Capitolo 3
– Una Nuova Casa
[Data: 17th
November 1042 – 06.14
Luogo:
Monastero Hemsworth
Temperatura
Esterna: 7 °C
Temperatura
Interna: 16 °C]
Piove, quel
ticchettio fine, delicato ed estenuante che accompagna quasi tutta la
stagione
autunnale, risuona come colonna sonora anche di quella mattinata, in
cui il
Sole sembra indeciso se mostrarsi tra quelle nubi scure o se restare
sopito
dietro di loro, senza mostrare la sua magnificenza a quei poveri e
miseri
mortali che ne bramano la luce per la loro carne inumidita, per le ossa
che
dolgono ogni giorno sempre di più. Quella pioggia che ticchetta contro
le
vetrate spartane di quel monastero, non sono chiare, millimetri di
polvere
hanno coperto oramai da tempo il loro candore e la loro preziosa
trasparenza e
nessuno sembra intenzionato a ripulirle, probabilmente nessuno s’è mai
soffermato ad osservare come queste siano sporche. Ma lui sì, seduto
sul baldacchino
nel quale Vincent lo aveva fatto coricare, fissa quella finestra scura,
sporca,
e non vede oltre, non vede nient’altro oltre le gocce trasparenti che
scivolano
verso il basso, portandosi via solo parte di quella polvere e lasciando
sul
vetro un disegno omogeneo nella sua discontinuità. La fissa con il
pensiero
fisso di voler uscire di lì, non è quello il suo posto, ha una casa ed
è fuori
da quelle quattro mura. Il giorno precedente non aveva nemmeno avuto il
coraggio di chiederlo al cacciatore, se ha il permesso di poter tornare
a casa
sua o meno, se può andarsene di lì o se deve rimanerci in eterno. C’è
angoscia
nei suoi occhi scuri, dietro quell’abisso si nasconde tutta l’ansia di
un
momento, l’ansia che può avere un bambino nel trovarsi a passare una
notte
fuori da casa e con la consapevolezza che una cara amica lo ha lasciato
per
sempre, uccisa dalle stesse persone che ora lo stanno lavando,
sfamando,
accogliendo, come se fosse tutta un’enorme presa in giro, uno scherzo
ben poco
simpatico al quale non ha eccessiva voglia di prender parte. L’unica
pecca è
che non pare toccare a lui la scelta…
Le gambe
sottili penzolano dal materasso, le iridi corvine si spostano dal vetro
sudicio
della finestra ai propri piedi, li dondola un po’, forse per passare un
po’ di
tempo prima che qualcuno lo venga a chiamare. Indossa unicamente un
paio di
pantaloni chiari, morbida la stoffa, le pieghe segnano una struttura
longilinea, ma allo stesso tempo sin troppo sottile. Il busto è esile,
una
benda bianca ne fascia stretto il torace e la spalla destra, sino
all’altezza
del gomito, Vincent, nel lavarlo, pareva essersi accorto di un difetto
della
cartilagine e dell’ossatura, che impediscono alla spalla di rimanere in
asse e
di compiere, di conseguenza dei movimenti che implicassero un minimo si
forza.
In parole spicciole aveva voluto dirgli che quella spalla era
semi-lussata,
ancora sana e salva dalla lussatura completa, ma gli aveva impedito di
rischiare oltre fermandogli l’osso e tenendolo al sicuro sotto quella
fasciatura
stretta. “Se solo la tua spalla dovesse divenire inutilizzabile nel
corso del
tempo, non potrei più inserirti nella squadra dei cacciatori, e sarebbe
un
peccato, in fin dei conti dai l’idea di essere un giovane forte ed
atletico”
aveva detto, che Sam avrebbe tranquillamente concordato con l’atletico,
ma
ancora non riusciva a capire dove accidenti lo vedeva forte, anzi, lo
chiamavano “cavalletta”
o “grillo” in
alternativa, che indica unicamente che è magro, ma non avrebbe la forza
necessaria a sostenere un lavoro pesante, come avrebbe invece preferito
il
padre.
Il viso è
leggermente scavato sulle guance, sotto gli occhi risiedono due vaghi
solchi
scuri che rendono nota ai più la nottata passata in bianco, con
quell’inquietudine che lo logora da dentro, con una forza quasi
impressionante.
Essa solca la carne attimo dopo attimo, divorando ogni organo, ogni
senso e
lasciando dietro di sé solo il vuoto ed un forte mal di stomaco, che
mal
s’accosta ad un buon riposo, no, quell’ansia glielo impedisce,
distruggendolo.
Su di una
sedia sono piegati dei pantaloni di un marrone scuro, poco lontana vi è
la
cinta che dovrebbe stringere sulla vita, impedendo a quelli di cadere.
Vincent
non ne aveva un paio della sua taglia, troppo magro e troppo basso,
ancora, per
poter indossare quelli degli altri ragazzi, ha dovuto dunque tagliare
le gambe
ad un vecchio paio di quelli che aveva lui, ovviando al problema della
vita con
quella cinta, che li avrebbe tenuti su. Sullo schienale della medesima
sedia è
poggiata una camicia relativamente bianca. Relativamente perché
probabilmente
quello era il suo colore iniziale ma, con il passare del tempo e dei
lavaggi,
quel colore è stato perso sempre più, sino a divenire un bianco sporco,
anche
vagamente sbiadito in alcuni punti. Probabilmente mancano anche un paio
di
bottoni, la cosa buona è che questo non interesserà poi troppo il
ragazzino, al
quale va bene sia così che immacolata, basta che qualcosa lo ricopra
dal freddo
di quelle notti.
Scivola giù
dal letto solo dopo un po’. Non fa, tuttavia, in tempo a fare nemmeno
un paio
di passi che qualcuno apre la porta in legno di quella stanza ben poco
arredata. Spunta il volto di Vincent da lì dietro, lieto, sorridente
per altro,
che non chiede permesso alcuno per entrare in quella stessa camera e
richiudere
la porta dietro di sé, con un suono leggero ed appena udibile la porta
di
chiude, uno scatto della serratura, non chiusa a chiave, nessun
chiavistello la
serra, è stata solamente chiusa.
«Non
pensavo di trovarti già sveglio, ti ho poggiato i vestiti sulla sedia,
ma vedo
che non ne hai ancora usufruito..ti serve una mano?» domanda,
avvicinandosi per
altro alla sedia che ospita quegli stessi indumenti, con la chiara
intenzione
di aiutarlo a vestirsi, più che altro perché gli spifferi freddi d’aria
gelida
non dovrebbero essere particolarmente salutari per uno scricciolo come
Sam, che
non sopporterebbe nemmeno una pioggerella senza tornare a casa con la
tosse e
la febbre, e non è cosa buona e giusta, non nell’epoca corrente
quantomeno. Il ragazzino
serra le palpebre e le labbra tra di loro, cercando forse di trovare il
coraggio di dire all’amico dell’assassino della vampira che non ha
nessuna
intenzione di stare lì, di sostare in quel monastero per più di un
altro giorno
ancora, giusto il tempo di radunare qualcosa di utile e quindi avrebbe
ridisceso la facciata della montagna, non saprebbe ancora dire come, ma
lo
avrebbe fatto in qualche modo, uno qualsiasi, pur di essere libero da
quella
sottospecie di spiacevole prigionia.
«Portami a
casa» se il tono voleva essere deciso e determinato, deve aver
sbagliato,
poiché dalle sue labbra non esce niente di più del solito sussurro
appena
accennato, che necessita della massima attenzione per poter essere
udito. Ma
pare che il Cacciatore abbia portato su Sam i giusti interesse e
concentrazione
per non lasciarsi sfuggire nemmeno un alito di troppo, niente.
«Non è
possibile, temo che dovrei abituarti a stare qui, anche se la cosa non
ti
convince poi troppo, anche non ci troverai alcun senso, credimi, non
c’è altra
soluzione per la quale tu possa essere libero e contento con la tua
famiglia.»
Ha ragione
il cacciatore, quelle parole all’udito del bambino non hanno senso
alcuno, come
se avesse detto la prima cosa che gli è venuta in mente, una
stupidissima
accozzaglia di parole non meglio identificate, che da sole possono
anche avere
un significato, ma, messe nella stessa frase, non trovano un senso vero
e
proprio. Le palpebre del ragazzino si spalancano per un momento, le
labbra
dischiuse, incredulo, si era aspettato, nonostante tutto, una risposta
affermativa, non trovando una spiegazione plausibile per quella che
invece gli
è arrivata alle orecchie. Apre e chiude le labbra almeno un paio di
volte,
senza sapere di preciso cosa dire, mentre Vince sfila la camicia dallo
schienale della sedia. Osserva il fatto che manchino due bottoni e
storce le
labbra, ma non pare dire niente in merito, ce li farà riattaccare in
seguito.
Gli si avvicina, si avvicina a quel piccolo corpo tremolante e
sconvolto con la
lucidità di chi ha appena detto qualcosa di perfettamente normale.
Sente quel
ticchettio lieve rimbombargli nella mente, come un susseguirsi di tanti
piccoli
frastuoni, ci si perde, mentre osserva la figura del cacciatore
avvicinarsi e
cercare di fargli infilare la camicia.
Ma no, lui
si scansa, rifugge quel gesto e quella che, tutto sommato, era
un’accortezza
che quasi gli era dovuta, un’accortezza che alla fine dei giochi non
era
nemmeno malvagia, anzi. Lui lo scansa, indietreggiando in un piccolo
scatto e
rischiando per un momento di cadere. Scongiurata, la caduta a terra,
dall’aggrapparsi al lenzuolo che copre il materasso di quel baldacchino
non
propriamente nuovo. I lineamenti di Vincent, agli occhi corvini di Sam,
per un
momento assumono quelli di un aguzzino, un ricattatore, una
qualsivoglia figura
meschina che altro non vuole che minare la sua libertà e la sua
volontà,
nient’altro, non vede oltre quello, non vede l’aiuto che vorrebbe
portargli,
non vede il bene che gli è stato fatto, non vede quel lato, da fondo
solo ed
unicamente a quello che lo ha minato, riducendolo ad essere nient’altro
che un
ragazzino alle prese con se stesso, la consapevolezza di una morte
anche troppo
recente ed il non poter nemmeno tornare indietro. Per colpa sua? No, è
tutta
colpa di Vincent e del suo amico Kurt, se lui è bloccato sulla cima di
quella
montagna, all’interno di quella magione. Serra di nuovo le palpebre, un
piccolo
scatto, mentre raccatta tutta la voce ed il coraggio che può avere un
ragazzino
di poco più di dieci anni.
«Io non ci
voglio stare qui! Rivoglio la mia mamma! Rivoglio papà! Voglio tornare
a casa!»
lo urla con tutte le poche forze che ha in corpo, non osando aprire gli
occhi
sulle prime, trema un poco, le dita sottili e pallide si stringono
ulteriormente su quella stoffa bianca. Quando li riapre osserva il
cacciatore
da dietro una patina lucida e con una supplica disperata in fondo a
quello
sguardo nero. La pelle all’altezza delle gote si è arrossata un po’,
così come
anche sul collo e sul petto, per l’agitazione di non poter fare quel
che
preferisce, quella sorta di crisi nervosa che prende quando ci si fanno
determinate idee e poi, alla fine, non si riesce ad ottenere nulla,
nonostante
non si abbia fatto niente di male, il dover per forza rimanere passivi
ad
un’azione ben poco piacevole. Gli occhi si gonfiano di lucide lacrime,
che
straboccano in poco, solcano le guance ed interrompendosi solo per un
momento
sul filo della mascella, ferendo quella carne di un dolore che non
avrebbe mai
pensato di poter provare. Vincent finisce con il sospirare in maniera
appena
percettibile, posando la camicia sul letto ed avvicinandosi a Sam,
allunga la
destra, cercando di portare via le lacrime del suo viso, con gesti
delicati.
«Ascoltami,
tu sai cos’è successo, giusto? E sai anche che a rigor di logica a
quest’ora
dovresti essere morto, ci sono cacciatori come Kurt che non provano
pietà per
nessuno, a cui non piace che si sappia in giro né che vi sono dei
vampiri, né
che qualcuno possa sapere della nostra o della loro esistenza, è bene
che
rimangano un segreto, che restino seppelliti nelle leggende. E l’unico»
si
interrompe per un attimo, tornando a passare il pollice sotto l’occhio
destro
di Sam «Smettila di piangere, non si addice ad un cacciatore grande e
forte» lo
dice sorridendo per altro, mentre montala rabbia nella mente del
fanciullo nel
sentire quelle parole «E l’unico modo che hai per evitare di creare
problemi
alla tua stessa famiglia, mettendola in pericolo ed evitare di mettere
in
pericolo anche te stesso, è quello di divenire ciò che siamo anche noi.
Così
facendo nessuno dei presenti avrà l’obbligo ed il dovere di eliminare
quello
che sai e quello che sei, giusto?»
Un lungo
momento di silenzio nell’istante in cui gli occhi lucidi del ragazzino
non si
scollano dal volto di Vincent, implorandolo, probabilmente di cambiare
idea, di
trovare una soluzione o aiutare lui a farlo, per far sì che possa
tornare a
casa sua, nel suo di letto, con i suoi vestiti, che gli stanno meglio
di quelli
che ha qui, sotto le cure dei suoi genitori. Non sente il bisogno di
una nuova
casa, non la vuole, vuole quella sua vecchia, dove poter stare in pace
e
continuare a vivere nella tranquillità di quell’ambiente, come se nulla
fosse.
Sospira di nuovo l’Hunter, andando a sedersi sul materasso, il quale,
sotto il
suo peso, cigola un minimo.
«Ascoltami,
Sam, non c’è un’alternativa, ok? Questa è la migliore a disposizione,
tornare a
casa significherebbe preparare alcuni dei cacciatori a dare la caccia a
te ed i
tuoi genitori con l’accusa di essere delle falle, e non possiamo
permetterci di
avere anche la più piccola delle falle in mezzo ad una società come
questa. Il
rendersi conto dei paesani che le loro strade sono infestate da
creature quali
i vampiri non porterebbe niente di buono, se non un allarmismo generale
che li
farebbe uscire di casa con le torce accese ed i forconi in mano.
Noi..evitiamo
il caos, noi cerchiamo piuttosto di rendere questa caccia il più
discreta
possibile e, per poterlo fare, abbiamo bisogno dell’ignoranza della
gente,
capisci?» domanda, osservandolo, speranzoso che abbia colto il punto
della
situazione e quello che è la sua condizione, che non vi sono poi così
tante
altre possibilità da mettere in ballo, non soluzioni o alternative,
niente.
«Senti qua, prima che tu cerchi di rifiutare di nuovo la cosa.»
accenna,
lasciando trasparire, stavolta, un sorriso bonario dalle labbra «Qui si
addestrano dei ragazzi a divenire cacciatori, perché un giorno possano
proteggere le loro famiglie ed i loro paesi dai vampiri senza aver
bisogno
dell’aiuto di un Hunter più anziano. Come qui c’è il monastero a
vegliare sulla
sicurezza del paese, in un altro ve ne sarà uno differente e così via
discorrendo. Un giorno, alla fine di tutto questo, potrai tornare a
casa,
vegliare sui tuoi genitori, proteggerli ed amarli quanto più
preferisci.»
Tira su con
il naso Sam, rimuginando su quello che gli è appena stato detto, porta
il dorso
della destra al rispettivo occhio, stropicciando senza pietà quella
povera
palpebra. Si avvicina al letto, finendo con il salirci con un piccolo
saltello.
Solo adesso che quel nervosismo inizia a scemare, accontentato forse
dalla
possibilità di poter tornare a casa un giorno, la pelle prima accaldata
inizia
a sentire il freddo di quegli spifferi d’aria che passano dal vetro
della
finestra, accapponandosi. Fissa il pavimento, puntandosi su
quell’angolo che si
trova tra una mattonella e l’altra, non lasciandolo mai, segue il
percorso di
quella formica che fa avanti ed indietro, trovando la propria strada
sbarrata
dall’orlo rialzato di un tappeto che arriva sino allato del letto,
facendogli
da scendiletto, alla fine.
«E quanto
tempo ci vuole perché possa tornare a casa?» non v’è più nessuna
traccia di
rabbia, è piuttosto tornato a vigere da padrone quel sussurrare appena
accennato, che costringe Vince a rimare attento a quando le labbra
giovani del
ragazzino si muovono per poter proferir parola. Sorride il Primo
Cacciatore.
«In media
sei, sette anni massimo, sembrano molti adesso, ti sembrerà che non
passino
mai, ma ti accorgerai solo alla fine di quanto in realtà siano stati
pochi.»
accenna, rialzandosi da quel materasso, si porta di fronte a Sam,
serrando le
mani attorno ai fianchi del ragazzino «Ora vestiti, o finirai con
l’ammalarti»
afferma, tirandolo in piedi sopra a quel pezzo di mobilia morbido e
confortevole. Non dice nulla Sam, allunga solo le mani perché l’altro
possa
aiutarlo ad infilarsi la camicia e di seguito le braghe, sebbene la
cinta la
stringa da sé. Solo al termine torna ad aprire bocca e parlare.
«Non sono
bravo a combattere, i vampiri poi sono forti…» come a domandare come
avrebbe
mai potuto, uno come lui, sconfiggere o addirittura uccidere uno di
quegli
esseri, non si tratta, dopotutto, di bruscolini, ma vampiri, reali,
quegli
esseri dall’umana forma, posseduta unicamente per ingannare, il loro
vero
aspetto rasenta l’orrendo, rispecchiando in tutto e per tutto la loro
anima
lercia, sudicia, macchiata da quei crimini dei quali ridono quando si
soffermano a fare salottino tra di loro. Quell’anima logorata dal
tempo,
quell’anima che non posseggono nemmeno più, votata non al Demonio ma al
piacere, il loro demone è il piacere in ogni sua forma. Ogni singolo
peccato
capitale trova in loro il giusto mezzo per potersi diffondere a macchia
d’olio,
avvelenare gli animi, renderli impuri, votarli all’eterno oziare ed
ammazzare
la noia con quel meschino servirsi di chi hanno intorno. La gola,
quando le
loro labbra purpuree si sporcano di quel rosso vermiglio, macchiando
quella
perfezione di un peccato anche troppo grande, ma che trova il giusto
appoggio
quando scivola lento e lascivo nelle loro bocche, saziando quelle gole
lussuriose. Quelle lingue di esseri immortali, che passano a
raccogliere lo
stesso sangue sulla pelle del compagno, passando leggere ed impudiche,
oscene
sulle linee, sulle forme dei seni delle donne, sui ventri degli uomini,
con il
sorriso mellifluo figlio della falsità.
Hanno delle
maschere, sono pallide all’inizio, loro si preoccupano di lucidarle con
delle
buone azioni, le dipingono con le parole che le persone che hanno
intorno
vorrebbero sentirsi dire e le indossano, infine, con le gesta che le
persone
medesime accosterebbero al più magnanimo dei reali, così che un giorno
loro
abbiano crediti da poter riscuotere nelle case degli animi ingenui dei
mortali,
i quali non conoscono nemmeno un decimo di quel loro essere meschini e
sfruttatori. Insidiano gli animi con la lentezza di una serpe, li
avvelenano
con i loro aspetti angelici, li abbindolano con le voci soffici, che
sfiorano
l’aria, lasciando che ognuna di quelle parole venga cullata dal vento.
La loro
pelle bianca somiglia a quella delle bambole e come bambole di
porcellana
sorridono impostati, demolendoti l’anima, perché possa servire ai loro
piedi e
lucidare le loro scarpe quando esse si sporcheranno, perché possano
stendere
petali sui quali quegli Dei blasfemi potranno avere la possibilità di
camminare.
Passano dei
minuti prima che Sam sia proto a scendere, segue anche in qualche passo
Vincent, che non si è curato di rispondere nell’immediato alla sua
domanda, no,
lo fa unicamente quando apre la porta.
«Non
preoccuparti di ciò, non è la forza fisica che conta in primo luogo,
loro per
primi difficilmente la utilizzano, di solito non ne hanno bisogno, devi
però
avere l’ingegno di poter arrivare tu alle loro gole prima che lo
facciano loro.
Per il resto..ti insegnerà Kurt a combattere, lui è il migliore, io
oramai ho
un sacco di anni sulle spalle e non me lo posso più permettere come
prima. Se
la cosa può esserti in qualche modo d’aiuto, ora come ora i tuoi
compiti
rientreranno nelle faccende domestiche, apparecchiare, sparecchiare,
rifare i
letti..assieme a Bryan, vedrai, andrete sicuramente d’accordo.»
Spiega in
breve, mentre Sam tentenna a seguirlo, non gli piace poi troppo l’idea
di dover
fare da domestica in quella casa, avrebbe forse preferito iniziare
subito a
provare quel che gli è stato descritto a grandi linee, quel combattere,
quell’astuzia di cui si necessita, tutto quell’impegno..capire dove
andarlo a
prendere e come sfruttarlo, dove trovare la determinazione necessaria a
non
perire nell’immediato. Socchiude gli occhi e sospira per la prima
volta,
accettando quella cosa, e seguendo il Cacciatore, per scendere per la
colazione, aiutare ad apparecchiare e quindi sparecchiare.
«Per quanto
riguarda le stalle, quello non è compito vostro, vi è proibito
uscire di
qui, non è sicuro, non di recente. La morte di un purosangue porta
sempre
scalpore ed alcuni vampiri della loro Corte potrebbero tranquillamente
trovarsi
appostati qui fuori.» l’ultima frase di Vincent, prima di lasciare la
stanza in
compagnia di Sam e scendere con lui al pian terreno, per mettere anche
qualcosa
sotto i denti.