatto difficile metterla a tacere con una semplice scrollata di spalle).

… o comunque ci riusciva per la maggior parte del tempo.
Ci riusciva fino a quando Stefan non ci si metteva di mezzo, ecco.
Il problema era che Stefan ci si metteva sempre di mezzo in un modo o nell'altro.


*


Il motivo del loro ultimo litigio, Damon non se lo ricordava. Non dava molta importanza a quel genere di cose, e comunque, tra tutti e due, non è che avessero molta fantasia in proposito.
Al novanta per cento, quando litigavano, era a causa di Elena. O per qualche recriminazione su Katherine. A volte, sempre più raramente, era a causa di qualche “brutale attacco da parte di un animale selvatico”. Poi discutevano parecchio anche sui turni in lavanderia, ma difficilmente si prendevano a pugni per un paio di magliette sporche.
Ad ogni modo, non era stato un litigio importante. Niente parole particolarmente pesanti. Niente minacce di eternità di miseria. Niente pezzi di legno infilati nello stomaco dell'uno o dell'altro.
(La loro relazione stava migliorando un sacco, davvero).
Niente per cui sentirsi in colpa, insomma.
Sennonché...

«Cos'è quello?»
Stefan, che si stava giusto preparando per andare a dormire, sobbalzò e si girò di scatto, trovandosi faccia a faccia con il fratello. Era sorpreso non tanto dell'esserselo trovato improvvisamente alle spalle, quanto piuttosto del sentirsi rivolgere la parola. Dopo una lite, di solito, tendevano ad ignorarsi a vicenda fino a quando non era strettamente necessario ritornare a parlarsi o a prendersi a pugni.
In quel momento, però, Damon non gli sembrava incline alla violenza. A dire il vero aveva un'espressione molto curiosa in volto, qualcosa che non gli riuscì di identificare.
«Quello cosa?», domandò allora, confuso.
Damon alzò un dito e glielo puntò contro la faccia, quasi all'altezza del naso.
«Quello».
Stefan batté le palpebre un paio di volte, indeciso se voltarsi o meno. Non si fidava ancora molto a dare la schiena all'altro.
«Di cosa stai parlando?», chiese ancora.
Per tutta risposta, Damon gli schiacciò la punta del polpastrello contro uno zigomo.
Stefan pensò che fosse impazzito, o ubriaco, o entrambe le cose, ma poi un dolore lento e pulsante iniziò a diffondersi su tutta la superficie della guancia.
«Ahi!», esclamò, schiaffeggiando via la mano di Damon.
Suo fratello lo guardava ancora con un sopracciglio sollevato, ma non sorrideva.
Toccandosi il volto, Stefan lo trovò caldo. E c'era un punto, tra lo zigomo e l'occhio, che gli doleva anche solo a sfiorarlo. Senza prestare più alcuna attenzione all'espressione dell'altro, si diresse verso il bagno e si accostò alla grande specchiera macchiata di dentifricio al di sopra del lavandino.
«... Oh!», esclamò, quando infine vi si ritrovò davanti.
Damon, dietro di lui, incrociò il suo sguardo nello specchio.
«Che cos'è?», domandò ancora, quasi ringhiando.
«Uhm», mormorò Stefan. «Credo sia un livido», ammise.

Due minuti dopo, Damon stava ancora urlando.
«Un livido!», ruggì. «I vampiri non hanno lividi!»
Seduto a gambe incrociate sul suo letto, Stefan si strinse nelle spalle, seriamente confuso dalla reazione del fratello.
«Te l'ho detto che la mia dieta ha degli effetti collaterali», ribatté con calma. «Sparirà in un paio d'ore».
«Sono già passate più di un paio d'ore da quando...»
Da quando te l'ho fatto, stava per dire. La voce gli morì in gola. Non capiva perché quell'occhio nero lo turbasse tanto: di sicuro si erano fatti ben di peggio, in passato. Una volta si erano addirittura sparati addosso a vicenda. Ma su di loro non erano mai rimaste cicatrici, o lividi, o qualsiasi altro segno tangibile a parte dei vestiti sporchi o strappati. È per questo che era sempre stato così facile dimenticare, o perlomeno fingere di farlo.
Ora non riusciva a guardare in faccia suo fratello senza provare un moto di collera. E non verso Stefan, questa volta.
«Sei patetico», borbottò comunque al suo indirizzo. Voleva suonare derisorio, ma non riuscì a nascondere del tutto la rabbia. «Il vampiro più debole e patetico che abbia mai conosciuto. Se il patetismo fosse una persona, quella persona saresti tu».
Prese una bottiglia a caso dalla scrivania di suo fratello e si versò due dita di quello che si rivelò poi essere scotch, continuando a biascicare improperi tra i denti.
«Non ti denuncerò alla protezione minori, se è questo che ti preoccupa», replicò Stefan, sorridendo appena. La situazione cominciava a divertirlo.
«Fallo, invece. Magari mandano i servizi sociali ed è la volta buona che mi libero di te».
Il sorriso di Stefan si allargò ancora un po'.
Pensò di dirgli che era davvero carino quando si preoccupava per lui (anche se un po' ridicolo, a dirla tutta), ma alla fine decise di non infierire.
In fondo nemmeno lui ricordava più il motivo per cui avevano fatto a botte poche ore prima.
«Buonanotte, Damon», disse invece, chiudendo gli occhi e lasciandosi cadere all'indietro sul materasso.
Damon lo fissò per qualche istante, ancora risentito.
Pensò di dire patetico idiota che non sei altro, ma non aveva voglia di ripetersi.
Pensò di dire buonanotte, ma non lo fece.
Pensò di dire mi dispiace, ma si morse la lingua.
«Vai tu in lavanderia, domani?», domandò ancora Stefan, con un tono quanto più possibile casuale.
Di nuovo silenzio, meno astioso questa volta.
«D'accordo», rispose infine Damon. Poi uscì velocemente dalla stanza di suo fratello, premurandosi di sbattersi la porta alle spalle.
«Patetico idiota che non sei altro», mormorò al corridoio vuoto, ma sorrideva.


   
 
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