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Autore: EvilGrin    22/09/2012    0 recensioni
La pioggia decanta i loro peccati, li elenca uno ad uno, ma non li biasima, ricorda ai passanti che ognuno di loro versa ancora lacrime dagli occhi bui, per quanto ha compiuto, esattamente come quella pioggia limpida attraversa con estenuante lentezza i volti dei vivi. Quella pioggia che vuol essere ascoltata e che, per farlo, si riversa su di loro con la violenza di un uragano. Ma loro la rifuggono, non comprendono ed aprono gli ombrelli, danzando come Demoni nella notte più scura.
Genere: Dark, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3 – Una Nuova Casa

 

[Data: 17th November 1042 – 06.14

Luogo: Monastero Hemsworth

Temperatura Esterna: 7 °C

Temperatura Interna: 16 °C]

 

Piove, quel ticchettio fine, delicato ed estenuante che accompagna quasi tutta la stagione autunnale, risuona come colonna sonora anche di quella mattinata, in cui il Sole sembra indeciso se mostrarsi tra quelle nubi scure o se restare sopito dietro di loro, senza mostrare la sua magnificenza a quei poveri e miseri mortali che ne bramano la luce per la loro carne inumidita, per le ossa che dolgono ogni giorno sempre di più. Quella pioggia che ticchetta contro le vetrate spartane di quel monastero, non sono chiare, millimetri di polvere hanno coperto oramai da tempo il loro candore e la loro preziosa trasparenza e nessuno sembra intenzionato a ripulirle, probabilmente nessuno s’è mai soffermato ad osservare come queste siano sporche. Ma lui sì, seduto sul baldacchino nel quale Vincent lo aveva fatto coricare, fissa quella finestra scura, sporca, e non vede oltre, non vede nient’altro oltre le gocce trasparenti che scivolano verso il basso, portandosi via solo parte di quella polvere e lasciando sul vetro un disegno omogeneo nella sua discontinuità. La fissa con il pensiero fisso di voler uscire di lì, non è quello il suo posto, ha una casa ed è fuori da quelle quattro mura. Il giorno precedente non aveva nemmeno avuto il coraggio di chiederlo al cacciatore, se ha il permesso di poter tornare a casa sua o meno, se può andarsene di lì o se deve rimanerci in eterno. C’è angoscia nei suoi occhi scuri, dietro quell’abisso si nasconde tutta l’ansia di un momento, l’ansia che può avere un bambino nel trovarsi a passare una notte fuori da casa e con la consapevolezza che una cara amica lo ha lasciato per sempre, uccisa dalle stesse persone che ora lo stanno lavando, sfamando, accogliendo, come se fosse tutta un’enorme presa in giro, uno scherzo ben poco simpatico al quale non ha eccessiva voglia di prender parte. L’unica pecca è che non pare toccare a lui la scelta…

 

Le gambe sottili penzolano dal materasso, le iridi corvine si spostano dal vetro sudicio della finestra ai propri piedi, li dondola un po’, forse per passare un po’ di tempo prima che qualcuno lo venga a chiamare. Indossa unicamente un paio di pantaloni chiari, morbida la stoffa, le pieghe segnano una struttura longilinea, ma allo stesso tempo sin troppo sottile. Il busto è esile, una benda bianca ne fascia stretto il torace e la spalla destra, sino all’altezza del gomito, Vincent, nel lavarlo, pareva essersi accorto di un difetto della cartilagine e dell’ossatura, che impediscono alla spalla di rimanere in asse e di compiere, di conseguenza dei movimenti che implicassero un minimo si forza. In parole spicciole aveva voluto dirgli che quella spalla era semi-lussata, ancora sana e salva dalla lussatura completa, ma gli aveva impedito di rischiare oltre fermandogli l’osso e tenendolo al sicuro sotto quella fasciatura stretta. “Se solo la tua spalla dovesse divenire inutilizzabile nel corso del tempo, non potrei più inserirti nella squadra dei cacciatori, e sarebbe un peccato, in fin dei conti dai l’idea di essere un giovane forte ed atletico” aveva detto, che Sam avrebbe tranquillamente concordato con l’atletico, ma ancora non riusciva a capire dove accidenti lo vedeva forte, anzi, lo chiamavano  “cavalletta” o “grillo” in alternativa, che indica unicamente che è magro, ma non avrebbe la forza necessaria a sostenere un lavoro pesante, come avrebbe invece preferito il padre.

 

Il viso è leggermente scavato sulle guance, sotto gli occhi risiedono due vaghi solchi scuri che rendono nota ai più la nottata passata in bianco, con quell’inquietudine che lo logora da dentro, con una forza quasi impressionante. Essa solca la carne attimo dopo attimo, divorando ogni organo, ogni senso e lasciando dietro di sé solo il vuoto ed un forte mal di stomaco, che mal s’accosta ad un buon riposo, no, quell’ansia glielo impedisce, distruggendolo.

Su di una sedia sono piegati dei pantaloni di un marrone scuro, poco lontana vi è la cinta che dovrebbe stringere sulla vita, impedendo a quelli di cadere. Vincent non ne aveva un paio della sua taglia, troppo magro e troppo basso, ancora, per poter indossare quelli degli altri ragazzi, ha dovuto dunque tagliare le gambe ad un vecchio paio di quelli che aveva lui, ovviando al problema della vita con quella cinta, che li avrebbe tenuti su. Sullo schienale della medesima sedia è poggiata una camicia relativamente bianca. Relativamente perché probabilmente quello era il suo colore iniziale ma, con il passare del tempo e dei lavaggi, quel colore è stato perso sempre più, sino a divenire un bianco sporco, anche vagamente sbiadito in alcuni punti. Probabilmente mancano anche un paio di bottoni, la cosa buona è che questo non interesserà poi troppo il ragazzino, al quale va bene sia così che immacolata, basta che qualcosa lo ricopra dal freddo di quelle notti.

 

Scivola giù dal letto solo dopo un po’. Non fa, tuttavia, in tempo a fare nemmeno un paio di passi che qualcuno apre la porta in legno di quella stanza ben poco arredata. Spunta il volto di Vincent da lì dietro, lieto, sorridente per altro, che non chiede permesso alcuno per entrare in quella stessa camera e richiudere la porta dietro di sé, con un suono leggero ed appena udibile la porta di chiude, uno scatto della serratura, non chiusa a chiave, nessun chiavistello la serra, è stata solamente chiusa.

 

«Non pensavo di trovarti già sveglio, ti ho poggiato i vestiti sulla sedia, ma vedo che non ne hai ancora usufruito..ti serve una mano?» domanda, avvicinandosi per altro alla sedia che ospita quegli stessi indumenti, con la chiara intenzione di aiutarlo a vestirsi, più che altro perché gli spifferi freddi d’aria gelida non dovrebbero essere particolarmente salutari per uno scricciolo come Sam, che non sopporterebbe nemmeno una pioggerella senza tornare a casa con la tosse e la febbre, e non è cosa buona e giusta, non nell’epoca corrente quantomeno. Il ragazzino serra le palpebre e le labbra tra di loro, cercando forse di trovare il coraggio di dire all’amico dell’assassino della vampira che non ha nessuna intenzione di stare lì, di sostare in quel monastero per più di un altro giorno ancora, giusto il tempo di radunare qualcosa di utile e quindi avrebbe ridisceso la facciata della montagna, non saprebbe ancora dire come, ma lo avrebbe fatto in qualche modo, uno qualsiasi, pur di essere libero da quella sottospecie di spiacevole prigionia.

 

«Portami a casa» se il tono voleva essere deciso e determinato, deve aver sbagliato, poiché dalle sue labbra non esce niente di più del solito sussurro appena accennato, che necessita della massima attenzione per poter essere udito. Ma pare che il Cacciatore abbia portato su Sam i giusti interesse e concentrazione per non lasciarsi sfuggire nemmeno un alito di troppo, niente.

 

«Non è possibile, temo che dovrei abituarti a stare qui, anche se la cosa non ti convince poi troppo, anche non ci troverai alcun senso, credimi, non c’è altra soluzione per la quale tu possa essere libero e contento con la tua famiglia.»

 

Ha ragione il cacciatore, quelle parole all’udito del bambino non hanno senso alcuno, come se avesse detto la prima cosa che gli è venuta in mente, una stupidissima accozzaglia di parole non meglio identificate, che da sole possono anche avere un significato, ma, messe nella stessa frase, non trovano un senso vero e proprio. Le palpebre del ragazzino si spalancano per un momento, le labbra dischiuse, incredulo, si era aspettato, nonostante tutto, una risposta affermativa, non trovando una spiegazione plausibile per quella che invece gli è arrivata alle orecchie. Apre e chiude le labbra almeno un paio di volte, senza sapere di preciso cosa dire, mentre Vince sfila la camicia dallo schienale della sedia. Osserva il fatto che manchino due bottoni e storce le labbra, ma non pare dire niente in merito, ce li farà riattaccare in seguito. Gli si avvicina, si avvicina a quel piccolo corpo tremolante e sconvolto con la lucidità di chi ha appena detto qualcosa di perfettamente normale. Sente quel ticchettio lieve rimbombargli nella mente, come un susseguirsi di tanti piccoli frastuoni, ci si perde, mentre osserva la figura del cacciatore avvicinarsi e cercare di fargli infilare la camicia.

 

Ma no, lui si scansa, rifugge quel gesto e quella che, tutto sommato, era un’accortezza che quasi gli era dovuta, un’accortezza che alla fine dei giochi non era nemmeno malvagia, anzi. Lui lo scansa, indietreggiando in un piccolo scatto e rischiando per un momento di cadere. Scongiurata, la caduta a terra, dall’aggrapparsi al lenzuolo che copre il materasso di quel baldacchino non propriamente nuovo. I lineamenti di Vincent, agli occhi corvini di Sam, per un momento assumono quelli di un aguzzino, un ricattatore, una qualsivoglia figura meschina che altro non vuole che minare la sua libertà e la sua volontà, nient’altro, non vede oltre quello, non vede l’aiuto che vorrebbe portargli, non vede il bene che gli è stato fatto, non vede quel lato, da fondo solo ed unicamente a quello che lo ha minato, riducendolo ad essere nient’altro che un ragazzino alle prese con se stesso, la consapevolezza di una morte anche troppo recente ed il non poter nemmeno tornare indietro. Per colpa sua? No, è tutta colpa di Vincent e del suo amico Kurt, se lui è bloccato sulla cima di quella montagna, all’interno di quella magione. Serra di nuovo le palpebre, un piccolo scatto, mentre raccatta tutta la voce ed il coraggio che può avere un ragazzino di poco più di dieci anni.

 

«Io non ci voglio stare qui! Rivoglio la mia mamma! Rivoglio papà! Voglio tornare a casa!» lo urla con tutte le poche forze che ha in corpo, non osando aprire gli occhi sulle prime, trema un poco, le dita sottili e pallide si stringono ulteriormente su quella stoffa bianca. Quando li riapre osserva il cacciatore da dietro una patina lucida e con una supplica disperata in fondo a quello sguardo nero. La pelle all’altezza delle gote si è arrossata un po’, così come anche sul collo e sul petto, per l’agitazione di non poter fare quel che preferisce, quella sorta di crisi nervosa che prende quando ci si fanno determinate idee e poi, alla fine, non si riesce ad ottenere nulla, nonostante non si abbia fatto niente di male, il dover per forza rimanere passivi ad un’azione ben poco piacevole. Gli occhi si gonfiano di lucide lacrime, che straboccano in poco, solcano le guance ed interrompendosi solo per un momento sul filo della mascella, ferendo quella carne di un dolore che non avrebbe mai pensato di poter provare. Vincent finisce con il sospirare in maniera appena percettibile, posando la camicia sul letto ed avvicinandosi a Sam, allunga la destra, cercando di portare via le lacrime del suo viso, con gesti delicati.

 

«Ascoltami, tu sai cos’è successo, giusto? E sai anche che a rigor di logica a quest’ora dovresti essere morto, ci sono cacciatori come Kurt che non provano pietà per nessuno, a cui non piace che si sappia in giro né che vi sono dei vampiri, né che qualcuno possa sapere della nostra o della loro esistenza, è bene che rimangano un segreto, che restino seppelliti nelle leggende. E l’unico» si interrompe per un attimo, tornando a passare il pollice sotto l’occhio destro di Sam «Smettila di piangere, non si addice ad un cacciatore grande e forte» lo dice sorridendo per altro, mentre montala rabbia nella mente del fanciullo nel sentire quelle parole «E l’unico modo che hai per evitare di creare problemi alla tua stessa famiglia, mettendola in pericolo ed evitare di mettere in pericolo anche te stesso, è quello di divenire ciò che siamo anche noi. Così facendo nessuno dei presenti avrà l’obbligo ed il dovere di eliminare quello che sai e quello che sei, giusto?»

 

Un lungo momento di silenzio nell’istante in cui gli occhi lucidi del ragazzino non si scollano dal volto di Vincent, implorandolo, probabilmente di cambiare idea, di trovare una soluzione o aiutare lui a farlo, per far sì che possa tornare a casa sua, nel suo di letto, con i suoi vestiti, che gli stanno meglio di quelli che ha qui, sotto le cure dei suoi genitori. Non sente il bisogno di una nuova casa, non la vuole, vuole quella sua vecchia, dove poter stare in pace e continuare a vivere nella tranquillità di quell’ambiente, come se nulla fosse. Sospira di nuovo l’Hunter, andando a sedersi sul materasso, il quale, sotto il suo peso, cigola un minimo.

 

«Ascoltami, Sam, non c’è un’alternativa, ok? Questa è la migliore a disposizione, tornare a casa significherebbe preparare alcuni dei cacciatori a dare la caccia a te ed i tuoi genitori con l’accusa di essere delle falle, e non possiamo permetterci di avere anche la più piccola delle falle in mezzo ad una società come questa. Il rendersi conto dei paesani che le loro strade sono infestate da creature quali i vampiri non porterebbe niente di buono, se non un allarmismo generale che li farebbe uscire di casa con le torce accese ed i forconi in mano. Noi..evitiamo il caos, noi cerchiamo piuttosto di rendere questa caccia il più discreta possibile e, per poterlo fare, abbiamo bisogno dell’ignoranza della gente, capisci?» domanda, osservandolo, speranzoso che abbia colto il punto della situazione e quello che è la sua condizione, che non vi sono poi così tante altre possibilità da mettere in ballo, non soluzioni o alternative, niente. «Senti qua, prima che tu cerchi di rifiutare di nuovo la cosa.» accenna, lasciando trasparire, stavolta, un sorriso bonario dalle labbra «Qui si addestrano dei ragazzi a divenire cacciatori, perché un giorno possano proteggere le loro famiglie ed i loro paesi dai vampiri senza aver bisogno dell’aiuto di un Hunter più anziano. Come qui c’è il monastero a vegliare sulla sicurezza del paese, in un altro ve ne sarà uno differente e così via discorrendo. Un giorno, alla fine di tutto questo, potrai tornare a casa, vegliare sui tuoi genitori, proteggerli ed amarli quanto più preferisci.»

 

Tira su con il naso Sam, rimuginando su quello che gli è appena stato detto, porta il dorso della destra al rispettivo occhio, stropicciando senza pietà quella povera palpebra. Si avvicina al letto, finendo con il salirci con un piccolo saltello. Solo adesso che quel nervosismo inizia a scemare, accontentato forse dalla possibilità di poter tornare a casa un giorno, la pelle prima accaldata inizia a sentire il freddo di quegli spifferi d’aria che passano dal vetro della finestra, accapponandosi. Fissa il pavimento, puntandosi su quell’angolo che si trova tra una mattonella e l’altra, non lasciandolo mai, segue il percorso di quella formica che fa avanti ed indietro, trovando la propria strada sbarrata dall’orlo rialzato di un tappeto che arriva sino allato del letto, facendogli da scendiletto, alla fine.

 

«E quanto tempo ci vuole perché possa tornare a casa?» non v’è più nessuna traccia di rabbia, è piuttosto tornato a vigere da padrone quel sussurrare appena accennato, che costringe Vince a rimare attento a quando le labbra giovani del ragazzino si muovono per poter proferir parola. Sorride il Primo Cacciatore.

 

«In media sei, sette anni massimo, sembrano molti adesso, ti sembrerà che non passino mai, ma ti accorgerai solo alla fine di quanto in realtà siano stati pochi.» accenna, rialzandosi da quel materasso, si porta di fronte a Sam, serrando le mani attorno ai fianchi del ragazzino «Ora vestiti, o finirai con l’ammalarti» afferma, tirandolo in piedi sopra a quel pezzo di mobilia morbido e confortevole. Non dice nulla Sam, allunga solo le mani perché l’altro possa aiutarlo ad infilarsi la camicia e di seguito le braghe, sebbene la cinta la stringa da sé. Solo al termine torna ad aprire bocca e parlare.

 

«Non sono bravo a combattere, i vampiri poi sono forti…» come a domandare come avrebbe mai potuto, uno come lui, sconfiggere o addirittura uccidere uno di quegli esseri, non si tratta, dopotutto, di bruscolini, ma vampiri, reali, quegli esseri dall’umana forma, posseduta unicamente per ingannare, il loro vero aspetto rasenta l’orrendo, rispecchiando in tutto e per tutto la loro anima lercia, sudicia, macchiata da quei crimini dei quali ridono quando si soffermano a fare salottino tra di loro. Quell’anima logorata dal tempo, quell’anima che non posseggono nemmeno più, votata non al Demonio ma al piacere, il loro demone è il piacere in ogni sua forma. Ogni singolo peccato capitale trova in loro il giusto mezzo per potersi diffondere a macchia d’olio, avvelenare gli animi, renderli impuri, votarli all’eterno oziare ed ammazzare la noia con quel meschino servirsi di chi hanno intorno. La gola, quando le loro labbra purpuree si sporcano di quel rosso vermiglio, macchiando quella perfezione di un peccato anche troppo grande, ma che trova il giusto appoggio quando scivola lento e lascivo nelle loro bocche, saziando quelle gole lussuriose. Quelle lingue di esseri immortali, che passano a raccogliere lo stesso sangue sulla pelle del compagno, passando leggere ed impudiche, oscene sulle linee, sulle forme dei seni delle donne, sui ventri degli uomini, con il sorriso mellifluo figlio della falsità.

 

Hanno delle maschere, sono pallide all’inizio, loro si preoccupano di lucidarle con delle buone azioni, le dipingono con le parole che le persone che hanno intorno vorrebbero sentirsi dire e le indossano, infine, con le gesta che le persone medesime accosterebbero al più magnanimo dei reali, così che un giorno loro abbiano crediti da poter riscuotere nelle case degli animi ingenui dei mortali, i quali non conoscono nemmeno un decimo di quel loro essere meschini e sfruttatori. Insidiano gli animi con la lentezza di una serpe, li avvelenano con i loro aspetti angelici, li abbindolano con le voci soffici, che sfiorano l’aria, lasciando che ognuna di quelle parole venga cullata dal vento. La loro pelle bianca somiglia a quella delle bambole e come bambole di porcellana sorridono impostati, demolendoti l’anima, perché possa servire ai loro piedi e lucidare le loro scarpe quando esse si sporcheranno, perché possano stendere petali sui quali quegli Dei blasfemi potranno avere la possibilità di camminare.

 

Passano dei minuti prima che Sam sia proto a scendere, segue anche in qualche passo Vincent, che non si è curato di rispondere nell’immediato alla sua domanda, no, lo fa unicamente quando apre la porta.

 

«Non preoccuparti di ciò, non è la forza fisica che conta in primo luogo, loro per primi difficilmente la utilizzano, di solito non ne hanno bisogno, devi però avere l’ingegno di poter arrivare tu alle loro gole prima che lo facciano loro. Per il resto..ti insegnerà Kurt a combattere, lui è il migliore, io oramai ho un sacco di anni sulle spalle e non me lo posso più permettere come prima. Se la cosa può esserti in qualche modo d’aiuto, ora come ora i tuoi compiti rientreranno nelle faccende domestiche, apparecchiare, sparecchiare, rifare i letti..assieme a Bryan, vedrai, andrete sicuramente d’accordo.»

 

Spiega in breve, mentre Sam tentenna a seguirlo, non gli piace poi troppo l’idea di dover fare da domestica in quella casa, avrebbe forse preferito iniziare subito a provare quel che gli è stato descritto a grandi linee, quel combattere, quell’astuzia di cui si necessita, tutto quell’impegno..capire dove andarlo a prendere e come sfruttarlo, dove trovare la determinazione necessaria a non perire nell’immediato. Socchiude gli occhi e sospira per la prima volta, accettando quella cosa, e seguendo il Cacciatore, per scendere per la colazione, aiutare ad apparecchiare e quindi sparecchiare.

 

«Per quanto riguarda le stalle, quello non è compito vostro, vi è proibito uscire di qui, non è sicuro, non di recente. La morte di un purosangue porta sempre scalpore ed alcuni vampiri della loro Corte potrebbero tranquillamente trovarsi appostati qui fuori.» l’ultima frase di Vincent, prima di lasciare la stanza in compagnia di Sam e scendere con lui al pian terreno, per mettere anche qualcosa sotto i denti.

  
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