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Autore: Chara    23/09/2012    9 recensioni
Phoebe è una semplice ragazza inglese, dal carattere un po' spigoloso e una modesta esperienza di uomini imbecilli. L'incontro con Joseph Morgan le aprirà gli occhi su quanto non sia il caso di fare di tutta l'erba un fascio, anche se ci vorrà un bel po' di tempo prima che il suo cervello accetti che quella che prova nei confronti dell'attore non è semplice attrazione fisica.
STORIA DA REVISIONARE!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joseph Morgan, Joseph Morgan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III

 

 

 

Due giorni.

Erano passati due giorni e io, regredendo di più di dieci anni, ad ogni momento libero mi precipitavo su internet, a cercare notizie su Joseph Morgan. D’accordo, mi ero fermata alla sola Wikipedia, che dava abbastanza poche informazioni da farmi morire di curiosità, ma avevo un orgoglio che bruciava come l’inferno e mi sarei rifiutata di visitare tutti i vari siti a lui dedicati, tanto più che continuavo a essere convinta di non avere nessun interesse a riguardo.

«Oh, Phoebe» sospirò la signora Flynn, passando dietro la mia schiena e cogliendomi in flagrante per l’ennesima volta. Le avevo raccontato il motivo per cui, due giorni prima, avevo fatto tardi al lavoro e subito aveva iniziato a fantasticare sulla possibile attrazione, per i suoi magnetici occhi azzurri o per il sorriso accattivante, che mi sforzavo di nascondere. Attrazione che non c’era, mi sembrava anche piuttosto ovvio, o non lo avrei respinto in modo così definitivo, ma la sua anima romantica non sembrava essere dello stesso avviso.

«Per favore, signora Flynn – esclamai con un sorriso tirato, soffocando nel rispetto che nutrivo per lei qualsiasi tipo di imprecazione – Sto solo cercando di capire che tipo di sconosciuto mi sia portata in casa.»

«Un bel tipo di sconosciuto, decisamente» ammiccò maliziosa, preparando tre tazze per il the perché, come diceva lei, non si poteva mai sapere chi sarebbe entrato da quella porta. Così, ogni giorno, finivamo per offrire da bere a qualche cliente che, fino ad allora, non si era mai mostrato particolarmente interessante. Alcuni erano anche sospettosi, come se al posto delle zollette di zucchero mettessimo del cianuro.

Nonostante si avvicinasse immancabilmente ai sessant’anni, Gloria Flynn aveva l’anima di una giovane spensierata e spesso suo marito entrava nella piccola biblioteca sbatacchiando la porta, furioso per qualche cosa che sua moglie aveva combinato.

Aveva due figlie poco più grandi di me, una lavorava come ricercatrice a Stanford, in California, mentre l’altra faceva la guida turistica a Londra. Non aveva figli maschi e se n’era già ampiamente rammaricata, visto il suo desiderio di vedermi fidanzata con qualche bel giovanotto d’altri tempi. E, ci avrei messo la mano sul fuoco, le sue antenne si erano pericolosamente rizzate quando le avevo raccontato di come quell’attore damerino avesse insistito per accompagnarmi a casa.

«E Amber che dice a tal proposito, cara?»  mi domandò, sorridendo furbescamente.

«Non gliel’ho detto – confessai, incassando il capo nelle spalle con espressione colpevole – Non volevo iniziasse a squittire, dato che non mi sembra ci sia nulla di interessante in tutto ciò.»

«O forse avevi paura di sentirti dire che, in realtà, il tuo comportamento era dovuto all’attrazione che cercavi di nascondere?»

«Oh, per favore! Quale attrazione? – esclamai, saltando per aria come un petardo – Mi sono comportata a quel modo perché è stato odioso fin dal primo momento.»

«Eppure mi sembra si sia comportato molto bene con quel povero bambino» tentò di nuovo. Non risposi, ma mi alzai e, scuotendo il capo, mi inoltrai tra i grandi scaffali ricolmi di pagine ingiallite dal tempo e dalle dita di tutti coloro che le avevano sfogliate, lasciando nella carta un pezzo di loro e un vortice di irrefrenabili emozioni. Andai diretta verso lo scaffale dedicato ai classici della letteratura inglese, sfilando a colpo sicuro Orgoglio e Pregiudizio, il mio libro preferito in assoluto. Non passava giorno che non leggessi almeno un passo di quel romanzo così emozionante e, come sempre, aprii a caso una pagina. Mi piaceva tutto, non c’era capitolo che preferissi o disdegnassi rispetto ad altri. Quel giorno mi toccò la visita di Lizzy a Pemberley e lessi delle lodi meravigliose che la domestica di Darcy tesseva per lui, doti che la signorina Bennet decisamente non condivideva.

Mi stizzii improvvisamente: quella scena aveva fin troppe analogie con la conversazione che avevo avuto poco prima con la signora Flynn. Così chiusi il volume di scatto, riponendolo al suo posto. Forse feci troppo rumore, perché una giovane, probabilmente una studentessa come me, saltò lievemente sulla sedia. Alzò poi lo sguardo, incrociando il mio sorriso di scuse, e mi fece un cenno con il capo. Sospirai, decidendo di tornare all’ovile.

Mano a mano che mi avvicinavo, sorpassando scaffali e tavolini in legno scuro, sentii un chiacchiericcio concitato e sorrisi, rendendomi conto che anche quel giorno la tazza di the che la signora Flynn aveva preparato non sarebbe andata sprecata.

Quella voce era profonda e familiare, così provai a fare mente locale e dedussi che doveva per forza trattarsi di Peter Flynn, il marito della mia datrice di lavoro.

Sollevai sarcasticamente un angolo della bocca: lui odiava il the delle cinque, lo riteneva un’inutile tradizione tipica degli inglesi più conservatori. Ricordavo distintamente la prima volta che avevo udito quelle argomentazioni: lo sguardo sarcastico di sua moglie lasciava decisamente ad intendere che anche lui fosse quel genere di uomo, rigido e conservatore, che tanto diceva di disprezzare. Formavano davvero una bella coppia, sempre così pepati e in conflitto tra loro. Di certo non si annoiavano mai, anche dopo più di trent’anni.

Tuttavia, venni bruscamente strappata a quei piacevolmente tranquilli ricordi quando mi trovai davanti il nuovo arrivato. Piegato leggermente in avanti, con la sicurezza di chi sapeva che il suo corpo sarebbe risultato elegante in qualsiasi posizione, se ne stava con i gomiti poggiati sul bancone, proprio di fronte al monitor del mio computer. Grazie al cielo avevo chiuso Wikipedia.

Parlottava con una entusiasta signora Flynn e ogni tanto rideva, mettendo in mostra quelle accattivanti fossette sulle guance e i suoi denti bianchissimi.

No, non era decisamente Peter, ma era la mia persecuzione, il mio peggiore incubo, il destino che mi si ritorceva contro. Era Joseph Morgan.

«Ciao Phoebe!» esclamò ad un certo punto, scorgendomi arrivare con la coda dell’occhio. Mi abbagliò con il suo sorriso perfetto e con quegli occhi azzurri così dannatamente luminosi, e cercai di ignorare quanto fosse affascinante e carismatico. E bello.

«Quale piacere» mormorai apatica, tornando a sedermi alla mia postazione. Non lo guardai in viso, preferii mantenere lo sguardo dritto avanti a me. Forse, se avessi fatto finta che non fosse lì presente, si sarebbe arreso e avrebbe deciso di andarsene.

E perché diavolo non era più arrabbiato con me, poi? Pensavo che, dopo la mia cattiveria gratuita di quel giorno, non nutrisse più tutto quel desiderio di vedermi di nuovo. E invece no, mi sbagliavo. Ma avevo già potuto sperimentare quanto imprevedibile potesse essere.

«Vado a prendere il the – annunciò la signora Flynn, sparendo dietro la porticina che dava sulla piccola stanza che ospitava il fornello e poco altro – Ne vuoi un po’, Joseph caro? Ho giusto una terza tazza.»

Joseph caro? Ma cosa… Il mondo si era forse capovolto e io non me n’ero resa conto?

«Sì, grazie Gloria – rispose a voce alta, per poi abbassare la voce e rivolgersi solo a me – Dove sono finite le tue sopracciglia, Phoebe?»

L’avrei mandato al diavolo. Oh, sì. L’avrei fatto proprio entro il prossimo respiro. Alzai finalmente gli occhi dal computer, che peraltro era in standby, e  me lo ritrovai più vicino di quanto pensassi. Si era sporto sul bancone e mi scrutava con quel cipiglio divertito che tanto mi faceva arrabbiare ogni volta che respiravamo la stessa aria.

Fece il giro del bancone, arrivando al mio fianco. Vide un block notes di fianco al tappetino del mouse e provò ad aprirlo ma, con uno schiaffo sulla mano, glielo impedii.

«Sei curioso come un maledetto gatto» sibilai, fulminandolo con gli occhi. Mossa sbagliata, ovviamente, perché senza che me ne fossi accorta si era avvicinato ancora di più al mio viso. Intrappolò il mio mento con le dita, facendosi di colpo così serio che quasi parve un’altra persona.

«Invece di sbraitarmi contro – mormorò, lo sguardo che indugiò sulle mie labbra prima di fissarsi di nuovo nei miei occhi che, determinati, lo fissavano senza indecisioni di sorta – Perché non mi dici come sta la tua schiena, ragazzina?»

«Prude – fu il mio laconico commento. Non provai a divincolarmi, sapevo che non me l’avrebbe permesso, ma non volevo nemmeno che si avvicinasse come stava facendo – Come le mie mani.»

«Vuol dire che guarisce – ignorò il mio commento sarcastico e la sua voce divenne roca, abbassandosi ancora di più. Sarei stata una bugiarda se avessi negato anche a me stessa quella scarica di brividi che riempiva la mia schiena martoriata, ma non avevo la ben che minima intenzione di lasciare che anche Joseph lo sapesse.

«No – berciai, scostando inaspettatamente la sua mano con l’ennesimo schiaffo ben piazzato sul polso. Dove dannazione si era cacciata la signora Flynn con quelle tazze di the? – Vuol dire che sei tu a darmi l’orticaria, caro il mio attore da quattro soldi.»

Sospirò, scuotendo il capo con desolazione. Si accomodò su uno sgabello, dopo aver accuratamente spostato la pila di scartoffie che vi risiedevano, e mi guardò di nuovo, un muto rimprovero nelle iridi celesti.

«Phoebe, detta anche la donna che uccideva l’atmosfera» mi prese in giro, provando a sollevare l’orlo della mia camicia.

«Che diavolo fai?» strillai, saltando per aria come un petardo. Tuttavia mi ritrovai a ringraziarlo silenziosamente, perché se non avesse compiuto quel gesto idiota avrei dovuto rispondere alla sua affermazione sull’atmosfera e, beh, non avrei potuto effettivamente negare l’evidenza.

«Controllo la tua schiena» replicò, con una tale ovvietà che sentii le mie guance andare a fuoco.

«Oh, ragazzi – esclamò la signora Flynn, rispuntando dal nulla. Tra le mani reggeva un vassoio con tre tazze fumanti di the alla cannella, quello che amava definire per le occasioni importanti – Scusate, avevo messo il sale invece che lo zucchero, sono proprio sbadata! »

Ignorai il suo commento, dato che sapevo benissimo che non c’era nessun barattolo di sale in tutta la libreria, e mi avvicinai per prendere una tazza. Dopotutto un po’ di educazione faceva ancora parte di me, così la porsi a Joseph, che l’accettò con un sorriso, avvolgendo le mani a coppa attorno alla calda ceramica. Fece in modo di sfiorare la mie dita, trattenendole per un momento, per carezzarmi poi lievemente il dorso della mano con il pollice. Quello non poteva certo essere considerato un gesto casuale e rabbrividii, sebbene sentissi chiaramente addosso sia il suo sguardo che quello della bibliotecaria.

«Allora, Joseph, ti fermerai a lungo nella nostra amata Londra?» esclamò la signora Flynn, distogliendomi dai miei pensieri così confusi. Erano mesi, forse anni, che non mi sentivo più così confusa per un uomo e mi domandai quale potere si annidasse in lui, capace di sconvolgere la mia mente dopo solo pochi giorni dal nostro primo incontro-scontro.

«Non quanto vorrei, purtroppo» replicò. Mi sentivo osservata e, alzando gli occhi, scoprii che non aveva ancora spostato lo sguardo, dopo quella affermazione.

«Oh, cielo! – esclamò la bibliotecaria, saltando in piedi – Devo andare a Heathrow!»

«Paula torna a casa?» domandai, girando il cucchiaino senza molta convinzione. Paula era una delle due figlie della signora Flynn, che lavorava a Stanford come ricercatrice. Un po’ la invidiavo, l’America era sempre stata la mia meta, nonostante amassi alla follia anche la mia vecchia Londra.

«Sì, tra due ore o forse meno – replicò spiccia, raccattando le sue cose per infilarle nella borsa al volo – Peter chiederà il divorzio questa volta, se non arrivo a casa all’ora che gli ho detto oggi. Phoebe, chiudi tu dopo!»

Così, come un tornado ingovernabile, fuggì dalla porta lasciando dietro di sé uno scampanellio acuto e persistente. E mi ritrovai di nuovo da sola con Joseph.

Sospirai, portando via le tazze senza degnarlo di uno sguardo. Avevo già la guardia alzata, mi aspettavo qualche ritorsione, soprattutto ora che non c’eravamo che noi in quella grande biblioteca, e sicuramente non avrebbe perso l’occasione per tormentarmi almeno un po’. Fu per quello che mi allontanai nello sgabuzzino, per poter rimanere un attimo in pace con me stessa.

Peccato che il pericolo arrivasse dalle mie spalle e, silenzioso come la nebbia, mi stesse seguendo. Posai le stoviglie nel lavandino e sentii due braccia avvolgersi attorno ai miei fianchi e le labbra di Joseph contro il mio orecchio, l’accenno di barba che solleticava la mia pelle.

«Mi dici perché non mi lasci in pace?» domandai esasperata, ignorando con convinzione le acrobazie in cui si stava dilettando il mio stomaco traditore.

«Mi dici perché non mi sopporti?» replicò, con lo stesso tono che avevo usato io. Non sapevo cosa rispondergli, avrei potuto dirgli solamente che mi dava sui nervi perché mi sentivo attratta da lui? Sicuramente lo sapeva già, non ero mai stata brava a nascondere le emozioni.

«Sei appiccicoso» lo accusai, scostandomi dal suo abbraccio.

«E l’idea che mi interessi non ti è passata per la mente nemmeno un momento?»

Boccheggiai, ringraziando di essere di spalle o non avrei potuto nascondere il rossore furioso che aveva preso possesso delle mie guance. Mi allontanai, senza degnarlo di risposta, ma lo sentii seguirmi. Ridacchiava.

«Andiamo, ti accompagno – mi disse, guardandomi chiudere tutto – Voglio conoscere Amber.»

Roteai gli occhi, ma non mi opposi. Avevo già imparato che non sarebbe servito a niente.

   
 
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