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Autore: Lushia    27/09/2012    1 recensioni
La vita di una giovane Arina, costretta a crescere immersa nella vita quotidiana di una famiglia mafiosa, con i suoi problemi adolescenziali e le situazioni strane e nonsense che la circondano.
La sua allieva, una bambina di sette anni tutto pepe che non riesce a stare un attimo tranquilla assieme ai suoi amichetti.
Cosa è accaduto in passato e cosa accadrà?
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'KHR! 11^ Famiglia'
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Target 10 - Animi Inquieti

cover

L'uomo prese una ventiquattrore e la aprì, sistemando alcuni fascicoli e due penne di riserva.
- Juudaime, l'automobile è arrivata. - affermò il suo braccio destro, lanciando un'occhiata all'orologio da polso e sistemandosi la giacca nera.
Il bruno aveva uno sguardo molto pensieroso, continuava a osservare i documenti riguardanti il caso Lhumor. L'immagine incriminata si trovava esattamente dove l'aveva lasciata, ma era sicuro che la bambina l'avesse vista.
Lanciò un'occhiata alla fotografia che lo ritraeva con la moglie e la figlia, all'epoca molto più piccola.
- Juudaime. - lo chiamò ancora.
- Perdonami, Gokudera-kun. Andiamo. -

Varcò l'uscio della stanza e si voltò verso il lato opposto del corridoio, il suo sguardo era preoccupato e apprensivo.
- Ha nuovamente tentato di fuggire? - chiese.
- Come al solito. - l'albino accese una sigaretta, espirando un po' del fumo - E' una piccola testarda, dopotutto. -
L'uomo sospirò.
- Mi chiedo perchè sia così tormentata. Vorrei che pensasse a giocare come le altre bambine della sua età. - il suo sguardo incrociò quello di Gokudera.
- E' il sangue. - rispose lui, abbozzando un sorriso - Quando c'è da aiutare qualcuno, non vi tirate mai indietro. -
Tsuna chinò il capo e strinse la valigetta, incamminandosi con passo svelto verso l'uscita.
- Non vuoi salutarla? - chiese il suo braccio destro, leggendogli la mente.
- Vorrei... ma per ora è meglio così. - si costrinse a dire, mordendosi il labbro - Deve capire. -
In realtà sarebbe voluto correre da lei. Non riusciva ad essere un padre severo, con la sua piccola era anche fin troppo protettivo e apprensivo, forse molto più di Kyoko.
Si chiese se fosse quel comportamento ad aver avuto una cattiva influenza su Nozomi. Sentendosi in gabbia, la piccola avrà iniziato ad escogitare qualche modo per fuggire e per dimostrare di non essere così debole. Sicuramente non sopportava l'idea di essere costantemente protetta.
Tsuna sapeva benissimo che la bambina desiderava essere un principe guerriero piuttosto che una fragile principessa, ma lui non voleva che lei combattesse. Voleva essere lui a proteggerla, almeno finché lei era ancora una bambina. Un giorno "quel momento" sarebbe arrivato, sperava però che mancasse ancora molto tempo.

L'uomo sapeva che l'uccellino avrebbe spiccato il volo e lei, divenuta adulta, non avrebbe avuto più bisogno delle amorevoli cure dei suoi genitori.
Quanto temeva quel giorno.
L'idea di allontanarla da quel luogo, nata qualche mese prima, iniziava a concretizzarsi nella sua mente. Vivendo lontana dalla mafia e dalle preoccupazioni sarebbe sicuramente cresciuta in modo più sereno e tranquillo.

Salì sull'auto con sicurezza, seguito dal suo migliore amico.
- Mi chiedo se non sia stato io a maledirla. - affermò.
- Penso dipenda dai punti di vista. - Gokudera gli lanciò un'occhiata complice, annuendo con il capo. - Lei lo vede più come un dono. -
Tsuna sospirò, accavallando le gambe.
- E' proprio questo che mi fa paura. - affermò, voltandosi - Non sopporterei di perderla. -


***

Era la quarta volta, da quella mattina, che la bambina tentava di oltrepassare l'entrata principale. Non era sicura di ciò che stava facendo, aveva paura che si potesse nuovamente trovare dinanzi ad un ostacolo. Stavolta, però, non c'erano uomini che parlavano nell'androne né una signora delle pulizie che la guardava male.
Persino uno dei maggiordomi l'aveva beccata, nel suo terzo tentativo, e l'aveva trascinata di peso nella sua stanza.
Nonostante fosse la figlia del boss la sua parola non valeva nulla, tutti erano già a conoscenza della sua punizione e la bambina, per quanti sforzi facesse, veniva trascinata continuamente in camera, senza poter obiettare.
Sua madre, anche lei abbastanza arrabbiata, le aveva imposto di sistemare la camera e di fare i compiti, nonostante li avesse già finiti tutti. Inoltre, studiare era l'ultimo dei suoi problemi.

Scese lentamente le scale ad est, controllandosi attorno per evitare brutte sorprese, quando svoltò l'angolo e osservò il corridoio vuoto che portava al cortile.
Era tutto abbastanza silenzioso, poteva udire il canto degli uccellini e le chiacchiere di uomini in lontananza.

“Ora o mai più.”

Si lanciò rapidamente lungo il corridoio, mancavano pochi passi all'uscita e finalmente avrebbe respirato aria di libertà.
Il suo sesto senso, però, iniziò a tartassarle di nuovo il cervellino.
“Non andare, potrebbe esserci qualcosa!” continuava a dirle. Ma perchè non si stava un po' zitto? Il corridoio era libero e silenzioso, l'entrata era a pochi passi, cosa poteva mai accadere? “Fermati, attenta! E' innaturale che ci sia tutto questo silenzio, è strano che non ci sia nessuno!” continuò ad echeggiare nella testa e la bambina si innervosì. “Vuoi stare un po' zitto? E' la mia occasione!”

Superò l'entrata per il cortile e si accorse piacevolmente che in giro non vi era anima viva.
Aprì le braccia, respirando l'aria pulita e il profumo dei fiori e dell'acqua della fontana, accanto alla quale spesso si sedevano lei e i suoi amici.
All'improvviso ricordò la frase che Claudio le aveva detto: “Tu hai un bellissimo sorriso, Nono. Io voglio vederlo, sempre.”
Il suo cuore sussultò e arrossì senza rendersene conto. Da quando aveva iniziato a sentire quella strana sensazione dentro di lei?
Più o meno da quando lo conosceva.
Il bambino che l'aveva tirata fuori dalla sua solitudine, che nonostante il timore degli altri si era avvicinato a lei e aveva insistito nel diventare suo amico.

"- Ehi, perchè stai sempre sola? Non vuoi giocare con gli altri? - le aveva chiesto il bambino qualche anno prima. - Avanti, gioca con me! -
La bambina non gli rispondeva mai, continuava ad osservarlo con sguardo perplesso.
- Ehi, dai, parla! Il gatto ti ha mangiato la lingua, forse? - chiedeva ancora, insistendo -… ok, continuerò ad insistere finchè non vorrai giocare con me. -
- … Perchè vuoi giocare con me? - decise di chiedere lei.
- Perchè stai sempre sola... non mi piace, è brutto stare soli. -
- … si dice 'essere soli'. - lo corresse.
- Va beh, che importa! Allora, giochiamo? - chiese ancora.
- Non posso giocare, ho delle cose da fare. -
- ...Cosa? Non stai facendo nulla... -
- Non qui... intendo... non ho tempo per giocare, devo crescere e diventare grande. -
- Ma perchè? C'è tempo per diventare grandi, adesso giochiamo! -
- Cosa ci trovi di bello nel giocare? Non pensi al tuo futuro? - chiese lei, confusa.
- Ma il futuro è ancora lontano, perchè non pensi un po' a divertirti? Ecco, giocare vuol dire divertirsi! Non ti piacciono le cose divertenti? -
- … le cose divertenti? - ripeté, non capendo cosa il rosso voleva dire.
- Non hai mai fatto qualcosa di divertente?! Allora vieni a giocare con me! -"

La Vongola restò davvero scioccata se non affascinata dalle parole del bambino che, nonostante le sue risposte fredde e distaccate, continuava a invitarla, a differenza di tutti gli altri bambini.
Cos'era “una cosa divertente”? Non aveva mai pensato a divertirsi, cosa strana per una bambina.
Da piccola forse si divertiva, quando suo padre la prendeva in braccio e la faceva volare, quando sua madre strofinava il nasino contro il suo, quando Arina metteva la musica e ballava assieme a lei, ridendo e senza pensieri.
Quei gesti così semplici erano divertenti, erano belli, erano pieni di calore.
Per questo la bambina, che all'epoca aveva solo sei anni, decise di seguire Claudio e di andare a giocare con lui. Era davvero divertente come lui le aveva raccontato.
Da quel momento era cambiata, era più aperta, meno fredda, più solare. Rideva perchè era lui a farla ridere.
Che cosa le aveva fatto?
In quel momento, era arrossita perchè lui l'aveva fatta arrossire, le sue parole erano penetrate nuovamente nel suo cuore, scavando una piccola fossa e immergendosi dentro.

Sussultò, scaraventata violentemente via dai suoi pensieri nell'istante in cui una mano si poneva sulla sua spalla.
Aveva perso tempo, forse un paio di minuti, a ricordare il passato e questo le era stato fatale.
No, non fu a causa dei due minuti. Era già dietro di lei sin da quando era giunta lì.

Quella che sembrava una lunga stecca di ferro venne fatta scivolare lentamente sotto il suo collo e la piccola spalancò gli occhi, terrorizzata.
Il profumo del metallo, quella sensazione di terrore, la presenza inquietante.

Era lui, l'uomo che più temeva.

La stecca di ferro la costrinse ad indietreggiare ancora, finchè non toccò la parete con la schiena. La bambina terrorizzata stava osservando l'arma, con il viso leggermente alzato per evitare che quell'oggetto premesse sul suo collo.
Alzò lo sguardo e osservò gli occhi gelidi che stavano fissando insistentemente la bambina.
Quei maledetti occhi azzurri, quei capelli corvini, quell'arma di cui ignorava il nome. Un cocktail di puro terrore.

- Ho appena catturato un coniglio, a quanto pare. - affermò lui, con voce fredda.
Tremò, senza distogliere lo sguardo.

Hibari Kyoya era il guardiano della nuvola di suo padre, il più potente fra i guardiani così come il più temibile. Non si sapeva mai cosa gli passasse per la testa, era un ribelle e non seguiva gli ordini di nessuno. A stento arrivava se chiamato da Decimo, spesso contrastava i suoi ordini con noncuranza, sembrava persino annoiarsi.
Era inquietante sapere che, tra le persone più potenti attualmente tra i Vongola, vi era un uomo che sembrava un cavallo indomito pronto a scalciare chiunque gli si avvicinasse.

Si chinò, fissandola negli occhi e sorridendo beffardo. Lui sapeva che Nozomi lo temeva.
- Sbaglio o il tuo paparino ti aveva vietato di uscire? Lo sai che non si disubbidisce? -

Deglutì, senza avere il coraggio di dire nulla.

- Le regole e le punizioni vanno rispettate. -
L'uomo afferrò la bambina per lo stomaco, portandola sotto al braccio come un sacco di patate mentre lei, ancora terrorizzata, non oppose resistenza. La piccola stava già pregando di morire senza alcuna sofferenza.
Non si era nemmeno resa conto di cosa fosse successo che si era ritrovata nella sua camera, al punto di partenza, mentre la porta veniva violentemente sbarrata dall'uomo, che andò via sbadigliando.

Restò qualche istante a fissare la maniglia, sconcertata, prima di riaquistare lucidità.

"Guardiani della nuvola... ma perchè diavolo devono esistere?" pensò singhiozzando "Sono inquietanti, ribelli, non fanno mai quel che gli dici. A cosa servono?"
Ricordò Alaude-san e il suo rapporto con Primo-sama. Almeno lui era più ragionevole e meno terrorizzante di Hibari-san.
Eppure si comportava comunque da guardiano della nuvola.

- Non ho bisogno di loro. Quando sarò un boss non prenderò nessun guardiano della nuvola! -

Strinse i pugni violentemente, arrabbiata e in lacrime, iniziando ad osservarsi intorno e cercando un'altra idea per fuggire da quell'inferno, mentre ricorda le parole di Hibari.
“Regole, come no. Non me ne faccio nulla delle vostre regole, io ho una missione!”

Era più o meno mezzogiorno e si avvicinò alla finestra, singhiozzando. Osservò il cortile sul retro e le mura che incorniciavano la magione come se fosse un castello pieno di ricchezze.
Aprì la finestra e si protese, guardando in basso e poi ai lati della vetrata.
C'era ancora una possibilità.
Aveva letto così tanti libri che ormai la biblioteca dei Vongola non aveva più segreti per lei. Molti di questi li conosceva persino a memoria, cosa che avrebbe stupito qualsiasi altro bambino della sua età, che avrebbe preferito impiegare quel tempo in giochi divertenti e non in noiose letture.
Eppure quei libri potevano aiutarla, le bastò portare il suo sguardo verso il letto e la piccola lodò sia la sua intelligenza che il ricordare a memoria The Adventures of Huckleberry Finn.
Fortunatamente l'armadio era pieno di lenzuola, non le ci volle molto ad assemblarle e a legarle seguendo l'idea che Tom e Hack ebbero nel libro.
Nonostante fosse al terzo piano riuscì a calarsi e a scivolare velocemente, per evitare che il suo peso slegasse le lenzuola unite come una fune. Riuscì a toccare terra e, senza perdere tempo, oltrepassò le mura del cortile, diretta nella foresta adiacente.
Aveva la brutta sensazione di essere stata vista da qualcuno ma, fortunatamente, chiunque fosse stato non era riuscito a prenderla, poichè la piccola era già sparita tra gli alberi.

***

Arina si trovava immobile davanti alla saracinesca chiusa di un negozio di detersivi, appoggiata con la schiena, mentre aveva gli occhi rivolti verso il cielo, leggermente stanchi e gonfi.
La busta con i dolci era stata lasciata cadere a terra e si trovava accanto ai suoi piedi, era anche abbastanza ammaccata e sicuramente i dolci erano andati a male a causa del sole cocente, che nell'ora di punta batteva forte sopra di lei.
Nella mano destra continuava a stringere il suo cellulare come se fosse la cosa più preziosa di questo mondo, anche se in quel momento sembrava abbastanza inutile e la ragazza aveva resistito alla voglia di gettarlo violentemente a terra per la rabbia.
Lo portò all'orecchio, aveva perso il conto di quante volte aveva provato a chiamarlo, ma ogni volta rispondeva la snervante voce che la invitava a riprovare più tardi poiché il numero era irraggiungibile.

Abbassò il braccio e scivolò a terra, tenendosi le ginocchia e osservando dinanzi a sé la strada nel silenzio del primo pomeriggio, rotto solo da alcune auto che passavano di là.
Nonostante fosse seduta su un marciapiedi, sotto una balconata e davanti ad una saracinesca, non aveva per nulla intenzione di spostarsi o di muoversi.
Voleva solo restare lì, accoccolata ai suoi pensieri.

“Dove sei? Perchè non rispondi? Sei davvero... andato via?” i pensieri vorticavano furiosi dentro di lei.
Una lacrima le rigò il viso, terrorizzata al pensiero di aver perso il ragazzo che amava.
“No... non è possibile... non puoi avermi lasciata....”.

Sapeva che la cosa migliore da fare sarebbe stata andare all'ospedale e controllare se fosse lì, eppure non voleva farlo.
Preferiva star lì come una sciocca, tentando di contattarlo con il cellulare nonostante sapesse che se era ferito non poteva di certo risponderle.
Sarebbe stato così facile andare a cercarlo, chiedere alla reception di un certo Alessandro Demerito, per sapere cosa fosse successo e come stava.
La signorina, con lo sguardo sorridente, poteva dirle "Sta bene, solo un po' malconcio" come poteva dirle "E' in Sala operatorio, ma se la caverà."
Ma se le avesse invece detto che era in coma? E se fosse già morto?
No, non poteva andare lì. La sua sanità mentale non glielo voleva permettere.

Si sentiva confusa, spaesata, demoralizzata e inquieta.
Aveva quindici anni ormai, nonostante si sentisse ancora immatura come una bambina. Doveva essere forte ed essere di buon esempio per la piccola di cui si prendeva cura.
Come poteva farlo, se non riusciva a prendersi cura nemmeno di sé stessa?
Doveva crescere, doveva maturare. Aveva ancora una lunga strada davanti a sé e non voleva deludere Decimo e la fiducia in lei riposta. Doveva farlo anche per suo fratello e per il suo futuro.

Ci sarebbe stato anche Alessandro nel suo futuro?

Tremò.
I suoi pensieri erano tutto fuorché positivi, la brutta sensazione che aveva da due ore continuava a gironzolare nel suo cervellino e la testa iniziò a pulsarle in modo violento a causa delle lacrime versate.
La visibilità iniziò ad abbassarsi, alcune nuvole enigmatiche si facevano spazio nel cielo e il calore era diminuito drasticamente.
Era stanca, affaticata, disperata, insicura su cosa avrebbe dovuto fare. Chiuse gli occhi, poggiando la testa sulle ginocchia e singhiozzando ancora, la testa che le doleva e le sue emozioni che prendevano il sopravvento.
Poi, lentamente, scivolò in un baratro oscuro.

***

Iniziò a piovere.
Potevano essere passate all'incirca tre ore da quando si trovava in quella fitta foresta.
Si guardò intorno, spaesata, cercando di recuperare visivamente la posizione del sole, il che era impossibile poichè era nascosto dalle prepotenti nubi che rovesciavano sulla terra l'abbondante pioggia di fine estate.
Era fradicia da capo a piedi e disorientata, non riusciva a recuperare la strada verso la città e si era persa in quella foresta, che si espandeva per chilometri e chilometri sulle colline che circondavano la magione.

Si fermò, osservando dinanzi a sé.
Alberi, foglie, terra, qualche animaletto che fuggiva, l'acqua del cielo piangente che continuava a cadere ma, per fortuna, non sembravano esserci fulmini né c'era abbastanza vento da rendere impossibile l'avanzamento.
Poteva camminare, nonostante la pesantezza dei vestiti bagnati e qualche starnuto.
E se le fosse salita la febbre?
Camminò ancora e ancora in una direzione a caso, non sapendo dire se stesse avanzando o se stesse tornando indietro.

- Non è possibile... non è proprio possibile... -

Alzò nuovamente lo sguardo, ma il cielo era ancora grigio e la pioggia sembrava non voler cessare.
- Ha fatto caldo fino ad oggi... stamattina il sole batteva come se fossimo a ferragosto e ora piove così tanto che il sole è sparito... -

Guardò verso il cielo, costretta a chiudere gli occhi per via delle goccie di pioggia che battevano sul suo viso. Senza il sole a farle da guida, non poteva sapere che direzione doveva prendere. Non aveva nemmeno pensato di portarsi dietro una bussola.
Se solo quelle maledette nuvole si fossero tolte da mezzo...
Era sempre colpa loro. Iniziò quasi ad odiarle.
Le nuvole e i loro guardiani.

Singhiozzò, credendosi ormai perduta nel nulla, senza che nessuno sapesse dove fosse. Dopotutto, suo padre e gli altri pensavano che si trovasse ancora nella sua cameretta, al riparo dalla pioggia e in punizione.

Si appoggiò al tronco di un albero.
Non c'erano ripari, solo alberi e terra.
- No... non c'è limite alla mia sfortuna... -
Portò le mani davanti al viso e iniziò a piangere.

   
 
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