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Autore: PattyOnTheRollercoaster    25/09/2012    3 recensioni
Il mio nome è Michel Holbrook Penniman Jr. Sembra un nome molto importante da portare sulle spalle, e le mie spalle, sebbene credo siano abbastanza forti, non hanno molta voglia di essere sempre così pesanti. Per questo motivo ho scelto un altro nome, un nome meno complicato, uno che tutti possano ricordare per quanto è corto. Un nome semplice, simpatico, colorato: Mika.
Una canzone diversa per ogni capitolo per dare vita ad una storia a volte triste, a volte allegra, che ha come protagonista un ragazzo - o forse un uomo? O forse un bambino? - che deve vedersela con il suo mondo colorato, in cui le combinazioni di colore non sempre sono perfette.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo ventuno
Good Gone Girl
o Prima Classe





   Gli aeroporti sono diventati, negli ultimi anni, il luogo in cui passo la metà delle mie giornate. Devo ammettere che è una vita folle, passo più tempo fuori da casa mia che dentro. Quando l’ho comprata sei anni fa ci ho passato tre settimane, poi sono dovuto andare via per mesi. Lei è rimasta lì completamente vuota per un sacco di tempo, praticamente nuova di zecca, non ci avevo lasciato un minimo segno della mia presenza. Ma ora almeno ho un buon motivo per andarmene: vado in vacanza. Due settimane a Parigi solo io, Andrea e Melachi. Sì, anche il cane, me lo porto quasi sempre ovunque, non voglio lasciarlo da qualcun’altro. Lei si diverte. Comunque sia, solo due settimane perché poi ricominciano i preparativi per il tour.
   Siamo in volo da circa quindici minuti.
   «Sono stata a Parigi una volta», comincia Andrea mangiucchiando le noccioline dell’aeroporto.
  Io finisco di mettere a posto tutte le mie cose sul tavolinetto che ho fatto scendere dal sedile anteriore. Tutto è in ordine come solo a un maniaco come me piace: ho il mio snack, il mio iPod, il mio libro da leggere (“Come un romanzo”, Daniel Pennac), il portafoglio, il cellulare anche se è spento, tutto allineato secondo una logica precisa. Ossia da pazzi. Perché solo un pazzo si mette a sistemare le sue cose così sul tavolinetto dell’aereo. La hostess mi sta già guardando male. Quando finalmente sono soddisfatto della mia opera alzo gli occhi.
   «E me lo dici ora?»
   «Era con la scuola, al liceo», si giustifica lei. «Non pensavo contasse.»
   «Conta eccome.» Conta, se contiamo che ho proposto Parigi praticamente per farle da cicerone e fare una bella figura. Passeremo anche il mio compleanno a Parigi. Abbiamo prenotato un hotel in centro e credo che da lì sarà molto comodo visitare tutta la città.
   «Non può contare così tanto, soprattutto se pensi che abbiamo visitato quasi esclusivamente musei.»
  «Non mi fanno impazzire i musei. Cioè, sì mi piacciono, ma non solo quelli. Mi piace anche andare in giro per la città, anzi mi piace soprattutto quello.»
   «Menomale, perché avevo intenzione di fare così.»
  «Allora perfetto, siamo d’accordo.» Penso un attimo a Melachi e a come se la cava ovunque sia in questo momento, assieme agli altri cani. Magari ha trovato un fidanzato. Ma speriamo di no, altrimenti a chi li do i cuccioli? Ah Melachi, che vita solitaria…
   Dopo una mezz’oretta Andrea si addormenta e io rimango tutto solo soletto. Penso di mettermi ad ascoltare un po’ di musica, poi mi rendo conto che non ho voglia. Mi guardo un po’ attorno. Andrea dorme di brutto, con la testa rivolta al finestrino. Uffa: lo volevo il posto vicino al finestrino! Vabbè, sono dalla parte del corridoio e alla mia destra ci sono altre due file di sedili, a coppie. Comincio a guardare il film che stanno mandando sul minischermo attaccato al sedile davanti al mio, ma arrivo tardi: quando decido di guardarlo sta per finire. Sbuffo, e a quanto pare qualcuno mi sente. Il tizio seduto di fianco a me, dopo lo stretto corridoio per il quale passano le hostess, mi guarda e fa: «Lo hai mancato amico, mi spiace.»
   Oddio, io sono sempre nervoso quando uno sconosciuto mi parla. Dev’essere una di quelle reminiscenze dell’infanzia di quando tutti dicevano “Non parlare con gli sconosciuti!” «Ehm…»
   «Peccato, perché non era male», continua quello come se io gli avessi dato corda.
   «Di cosa parlava?»
   «Lui ama lei, lei ama lui, solo che qualcuno si mette in mezzo e il film dura novanta minuti.»
   «Oh. Detta così non sembra entusiasmante.»
  «Forse sono io che non sono bravo a riassumere.» L’ometto si stringe nelle spalle e giocherella con la sua cravatta. In realtà ha riassunto benissimo, però è riuscito a succhiare via tutta la parte bella. Sospetto che farebbe sembrare banale persino “Il signore degli anelli”.
   «No, no, è stato bravo.»
  «Grazie. Fra un po’ lo faranno ricominciare. In realtà non è un film molto originale. Però, riesci a crederci? La solita vecchia storia non mi annoia mai, anche se l’ho già sentita prima. Sarà che sono un romantico, me lo dicono sempre.»
   Mi sfugge un sorriso. «Donna fortunata la sua.»
   «Oh no, sono sposato: quando ci si sposa il romanticismo diventa solo un fatto di circostanza.»
   Mi acciglio e lo osservo meglio. Potrà avere sì e no una cinquantina d’anni, forse un po’ di più. Che uomo contraddittorio, però. Uno si aspetta che più invecchi più diventi ferrato sui tuoi argomenti, ma giudicare da questo qui è vero il contrario.
   «Lo terrò a mente quando mi sposerò.»
   Lui ridacchia e fa un cenno di saluto, poi torna a guardare di fronte a sé e a studiare il piccolo teleschermo. Darò retta alla mamma d’ora in poi: non parlerò mai più con gli sconosciuti.
   Poco dopo è ora di scendere, così sveglio Andrea e ci prepariamo ad andare. Ci mettiamo un paio d’ore a recuperare Melachi e poi le valigie, poi ci mettiamo altrettanto tempo a raggiungere il nostro hotel e sistemarci. Non è proprio una camera vera, o meglio, è più che una camera: ha anche un angolo cottura e un piccolo spazio che potrebbe essere un salotto in miniatura. Era l’unico hotel che ho trovato che accettasse i cani, e nel caso potevi lasciarli a qualcuno che si prendeva cura di loro, se andavi in un posto dove non potevi portartelo. Il fatto che fosse formato da delle sottospecie di mini appartamenti non mi dispiaceva nemmeno un po’.
   «Dove andiamo?», chiede Andrea una volta sistemati, sorridendo. «Voglio vedere la Tour Eiffel, ma quella di notte. Chissà quanto ci vuole per salire? Ah, e poi voglio passeggiare per gli Champs Elysees, quello di giorno mi sa che è meglio. Poi voglio andare a Montmarte. Oh, lo sai che il bar dove hanno girato “Il favoloso mondo di Amelie” esiste sul serio? Perché non ci andiamo? E poi…»
  Non si ferma più. Per stopparle questo torrente di parole gonfio le guance e le faccio una pernacchia. «Va bene ho capito, visiteremo tutta Parigi in due settimane, fidati.»
   Lei fa un sorrisino di scuse e si preme le mani sulla bocca. Dio, quanto è bella.
  Mi avvicino e la bacio, cominciando ad avvicinarmi al letto e trascinandomela dietro. «Sono stanco, devo stendermi», le dico sorridendo sulle sue labbra.
   «Non è giusto.»
   «Mi vuoi negare il riposo? Sei crudele.» La faccio sdraiare sul letto con le lenzuola perfettamente tirate e mi stendo su di lei.
   «No, dicevo il fatto che sei stanco.»
   «Conservo ancora un po’ di energia di riserva.»
   Menomale che Melachi è da qualche parte a esplorare la stanza gigante, mi fa impressione se c’è lei che guarda…

   Fa caldo per essere le dieci di mattina. Per forza, siamo in Agosto. Sono disteso sul prato di fianco alle scale che portano alla Basilica del Sacré Coeur, di fianco a me c’è Andrea, che ascolta musica guardando le altre persone distese affianco a noi, un sorriso sul volto, e Melachi, che scodinzola e quando passa una farfalla salta per cercare di acchiapparla.
  Siamo piuttosto in basso, vicini alle gradinate, e vedo che c’è un tipo che si sta preparando per una piccola performance. Già così attira qualche sguardo. Attacca un microfono, imbraccia la chitarra acustica, sistema una scatola con dei cd al suo fianco e poi saluta tutti. La gente lo guarda con un espressione di cortese attesa sul volto. Lui comincia a cantare e dopo una, due, tre canzoni, io e Andrea stiamo seduti sull’erba ad ascoltarlo, con Melachi stesa al nostro fianco, e una piccola folla che si è riunita sulle gradinate del Sacré Coeur. Il tipo ha una bella voce, canta cover di canzoni famose e coinvolge la gente nel suo spettacolo. Parla un po’ in francese, in italiano, due parole di tedesco con un gruppo di turisti da Berlino, ma soprattutto inglese e tutti quanti riescono almeno a intuire cosa dice. Il suo cd di cover e un paio di canzoni sue costa dieci euro. Andrea si alza e va a prenderlo, lasciando i soldi dentro la scatola, e lui le rivolge un cenno di ringraziamento.
  Dopo un’ora buona saluta tutti e se ne va, mentre noi moriamo di caldo. «Voglio entrare a vederla», dice Andrea guardando da fuori la basilica.
«Vai tu, io rimango qui con Melachi.» E va bene, ci sono anche lati negativi a portarsi il cane in giro in vacanza, perché in alcuni posti non può entrare, ma come si fa a stare lontani da lei? Melachi, la tua pelosità è pari solo alla tua simpatia.
   Dopo un quarto d’ora Andrea esce, scatta un paio di fotografie della chiesa, scatta una foto a Melachi davanti alla chiesa, perché lei è un cane di mondo, e poi ci avviamo lungo la fiancata dell’edificio, lungo le vie affollate di turisti a Montmartre, per cercare un posto dove mangiare.
   Ci sediamo in alcuni tavolini fuori da un locale, sotto un grosso gazebo bianco. Ho messo il collare al cane e l’ho assicurato al tavolino, così adesso sta sdraiata comoda all’ombra. Ordiniamo due crèpe salate, acqua, e se ce l’hanno una ciotolina per far bere anche Melachi, poi rimaniamo in attesa dei nostri piatti.
   «Non ci posso credere che hai vissuto qui per quasi dieci anni, che fortuna che hai», dice Andrea guardandosi attorno sorridendo.
   «Sì be’, neanche tu sei messa male. Non è che Londra sia poi così pidocchiosa. Lo sai che c’è gente che farebbe di tutto per andarci?»
Andrea fa una faccia sofferente. «Non sanno quel che dicono. Perdonali, Parigi, perché hanno peccato», dice con fare teatrale. «Comunque, mi fai vedere dove vivevi?»
   «Possiamo fare tappa anche lì, comunque è un po’ fuori. Non è la Parigi bene», dico ricordando l’appartamento dove ci eravamo stipati per parecchio tempo. Vicino c’è anche la scuola elementare che ho frequentato.
   Quel pomeriggio torniamo in hotel e lasciamo lì Melachi, che ha tanto di passaggio formato cane per andare sul balcone. Poi prendiamo la metro e ci dirigiamo verso il distretto diciassette, dove abitavamo con la mia famiglia. Il diciassette è uno di quei distretti che i turisti non visitano spesso, una di quelle aree della città quasi del tutto normali. Forse l’unica cosa interessante che c’è da vedere sono i paesaggi che dipingevano gli impressionisti, perché nel quartiere di Batignolles ci andavano spesso. Per il resto, non ci ho mai trovato niente d’interessate, ed è anche vero che riconoscere oggi i paesaggi di metà ottocento è un’impresa. Io e la mia famiglia vivevamo proprio in quel quartiere, Batignolles. Forse non uno dei più belli, ma non eravamo lì per divertirci. Eravamo fuggiaschi, cacchio! Fuggiti dalla guerra civile in Libano! In realtà la storia è molto più interessante e avventurosa quando la racconti, la verità è facilmente riassumibile in viaggi e lunghe file per i documenti.
  «Questa è la mia scuola», annuncio ad un tratto fermandomi davanti all’alto edificio grigiastro. Tutto in quel quartiere è grigiastro, o al limite marrone.
   «Cavolo… come fai a ricordartela?»
   «Mi ricordo dove sta. Credo che sia memoria corporale, o come si chiama: mia madre portava me e i miei fratelli qui tutti i giorni a piedi, si vede che non appena sono sulla via i piedi mi partono in automatico.»
   «E ti ricordi qualcosa di questa scuola?» Andrea si siede sul muretto del cancello, la schiena pigiata sulle sbarre di ferro, e io mi schiaccio al suo fianco.
   «Mica tanto. Mi ricordo che ad un tratto, tipo a nove anni, avevo una fidanzatina.»
   «Sul serio?»
   Rido e mi stringo nelle spalle. «Sì. Se non ricordo male il suo nome era Giorgia, ed era magnifica. Mi dava sempre le caramelle che si portava da casa, ci copiavamo i compiti a vicenda, e quando c’era da fare un lavoretto a coppie io e lei stavamo sempre assieme. Venivano dei bei lavoretti, mia madre deve averli ancora da qualche parte.»
   «Guarda che mi ingelosisco», dice Andrea sorridendo.
   «Poi mi ricordo che c’era una bambina terribile invece.» Ci penso per un po’, poi mi torna in mente ogni cosa. «Era inglese, se non mi sbaglio, o al limite americana. Si chiamava April, ed era odiosa. Rubava i pennarelli, spingeva, e quelle cose lì che fanno i bambini. Io e Giorgia la odiavamo, cercavamo sempre di architettare un piano per farle fare brutta figura.»
   Andrea ridacchia e si alza, massaggiandosi il sedere, perché stare seduti su questo muretto è piuttosto doloroso. «L’ultimo giorno che stiamo qui è il tuo compleanno. Che vuoi fare?»
   «Non lo so. Ma quando torniamo a casa ci sarà tipo una festa a sorpresa a casa dei miei.»
   «Se è a sorpresa come fai a saperlo?»
   «Fortuné», dico soltanto.
   «Ah, capito. Vabbè però il diciotto lo passiamo qui. Che vuoi fare?»
   Mi alzo anch’io (con l’impressione di aver lasciato le chiappe sul muretto) cingo le spalle di Andrea e ci avviamo verso chissà dove. «Non lo so. Quello che vuoi tu.»




















...scusate.
Non mi viene in mente nient'altro da dire per il ritardo. Avevo spiegato in questo post che ci sarà un periodo un po' incasinato, ve lo linko perché lo so che il mio blog non se lo fila nessuno se non è per gli spoiler! xD Se non avete voglia di leggerlo, riassumendo è qualcosa tipo: fino alla fine di Settembre non posso garantire aggiornamenti stabili perché fra il lavoro e, ehm, la vita, è un periodo impegnato.
Ma parliamo di cose più liete (non che la vita non sia lieta, anzi, è lietissima ^^)!
Mi è piaciuto tantissimo introdurre Melachi in questo capitolo, anche nel prossimo verrà citata e avrà delle parti rilevanti! In realtà, è lei la protagonista di questa storia! ...okay, la smetto di dire scemenze xD
Il tizio che canta davanti alla basilica del Sacre Coeur non me lo sono inventata, esiste davvero. L'ho visto quando sono andata in gita a Parigi due anni fa: era simpaticissimo, aveva una bella voce, e gli ho anche comprato il cd perché era stato figo stare lì seduti sugli scalini a guardarlo, ed è una delle cose più belle che ricordo di quella gita, che è stata credo la migliore in vita mia (ora sogno di tornare a Parigi un giorno o l'altro). Se siete curiose di immaginare Mika e Andrea a guardare questo tizio cantare, eccovi un video abbastanza recente dove suona "Someone like you" di Adele (fra parentesi: adoro quella canzone).
Le informazoni sull'infanzia di Mika a Parigi invece, con relativa fuga dalla gerra civile libanese e il quartiere in cui erano andati a vivere, me le sono inventate di sana pianta.
Comunque, vi lascio allo spoiler dle prosismo capitolo, sperando di riuscire ad aggiornare puntuale la prossima volta.
Grazie a tutti coloro che leggono e che recensiscono, mi fa sempre piacere leggere i vostri commenti ^^ Siete tutti gentilissimi e ogni volta che leggo una delle vostre recensioni mi fate sorridere!
Grazie mille,
Patrizia
   
 
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