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Autore: Monia85    10/04/2007    6 recensioni
Bussa alla mia porta.
E’ così facile. Lo sai anche tu.
Sono qui, al vetro della mia finestra, e vedo la tua mano alzarsi, raggiungere tremante il legno. Pare quasi il vessillo di un esercito perdente, abbandonato alla furia di quel vento gelido che soffia tutt’attorno a te, smuovendo i tuoi capelli neri come la notte che ti circonda. Ci provi, se non altro. Ci provi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bussa alla mia porta.
Lo sai, io ti accoglierò. In un abbraccio caldo e rassicurante, come piace a te.
Bussa alla mia porta.
Intravedo la tua ombra, lì fuori, nell’aria gelida che imperversa in questa grigia, orrenda cittadina. La osservo, quasi adorante, speranzoso, chiedendomi se avrai la forza di abbattere quel tuo maledetto orgoglio. Ma so già che non accadrà.
Dei due, io sono quello illuso.
E tu, la creatura oscura, rabbiosa, boriosa. Colei che mai s’inginocchierà, che mai cederà alla debolezza dei sentimenti. La più forte, la più fiera. L’imbattibile, l’insondabile, l’inarrestabile.
La mia donna.
Io so leggere ogni tuo stato d’animo, mia piccola farfalla velenosa; lo sai. Posso percepire i tuoi pensieri prima ancora che essi razzolino liberi per quella tua adorabile testolina dura quanto il legno. Sono l’animo tuo, che se ne va a spasso da solo, e che eppure brama ogni ora, ogni minuto, ogni secondo di ricongiungersi a te.
Bussa alla mia porta.
E’ così facile. Lo sai anche tu.
Sono qui, al vetro della mia finestra, e vedo la tua mano alzarsi, raggiungere tremante il legno. Pare quasi il vessillo di un esercito perdente, abbandonato alla furia di quel vento gelido che soffia tutt’attorno a te, smuovendo i tuoi capelli neri come la notte che ti circonda. Ci provi, se non altro. Ci provi.
Ma non ci riuscirai, vero?
E quante parole non dette avrai su quelle tue rosse labbra, quanti mormorii dolci ed appassionati, quante scuse che mai vedranno la luce del sole! Sei così sciocca, mio amore. Così sciocca, da scatenare in me un moto di enorme tenerezza. Così come tu ti trattieni a stento dallo picchiare le nocche sull’uscio della mia abitazione, pari è il mio sforzo per impedirmi di correre da te, spalancando quella stupida barriera in legno, avvolgendoti tra le mie braccia.
Non posso concedertelo. Soffro nell’essere così duro, e vorrei prendermi a schiaffi da solo. Ho bisogno di te, maledizione, necessito della tua presenza come della stessa aria! E invece me ne sto qui, attendendo una bussata che mai mi concederai!
Perché è questo il problema, in fondo, vero? Le concessioni.
Tu non mi concedi nulla. Né il tuo cuore, né la tua anima. Hai così tanta paura di soffrire, che la tua soluzione finale è stata racchiudere questi due enormi, infiniti tesori in uno scrigno di freddo ed indistruttibile metallo. E l’hai avvolto nel tuo cinismo, nel tuo pessimismo, nel tuo orgoglio. Così da non essere neppure capace di bussare alla mia porta.
Perché hai cercato il mio cuore?, mi chiedo io. Cosa accidenti ti ha spinto a farlo, se tanto sapevi che saresti stata incapace di donarmi il tuo? Volevi giocare con me? Volevi vedermi soffrire? O forse, più semplicemente, sperassi che io t’insegnassi ad abbandonarti?
Voglio credere che sia questo, il motivo.
Così come voglio credere che busserai a quella porta.
Abbiamo litigato per una sciocchezza, in fondo. Lui ti ha guardata troppo, ti ha sorriso, ti ha pretesa. E tu? Giocavi maliziosa, attorcigliandoti la sua attrazione attorno alle tue lunghe dita, sirena del desiderio. Mi hai fatto impazzire dal dolore. Dalla rabbia. Dalla gelosia.
E quale riposta, quale rabbioso sibilo ho ricevuto, quando ti ho preso da parte alla ricerca di spiegazioni? “Smettila di fare l’idiota. Che ti credi? Non siamo certo sposati, no?”
Chissà che faccia hai fatto, quando io ti ho dato le spalle. Chissà se hai mosso il piede in un mezzo passo nella mia direzione, quando io me ne sono andato, abbandonandoti lì come l’ultimo dei cani.
Credevo di averti perduta. Per sempre. Ho desiderato morire.
Eppure, ora sei qui. Non ti sei intrattenuta con quell’uomo. Sei corsa dietro a me.
A me.
Bussa alla mia porta.
Non rovinare tutto, ora che sei giunta sin qui.
Bussa a quella cazzo di porta!
E’ con un sussulto di dolore che ti vedo voltare le spalle al mio uscio. Ti stringi maggiormente nel tuo mantello, piccola strega padrona del mio cuore, e cali il viso verso il basso, come se volessi celare il tuo sguardo al resto del mondo.
Così orgogliosa…
Così scioccamente, stupidamente, testardamente orgogliosa.
Sobbalzi spaventata, quando il mio uscio si apre, quando il debole fascio di luce proveniente dall’interno dell’abitazione ti illumina debolmente, strappandoti dalle tenebre della notte. Mi guardi, con quei grandi occhi verdi che tante cose vorrebbero dire, e che eppure sono costretti a tacere.
Sono corso all’ingresso senza neanche rendermene conto. Che cosa buffa. Ed ora ti osservo; un uomo vestito di grigio, dallo sguardo triste, un ragazzo che fissa la sua innamorata senza avere la forza di spiccicare parola.
“Non lo pensavo.” sussurri con voce incrinata, e quelle tue labbra rosse piegate all’ingiù in una smorfia addolorata sono per me un invito a correrti incontro. Lasci che io ti avvicini, divorato dal vento di questa notte, e mi permetterti di stringerti tra le mie braccia, così come piace tanto a te. “Non lo pensavo. Davvero.”.
“Lo so.” sì, io so tutto di te. Tutto.
So anche che volevi bussare a quella porta.
Così come so che è mio dovere venirti incontro, ove tu non riesci a giungere.
“Andiamo dentro.” e m’incammino, tenendoti stretta come il più fragile ed il più volatile dei tesori; il tuo corpo, premuto sul mio, è freddo.
Ti riscalderò. Un giorno o l’altro, lo farò anche con il tuo cuore. Puoi giurarci.
La porta si richiude alle nostre spalle. E vorrei che restasse così per sempre.
  
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