Stop. Caput. E’ arrivata al capolinea.
Inizierà a decomporsi.
Oltre al danno anche la beffa.
Un anno sofferente non le ha dato una morte indolore.
Anzi.
Gridava e chiedeva aiuto in forze più grandi di lei.
Decine di persone erano lì a vedere la vita che la lasciava.
Io no.
Mia madre sì.
Piange da giorni, non mangia, sta fuori con mio padre.
Io non faccio che stare zitta.
Cazzo, non dovrei essere io quella che accumula.
Perché devo fare da madre anche a lui?
Non so neanche come gestire questo da sola.
Le cellule impazziscono.
Quando te ne accorgi è troppo tardi.
Abbiamo saputo cosa aveva tre giorni prima che morisse.
Prendo il cellulare.
Non riesco neanche a guardarli in faccia.
I loro sguardi mi soffocano.
Trovo foto di mia nonna, di mia zia, mia madre.
Come se ciò riuscisse a dimostrare l’affetto che provo.
No, non mi capiscono.
Non capiscono perché non abbraccio più nessuno.
Perché non rido.
Perché non scherzo.
Perché non mi godo ciò che loro chiamano vita.
No, non ci riescono.
-Scendi, siamo arrivati.-
Odio i cimiteri.
Troppo bianco, troppo silenzio, troppe candele, troppo tutto.
Ci fermiamo.
E’ lì, solo poco più in basso.
Non è stato messo neanche il marmo.
I fiori coprono la terra.
Per favore, alzati e dimmi che va tutto bene.
Continuami a dire che sto crescendo.
Non andare via.
Sporcami di terra e lasciamo questo silenzio.
Lascia che qualche recondito angolo della mia anima possa dire: non sono stata sola.