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Autore: Medea00    23/09/2012    15 recensioni
Blaine è un pianista, Sebastian un violinista, entrambi studenti al conservatorio Franz Liszt di New York. Si ritrovano costretti a suonare insieme per un concorso importantissimo che, lo sanno bene, se vinto determinerà la loro carriera.
Ma chi lo dice che non determinerà anche qualcos'altro tra loro due?
Tratto dal capitolo 9:
"Per questo Liszt ammirava molto Chopin. Per questo Liszt era l'unico in grado di suonare i brani di Chopin, come diceva lui stesso. Si capivano. Forse erano gli unici in grado di farlo.”
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13



 


 
 
Non cercare di sapere: il tuo destino è l'incertezza. Non cercare di potere: il tuo destino è la debolezza. Non cercare di godere: il tuo destino è la rinuncia.  ---Franz Listz
 
 


Blaine aprì la porta di casa, abbandonando le chiavi sulla cassettiera accanto all’entrata; si sfilò velocemente il casco e la giacca, per poi lasciarli sull’appendiabiti senza nemmeno scomodarsi a raccoglierli, quando scivolarono a terra con un tonfo sordo. Nemmeno quel pestifero gatto di Lord Tumbington riuscì a interrompere i suoi movimenti meccanici e anonimi, venne completamente ignorato e guardò inerme il suo odiatissimo padrone mentre si accasciava sul divano; Blaine si passò una mano sul viso, chiuse gli occhi e fece un grande respiro: chissà, forse, sarebbe riuscito a dimenticare le ultime ore della sua vita.
Cosa diavolo gli era passato in mente? Anzi, no: sapeva perfettamente cosa gli fosse passato in mente. Perchè ormai non riusciva più a negare a se stesso quanto si sentisse fortemente legato e attratto da Sebastian, ma era proprio questo il punto: avrebbe dovuto stare fermo. Avrebbe dovuto nasconderlo, tenerlo per sè, farselo passare in qualsiasi modo.
Adesso aveva rovinato tutto, lo sapeva, e solo perchè era stato trasportato dai sentimenti e non era riuscito in nessun modo a trattenersi. Era uno stupido.
“Blaine?”
Brittany aveva una vestaglia corta e aderente, gli occhi assonnati, i capelli tutti arruffati e stringeva al petto il pupazzo di un delfino.
“Che succede?”
Per un attimo, pensò anche di mentirgli e lasciare che la notte scorresse lenta e inesorabile; non sarebbe riuscito a dormire, forse, al massimo sarebbe riuscito a rilassarsi sul letto fissando un punto inesistente sul soffitto. Ma poi, Brittany si avvicinò a lui con dolcezza, come una sorella più piccola che aveva paura di disturbare il fratellone tutto serio; gattonò sul divano fino ad arrivare a lui e, inclinando leggermente la testa come un gattino, lo incitò con i suoi grandi occhi chiari a dirle il suo problema.
Per un momento, un momento solo, una parte di Blaine desiderò avere quella stessa intimità con Sebastian. Ma poi si ricordò che era impossibile, così si ritrovò ad abbracciarla, ad affondare la testa trai capelli biondi dell’amica, sussurrandole, con voce un po’ spezzata dall’emozione: “Andiamo, ti racconto tutto mentre prepariamo le frittelle post cotta.”
 

 
Robert quella mattina era di buon umore; i suoi nipoti erano splendidi, sua moglie non lo aveva fatto dormire sul divano e i suoi allievi- un momento, dov’erano i suoi allievi?
Blaine e Sebastian non si trovavano nell’aula prove come stabilito, e per quanto un ipotetico ritardo del primo fosse molto probabile, non lo era di certo quello del secondo: si recò velocemente in portineria, chiedendo se avessero visto i due studenti che stava cercando, quando un paio di voci squillanti e concitate attirarono la sua attenzione.
“Noi li abbiamo visti!”
Non fece in tempo a voltarsi che un paio di ragazze molto carine e molto strane si erano presentate davanti a lui: “Lei è Amanda, io Sarah. Blaine è arrivato questa mattina presto e penso che sia a dormire da qualche parte, crollava dal sonno.”
“Sebastian è arrivato poco fa”, intervenne l’altra, “Si è guardato intorno come un ninja e poi è andato chissà dove.”
Robert ricevette quella valanga di parole – davvero, quelle due sembravano un vulcano in eruzione – senza battere ciglio, con il suo bastone di legno che picchiettava placidamente le mattonelle del terreno.
“Quindi, in pratica, non sapete dirmi dove sono.”
Le due ragazze si guardarono incerte, per poi fare di no con la testa. Bene, pensò Robert piuttosto seccato, aveva già perso del tutto il suo precedente buon umore; non aveva nessuna voglia di setacciare tutto il conservatorio per andarli a cercare. Ma poi, il suo sguardo ricadde di nuovo sulle due ragazze, e si illuminò con una strana luce diabolica.
“Amanda e Sarah, giusto?”
Come richiamate all’attenzione, si misero composte con la schiena dritta, aspettando un qualche suo ordine; ormai conoscevano Robert, e conoscevano il suo tono misterioso e per niente promettente.
“Mi fareste il grande favore di trovarli per me? Entro... dieci minuti, magari? Vi prometto che ricambierò il favore.”
Le vide strabuzzare gli occhi a dir poco incredule; sicuramente si stavano chiedendo cosa volesse intendere con ricambiare il favore, ma non avevano molto tempo per pensare. E poi, chi mai rifiuterebbe un ordine del professor Cage?
Quando le vide sgattaiolare via lungo i corridoi, il professore fece l’occhiolino all’uomo della portineria, che ricambiò con una risata divertita e una piccola pacca sulla spalla: forse quello poteva chiamarsi abuso di potere. Lui preferiva definirlo come ‘avere una certa influenza sui propri studenti’.
 
 
Le prove furono più silenziose del solito. Forse perchè Sebastian era troppo concentrato ad ammirare il suo strumento, o forse, perchè Blaine sembrava come svuotato di ogni commento cinico da riferirgli. Robert continuava a dare ordini ai due ragazzi, sospirando, facendoli provare per delle ore, senza nemmeno l’ombra di una pausa: non capitava spesso di trovarli così silenziosi, quindi, li spremette più che potè nella speranza di far uscire qualcosa di decente.
Tuttavia, capì subito che qualcosa non andava: Blaine evitava di guardare Sebastian, Sebastian sembrava come catturato dal suo violino. E c’era una tensione, nell’aria, che rendeva l’acustica pesante e oppressiva: perfino le note, quel giorno, sembravano non andare bene, eppure non c’era dubbio che i loro strumenti fossero accordati.
“Ragazzi?”
Quando vide i due alzare la testa lentamente, come intimoriti da qualcosa, Robert ebbe ancora più riguardi nel fare quella domanda, e la sua voce uscì debole come un sussurro.
“Ma... va tutto bene? E’ successo qualcosa? Avete... litigato?”
No. Qualcosa, a metà tra il rossore delle guance di Blaine e l’espressione pietrificata di Sebastian, gli suggerì che quella non fosse la risposta esatta. Così, con un sorrisetto un po’ sghembo, non disse niente: non era professionale, alla sua età, fare il tifo per due suoi allievi.
“Potete andare, per il momento. Se avete qualche dubbio non esitate a chiamarmi.”
Li vide annuire, con una diligenza che poteva anche essere solita in Blaine, ma di certo non lo era in Sebastian: chissà come mai, era quasi convinto che fosse lui l’artefice del loro “problema”.
“Dovreste dialogare di più, comunque.” Commentò con fare vago sistemando nella custodia i suoi occhialini sottili: “Esporre i vostri problemi, confrontarvi l’un l’altro. Sicuramente decidere insieme l’interpretazione da dare è sempre una buona mossa.”
Era ben consapevole di star facendo aumentare l’aritmia del cuore in entrambi, sia per averli indotti al dialogo, sia per le parole usate nel farlo, estremamente ambigue e ai loro occhi e sicuramente di cattivo gusto; ma dopotutto, certi divertimenti alla sua età erano così rari, e quei due erano sin troppo divertenti.
“Avete capito?”
“Sì”, riuscì a rispondere Sebastian, come se si fosse rifiutato di mantenere un comportamento intimidito per il resto della giornata; Blaine sembrò apprezzare quel fatto, tanto che per la prima volta in due ore si girò a guardarlo. I loro occhi si trasmisero diverse frasi, che il professore non riuscì a cogliere: non aveva ancora ben capito se si erano baciati, o se uno aveva provato a uccidere l’altro.
Nel dubbio, decise di andare a prendersi un caffè, lasciando finalmente i due musicisti da soli.
 
 
“Allora?” Esordì Blaine. Teneva le braccia serrate al petto, le labbra chiuse in una smorfia: “Hai qualcosa da dire?”
Non riusciva ancora a credere di quello che stava succedendo: non riusciva a credere a quello che aveva fatto la sera prima; era sicuramente colpa del punch, quei bambini lo avevano avvelenato. Non riusciva a credere di aver baciato Sebastian, nè tantomeno di stare per affrontare proprio quell’argomento, e tutto per colpa del loro professore: fosse stato per lui avrebbe preso la sua tracolla e sarebbe fuggito a casa, lontano da tutto il resto del mondo. Forse, avrebbe dovuto ascoltare Brittany e starsene a casa a suonare tutto il giorno la Goccia d’Acqua di Chopin, e non venire a lezione con l’alto rischio di essere costretto a parlare con Sebastian. In realtà, il suo piano era stato perfetto, fino a quando non si era intromesso Cage con il suo ordine sottinteso di dialogare; da un lato detestava quell’uomo, che li faceva finire sempre nelle situazioni più assurde, dall’altro, però, era tutta la notte che non faceva altro che sognare le sue labbra morbide e a domandarsi che cosa pensasse lui. Perchè si fosse comportato così; insomma, Blaine era tante cose, ma non era di certo uno stupido: Sebastian provava qualcosa per lui; non aveva ancora capito cosa, però.
E poi il violinista lo fissò, come se non volesse dargli la soddisfazione di una risposta;iI suoi occhi verdi erano come imperscrutabili, ancora più freddi della prima volta che li aveva visti.
“Credo che nel secondo movimento tu fossi un po’ lento.”
Oh. Dunque, di quello si trattava: solo musica. Allora, era quella la strada che avevano deciso di intraprendere? Dimenticare tutto, ignorare quello che era successo?
“Bene”, commentò Blaine. Esitò per qualche secondo, secondi nei quali Sebastian si limitò a fissarlo, piuttosto confuso: da quando Blaine aveva perso l’uso della parola?
Così, perchè non sapeva bene cosa dire, rispose a sua volta: “Bene.”
Per Blaine non era bene. Lui non stava bene, non potevano continuare in quel modo.
Senza aggiungere altro se ne andò, senza curarsi di dare la schiena a Sebastian o salutarlo fino al loro prossimo incontro.
 
 

Non gli era mai piaciuto quell’ambiente; l’odore denso e forte di alcool mischiato a quello di canna e sigarette scadenti; il rumore assordante della musica alta, che gli faceva perdere quel poco di lucidità rimasta. Sebastian era quasi convinto che ormai, trascinarsi in quelle discoteche era diventato una sorta di dovere, e non tanto di bisogno: perchè non c’era niente che gli piacesse in quel ragazzo che adesso era intento a baciargli il collo, niente che lo entusiasmasse, che gli facesse battere il cuore.
“Come hai detto che ti chiami?” Lo sentì mormorare un po’ troppo ansimante, mentre con le mani vagava lungo la sua camicia sbottonata fino ad arrivare alla cintura dei jeans; Sebastian socchiuse gli occhi a quella domanda, cercando di non pensare, non rispondere, non fare qualsiasi cosa che lo portasse a spingere via quello sconosciuto e andarsene a casa.
“Che ti frega?” Sbottò allora con una voce resa roca dall’ultimo cocktail al rhum, e il ragazzo in risposta lo sentì ridacchiare, era divertito, era chiaramente divertito perchè non gli capitava certo tutti i giorni di scopare nel bagno della discoteca con un ragazzo bellissimo e senza pretese.
E mentre Sebastian sentiva il suo corpo strusciarsi contro il suo, mentre dei caldi gemiti accompagnavano i suoi movimenti facendogli annebbiare la vista, una parte di sè si sentì risollevata, e molto. Era questo che voleva; piacere svincolato dal sentimento, qualcosa di unicamente fisico e carnale.
Ma poi la sua mente gli giocò un terribile tiro mancino, e lui si trovò a emettere gemiti più profondi; perchè davanti ai suoi occhi chiusi non c’era l’immagine di quello sconosciuto che adesso lo stava lentamente baciando, ma una massa di riccioli scuri, che avrebbe voluto afferrare, stringere, accarezzare.
Un sorriso dolce e spontaneo, che era consapevole di aver strappato via in un solo istante.
Era il ricordo di aver provato, non la sensazione; per questo Sebastian ogni volta cercava una persona diversa: voleva ricordare. E ogni volta diceva ecco, era proprio questo; ma appena finito scompariva di nuovo. Era frustrante. Non si ricordava il sapore delle labbra di quei ragazzi. Lipperlì sapeva che gli piaceva, che lo eccitava, magari. Nulla di più.
Invece, gli era bastato un piccolissimo contatto con quelle di Blaine, per far imprimere il suo sapore nella memoria.
Mordendosi un labbro, cominciò ad abbandonarsi allo sconosciuto con ancora più passione, sperando di riuscire a cancellare via quei pensieri.
 
 
“Che ti prende?”
Quella fu la frase che Santana gli rivolse con nemmeno tanta compassione, dal suo tavolo di marmo perfettamente lucido su cui sopra stavano dei grissini e un barattolo di burro d’arachidi. Sebastian aveva l’aspetto trasandato, gli occhi stanchi, la schiena curva e tutto ciò che voleva era soltanto farsi una doccia e mettere a dormire i suoi nervi, il suo cervello, qualsiasi cosa.
“Da come sei sconsolato, sembra quasi che tu ti sia fatto una donna.” Commentò Santana con un ghigno; Sebastian mormorò qualcosa poco convinto, e si chiuse in bagno senza fare altre storie.
Il getto d’acqua calda gli garantì quel poco di sollievo che gli serviva per andare avanti; si vestì velocemente, frizionandosi i capelli con un asciugamano, non preoccupandosi nemmeno di asciugarli come si deve: in realtà, non aveva nessuna voglia di prendere il phone e mettersi allo specchio. Non voleva guardarsi. Avrebbe dovuto sentirsi bene, come ogni volta che tornava da una serata con qualcuno; non era così. Non era affatto così, e non aveva il coraggio di vedere quale espressione avesse in quel momento.
“Dì un po’.”
Santana si presentò senza troppi fronzoli alla sua porta, ignorando il fatto che volesse stare un po’ da solo, ignorando la privacy e qualsiasi cavolata che con lei non funzionava. Purtroppo per Sebastian, non c’era niente da fare quando la sua coinquilina iniziava con quel tono. La vide avvicinarsi a lui, a braccia conserte, un’espressione tesa sul volto: “Hai il ciclo, per caso?”
Sebastian fece un sospiro che assomigliò quasi ad una risata, ma con scarsi risultati.
“No perchè mi devi spiegare come mai sembri una di quelle ragazzine in piena depressione ormonale.”
“Non sono depresso.”
“Sebastian.”
Sapeva anche, con suo grande dispiace, che quando Santana lo chiamava per nome e non con qualche nomignolo assurdo, non aveva proprio vie di fuga.
“Non è niente, ti dico.” Cercò di mugugnare alzandosi in piedi e dirigendosi in cucina, seguito insistentemente da Santana a nemmeno due passi dietro di lui; non appena fu in prossimità del tavolo, sentì le sue mani ferme e decise contro le spalle e fu costretto a sedersi, proprio di fronte ai grissini e al burro d’arachidi.
Santana aspettò pazientemente seduta sulla sedia di fronte a lui; lo guardò per qualche secondo, si prese un altro grissino, ne mangiò almeno la metà e alla fine battè una mano contro il tavolo sospirando un: “Muoviti.”
“Muoviti cosa?”
“Muoviti a raccontare. Non abbiamo tutta la notte. O meglio, sì, ma io voglio anche dormire.”
Sebastian si strinse nelle spalle, afferrando il cucchiaino appoggiato accanto alla mano di Santana e prendendo una piccola quantità di burro d’Arachidi, fissandolo incolore.
“Quello era mio.” Gli fece notare l’amica.
“E al popolo?”
“Non ti lamentare se poi ti viene la mononucleosi.”
“Già avuta.”
“Il colera?”
“Estinto.”
“Il raffreddore.”
“Ma se sei più sana di un pesce.”
Si portò il cucchiaino alla bocca, assaporando il dolce sapore del burro mischiato al freddo del cucchiaino di ferro; era piacevole. Paradossalmente, era molto più piacevole del sapore di quello sconosciuto di qualche ora prima, e a quel pensiero si ritrovò a sbuffare.
“Oh, non me lo dire.” Santana roteò gli occhi al cielo, gesticolando con il grissino che teneva stretto tra le dita, e Sebastian davvero la detestava quando faceva così: perchè non se ne stava zitta? Perchè non si faceva i fatti suoi? Perchè, per una buona volta, non poteva andare tutto come voleva lui?
“Dobbiamo fare come al solito? Cioè che io ti tartasso di domande fino a che non ti decidi a sputare il rospo?”
“Ieri Blaine mi ha baciato.”
Beh, almeno era riuscito ad ammutolirla.
“...Blaine, quel Blaine?” Domandò incredula dopo aver passato un minuto a fissarlo con la bocca semi aperta e il grissino che rischiava di scivolarle dalle mani. Sebastian sviò lo sguardo di lato, borbottando innervosito: “Quanti Blaine conosci?”
“Beh, c’è il Blaine del bar,il Blaine della caffetteria, quello con cui sono uscita quando mi fingevo ancora etero, e-“
“Sì Santana, quel Blaine.” Tagliò corto lui, non aveva voglia del suo cinismo, in quel momento.
“Oh. Beh allora congratulazioni.”
Fu allora che si decise a guardarla, perchè si aspettava di tutto, tranne che una frase del genere; Santana intuì i suoi pensieri, e in risposta si accomodò meglio sulla sedia commentando: “Che c’è? Si vede lontano un chilometro che sbavi per lui. Non sei contento che finalmente puoi invitarlo a casa senza quello stupido motivo di suonare?”
“Non era uno stupido motivo, era l’unico motivo.”
“Sì certo, e io sono Crudelia Demon”, rispose mangiando un altro pezzo del grissino, ma prima che Sebastian potesse aprire bocca per parlare aggiunse velocemente, “Non ti azzardare.”
E a Sebastian scappò un piccolo sorrisetto, perchè era vero che lei assomigliasse a Crudelia Demon, ma forse era meglio non sottolinearlo.
“Quindi?” Incalzò lei, guardandolo più decisa, come se pretendesse una risposta seria, quella volta, “Mi vuoi dire qual è il problema?”
Ci fu un lungo silenzio; Santana fissò Sebastian con insistenza, e quest’ultimo fissò le sue mani intrecciate sulla tavola, come per raccogliere le idee, o le frasi da dire. C’erano troppi pensieri nella sua mente, era difficile ordinarli tutti, ma forse, la cosa migliore da fare era parlare con franchezza.
"Io mi trovo bene con Blaine."
Santana non fece ricorso a qualche suo commento acido: era così raro vedere Sebastian aprirsi in quel modo, che non poteva rovinare tutto.
"E allora?" Chiese, ma non con quella freddezza che la caratterizzava.
"E allora per questo non ci voglio andare a letto. Si rovinerebbe tutto. Con lui... con lui posso parlare di tutto, posso raccontare qualsiasi aneddoto stupido senza sentirmi giudicato. Possiamo passare ore insieme senza annoiarci per un minuto."
E i suoi occhi sorrisero un po’ mentre diceva quelle frasi, perchè erano delle belle parole; era una bella verità, a cui non voleva in nessun modo rinunciare.
"Siete in confidenza.” Constatò Santana, “Sai di solito è così che funziona con un amico."
"Appunto. E' un... è un amico.” Ammise infine, cominciando a rigirare il cucchiaino perfettamente pulito tra le dita. Nonostante l’esitazione, parlò in modo chiaro e nitido: “Se ci andassi a letto cambierebbe tutto."
"E perchè non potete essere scopamici?"
Perchè Blaine era dolce, sensibile e importante; perchè aveva una considerazione troppo alta di lui per scendere a quel livello. Perchè Sebastian non lo voleva; però, d’altro canto, l’idea di una relazione seria era totalmente fuori dalla sua portata. Non credeva nelle relazioni serie, non ci aveva mai creduto; non duravano mai, erano piene di promesse infrante, di speranze illuse. Non poteva permettersi di perdere Blaine: doveva suonare con lui. E poi, era un suo amico. Forse, l’unico amico che poteva chiamare tale.
"...Blaine non è quel tipo di persona."
Santana lo guardò a lungo, per poi alzarsi in piedi e dirigersi in camera, non prima di avergli dato una piccola pacca sulla spalla.
"Non sta a te dirlo."
No, certo che no: Blaine era abbastanza grande e maturo da saper scegliere le proprie strade. Ma Sebastian sapeva che quella fosse la strada sbagliata, se lo sentiva.
Eppure, all’idea di poter baciare Blaine come si deve, di poterlo stringere a sè, sentirlo, in un modo che fino ad ora si era solo immaginato, il suo corpo ricevette un brivido caldo, che gli fece venire la pelle d’oca.
La parte razionale di lui sapeva di non potere; era solo questione di farlo capire anche a quella istintiva, quella che desiderava Blaine in ogni momento, che dopo l’accenno di quel bacio non riusciva più a contenere come voleva.
Sperò solo che riuscisse a farla tacere, prima di commettere un errore madornale.
 








Angolo di Fra:


Scusate, questo capitolo non è il massimo. E' proprio brutto in realtà. Prometto che il prossimo andrà meglio.
E grazie a chi mi legge e recensisce, mi illuminate la giornata.

 

   
 
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