Capitolo
VII
Albafica
Van Dijk? si chiese Sophia, sorridendo e facendo una riverenza. Un nome
così
esotico… di certo adatto alla sua figura tanto squisita e
raffinata, di certo
frutto della migliore nobiltà olandese.
-Monsieur
Van Dijk, sono così heureuse di
conoscervi! La mia cara Friederieke non mi aveva avvertito di aver
ospiti.-
cinguettò, iniziando a sventagliarsi.
-Sono
comparso all’improvviso, mademoiselle. Vostra cugina ha avuto
la bontà di
invitarmi ad unirmi a voi per pranzo nonostante io non sia intimo dei
vostri
parenti.- rispose il giovane olandese, sorridendo educatamente.
Iedike
trattenne una risata velata di cattiveria davanti alla
vanità di sua cugina e
riuscì a captare uno sguardo scocciato da parte del bel
straniero: di certo le
maniere false e affettate di Sophia dovevano averlo nauseato e ne ebbe
pietà.
Prese
la ragazza a braccetto, rivolgendole un sorriso gelido.
–Sarà ora di tornare al
maniero… sono molto stanca e dubito che ricevere un ospite
in mezzo ad un
boschetto di querce sia previsto dall’etichetta, no, signor
Van Dijk?- chiese.
Il
ragazzo rispose qualcosa, ma la giovane non lo ascoltava
più, trascinandosi dietro
l’ingombrante familiare.
Si
sentì grato nel profondo alla giovane contessa per averlo
liberato da quella
ragazza insopportabile; non era forse nobile trovare una donna sciocca
e vuota,
ma non poteva pensare diversamente?
L’unica
presenza femminile nella sua vita erano sempre state le ancelle della
Dodicesima casa, silenziose ed instancabili serve che operavano
nell’ombra
–anche se sapeva che in molte delle restanti Case queste
ricoprivano anche il
ruolo di compagne per una notte dei loro padroni, ad eccezione di
quella di
Leo, ove le serve facevano a gara per essere le madri del piccolo
Regulus- e
Athena, la dea guerriera, la sacra vergine, lontana ed irraggiungibile
nella
sua forma corporea, ma vicina e intima conoscente nella sua forma
spirituale.
Un
supporto per l’anima e uno scopo nella vita, ecco
cos’era la sua dea; mentre
quelle due ragazze rappresentavano un universo estraneo, lontanissimo
da
Albafica e il Santuario.
Sophia
era una donna-bambola, come una volta le aveva definite Manigoldo, il
ritratto
della perfetta signora: vuota, superficiale e leziosa, probabilmente
già
esperta dei ménage amorosi e degli intrighi di corte, ma
Friederieke?
No,
quella fanciulla, che ora ciarlava allegramente sul boschetto e su come
fosse
falso, era lontana dalla brava damina intrisa di etichetta e
apparenze… pareva
non dare conto del giudizio altrui –e quello che la baronessa
Eckersberg
pensava della parente era chiarissimo-, era allegra e aveva una bella
dose di
ironia e un cuore buono… eppure era così
indefinibile, qualcosa in lei lo
confondeva e, doveva ammetterlo, lo intrigava.
-Signor
Van Dijk, non trovate anche voi che questo boschetto sia delizioso?-
chiese
Sophia, voltandosi verso di lui e scoccandogli un sorriso che, forse,
altri
uomini avrebbero trovato seducente e innocente, ma che, al contrario,
risultava
solo insincero. –È così ben curato e
armonioso…- continuò la ragazza,
elogiando, quasi in estasi, la natura attorno a lei.
-Bello
davvero.- rispose il giovane –Un ottimo esempio di cosa possa
fare un buon
giardiniere con ottimi mezzi a disposizione.- concluse, mantenendo il
tono di
voce neutrale.
-Ma,
in questo caso, forse non si dovrebbe parlare di bosco.- intervenne
Iedike,
rivolgendogli uno sguardo penetrante –Un bosco è
un luogo selvaggio… e i busti
dei Cesari che mio padre vi ha fatto mettere non sono così
selvatici, no? È
tutto così falso, in questo luogo, da sembrare vero.
-Falso
da sembrare vero? Ma, cara cugina! Che dite? È senza senso,
una cosa falsa non
può sembrare vera.- la derise la bionda baronessa, ma lo
sguardo di Iedike era
fisso negli occhi di Albafica.
-Signor
Van Dijk e voi che ne pensate? Non è forse vero che
più una cosa è falsa, più
sembra sincera?- gli chiese, senza distogliere gli occhi azzurri dai
suoi.
Le
sue parole nascondevano altro, comprese il ragazzo; nascondevano una
promessa
sottile: “qualsiasi cosa tua stia
nascondendo, io la scoprirò”.
-Forse
dipende dagli occhi di chi la guarda, è anche vero che
più una cosa è sincera,
più sembra falsa.- replicò il guerriero,
scegliendo con cura le parole. Non ti
nascondo nulla, le disse
silenziosamente.
-Un
pensiero degno di nota.- ribatté la contessa. Non
ti credo.
Il
giovane distolse gli occhi, la mente che cercava freneticamente di
inquadrare
la contessa Friederieke e, soprattutto, di trovare una maniera per
impedirle di
scoprire troppo.
Quando
Albafica Van Dijk tacque, Iedike assaporò per un secondo il
sapore di un po’ di
sano divertimento in quella vita noiosa: il giovane olandese era di
certo molto
bello e particolare, con quella chioma pervinca e un viso tanto
delicato da
farlo sembrare un angelo, educato e colto, ma nascondeva troppe cose,
che
stuzzicavano la sua naturale curiosità. E visto che era
sempre schietta anche
con sé stessa, doveva ammettere che il suo aspetto e i suoi
modi di fare le
erano particolarmente congeniali.
Cambiò
velocemente argomento, dopo quello scambio di sottintesi, parlando del
tempo e
del giardino, che sua cugina aveva prontamente elogiato definendolo
pittoresco,
armonioso, luminoso e altre decine di aggettivi che esprimevano la
cultura
artistica di Sophia che, come spesso diceva la signorina Bernstein,
aveva un
gusto sopraffino per il disegno ed ogni sua opera era degna della
reggia di
Versailles.
Il
suo affascinante ospite rispondeva educatamente, ma era certa che non
potesse
più sopportare le chiacchiere noiose e artefatte di sua
cugina e più di una
volta cercò di metterla a tacere, senza ottenere nulla.
Quando
infine giunsero al maniero, vennero accolti da Ludvig, che, in tenuta
da
cavallerizzo –probabilmente aveva passato tutta la mattina
fuori casa a
dilettarsi con una passeggiata, invece che aiutare loro padre coi
rendiconto
come gli aveva promesso- si fece loro incontro.
-Iedike,
sorella cara, perché accogli sempre gli ospiti come se fossi
una selvaggia?- la
riprese bonariamente il giovane conte, con una strizzata
d’occhio che la diceva
lunga su quando lui e sua sorella fossero complici.
-Mi
dispiace tanto, ma io sono una selvaggia. Monsieur Van Dijk, siete
proprio
sfortunato ad avere un’ospite come me.- rise la fanciulla,
rivolgendo al
guerriero uno sorriso divertito e dolce
–L’anfitrione di casa è mio fratello.
Monsieur Van Dijk, egli è Ludvig Markus Nils Frydendahl, mio
fratello maggiore.
Ludvig, ti presento monsieur Albafica Van Dijk, un amico
dell’anziano Jens
Andersen.
Fatte
le presentazioni e scambiati i dovuti convenevoli, entrarono tutti
nello
spazioso atrio. Il conte stava scusandosi con Albafica per i modi della
sorella, che, dal canto suo, cercava di tenere a bada Sophia senza
strangolarla.
Come poteva essere tanto sciocca? si chiese la ragazza, rassegnata
all’evidenza
che il buon Dio non avesse fornito la parente di buonsenso ed
intelligenza.
Albafica
osservava attento il nuovo venuto, il conte Ludvig, cercando di dargli
una
posizione ben precisa in tutta quella storia.
Era
un giovanotto sui vent’anni, piuttosto alto e magro, dotato
di una certa
bellezza e di un gran fascino ed ogni sua parola traboccava di non poco
carisma. D’aspetto era simile alla sorella minore e
totalmente opposto alla
cugina: aveva un viso dai tratti tipicamente danesi, labbra sottili e
occhi
grigi ornati da lunghe ciglia, che dovevano averli valso non poche
ammiratrici.
Il viso era ben cesellato ed incorniciato da riccioli mori, lunghi fino
alle
spalle e raccolti con un nastro blu in una coda morbida.
Ma
era il suo sguardo quello che più attirava
l’attenzione: era profondo,
divertito da qualcosa che solo lui pareva comprendere, ma allo stesso
tempo
nascondeva un certo acume e una strana inquietudine.
Di
primo acchito il giovane guerriero l’avrebbe semplicemente
classificato come un
damerino un po’ vanesio, ma dopo sole poche battute, aveva
capito che quella
che pareva superficialità era ben altro… solo non
sapeva che altro fosse.
Indefinibile
come la sorella, ma decisamente diverso dalla fanciulla: nonostante i
suoi
dubbi, Friederieke non gli dava una sensazione spiacevole, ma una
strana aura
avvolgeva il conte. Non avvertiva nessun cosmo provenire da lui, ma uno
strano
presentimento gli diceva di restare in guardia.
-Nostro
padre desinerà con noi.- disse il giovane, ad un certo
punto, rivolto alla
sorella.
Friederieke
sgranò gli occhi, con un sorriso felice. –Diceva
di non sentirsi molto bene…
-Oh,
il brodo della signora Christensen rimetterebbe in piedi anche un
morto.- rise
il giovane –Soprattutto se corretto col liquore del vecchio
Jens. Penso che
voi, signor Van Dijk, abbiate già fatto la conoscenza con la
grappa del nostro
vecchio stalliere e sappiate bene cosa può fare a qualcuno
di poco abituato.
-Un’acquavite
davvero portentosa.- concordò il giovane olandese,
ricordando la sensazione
dell’alcol che gli corrodeva la gola e lo stomaco.
-Oh,
il caro zio sta meglio? Sono così contenta di saperlo!-
esclamò Sophia –Ma siete
sicuri che ci si possa fidare dell’anziano Andersen?- chiese
e probabilmente,
se non fosse stato per Albafica, sarebbe andata avanti, ma si
interruppe prima
di dire qualcosa di spiacevole –Non sarebbe meglio chiamare
un medico?
-Non
ve n’è bisogno, il conte è sempre stato
di salute debole, ma la grappa danese è
la cura ad ogni male.- disse Friederieke, decisamente irritata.
-Mie
care, non sarebbe meglio che andaste a cambiarvi? È
disdicevole che pranziate
così conciate, soprattutto in presenza di ospiti, no, signor
Van Dijk?- disse
il conte, interpellando Albafica che, educatamente, gli diede ragione,
anche se
era incapace di trovare il disdicevole nell’abbigliamento, se
non di entrambe
le ragazze, della contessa. –Ah… vi consiglio
abiti semplici, il mio signor
padre ha invitato anche padre Hans.
-Padre
Hans?- sbottò, stupefatta e parecchio contrariata,
Freiderieke, lasciando
intendere all’ospite olandese che non doveva avere molto in
simpatia il pastore
di anime.
Il
cavaliere di Piscis, però, non poté ritenersi
più fortunato di così: nella
stessa occasione avrebbe avuto l’opportunità di
vedere la contessa, Ludvig
Frydendahl e padre Hans e di studiarli.
Quando
le due ragazze si congedarono, profondendosi in scuse e riverenze, il
giovane
seguì docilmente Ludvig, che, contrito, gli disse di doverlo
lasciare: non
avendo il pastore una carrozza a sua disposizione, toccava a lui, in
quanto
figlio del conte Frydendahl, andare al villaggio per portarlo al
maniero.
Albafica
rispose che non sarebbe certo stato un problema e che, anzi, le sue
premure
come anfitrione gli facevano onore e che avrebbe atteso nella bella
biblioteca
in cui era stato condotto.
Il
conte aveva sorriso. –Siete certo un uomo molto insolito,
signor Van Dijk…
meglio delle solite compagnie di mia sorella. Penso che mio padre
trarrà molto piacere
dalla vostra presenza. Se volete scusarmi…- prese congendo,
lasciando solo il
guerriero.
Appena
la porta della biblioteca si fu chiusa, Albafica decise di curiosare un
po’
nella stanza, che, forse, come oasi di cultura poteva competere
benissimo con
la biblioteca di Degél. Vi erano libri di ogni spessore, in
lingue diverse e di
ogni argomento possibile, alcuni erano molto antichi, altri molto
recenti,
tutti stipati nelle loro belle vetrinette di legno di noce scuro, di
foglia squisitamente
italiana, decorate da ghirigori dorati, mentre i pavimenti erano
coperti da
tappeti orientali. Al centro della stanza vi era un tavolo dalle gambe
sottili
ed elaborate, coperto di altri libri e fogli e due poltrone di velluto
scuro. Sul
caminetto che dominava la stanza, dal lato opposto della porta, vi era
un bel
quadro che ritraeva, vista la somiglianza, la madre di Friederieke e
Ludvig,
con indosso un grazioso abito blu.
Il
giovane non trovò nulla, ma non si arrese: qualsiasi cosa
stesse succedendo a
Frydenjord, l’avrebbe scoperta e debellata.
Bene, ora abbiamo conosciuto anche Ludvig... e padre Hans è in arrivo... che succederà?