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Autore: MrsBlack4    02/10/2012    3 recensioni
E' una one-shot sui più intimi pensieri di Regulus Black. Si rivolge a suo fratello Sirius, aprendo finalmente il suo cuore. Potete vederla come una lettera mai spedita o un suo monologo interiore. A voi la scelta.
La storia ha partecipato al contest "Un'introspezione caduta nell'oblio - Contest per edite ed inedite" di Save_Me e si è classificata terza al contest R.A.B. "Le stelle brillano soltanto in notte oscura"
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Sai Sirius, sicuramente non ti piacerà, ma tu sei molto più Black di me.

Ricordo che da bambino guardavo sempre con ammirazione nostra madre, nostro padre e te. Eravate le persone più importanti della mia vita, rappresentavate tutto il mio mondo e io desideravo con tutto il cuore crescere e diventare come voi. Forte, orgoglioso e sicuro di me. Ma non lo sono mai stato.

Ero debole ed insicuro. Mi nascondevo dietro al nostro cognome, cercando protezione, convinto di ottenere quel rispetto e quel potere che non ero in grado di procurarmi da solo. Non volevo deludervi. Questa era la mia più grande paura.

Ben presto, sono stato costretto a scegliere fra loro e te. Tu mi hai costretto a farlo e ti ho odiato per questo. Ma quando, nel tuo sguardo, ho letto quella delusione che tanto temevo, ho odiato solo me stesso.

Ho scelto loro, è vero, ma non potevo scegliere diversamente. Non sono mai stato come te, non ero in grado di costruirmi una vita da solo, l’indipendenza mi spaventava e non conoscevo la libertà. Posso dire di averla conosciuta solo nel momento in cui ho deciso liberamente di sostituire quel maledetto medaglione.

Tu eri consapevole della tua identità, di essere Sirius Black. Odiavi il tuo cognome, ma riuscivi comunque a contrastarlo. Ma io sapevo solo di essere un Black e che questo comportava delle aspettative.

Ero il secondo genito, la seconda scelta. Ero l’erede solo perché tu li avevi abbandonati e inizialmente credevo che questo mi conferisse prestigio, autorità. Credevo che il tuo temperamento forte e fiero potesse trasferirsi in me. Ma mi sbagliavo di grosso, il carico di problemi e aspettative si era gonfiato in modo angosciante e io ero quello di sempre. Non ci misi molto a capire che non sarei stato in grado di essere all’altezza del mio nome, che oltre ad aver deluso te, avrei deluso anche i nostri genitori e che di certo non sarei mai riuscito a essere alla tua altezza.

Io volevo solo che mi dessero un’occasione, volevo che capissero che il fatto che tu te ne fossi andato non era una catastrofe perché io avrei saputo guidare la nostra famiglia egregiamente. Ma come potevo convincerli, se non ci credevo neanche io, se io ero il primo che si disperava per la tua fuga. Mi guardavano con espressioni incerte e lo sai bene, nei loro occhi troneggiava la fermezza. L’ombra di un dubbio non vi aveva mai fatto capolino e invece la tua fuga e la mia nuova posizione li turbava. Mi avevano sempre elogiato davanti a te e io mi beavo dietro quella maschera da figlio perfetto, ma lo facevano solo perché speravano che tu ti decidessi a fare come me: a compiacerli. Desideravano soffocare la tua ribellione, ma la tua determinazione, la tua sicurezza, le tue risposte secche e altezzose, il tuo orgoglio, il fatto che sostenessi i loro sguardi e che non abbassassi mai la testa, li rassicurava sul fatto che saresti stato l’unico capace di portare in alto il nome della nostra famiglia. Li avevi delusi, li avevi fatti infuriare, li avevi disgustat, ma ti assicuro che fino all’ultimo speravano che avresti cambiato idea, che non avresti voltato le spalle ai Black e quando te ne sei andato, loro hanno sofferto. Non lo hanno dimostrato in alcun modo ma il dolore era palpabile. E’ vero, prima c’era ira, rabbia e sdegno, ma il ricordo della tua fuga incombeva su Grimmauld Place n.12 come lo spettro di un lutto appena consumato.

La casa era silenziosa e sinistra senza le tue urla e quelle di nostra madre, i silenzi durante i pasti erano vuoti e non carichi di significato come prima. Non c’eri tu ad interromperli e duravano settimane. Credo che ogni singolo componente di quella casa, dai nostri genitori, a Kreacher, ai ritratti dei nostri antenati sentissero che mancava qualcosa senza i tuoi sguardi di odio e le tue parole cariche di rancore. E ovviamente, tutti loro, superato il momento di rabbia, si erano accorti che tutto sarebbe risultato assolutamente noioso visto che non potevano più lamentarsi di te e delle tue rispostacce.

Di te, mi restava soltanto un eco lontano, quello che avevi lasciato attaccato alle pareti della tua stanza e qualche frase spezzata dei nostri parenti che pronunciavano il tuo nome come quello di un ignobile traditore. Li avevi delusi tutti, ma io non li capivo, dovevano aspettarselo. Io sapevo che sarebbe successo, sapevo che mi avresti abbandonato per scappare da quel Potter con cui mi avevi rimpiazzato. Prima odiavo te e lui, ma adesso, odio ancora una volta solo me stesso per non essere stato in grado di essere il fratello che meritavi.

Devo confessarti che sono stato geloso di te anche quando sei scappato, perché se fossi stato io ad andarmene, dubito che l’avrebbero considerata una tragedia. Non gli avrebbero quasi dato peso, anzi, probabilmente avrebbero dato la colpa a te, perché avrebbero pensato che io non ero capace di un simile gesto e di nuovo, tu saresti stato investito di un’importanza che non volevi.

Io ero ossessionato dall’idea di compiacerli, mi nutrivo della loro approvazione come tu facevi della loro disapprovazione. Ma come dipendevo dalla loro opinione, dipendevo anche dalla tua. Quando te ne sei andato, non ti ho più rivolto la parola, è vero. Ma solo perché ero arrabbiato con te, mi avevi lasciato solo e io non ero in grado di colmare quel vuoto che avevi lasciato tu.

Io ero un figlio modello, forse il loro preferito, ma qualunque cosa facessi, la situazione non cambiava: eri tu quello importante.

  
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