Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: Kary91    28/09/2012    17 recensioni
Sono trascorsi quasi trent'anni da quando abbiamo incontrato per la prima volta Elena Gilbert e i fratelli Salvatore.
A Mystic Falls molte cose sono cambiate da allora; i ragazzi sono cresciuti, gli adulti invecchiati. Nuove generazioni di adolescenti portano il cognome delle famiglie fondatrici, eppure certi dettagli hanno concluso per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno destinati a ripetersi all'infinito ; in un modo o nell'altro la storia si ripete e Caroline Forbes di questo è al corrente, nel momento in cui decide di tornare a Mystic Falls:questa volta per restare.
***
“…Hai presente quando eravamo piccoli e io cercavo di farti cagare sotto, raccontandoti storie di cadaveri sanguinolenti e orripilanti mostri succhia-sangue?”
Jeffrey assunse un’espressione perplessa.
“Me lo ricordo fin troppo bene, direi…”
“Ricordi anche quando cercavo di convincerti che mio padre fosse un lupo mannaro?”
“Per via di quella storia, avevo incominciato ad andare nel panico ogni volta che rimanevo da solo in una stanza con lui…”
“…E se ti dicessi che non tutte le stronzate che dicevo da bambino fossero effettivamente delle balle?”
“Ti risponderei che bevi troppo.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Jeremy Gilbert, Matt Donovan, Nuovo personaggio, Tyler Lockwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'It calls me home.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questo capitolo è completamente interamente (e qualsiasi cosa finisca con -ente) dedicato alla mia Wendy. L’ho ultimato per lei, grazie a lei e per lei, quindi merita un ringraziamento speciale. Grazie per tutto quello che fai per me e grazie per esserci sempre e per incoraggiarmi in tutti i modi possibili. Ti voglio bene!






You're reaching out

And no one hears you cry

You're freaking out again

'Cause all your fears remind you

 

Desperate. David Archuleta

 

Trema ancora, anche se non è più notte. Anche se non fa più freddo.

Si guarda le mani non riuscendo a sollevare il capo, orrore e vergogna ad alterare il battito del suo cuore.

Ho ucciso.

Si guarda le mani, come se fossero macchiate di sangue. Quelle parole, ho ucciso, sonano a vuoto nella sua testa, simili a un disco rotto.

Le sente ripetere di continuo, lui stesso le dice, ma in casa pare che non gliene freghi niente a nessuno. Suo padre non gli parla, si limita a guardarlo per poi scuotere il capo. Sua madre gli sorride con quella dolcezza che, lo sa, non è mai stato in grado di sostenere. Ricki lo segue ovunque come un’ombra, soffocandolo con la sua presenza costante. Caroline nemmeno è conoscenza di tutto quello, ma forse è meglio così.

 

E poi c’è quello stupido filmato. Ci sono quelle immagini, quei suoni agghiaccianti, quegli occhi grigi – proprio come i suoi – che si tingono di giallo. Le urla di dolore di un omonimo che si è macchiato le mani del suo stesso errore. E adesso condivideranno un incubo.

 

Sgrana gli occhi, arretrando, per sfuggire alle immagini proiettate sullo schermo.

 

Assurdo. È semplicemente assurdo.

La sua stessa voce gli risuona nelle orecchie, forzandolo a ricordarne il difetto di pronuncia.

 

“Non , non può essere vero; n-non, non può, non esistono c-cose così.” 

 

Sfugge alla presa del padre; suo fratello gli appoggia una mano sulla spalla, ma lui rifiuta anche quella.

Balle, sono tutte balle. Stanno mentendo; tutti e due. Mentono da sempre, non sanno fare altro.

 

Nulla di tutto quello può essere vero; semplicemente non può. Arretra velocemente, intenzionato a raggiungere la sua stanza.

 

E poi la testa riprende a girargli. Il cuore accelera i battiti, il respiro si mozza.

 

Non sa se è arrabbiato, nervoso, o angosciato. Ma sa che ha paura. Una paura fottuta.

 

E il disco rotto ricomincia da capo, mentre le immagini e i lamenti tormentati che provengono dal computer gli ricordano ancora una volta il motivo di quell’orrore.

 

Il perché sarà costretto a sopportare tutto quello.

 

 

Ho ucciso

 

 

 

Another dream has come undone

You feel so small and lost like you're the only one

You wanna scream

because you're desperate.

 

Desperate. David Archuleta

Chapter 9.

Brave New World.

31 Agosto.

“Il mio corpo sta cambiando

Sono teso, arrabbiato, impaziente.

Impazzisco al punto da perdere conoscenza e dimenticarmi cosa dica o faccia.

Non sono più io da quando è morto Jimmy.

 Cosa mi sta succedendo?"

 

Dal diario di Mason Lockwood sr.

 

(Episodio 2x10. The sacrifice.)

 

“Stai bene?”

Le parole di Oliver lo riportarono improvvisamente alla realtà. Mase sbatté in fretta le palpebre e rivolse all’amico un’occhiata disorientata, prima di annuire.

“Sì.”

Si sistemò la tracolla sulla spalla, ignorando volutamente di ricambiare lo sguardo dell’amico. Tenne gli occhi bassi, l’espressione inquieta, mentre Oliver lo studiava con fare apprensivo.

Non incazzarti, non innervosirti, ignora le provocazioni, cerca di stare calmo.

Le sequele interminabili di raccomandazioni snocciolate da suo padre continuavano a vorticargli in testa, mentre camminava fianco a fianco con Oliver. Non gli riusciva facile prestare ascolto a quei consigli: la testa gli faceva male di continuo. La rabbia, il nervoso, la paura, erano stati d’animo che si alternavano con frequenza, pungolandogli il petto, quasi ci fosse qualcosa in lui sempre sul punto di scattare. Era teso, ansioso. La notte non dormiva, di giorno mangiava poco. Lo infastidiva tutto: gli sguardi apprensivi dei suoi familiari, le persone che lo sfioravano per sbaglio attraversando i corridoi, chiunque gli rivolgesse la parola. E più del resto, la cosa che gli arrecava maggior fastidio, era l’espressione preoccupata di due delle persone che più gli erano vicine, ma cui aveva promesso di non lasciarsi sfuggire nulla:Oliver e sua sorella Caroline.

Quel mattino, Mason aveva messo piede a scuola con la tensione già alle stelle. Il cuore gli vibrava nervoso in petto senza alcun motivo in particolare, le mani gli sudavano. Si aggrappò con forza alla bretella della tracolla, continuando a ignorare lo sguardo apprensivo di Oliver, fino a quando l’amico non si costrinse a guardare l’orologio.

“Che succede?” domandò a quel punto, mentre i due ragazzi si fermavano di fronte agli armadietti. Ricordando alla perfezione il disastro ottenuto cercando di aprire il proprio il giorno prima, Mase si astenne dal recuperare i suoi libri, limitandosi a sbuffare, infastidito.

“Non succede nulla, Oliver.” borbottò in tono di voce secco, lo sguardo a saettare nervoso in direzione del corridoio. “Andiamo in classe.” Cercò di troncare la discussione.

Oliver scosse il capo poco convinto. Mase aveva incominciato a tenere un comportamento insolito sin dal mattino successivo alla festa di Ricki, e le cose non erano cambiate dopo quasi una settimana. Era teso, irrequieto, si faceva vedere poco in giro. Oliver sapeva che probabilmente il tutto aveva a che fare l’incidente, ma nonostante la gravità dell’accaduto, qualcosa lo portava a pensare che ci fosse dell’altro. Ciò che era successo a lui avrebbe atterrito chiunque, ma a insospettire Oliver era il modo bizzarro e maldestro con cui cercava di tenersi alla larga da tutti. Non che Mase fosse mai stato una persona incline alla compagnia, ma, e si sorprese ad avvertire una lieve fitta di delusione a quel pensiero, le sue abitudini di rado valevano con lui. Mason e Oliver trascorrevano una buona parte delle loro giornate assieme e capitava di rado che il giovane Lockwood si impuntasse di voler stare solo,  quando era in compagnia dell’amico. Oliver aveva ormai imparato ad adattarsi ai suoi cambi d’umore repentini, sapeva quando scherzare, quando chiedere spiegazioni e quando invece conveniva che se ne stesse zitto. Ma da una settimana a quella parte, anche quel genere di dinamica sembrava essere andata a farsi benedire, assieme ai pochi sorrisi che di tanto in tanto sfuggivano al controllo di Mase. E a Oliver, quello, non stava bene; sapeva che c’era dell’altro e per quanto non gli piacesse insistere, aveva bisogno di saperne di più.

“Lo sai che mentire non ti esce troppo bene con me.”commentò infine in tono di voce pacato. Mase roteò gli occhi, appoggiandosi all’armadietto con una spalla.

“Mi lasci in pace?” ribatté infine, rivolgendogli un’occhiata esasperata. La sua mente radunò alcune delle raccomandazioni che il padre gli aveva fatto più spesso, nel corso di quella settimana, e le tenne ben strette a mente, man mano che il nervoso aumentava di intensità. Molte avevano a che fare con lui.

Non scherzare con Oliver. Non stuzzicatevi, non litigate nemmeno per gioco.

Sta’ calmo, non innervosirti.

 "Se non vuoi dirmi che cos'hai, fammi almeno capire se devo preoccuparmi oppure no." l’ostinazione di Oliver era una qualità che di rado veniva a galla , durante le regolari conversazioni tra di loro. Era una persona incredibilmente tranquilla, ma quando sentiva che fosse necessario sapere qualcosa riusciva a trovare il modo di insistere.

“La pianti di starmi addosso? Sai benissimo che cosa è successo.” sbottò il ragazzo, ignorando volutamente  il suo sguardo. “E sai anche che non ne posso parlare qui.” sottolineò a quel punto. Oliver sospirò: erano in pochi a sapere la verità sull’incidente di Tyler e Mase. In quello, il signor Lockwood era stato irremovibile: nessuno doveva sapeva che era stato Mason a provocarlo. Suo padre gli aveva spiegato che Mase avrebbe potuto passare dei guai seri, non essendo ancora patentato, e Tyler voleva accollarsi le responsabilità dell’accaduto. Tutto aveva senso; la tensione dei familiari di Mase, i sensi di colpa dell’amico, i silenzi, l’atteggiamento ancor più brusco del solito. Eppure,perché continuava a pensare che ci fosse dell’altro?

“Va bene, non parliamone più.” si limitò ad acconsentire infine, alzando le mani in cenno di resa. Si era accorto del nervosismo crescente dell’amico e non voleva esagerare nell’insistere. “Andiamo in classe.” Propose in tono di voce più pacato, dandogli una pacca sulla spalla. Quel tocco lo fece trasalire di scatto, quasi come se a compiere quel gesto, fosse stato uno sconosciuto.

“Devi stare calmo, però.” cercò di consigliargli Oliver, continuando ad osservarlo con aria dubbiosa. Mason inspirò con forza, come a voler cercare di mantenere la calma. Era teso a tal punto che Oliver quasi non si sentì agitato a sua volta, suggestionato dalle sue reazioni.

“Stanne fuori.” lo ammonì infine il giovane Lockwood, in tono di voce secco . L’amico aggrottò le sopracciglia, ulteriormente impensierito.

“È solo che vorrei sapere da che genere di questione dovrei…”

“Ti ho detto di lasciarmi in pace!”

L’esclamazione furente di Mase risuonò nel corridoio mescolata a un forte clangore metallico. Oliver si sentì spingere bruscamente  all’indietro , contro gli armadietti. Solo quando un’improvvisa fitta di dolore alla schiena lo investì, fu in grado di realizzare che era stato il suo migliore amico a spingerlo. Si tastò il punto dolente, sollevando sbigottito il capo per cercare Mason. Il secondo scarso in cui i loro sguardi si incrociarono, gli bastarono  per intuire che era spaventato almeno quanto lui.

Mason arretrò di un passo, fissandosi nervosamente le mani, quasi si sentisse scioccato lui stesso dal gesto che aveva appena compiuto.


“Scusami.”   Farfugliò, continuando a evitare il suo sguardo. Oliver inspirò con forza, sforzandosi di recuperare in fretta la calma.

“Non fa niente.” Mormorò in risposta, staccandosi lentamente dall’armadietto, un’aria circospetta a velare la sua espressione generalmente bonaria e serena.
“N-Non è vero.” Sbottò bruscamente l’amico, riconoscendo all’istante la nota di esitazione che aveva tradito le parole di Oliver. Rabbia e vergogna si contesero il suo volto, mentre arretrava ancora di qualche passo, deciso ad abbandonare quel corridoio il prima possibile. “Non è un cazzo vero!”
Qualcuno lo afferrò per il polso. Stava per ritrarsi bruscamente dalla sua presa, quando riconobbe nello sguardo apprensivo che gli venne rivolto, quello di sua sorella Caroline.
“Che cosa succede, qui?” domandò la ragazza, mentre Alexander la superava a passo svelto, lo sguardo furibondo puntato contro Mase.

“Sbaglio o hai appena spintonato mio fratello?” chiese in tono di voce secco, picchiettandogli  due dita contro la spalla. L’altro ragazzo lo allontanò bruscamente, per poi distogliere nervosamente lo sguardo.

“Non volevo.” Furono le uniche parole che fu in grado di pronunciare. Il nervosismo aveva ripreso ad albergargli dentro e si domandò che altro sarebbe successo se non fosse riuscito a gestirlo.

“Stavamo solo giocando.” gli venne in aiuto Oliver, raggiungendo il fratello. Xander gli rivolse un’occhiata incredula.

“Ti ha sbattuto contro l’armadietto, Ol, non prendermi in giro.  Ho visto benissimo.”

“Se ti sta dicendo che stavano giocando, sarà la verità, Xander.” Si intromise nel discorso Caroline, squadrando il migliore amico con espressione severa. “Oliver ha un cervello e l’età per saperlo usare a dovere, non vedo perché tuo fratello dovrebbe mentirti.”

“Tu stai sempre a difendere Mase, vero?” esordì a quel punto il ragazzo in tono di voce seccato. “Scommetto che se la situazione fosse invertita e fosse stato mio fratello a spintonare il tuo, a quest’ora gli avresti già fatto vedere i sorci verdi.”

“Stavano giocando, Xander!” ribadì ancora una volta Caroline, alzando spazientita il tono di voce., “Mase non gli farebbe mai del male di proposito, è il suo migliore amico!”

“Sì, ed è una pessima compagnia per lui, lasciamelo dire.” borbottò  a quel punto il ragazzo, mettendosi a braccia conserte.


“Questo non è vero…” Oliver si sentì in dovere di dissentire, prima di spostare lo sguardo in direzione di Mase; aggrottò le sopracciglia, perplesso, quando si è accorse che aveva preso ad allontanarsi.
“Mase!”  lo richiamò, intenzionato a seguirlo, ma la sua voce venne coperta da quella squillante e autoritaria di Caroline.

“Non parlarmi più.” Stava esclamando stizzita in quel momento, l’indice puntato contro il petto migliore amico. Girò i tacchi e si allontanò a passo svelto, inseguita dalle esclamazioni spazientite di Xander

“Oh, non incominciare adesso.” La riprese il ragazzo, roteando gli occhi prima di voltarsi un’ultima volta in direzione di Oliver.


“Ne riparliamo dopo.” lo ammonì infine, prima di incamminarsi di corsa a raggiungere Caroline. Oliver sospirò, scoccando una rapida occhiata all’orologio, prima di tornare a guardarsi attorno, massaggiandosi il punto in cui aveva battuto: Mase si era dileguato. Il turbamento che aveva provocato in lui quello spintone aveva fatto altrettanto nel momento stesso in cui aveva individuato la paura nel suo sguardo. Per un attimo gli era sembrato di individuare fra i suoi occhi il Mason bambino. Il ragazzino che trascorreva gran parte del suo tempo libero cercando di scovare i migliori nascondigli. Si nascondeva per paura di imbattersi in se stesso. Lo sguardo che gli aveva rivolto poco prima era lo stesso che aveva sorpreso nei suoi occhi in quei momenti quando qualcuno lo aveva costretto ad uscire allo scoperto.

“Che ti sta succedendo, amico?” mormorò fra sé e sé, prima di sospirare un’ultima volta, puntando a malincuore in direzione dell’aula di chimica.

***

“Hai scoperto qualcosa?”

Domandò un insonnolito Ricki, non appena il padre fece ingresso in camera sua. Tyler riservò un’occhiata critica al mucchio di vestiti disseminati per il pavimento e alla valigia ancora semivuota in un angolo. Ricki intercettò il suo sguardo e sbadigliò in risposta, passandosi pigramente una mano sul volto.
“Dai, che adesso metto a posto. Che ti ha detto la nonna?” domandò infine, mentre il padre prendeva posto di fianco a Ricki, sul letto sfatto.  Quel mattino presto, Tyler era passato a fare visita alla madre, portandosi appresso la rotellina che aveva consegnato loro Vicki qualche giorno prima. Carol Lockwood l’aveva esaminata con espressione atterrita, gli occhi improvvisamente lucidi di lacrime: aveva raccontato a Tyler a che cosa servisse quell’ingranaggio. Gli aveva raccontato del dispositivo che ormai parecchi anni prima era stato messo in funzione da John Gilbert, causando la morte non solo di diversi vampiri, ma anche di suo marito Richard. Dopo la spiegazione di Carol, Tyler aveva incominciato a far coincidere i vari tasselli che fino a quel momento avevano sfilato scomposti nella sua testa. Sospirò, prima di tornare a rivolgersi al figlio maggiore.
“Quella rotellina che ha trovato Vicki è una sorta di chiave.” spiegò infine, intrecciando le dita e appoggiando gli avambracci sulle ginocchia. “Se inserita nel dispositivo che Fell ci ha rubato quella sera, gli ingranaggi produrranno un suono inudibile dagli esseri umani, ma in grado di mettere fuori combattimento qualsiasi tipo di creatura entro un determinato raggio d’azione. Tuo nonno, Richard, reagì al dispositivo, una notte di trenta anni fa, e venne scambiato per un…”
Si interruppe, rivolgendo al figlio un’occhiata nervosa. Richard Junior ricambiò lo sguardo con espressione incuriosita.
“..Per un?” lo istigò a proseguire. Tyler scosse il capo con fare brusco e ignorò la sua domanda.
“Il dispositivo è in grado di intaccare anche le persone che non hanno mai scatenato la maledizione. Per questo tu e Mason…” e qui, lo sguardo dell’uomo si indurì appena, cerchiato da una velatura di rabbia “…vi siete sentiti male, quel giorno. Sarebbe successo anche a tua sorella se fosse stata qui a Mystic Falls, ma fortunatamente, era al lago con Xander…”
“Aspetta, papà,rallenta.” lo interruppe improvvisamente il figlio a quel punto. “E riavvolgi il nastro, per favore. Sbaglio o prima hai detto ‘qualsiasi tipo di creatura’? Intendevi dire che oltre a noi ci sono altre persone che giocano a fare il ‘dottor Jeckyll e Mr Hyde’?”
Ancora una volta, Tyler si trovò a freddare il figlio con aria severa, prima di sbuffare.
“Lascia perdere; dimenticati quello che ho detto.” Borbottò infine, sollevandosi dal letto. Ricki accennò un sorrisetto.
“Che poi sono le parole che uno non dovrebbe mai dire per evitare che la curiosità salga…” spiegò allegramente, per poi stiracchiarsi in maniera vistosa.
“Dimmi la verità, papà…”esordì infine, recuperando una pallina di spugna appoggiata a un angolo del letto e incominciando a passarsela da mano a mano. “Caroline Forbes è una di queste ‘altre creature’ di cui parli, vero?”
Tyler,che era ormai in procinto di abbandonare la stanza, si fermò sull’uscio,visibilmente irrigidito.
“Che cosa te lo fa pensare? domandò infine in tono di voce asciutto, voltandosi ad osservare il figlio. Ricki fece mente locale per un attimo, continuando a giocherellare con la palla di spugna.
“Ti fidi troppo di lei…Non può essere un’adolescente qualunque.”  Spiegò sotto lo sguardo guardingo del padre. Tyler aggottò appena le sopracciglia, i lineamenti contratti per via del nervosismo.

“E pensare che credevo fosse Mase l’unico dei tre ad avere un po’ di cervello. Anche se lo usa solo quando ha il naso sui libri…” aggiunse con un ghigno, prima che il suo sguardo si incupisse leggermente, al pensiero del figlio più piccolo. “Caroline Forbes, aspetto fisico a parte, ha superato ormai da diversi anni la soglia dell’adolescenza.” rivelò infine, tornando a dare le spalle alla porta, per poi mettersi a braccia conserte. “Abbiamo la stessa età.” Concluse infine, scrutando cauto il volto del figlio, in attesa della sua reazione. Ricki  sgranò gli occhi, perplesso, lasciando cadere a terra la palla di spugna. La recuperò poco dopo, trascinandola pinzandola con la punta del piede,per farla slittare verso l’alto.
“Ah…” borbottò semplicemente, cercando di palleggiare con la testa. “Forse dovremmo dirlo a Mase…” farfugliò a quel punto fra sé e sé, assumendo un cipiglio pensieroso. Lo sguardo di Tyler colse a scontrarsi con il suo. “Che intendi dire?” domandò, squadrandolo insospettito. Ricki ignorò volutamente la sua domanda. “Che cos’è, un vampiro?” buttò lì invece con fare sarcastico, abbozzando un sorrisetto divertito. L’occhiata seria che gli indirizzò Tyler, lo spinse a sgranare gli occhi una seconda volta.
“Stai scherzando, vero?” quasi non urlò, pestando involontariamente la pallina di spugna. Rischiò di scivolare e si aggrappò al letto, per poi calciare via il pallone. “Non mi stai prendendo in giro, vero?” domandò esitante  a quel punto, osservando l’oggetto andare a infilarsi proprio dentro la valigia. Fece una smorfia per poi tornare a sedere sul letto.  “E che altro creature esisterebbero, i fantasmi?” sbottò infine, strofinandosi il capo con fare innervosito. “Gli zombie?  O magari gli umpa lumpa? La mamma è la donna invisibile dei Fantastici 4? Eh,questo sarebbe figo.”  Concluse infine, esordendo poi in un fischio compiaciuto. Il padre sbuffò, rivolgendogli un’occhiata infastidita.
“Piantala di dire cazzate, e fatti gli affari tuoi.” Sbottò a quel punto, per poi spostare la sua attenzione alla pila di vestiti ammucchiata al bordo del suo letto. “Pensa a preparare la valigia, piuttosto.  Parti dopodomani e non hai ancora preparato nulla.”

L’espressione di Ricki si fece d’un tratto titubante, quasi le parole del padre l’avessero messo a disagio.
“Peccato però che tu non sia qui per la cerimonia di Miss Mystic Falls.” Proseguì Tyler, prima di esordire in un ghigno. “Vicki ci è stata di grande aiuto l’altro giorno, con quella rotellina. Le dobbiamo qualcosa: avresti potuto farle da cavaliere per sdebitarci.”
Ricki si strofinò ancora una volta i capelli con vigore, gesto tipico di quando era nervoso. Infine si rivolse al padre con espressione determinata.

“Io non parto, papà.” Dichiarò deciso, guardando poi distrattamente la valigia vuota.  Lo sguardo di Tyler si fece improvvisamente più irritato.. “Ho già scritto un’e-mail a scuola, ho spiegato di avere una specie di … ‘emergenza in famiglia’. In fondo non ho proprio mentito, oh. E comunque…mi hanno abbuonato un po’ di tempo. Vedrò se partire più in là o se…”
“No, tu non vedrai un bel niente. Parti adesso senza discutere, sono stato chiaro?”
Lo sbraitare secco e improvviso del padre, infuse ancora più determinazione nello sguardo del suo primogenito, che scosse il capo deciso.
“Voglio stare vicino a Mase.”  Dichiarò risoluto. “Ha bisogno di me in questo momento.

“A tuo fratello ci penso io.” ribatté secco il padre, fulminando Ricki con lo sguardo. “Sono io suo padre, stargli vicino è un mio compito. Il tuo di compito, invece, è quello di tornartene a scuola e studiare…”

“Ma la prima luna piena sarà proprio sabato!” lo interruppe il figlio, alzandosi in piedi di scatto. “ Non me ne vado quel giorno, col cavolo che lo lascio solo: voglio esserci anch’io con lui.” azzardò infine, abbassando appena il tono di voce. Tyler serrò la mascella, stringendo le mani a pugno. Respirò profondamente, come a voler mantenere la calma, prima di rivolgersi nuovamente al figlio.

“Non ti permettere, Richard…” dichiarò in tono di voce  basso, ma minaccioso, le iridi cerchiate di collera.

“Voglio venire con voi, papà.”  ribatté ancora una volta Ricki con determinazione. Esitò comunque, prima di aggiungere: “Voglio aspettare la luna con voi.”*

Tyler si limitò a squadrare il figlio con espressione furente: erano parole che aveva già sentito, quelle. Erano frasi che gli erano già state rivolte in passato quando Richard era ancor solo un ragazzino. Un ometto vispo e curioso che aveva incominciato a domandarsi dove si recasse il padre una volta al mese quando il cielo incominciava ad annerirsi.


“Azzardati a seguirci e giuro che te ne farò pentire.” dichiarò infine asciutto, prima di voltarsi, per raggiungere la porta. Ricki sbuffò,  affrettandosi a seguire l’uomo, deciso a fargli comprendere il suo punto di vista.

 “Ma lui è mio fratello!”

“E tu sei mio figlio!ringhiò di rimando Tyler, voltandosi bruscamente ancora una volta. Non verrai con noi, Ricki. A costo di doverti rinchiudere in casa io stesso. Ma preferirei non farlo…” sbottò infine, incrinando lievemente il tono di voce. E qui la collera nel suo sguardo venne sfumata da un barlume di risentimento.“… perché ho già un figlio che sarò costretto a vedere in quelle condizioni, quella sera. ” concluse secco. Ricki prese a mordicchiarsi il labbro, la sua determinazione improvvisamente minata dai sensi di colpa.

“Papà…” incominciò, grattandosi il capo con nervosismo, mentre Tyler tornava a dargli le spalle.
Eddai, papà!” provò a richiamarlo  ancora, raggiungendolo; non servì a nulla. Suo padre  se ne era già andato sbattendo  la porta.

 


***

 

La biblioteca della scuola era per la maggior parte gremita di studenti del primo anno più occupati a ridacchiare di fronte agli schermi del pc che non a darsi da fare per i compiti ancora sfatti dell’ora dopo; Xander strizzò l’occhio a uno dei ragazzini e raggiunse il lato opposto della biblioteca; individuò all’istante Caroline, seduta a uno degli ultimi tavoli: era tutta presa a mordicchiare l’estremità di una matita, lo sguardo concentrato su un plico di fogli.

“Siamo ancora arrabbiati?” esordì il ragazzo in un sussurro, avvicinandosi di soppiatto alle sue spalle. Caroline sobbalzò, lasciando andare la matita per la sorpresa. Rivolse un’occhiata furente al migliore amico, che prese a ridacchiare compiaciuto per via della sua reazione.

“Cretino…” commentò a mezza voce, prima di scuotere il capo con fare sdegnato. “Non lo so…” proseguì infine a bassa voce, continuando a scrutarlo con aria truce. “Tu pensi ancora che mio fratello sia una brutta compagnia per Oliver?”

Xander calcolò le sue parole con fare indeciso.

“è solo che ogni tanto tuo fratello è un tantino…” Si interruppe bruscamente, incrociando l’occhiata furente scoccatagli dalla ragazza.
“…Un ragazzino adorabile e a modo.” Si corresse, accennando un sorrisetto a mo di scusa. Caroline roteò gli occhi, sbuffando sonoramente, prima di tornare ai suoi compiti.

“E comunque…” Xander proseguì quasi distrattamente prendendo posto di fianco a Caroline.

“… I nomi delle ragazze selezionate per il titolo di Reginetta di Mystic Falls sono stati appesi alla bacheca.”

“Oh! Vicki ce l’ha fatta?”

domandò la ragazza, continuando a scorrere il suo saggio con  lo sguardo. Xander frappose la sua testa fra il libro e l’amica.

 Siiii… E non solo lei.”.  ammise, picchiettando con insistenza il dito sulla fronte di Caroline. “Congratulazioni, signorina Lockwood.”

Caroline premette una mano sulla fronte del ragazzo per allontanarlo e tornò a fissare il suo libro.

“La smetti di sparare fesserie? Per favore, Xander, sto cercando di finire questo benedetto saggio; non ne posso più di medioevo, streghe e di usanze per scacciare il malocchio.”

Xander roteò gli occhi e si infilò una mano in tasca per recuperare una delle sue barrette di cioccolato.

“E lo sai che non si mangia qui.” gli ricordò a quel punto Caroline, requisendogli il bottino.

“Uhm ricordi la scommessa con tuo fratello fatta quest’estate?” domandò il ragazzo allungando le braccia in direzione del cioccolato, coprendo i fogli di Caroline; nuovamente, la ragazza fu costretta a spingerlo via, ma questa volta non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito.

“Quale scommessa?” domandò in tono di voce un po’ troppo alto, guadagnandosi così un’occhiataccia da parte della bibliotecaria. Improvvisamente, il suo sguardo si fece allarmato.

“Oh, cavoli, quella scommessa!”

Ricordava nitidamente la discussione avuta con suo fratello Ricki solo qualche mese prima. Secondo lui, né Caroline, né Xander, sarebbero mai stati in grado di batterlo a calcio. Era un’osservazione abbastanza logica, poiché Ricki giocava come attaccante praticamente da sempre. Ma Caroline era testarda e alle sfide rispondeva sempre con “accetto”, senza nemmeno valutare a fondo di che cosa si stesse parlando. Per questo, quel pomeriggio si era ritrovata a scorrazzare per il giardino dei Lockwood in compagnia di Xander, cercando di far andare in rete la palla ai danni di Ricki: non ci era riuscita.

“Se vincevi tu, Ricki avrebbe dovuto accompagnare Vic alla cerimonia.” le ricordò un divertito Xander con aria canzonatoria, sorridendo all’espressione preoccupata affiorata sul volto dell’amica. “Ma se vinceva lui…”

“..Mi sarei dovuta iscrivere. Dannazione, che fratello odioso che ho!”

Caroline e i suoi fratelli avevano sempre detestato le varie ricorrenze legate al loro status di ‘rampolli Lockwood’ e ci giocavano spesso sopra, sfidandosi ad accettare scommesse strambe, a creare un po’ di confusione o a inventare una scusa sufficientemente buona per poter scampare alle molteplici cerimonie. Si era completamente scordata che quell’estate, un sogghignante Ricki l’aveva tenuta d’occhio mentre  lei compilava il modulo d’iscrizione a “Miss Mystic Falls”.

E adesso eccola lì; aveva passato le selezioni –il suo cognome doveva essere bastato per riservarle un posto nella lista- e se non avesse ritirato la candidatura,l’avrebbero attesa due settimane di incontri e lezioni di danza che non le destavano il minimo interesse.

“Ma è fuori discussione.” annunciò a quel punto mettendo il broncio, mentre Xander la osservava divertito, la barretta di cioccolato nuovamente tra le mani: aveva approfittato del momento di distrazione dell’amica per riappropriarsene. “Appena finisco questo benedetto saggio vado a ritirare la mia candidatura; con ogni probabilità, Ricki si sarà già dimenticato della cosa, non vedo perché dovrei farmi del male psicologico da sola”.

Mpfh…” Xander mugugnò qualcosa di incomprensibile sgranocchiando la sua barretta. “..Smidollata.” aggiunse, in seguito allo sguardo interrogativo di Caroline. “Hai paura che Vicki ti batta?” chiese infine.

“Non ho paura che tua cugina mi batta.” commentò seccamente la ragazza. “Non ho il minimo interesse nel partecipare a un concorso simile. Sarà una noia tremenda!”

“Tua nonna non sarà delusa nel vedere il tuo nome per poi scoprire che ti ritiri?” domandò il ragazzo prendendo a spulciare il saggio di Caroline, girando pagine a casaccio. Analizzò con interesse un paragrafo dedicato a un parallelismo con la storia locale di Mystic Falls e il suo sguardo si fece d’un tratto più interessato. Caroline sbuffò.

“Non dovresti stare dalla mia parte? Odi quel genere di iniziative tanto quanto me.”

Alexander diede una scrollata di spalle; prelevò uno dei fogli dal plico e continuò a leggere.

“Mi piacerebbe vederti ballare con uno di quei vestiti…” buttò lì in tono di voce atono, all’apparenza completamente concentrato dal tema di Caroline. La ragazza gli rivolse un’occhiata stupita.

“Stai scherzando, vero?”

 Xander annuì, pur non prestando seriamente attenzione alle parole della ragazza; era completamente assorto nella lettura.

“Caroline me lo presti questo saggio una volta finito?” domandò, voltandosi in direzione dell’amica, salvo poi bloccarsi nel notare la sua espressione contrariata. Sospirò e fece mentalmente un passo indietro.

“Ti faccio io da cavaliere.” si offrì tranquillamente,  incominciando a passarsi la barretta di cioccolato da una mano all’altra. Caroline lo squadrò con aria ancor più stupita. Il suo sguardo passò in rassegna la cresta corvina del ragazzo, la T-shirt spiegazzata e il polsino nero che gli fasciava il gomito e scoppiò a ridere di gusto. Questa volta fu Xander a rivolgerle un’occhiataccia.

“Grazie per la sincerità.” borbottò con aria imbronciata, tornando a concentrarsi sul saggio di Caroline.

La ragazza lo osservò con un pizzico di tenerezza inciso nello sguardo; fece uno sforzo incredibile per trattenersi dall’infilargli una mano tra i capelli per scompigliarglieli e ad un tratto arrossì, come se quel gesto che ormai era diventato un’abitudine per lei, le sembrasse d’un tratto inopportuno.

“Sul serio lo faresti?” domandò, appoggiando il capo sul pugno ed osservandolo leggere; Xander diede l’ennesima scrollata di spalle.

“Oliver ed io dovremmo comunque andarci a quell’evento, dunque tanto vale.” spiegò, voltando pagina e sollevando il foglio appena letto per mostrarlo a Caroline.

“Allora me lo presti, una volta finito?” domandò ancora, sventolandole il foglio sotto il naso.

Caroline sorrise sfilandogli la pagina di mano e riponendola assieme alle altre.

“Grazie.” gli sussurrò in un orecchio dopo essersi alzata, prima di scoccargli un bacio sulle guancia.

 Il ragazzo annuì appena, colto alla sprovvista da quel gesto.

“Figurati.” Commentò, scoccandole una rapida occhiata dubbiosa, prima di tornare a leggere.

“Ma adesso levati di torno e lasciami studiare.” concluse  Caroline a quel punto, tirando la sedia dell’amico verso di sé e afferrandolo per il braccio.

 “Non posso concentrarmi con te che sgranocchi cioccolata a tutto andare. E poi sei un rompipalle….”

“Non sono un rompipalle. Posso prendere in prestito il tuo…”

“Sì! Porca miseria, sì! E questo non è essere un rompipalle?” Ma Caroline non ricevette mai risposta da Xander: la bibliotecaria li indicò entrambi con aria furibonda e il ragazzo sollevò entrambe le mani in cenno di resa, ridacchiando, prima di sollevarsi dalla sedia per abbandonare la biblioteca.

Inseguendo con lo sguardo la cresta scompigliata del ragazzo sempre più lontana, Caroline nemmeno si accorse del sorriso che aveva preso a increspare gli angoli delle sue labbra.

***


Quel pomeriggio, Mase era rincasato da scuola prima del solito. Non era sua abitudine saltare le lezioni – detestava che gli venisse fatto notare, ma studiare era una delle poche cose che riusciva a metterlo a suo agio – ma quel giorno provava fastidio verso tutto. Perfino la sua stanza, il rifugio quotidiano dagli sguardi insistenti della gente e dai discorsi troppo lunghi, gli pareva fonte di fastidio, quel pomeriggio. Stare chiuso in camera gli faceva mancare l’aria, gli dava sui nervi, come se già avvertisse le catene ai polsi e alle caviglie. Per questo, non appena arrivato a casa, si era sistemato sul muretto che delimitava il giardino sul retro. Il silenzio e la solitudine l’avevano aiutato a smontare il nervosismo che aveva accumulato quel mattino. Quando Caroline Forbes raggiunse a sua volta il retro della casa, dietro indicazioni di Lydia, lo trovò intento a sonnecchiare, stravaccato a filo del muretto. Aveva le mani in tasca e gli occhi chiusi, una gamba piegata e l’altra a penzoloni, il tallone a colpire ritmicamente il blocco di mattoni. La vampira sorrise, attraversando poi il resto del giardino per avvicinarsi al ragazzo. Avvertendo il rumore dei suoi passi, Mase aprì gli occhi e scattò a sedere.
“Che ci fai tu qui?” sbottò infine, riconoscendo la persona che aveva appena appoggiato la schiena sul muretto. Caroline estese il suo sorriso, osservandolo balzare giù dal muretto; sembrava stesse facendo il possibile per prendere le distanze da lei.

“Ciao anche a te!” lo rimbeccò allegramente, ignorando l’occhiata storta del ragazzo e il cipiglio imbronciato di chi si sente improvvisamente violato della propria privacy. “Tua madre mi ha detto che ti avrei trovato qui.”

“Non hai risposto alla mia domanda.” ribatté secco il ragazzo, squadrandola diffidente. Avrebbe voluto essere meno ostile, ma non credeva di esserne in grado; la litigata avuta con Oliver a scuola quel mattino era ancora troppo fresca. Non voleva che si ripetesse qualcosa di simile con quella ragazza. E poi avrebbe preferito starsene un po’ per conto suo, tanto per cambiare. Caroline sospirò, rivolgendogli un’occhiata rassegnata.
“Voglio portarti in un posto.” asserì infine, tirando fuori dalla tasca le chiavi della macchina e sventolandogliele sotto il naso. “Tranquillo, ho il permesso dei tuoi genitori.”
Mason le indirizzò un’occhiata storta, prima di tornare a prendere posto sul muretto.
“Non posso uscire.” Dichiarò asciutto, mettendosi a braccia conserte. Caroline inarcò un sopracciglio.

“Ti ho detto che ho il permesso dei tuoi.”

 “Beh, allora non voglio uscire.” Si corresse il ragazzo dando una scrollata di spalle.

“Mi spiace, non accetterò un no come risposta.” ribatté decisa la vampira, prima di concedersi un sorrisetto di sfida. “Vuoi che metta all’opera le mie doti in auto-difesa?”  lo prese in giro infine. Mase la guardò storto, arrossendo lievemente.
“Non posso uscire, ho un problema.” ribatté infine, scuotendo il capo, scocciato. Ma che diavolo voleva quella sclerata da lui? La conosceva a stento. E poi era strana. Alle volte, quando gli parlava, lo faceva come se volesse far intendere che si trovava un gradino avanti a lui. Quasi come se si conoscessero da tempo. In quel momento, l’espressione di Caroline si addolcì leggermente.
“Lo so.” ammise infine la ragazza, tornando ad appoggiarsi al muretto. “Conosco il tuo problema, Mason.”
Istintivamente il ragazzo si irrigidì, i nervi improvvisamente tesi, i sensi allertati. Nel notare la sua reazione, Caroline si affrettò ad aggiungere altro. “Mi riferivo alla tua scontrosaggine cronica, non stavo parlando di quel…problema. Anche se sì, so che cosa dovrete affrontare tu e tuo padre con l’arrivo della prossima luna piena.” Si corresse, accorgendosi di aver osato troppo, nell’incrociare lo sguardo del ragazzo; aveva gli occhi sbarrati, come se fosse appena stato scovato in un luogo che credeva sicuro. Sembrava spaventato.
“C-chi te ne ha parlato?” balbettò a denti stretti, chiudendo le mani a pugno. Caroline scosse rapidamente il capo, per poi lasciarsi sfuggire un sospiro.
“Ne parleremo a tempo debito….” Si limitò a commentare infine, scendendo dal muretto e spostandosi in direzione del viottolo per raggiungere la macchina. “…O magari più tardi, se vieni con me.” Concluse, raggiungendo la macchina. Mason la seguì, imprecando a denti stretti, per nulla soddisfatto della sua risposta.
“Questo è un ricatto.” Sbottò infine, con rabbia. Appoggiò la mano alla portiera dell’auto, per impedirle di entrare. “Dirmi la verità non è un favore che mi fai, è un mio diritto.”
A stento, Caroline si trattenne dall’esordire in un sorrisetto divertito. Ogni tanto, quando le parlava, le ricordava di tutto fuorché un ragazzino di quindici anni. Per un attimo si trovò a domandarsi quanto tempo trascorresse chiuso in camera sua a divorare libri.
 “E poi sono grande abbastanza per poter decidere da me come impiegare il mio tempo.” Proseguì il giovane, tornando a incrociare le braccia sul petto. Caroline sostenne il suo sguardo con decisione, per poi scuotere incredula il capo.
“Ah sì?” Fu il suo commento sarcastico a sopracciglio inarcato. “Se sei davvero grande come dici…” incominciò a quel punto facendo il giro dell’auto. “…Non nasconderti più.” Concluse infine, aprendo la portiera della macchina e facendogli cenno di entrare con il capo. Mason aggrottò le sopracciglia. Le parole di Caroline lo fecero irrigidire, come se fosse stato punto sul vivo. Le sue movenze gli ricordarono quelle di una mamma spazientita, e la cosa, per qualche strano motivo, lo fece imbestialire ulteriormente. Sbuffò, ma acconsentì comunque a salire in macchina, sbattendo la portiera con un po’ troppa violenza.
“Se al mio ritorno a casa vengo a scoprire che i miei non ne sapevano nulla, ti denuncio.”

Borbottò infine, allacciandosi la cintura di sicurezza. Si strinse il più possibile allo schienale, per nulla a suo agio. Nonostante fosse passata una settimana dall’incidente, nessuno era ancora riuscito a fargli mettere piede in auto, prima di quel pomeriggio. In silenzio trovò a domandarsi perché diavolo avesse acconsentito. Caroline rise, scuotendo il capo, prima di mettere in moto. La attendevano un minimo di due ore di silenzi e borbottii sommessi, ma ci teneva a fare per lo meno un tentativo. In cuor suo sperava che ne sarebbe valsa la pena.



***

“Lei hai fatto cosa?”

Gregory Lester si lasciò ricadere le braccia sui fianchi con gesto spazientito, prima di tornare a squadrare con astio lo sceriffo. “Si rende conto dell’importanza di quel dispositivo? Lei ha rovinato tutto, agendo così.” Fell sbuffò, rigirandosi fra le mani la scatola di legno contenente il congegno.
“Pensavo che le decisioni di un determinato peso venissero prese assieme.” Proseguì l’insegnante di storia, visibilmente risentito. Fell aveva appena raccontato ai due colleghi l’episodio accaduto nel giardino dei Lockwood, ormai una settimana prima. Non appena aveva menzionato il fatto di aver azionato il congegno, Lester si era infuriato. Ancor più, se l’era presa nel momento in cui, un po’ a disagio, aveva spiegato ai colleghi di aver perso una parte fondamentale del congegno. Lester sbuffò, tornando a sedere. Si era aspettato che si sarebbero trovati tutti assieme prima di decidere cosa fare con il marchingegno. Leanne, d’altro canto, sembrava tranquillissima. Lester le indirizzò un’occhiata pensierosa e la donna ricambiò con un sorriso. Per un attimo si trovò a domandarsi se lei non fosse già al corrente della faccenda da tempo.
“Non ha poi molta importanza quello che è successo.” sbraitò infine lo sceriffo, appoggiando il congegno sul tavolino di fronte a lui. “Volevamo la prova che Lockwood senior fosse un lupo mannaro; ha perso il controllo della sua auto quando quest’affare è stato azionato. Era nel raggio di azione del dispositivo, di sicuro è tutto collegato.”
“Questo non significa nulla.” Ribatté prontamente l’altro. “Non abbiamo alcuna prova che il problema sia quello. E i poliziotti che erano in servizio quella sera non sembrano essere molto collaborativi. Roba strana visto che lei è lo sceriffo.” Commentò infine, accennando un sorrisetto sarcastico. Fell si inalberò.
“Sta per caso insinuando che non so fare il mio lavoro?” si lamentò, freddandolo con lo sguardo.
“Un uomo è morto in seguito a quell’incidente, Gregory.” Si introdusse nel discorso Leanne, con uno dei suoi tipici sorrisi incredibilmente fuori luogo. “Questa sì che è una prova. Possiamo aver perso l’ingranaggio principale per mettere in funzione il congegno, ma se non altro sappiamo con certezza che Tyler Lockwood ha scatenato la maledizione.”
“Certezza? Quale certezza?” obiettò ancora Lester, raccogliendo dal tavolino il plico di fogli che gli aveva prestato Leanne: una delle ricerche di Bill Forbes. “Ci stiamo basando sulle ricerche di un vecchio strambo….Senza offesa.” Aggiunse ammorbidendo appena il tono di voce, spostandosi a guardare Leanne. La figlia di Bill Forbes, tuttavia, si limitò a scuotere il capo per minimizzare. “E se questa maledizione…Se questi licantropi…non esistessero? Jonathan Gilbert non li ha mai menzionati in maniera diretta, nei suoi diari.” Esplicò infine, passandosi una mano sulla fronte, quasi a voler sfilare via la frustrazione manualmente. “Abbiamo bisogno di prove ulteriori.” Spiegò infine. Fell annuì.
“Ho pensato a qualcosa, in effetti.” Borbottò infine, tirando fuori dalla tasca un foglio di carta spiegazzato. Lo gettò sul tavolino e Lester lo afferrò per leggerlo, incuriosito. Era un volantino che elencava le ricorrenze organizzate per quel mese dal comitato per le feste di Mystic Falls.
“Miss Mystic Falls sarà questa domenica.” Spiegò infine lo sceriffo, puntando il dito a una delle date elencate. “La luna piena, invece, è sabato sera. Parlerò con il comitato delle feste. Posso convincerli ad anticiparla di un giorno. Lockwood non può mancare a una cerimonia simile. Ci saranno tutte le famiglie fondatrici; probabilmente concorrerà anche la figlia. Se non si farà vedere, sapremo il perché.”

“Sabato sera, però, si terrà l’asta per gli Scapoli di Mystic Falls.” Gli fece notare Leanne, indicando un punto sul volantino. Sollevò appena il capo a rivolgere un’occhiatina maliziosa a Lester. “Lei non partecipa, Gregory?” domandò. Lester distolse lo sguardo, improvvisamente a disagio. “Non credo, no.” Commentò asciutto, consapevole del fatto che la donna lo stesse ancora osservando.
“Quella la rinviamo al sabato successivo.” Asserì infine Fell, recuperando il foglio e alzandosi in piedi. “Farò una telefonata a Hazel Gilbert, è lei a gestire il compitato per le feste di Mystic Falls. Sono sicuro che riusciremo a far girare le cose nel modo giusto. Rimedieremo a quel piccolo erroretto di distrazione, Lester.” Aggiunse infine lo sceriffo, un po’ in impaccio, quasi a volersi scusare dei problemi causati. “E adesso scusatemi, ma devo proprio andare.” Concluse, recuperando il cappotto dall’attaccapanni e affrettandosi a lasciare la stanza. Lester continuò a rimuginare in silenzio, analizzando mentalmente le ultime parole che aveva scambiato con Fell. Venne distolto dai suoi pensieri, solo quando il sorriso quasi forzato di Leanne e il suo sguardo insistente non lo convinsero a voltarsi nuovamente nella sua direzione.
“Sarebbe un peccato, se non partecipasse a quell’asta.” Commentò in tono di voce affettato la donna, raccogliendo la sua borsa. “Io mi proporrei di sicuro.” Concluse, sorridendo con malizia di fronte alla sua espressione imbarazzata, prima di sparire oltre la porta.


***

 

"Puoi farmi del male?"
"No."
"Posso farne io a te?"
"No!"

da Casper (1995)

 

Oliver abbandonò il telefono sul comodino e si sistemò più comodamente sul letto, l’album da disegno fra le mani. Si passò distrattamente una mano fra i capelli, prima di allungarsi per pigiare il bottone della lampada sul comodino, in maniera da farsi luce. Infine, tornò ad analizzare il suo disegno. L’aveva realizzato qualche giorno prima della festa di Ricki e Jeff; era uno dei pochi fra quello tratteggiati nel corso dell’ultimo periodo, che non rappresentava Anna. Era il disegno di un aeroplano, uno dei suoi soggetti preferiti sin da quando era bambino; ma questo non era un vero e proprio aereo: era la riproduzione di un aeroplanino giocattolo: il suo primo aeroplano telecomandato.  Non aveva idea del perché quel pomeriggio di una settimana prima gli fosse venuto il pallino di disegnarlo. Ma quella sera, mentre i suoi pensieri vorticavano per conto loro  attraverso il tipico stato di quiete della sua mente, Oliver si sentì quasi sicuro di averne appreso il motivo. Volse lo sguardo verso  destra per analizzare una delle mensole sopra la scrivania: il soggetto del suo disegno, un modellino d’aeroplano per bambini, era appoggiato in bella mostra fra il mappamondo e una cartina incorniciata del Six Flags di Denver. Era il giocattolo che aveva segnato la sua amicizia con Mase, quello che otto anni prima era riuscito a strappargli per la prima volta più di qualche parola e un pomeriggio trascorso a ridere e a rincorrersi nel giardino dei Lockwood. Era stato grazie a quell’aeroplanino che erano diventati inseparabili; in quel periodo Mason aveva imparato a mettere da parte un po’ delle sue insicurezze per sforzarsi di seguirlo ovunque. Dalle corse in bicicletta ai maldestri tentativi di volo a bordo di un aeroplano giocattolo. Dove andava Oliver, Mase lo seguiva e se gli capitava di volersi nascondere, di fuggire o di correre ai ripari, in quel caso sarebbe stato Oliver a venire con lui. E malgrado crescendo certe cose fossero cambiate parecchio, per loro ma soprattutto per Mase, il loro modo di essere amici era rimasto quello di sempre. Mason sapeva di avere Oliver dalla sua, e Oliver non si curava dei suoi malumori continui, delle risposte brusche, degli accenni di aggressività dell’amico, perché di curarsene se ne faceva ben poco. Lui aveva Mase; in un modo strano e complicato, nella maniera contorta e imprecisa con cui le cose riuscivano a farsi strada nel cuore dell’amico, ma non c’erano dubbi per Oliver che le cose stessero così. Quel pensiero riuscì a strappargli un sorriso.

Tornò a posare lo sguardo sul blocco da disegno e voltò pagina. La sua mente incominciò a farsi ingombra di pensieri, mentre analizzava i lineamenti della giovane ritratta sul foglio. Ben presto i suoi occhi si trovarono a incontrarne un paio identico a quello disegnato sulla carta. Annabelle gli sorrise, prendendo posto ai piedi  del suo letto, un’espressione serena a distendere i tratti del suo volto.

“Ho delle buone notizie per te.” lo salutò, mentre il ragazzo tornava a voltare pagina, ascoltando incuriosito le sue parole.

“Buone notizie?” ripeté, alzandosi a sedere e portandosi le ginocchia al petto. “Di che tipo?”

Lo sguardo di Anna si perse a contemplare delle fotografie appoggiate sul comodino di Oliver. Si sollevò dal letto per raggiungerle, per poi soffermarsi su una cornice in particolare: raffigurava Oliver da bambino sulle spalle di suo papà. Portava in testa un berretto da aviatore e aveva le braccia distese come se stesse cercando di spiccare il volo, mentre il padre lo teneva saldamente per le gambe.  Il sorriso di Jeremy era talmente esteso e luminoso in quella foto, che ad Anna venne spontaneo sorridere a sua volta, diluendo l’espressione malinconica che era andata a costruirsi sul suo volto.

Penso che si siano spostati.” commentò infine voltando le spalle alle fotografie sul comodino e tornando ad osservare Oliver. “Non li sento più. Credo che si siano allontanati da Mystic Falls.”

Oliver aggrottò appena le sopracciglia, abbandonando il blocco da disegno sul copriletto.

 “Parli degli altri fantasmi?” domandò, abbracciandosi le ginocchia con fare pensieroso. Anna si mordicchiò il labbro, scuotendo poi il capo.

“Non sono fantasmi, Oliver.” Gli ricordò, tornando a prendere posto sul letto. Istintivamente, Oliver si fece da parte, per farle più spazio. “Ci sono altre creature di cui non sai nulla che hanno inciso molto sul passato della tua famiglia. Sono pericolose.” lo mise in guardia la ragazza, rivolgendogli un’occhiata insistente. “E sono reali.”

“Anche tu sei reale.” osservò con tranquillità il ragazzo, passando in rassegna il suo volto con lo sguardo. Le parole di Oliver riuscirono a strapparle un sorriso.

“Sono più reali di quanto lo sia io.” spiegò. “Loro non vivono dall’altro lato. Non hanno bisogno di un contatto con gli umani per poterli raggiungere. Possono toccarvi; possono fare del male. Anche io ero come loro.” rivelò infine, appoggiando entrambe le mani sul copriletto. Oliver appoggiò i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo improvvisamente assorto, ancora una volta scivolato nel suo piccolo mondo personale.

“Tu puoi farmi del male?” domandò dopo poco, tornando a rivolgersi ad Anna. La ragazza scosse immediatamente il capo.

“No.”

“Posso farne io a te?”

“No.” ribadì ancora una volta la ragazza, abbozzando un sorriso. Oliver appoggiò l’album da disegno sul comodino e piegò le braccia all’indietro per stiracchiarsi.
“Bene.” ammise serenamente infine, ricambiando il sorriso, prima di apparire nuovamente incuriosito. “Quello che non riesco a capire, è… perché queste creature vogliono farci del male?” concluse.

Anna sospirò.

“Perché…” tentò di spiegare, scrutandolo con espressione malinconica. “La tua famiglia in passato faceva parte di qualcosa in cui è meglio che tu non ti immischi. Quelli come me ferivano gli esseri umani e voi Gilbert ci annientavate in risposta. È una cosa che va avanti da secoli.”
Dopo aver ascoltato le sue parole, Oliver aggrottò lievemente le sopracciglia, rivolgendole un’occhiata pensierosa.

“Non credo che tu ci avresti fatto mai del male.” Asserì infine. L’espressione di Anna si addolcì, ma venne velata da una leggera patina di tristezza.

“E invece ne ho fatto, in passato.”

“Forse non ne avevi scelta…” obiettò a quel punto il ragazzo, rivolgendole un’occhiata tentennante. A Anna fece quasi tenerezza.

“C’è sempre una scelta.” mormorò, prima di tornare a sorridergli.

“Ti ho fatto preoccupare per nulla.” Affermò infine,  “Come ti ho detto poco fa, penso che si stiano spostando. Forse non erano qui per la tua famiglia.” concluse, alzandosi in piedi. “Ma cercherò di tenere d’occhio la situazione ancora per un po’.”

 Oliver annuì, osservandola allontanarsi dal letto. Infine, nel suo sguardo, prese forma una vaga ombra di determinazione.

“Volevo chiederti un favore.” ammise infine.  In quel frangente lo sguardo passò a spostarsi quasi distrattamente verso l’aeroplano giocattolo sulla mensola. “Forse potresti aiutarmi..”


Anna gli rivolse un’occhiata incuriosita, tornando a voltarsi nella sua direzione.

“C’entra qualcosa il tuo amico?” domandò a quel punto, notando la punta di apprensione nel suo sguardo. Oliver si limitò ad annuire.

“Credo che gli stia succedendo qualcosa.” spiegò, evocando l’episodio verificatosi quella mattina. Non era arrabbiato, solo confuso; di rado riusciva a prendersela per gli atteggiamenti bruschi di Mase. Non sapeva arrabbiarsi con lui: non quando Mase era sempre il primo ad essere costantemente in guerra con se stesso. “Sono preoccupato per lui.”

Annabelle annuì.

“Non posso muovermi più di tanto a ridosso della vita di Mason.” spiegò, osservandolo assumere un’aria concentrata.  “Non sono legata a nessun membro della sua famiglia, ma posso provarci lo stesso.”  commentò.. Oliver la ringraziò con lo sguardo, sorridendo riconoscente.

 “Adesso però devo andare.” concluse infine Anna, accarezzandolo con lo sguardo a mo’ di saluto. Il ragazzo annuì.

“Anna?” la richiamò tuttavia ancora una volta, mentre la ragazza gli dava le spalle.

“Che cosa c’è, Oliver?”

“Quando sarai sicura che la mia famiglia non è in pericolo, te ne andrai?”

Quella domanda la colse alla sprovvista; Anna si volse nuovamente ad osservare il ragazzo. Oliver aveva le ginocchia strette al petto, la nuca appoggiata al muro e un’espressione interrogativa a modellare i lineamenti gentili del suo viso. Per un attimo, nel suo sguardo, individuò la stessa voglia di conoscere di Jeremy, il suo cipiglio pensieroso che l’aveva colpita la prima volta che si erano incontrati in biblioteca. Ancora una volta, la malinconia si fece strada sul suo volto, incrinando leggermente il suo sorriso.

“Sì.” ammise infine, ricambiando lo sguardo di Oliver. “Mi piacerebbe continuare a vederti, ma non è così che funzionano le cose. Non sarebbe giusto. Né per me, né per te…Né per tuo padre.” aggiunse infine; e Oliver riuscì a distinguere chiaramente una nota di tristezza nel modo in cui le si era rivolta. Sospirò, tornando a cingersi le ginocchia con le braccia.

 “Non lo troverei ingiusto.” commentò infine, allungandosi verso il comodino per spegnere la lampada. La figura di Annabelle scomparve ai suoi occhi, così come il resto, lasciando il posto al buio. “A me piacerebbe che tu restassi. Sei una buona amica.”


Le parole di Oliver riuscirono a farle accennare un lieve sorriso; rimase in silenzio per un po’, osservando le ombre della stanza suggerire che solo lei era in grado di vedere con il buio. Il suo sguardo si posò un’ultima volta sul ragazzo che si stava infilando sotto le coperte.

“Buonanotte, Anna.”

Oliver chiuse gli occhi e sistemò il capo sul cuscino, un’espressione rilassata a ingentilire il suo volto; in apparenza, non sembrava per nulla turbato dalla conversazione che avevano appena avuto. La tranquillità che emanava il suo volto, riuscì ad infonderle un po’ della serenità che aveva ormai perso da tempo.

“Buonanotte, Oliver.”

Catturò quell’immagine nella sua mente intenzionata a trattenerla con sé come se si trattasse di una foto; di un ritratto.

Infine, svanì.

Kat?”

Mm-hmm.”

“Posso tenerti con me?”

da Casper (1995)

 

 

 

 

----------------------------

Visto che sono scomparsa da tanto tempo lascio i link a:

Il gruppo facebook con foto, informazioni, spoiler, sondaggi e quant’altro a proposito di History Repeating.

La lista degli Spin Off legati alla storia.

Il
canale youtube con tutti i video dedicati a  HR e la playlist della colonna sonora. (Y)


Nota dell’autrice. – Anche sempre detto ‘Polpettone time’ -

… *si guarda attorno un po’ in imbarazzo* Buona sera .-. Sì, io e i pargoli siamo vivi .-. In imbarazzo per via di tutto il tempo passato, ma vivi. E speriamo vivamente che vi ricordiate un po’ ancora del crestino di Xander, dei disegni di Oliver, della follia di Vicki, del pallone di calcio di Ricki e via dicendo :3 Detto questo, se vi ricordate ancora di noi io vi ringrazio e vi abbraccio forte forte. Le vacanze mi avevano rubato tutta l’ispirazione e la voglia di scrivere. Sono dovuta tornare nel mio Galles per riuscire a rimettere in moto il cervellino, ma ora, dopo tutti questi mesi, eccomi di ritorno a stressarvi con la prima parte del capitolo nove :3 Vediamo  di riuscire a mettere in fila tutte le varie cosette che devo dirvi per comprendere al meglio questo primo pezzo di capitolo. Allora… Faccio la scaletta, va!
1. Mase è spropositatamente nervoso.  L’incipit del capitolo racconta bene o male la sua reazione alla scoperta di ciò che gli sta accadendo, nel momento in cui papi Tyler e Ricki gli mostrano il filmato di Mason Sr. Per quanto riguarda la scena con Oliver e il comportamento di Mase in generale…Sì, ho fatto perno più che altro sulla citazione del diario di Mason senior tratta dal telefilm per immaginare il modo in cui potrebbe reagire. Lui di per sé è una persona molto insicura e nervosa e ho immaginato che lo scatenarsi della maledizione potesse renderlo ancora più teso e pronto a scattare per un nonnulla. Il momento in cui spinge Oliver è stato molto sofferto, per me .-. Sia ben chiaro che Oliver è una delle poche persone a cui non torcerebbe mai un capello, ma quel momento era necessario per me per tre motivi. A, spiegare fino a che punto Mason sia instabile in questo momento. B, cogliere l’occasione per introdurre qualcosa che verrà riapprofondito più in là nel corso della storia, ovvero, il rapporto un po’ rugginoso che c’è tra Xander e Mase. Infine, C, mi serviva per approfondire il rapporto tra Mase e Oliver, qualcosa a cui ho voluto dare tanto spazio in questo capitolo e che tornerà in maniera assidua perché questi due li amo e perché Mase e Oliver hanno il mio cuore, ed ecco…Sì, adesso la smetto, giuro .-.
2. A proposito del rapporto Oliver/Mase… Trattando le loro parti ho cercando di mantenermi il più neutrale possibile, perché quando ho incominciato questo racconto la mia visione dei personaggi era un po’ diversa, ma credo che si intuisca facilmente che il loro rapporto sia un poco ambiguo sotto determinati punti di vista. Chi segue i miei deliri su HR anche al di fuori da efp sa che per me Oliver è ormai a tutti gli effetti bisessuale ed innamorato del suo migliore amico. Non ho ancora deciso se inserire tutto questo anche in HR, probabilmente no, soprattutto per via delle dinamiche relazionali tra i vari personaggi, ma vi posso dire che se ci volete vedere lo Slash, lo potete vedere tranquillamente *O* In ogni caso, la loro è un’amicizia molto forte. E ho cercato di lasciarlo intendere nella scena Annaver (Anna + Oliver).

3.  Nella scena Ricki/Tyler, ci sono delle frasi che per chi ha letto Waiting for the moon possono essere sembrate un déjà-vu, per questo ci ho messo (almeno credo di averlo messo) l’asterisco. Ricki rimarca le stesse parole che disse al padre da bambino, quando decise di andare ad ‘aspettare la luna’ assieme a lui. Non so, spontaneamente mi sono uscite fuori quelle parole, forse perché l’affermazione che fa (voglio venire con voi, papà) mi fa pensare a Waiting for the Moon. E ho pensato che fosse stato carino inserire un parallelismo. E quindi no, Ricki non partirà. È troppo testardo e tiene troppo al fratello per ascoltare il padre. Anche in questa scena spiccano alcune cose nella dinamica padre/figlio che approfondirò in futuro. Ma per ora non ci pensiamo :3 Jeffers invece tornerà a scuola, ma…C’è un ma. E lo vedremo più in là con la storia. Ma tranquilli, non mi sono dimenticata di lui. Piano piano ognuno avrà il suo spazio, in questo momento, però, la priorità è della famiglia Lockwood e potrete immaginare perché.

4. Nella prossima metà del capitolo scopriremo: dove stanno andando Mase e Caroline :3 Poi…Scopriremo chi altri parteciperà a Miss Mystic Falls oltre a Caroline. Autumn avrà a che fare con qualcos’altro di ‘strano’ e verrà introdotto un nuovo personaggio. Ok, in realtà verranno introdotti due personaggi, ma uno, se qualcuno di voi legge Pyramid, lo conoscerà già (che cosa vi suggerisce il nome ‘Tutankhamon’? <3) ah! E ci sarà Vicki <3 Forse anche Julian, devo vedere!


5. Il titolo del capitolo, come sempre, è tratto da un episodio di TVD. Se non erro, seconda stagione.
6. Il parallelismo tra Oliver/Anna e Casper era da secoli che attendevo di trovare il modo di introdurlo. Finalmente ce l’ho fatta.

Ok, adesso vado, come sempre ho sparlato troppo e come sempre mi starò dimenticando qualcosa. Non potete capire  quanto sto in ansia, mi sembra di essere tornata alla pubblicazione del primo capitolo. Spero vivamente che questo ritorno un po’ modesto vi piaccia, ci tengo tantissimo a sapere che cosa ne pensate, perché voglio tornare a prendermi cura di questi pargoletti e ho bisogno del vostro parere. Mi sono mancati troppo e mi siete mancati voi.

 

Un abbraccio grande dal Galles <3

 

Laura

 

 

   
 
Leggi le 17 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: Kary91