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Autore: Emily Kingston    03/10/2012    2 recensioni
Mi chiamo Percy Jackson e sono un mezzosangue.
(...)
La sera del mio compleanno io e Annabeth ci siamo baciati, finalmente, e alla fine dell’estate sono tornato a New York da mia madre e Paul. E tutti vissero felici e contenti, insomma.
Invece no.
Credevo che le mie avventure da semidio fossero finite – o che comunque, mi stessero concedendo una pausa – e pensavo di essere solo un adolescente di Manhattan, figlio di un dio, con una ragazza semidivina, dislessico, con una sindrome di iperattività e disturbo dell’attenzione. Ma ho dimenticato di mettere in conto che sono un mago nell’attirare la sfortuna.

-
Sono passati alcuni mesi dalla sconfitta di Crono e, proprio quando tutti al campo pensavano di poter avere un po' di tregua, Grover si troverà in difficoltà ed un nuovo nemico inizierà a tramare nell'ombra, deciso a distruggere il Campo Mezzosangue. Tra imprese, nuove profezie, bizzarre divinità e strani sogni, riusciranno i nostri eroi a vincere la battaglia?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Grover Underwood, Percy Jackson, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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#6. Riceviamo un passaggio dal taxi degli dei

 
Argo ci lasciò davanti alla Grand Central Station e poi ripartì verso la Collina Mezzosangue.
La stazione era affollatissima e per poco non persi di vista Rachel e Nico.
“Allora, dove andiamo?” chiese Rachel, una volta dentro alla stazione.
La Grand Central Station è un edificio enorme, con i tabelloni con gli orari dei treni sempre in aggiornamento e le casse per comprare i biglietti sempre aperte.
Guardai Rachel.
“Io…io non lo so.”
Già, non avevo idea di dove fosse Grover. Per quel che ne sapevo poteva essere a Central Park come in Canada.
“Non possiamo andare alla cieca!” protestò Annabeth.
Aveva ragione, partire alla cieca sarebbe stato inutile.
“Non riesci a ricordare niente della foresta che hai visto nel sogno?” mi chiese Rachel.
Arricciai le labbra, cercando di concentrarmi sul sogno che avevo fatto su Grover qualche settimana prima.
“C’erano alberi alti e fitti, ma la foresta stava morendo a causa delle anime.”
“Ce n’è una a Nord,” disse. “Hanno chiamato mio padre qualche giorno fa per…be’, sai per cosa.”
Annuii. A Rachel non piaceva parlare del lavoro di suo padre, ma sia io che Annabeth sapevamo che si occupava di comprare terreni per costruirci sopra. E se c’era una foresta morente il cui territorio era sfruttabile per la costruzione di nuovi palazzi, il signor Dare lo sapeva sicuramente.
Mi avviai alla cassa per comprare i biglietti, quando Rachel mi afferrò per la manica del giubbotto.
“Andiamo in autobus,” disse. “Il treno non mi convince.”
“Cosa..?”
“Non lo so,” continuò. “Ma sento che c’è qualcosa che non va.”
“Va bene,” acconsentii, ritornando verso l’uscita. “Prendiamo l’autobus.”
Raggiungemmo la fermata dell’autobus più vicina in dieci minuti e prendemmo quattro biglietti che ci avrebbero portato a Portland, una città a nord di New York.
La strada era quasi deserta – fatto molto strano dato che ci trovavamo a New York – e non c’era nessuno ad aspettare l’autobus a parte noi.
La cosa m’insospettì parecchio ed anche Rachel sembrava piuttosto agitata.
Dopo diversi minuti di attesa, un autobus cigolante e incrostato di ruggine si fermò. Non c’era nessuno all’interno a parte l’autista e un paio di signore anziane sedute davanti.
Feci per alzarmi e salire, ma Rachel mi bloccò.
“Aspettiamo il prossimo,” ci disse.
La guardai. Stava fissando le due passeggere con gli occhi sgranati.
Il tizio al volante aspettò qualche minuto, poi ripartì.
“Cos’erano?” le chiesi, anche se credevo di sapere la risposta.
“Zombie.”
Nico si toccò un ciondolo di metallo che gli pendeva dal collo, mentre Annabeth mi guardò.
Rachel ci impedì di prendere anche i tre autobus seguenti e lentamente si fece tardo pomeriggio.
“Di questo passo non partiremo mai,” borbottò Annabeth, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e prendendosi il volto tra le mani con uno sbuffo.
“Se preferisci essere fatta fuori dagli zombie,” ribatté Rachel.
Annabeth la fulminò con lo sguardo, mentre Rachel si limitò a guardare dritto davanti a sé.
Nico sbuffò, incrociando le braccia al petto.
“Ehi, guardate!”
Io, Annabeth e Nico alzammo lo sguardo e guardammo il punto che Rachel stava indicando. Un taxi giallo emanava luce proprio davanti alla fermata dell’autobus.
Un tizio giovane, con i capelli castani e gli occhi chiari, si sporse dal finestrino con un sorriso.
“Vi serve un passaggio, ragazzi?” domandò, fischiettando.
Noi ci guardammo, interdetti.
“È uno zombie?” sussurrai all’orecchio di Rachel.
Lei scosse il capo.
“La foresta che cercate e su a nord,” disse il tassista, guardando Annabeth con una certa insistenza – non sapevo se essere infastidito o decisamente arrabbiato.
“Che ne sa lei di cosa stiamo cercando?” intervenne Nico bruscamente.
Il tassista gli fece l’occhiolino, picchettando le dita sul volante.
“Io so tutto quel che c’è da sapere,” rispose.
“E perché dovremmo fidarci?” continuò Nico.
Il tassista sospirò, recitando una poesia a bassa voce. C’era solo una persona che avrebbe potuto mettersi a fare rime in quel momento, ma era impossibile che si trattasse di lui. Va bene, forse era solo fortemente improbabile.
“Sono un tassista di New York che vi offre un passaggio, perché non dovreste fidarvi?” ribatté. “Senza contare che non potrei mai permettere a due ragazze così carine di andarsene in giro per l’America su un autobus.”
Va bene, era solo poco probabile.
“Lei è-”
Apollo mi fece cenno di stare zitto e poi mi strizzò l’occhio.
“Vedo che accettate il mio passaggio!” esclamò. “Molto bene!”
“Noi non abbiamo accettato proprio un bel-” provò a protestare Nico, ma io lo zittii.
“Invece accettiamo,” dissi, guardando mio cugino. “È…affidabile, fidatevi di me,” mi giustificai, precedendoli dentro al taxi.
Il dio Apollo mi aveva voluto bene, ma la dea della fortuna, chiunque fosse, doveva odiarmi in maniera particolare.
A Nico toccò il posto davanti, di conseguenza io, Annabeth e Rachel ci sedemmo sul sedile posteriore. Dipinta così la situazione non ha nulla di strano, solo tre semidei, una mortale e un dio che si fanno un giro su un taxi newyorkese. Il punto è che Nico aveva l’espressione più diffidente che gli avevo mai visto, Apollo continuava a sussurrare frasi in rima ed io ero seduto tra Annabeth e Rachel. In mezzo a loro, non so se rendo bene l’idea.
Insomma, quel viaggio in taxi fu un vero inferno.
Annabeth mi tenne per mano tutto il tempo e sarebbe stata anche una cosa piacevole, se Rachel non ci avesse fissato con lo stesso sguardo di qualcuno a cui è appena morto il cane.
“Sai, Percy,” mi disse, “mi piacerebbe tornare in quel posto dove andavate tu e tua madre quando eri piccolo.”
“Montauk?”
Rachel annuì.
Avevo portato Rachel a Montauk all’inizio di quell’estate, quando mi stavo esercitando a guidare con la macchina di Paul. In quel periodo pensavo che Rachel mi piacesse, perciò l’avevo portata lì.
Montauk era in assoluto uno dei posti che preferivo. Era il posto mio e di mamma, e anche di papà, ovviamente.
La volta che ci portai Rachel le cose non finirono poi troppo bene. Rifiutai il suo invito a St. Thomas, lei face delle strane allusioni su due ragazzi che si piacevano e su quanto ci avrebbe messo il ragazzo per baciare la ragazza e poi, quando Charlie Beckendorf atterrò sul cofano della Prius di Paul, mi dette un bacio.
Annabeth non è ovviamente a conoscenza di questa parte della storia.
“Magari possiamo tornarci tutti insieme,” proposi, voltandomi verso Annabeth. “Quando sarà tutto finito e avremo finalmente delle vite normali.”
Annabeth mi sorrise, stringendo lievemente la mia mano.
“Sai che non avremo mai delle vite normali,” mi fece notare.
“Invece è una bella idea,” ribatté Rachel. C’erano dei momenti in cui pensavo che si contraddicessero solo per il gusto di non darsi ragione. “Non importa se le nostre vite non saranno mai normali e se ci sarà sempre qualche guerra da combattere, possiamo essere felici lo stesso.”
Io sorrisi.
“Nei momenti di tregua,” aggiunsi.
“La ragazzina ha ragione,” commentò Apollo. “Mi chiedo perché non hai voluto essere l’Oracolo, saresti stata perfetta!”
Mi voltai di scatto verso Annabeth. Sapevo che dopo ciò che aveva detto Apollo lei avrebbe capito subito chi era il nostro amico tassista, infatti riuscii quasi a vedere le rotelle del suo cervello mettersi in moto.
“Lei è-”
Apollo sbuffò.
“E va bene!” esclamò. “Apollo, dio del sole, della poesia e il datore di lavoro di quel piantagrane dell’Oracolo di Delfi.”
Nico si girò di scatto verso di lui e anche Rachel spalancò gli occhi.
“Però gradirei che non faceste il mio nome,” continuò. “Non ci è permesso interferire con le vostre imprese, piccoli eroi, e non vorrei essere fulminato. Voglio dire, sono troppo bello per essere fulminato.”
Noi lo guardammo con scetticismo.
“Soprattutto non ditelo a Ze…” alzò gli occhi verso il cielo e deglutì. “Insomma, quello là sopra. È molto suscettibile.”
“Oh, l’abbiamo notato,” commentai.
Apollo tornò a concentrarsi sulla giuda, Nico iniziò a giocherellare con il ciondolo che gli pendeva dal collo e Rachel spostò lo sguardo fuori dal finestrino.
“Quindi, le hai fatto fare un giro in macchina,” sussurrò Annabeth diversi minuti dopo.
Io mi voltai a guardare Rachel: si era addormentata con la testa appoggiata al finestrino.
“È successo un sacco di tempo fa,” mi giustificai. “Non è che noi eravamo…sì, insomma…”
“Ho sempre pensato che fosse molto carina,” continuò Annabeth, ignorandomi.
Non sembrava arrabbiata, però.
“Be’, sì, è carina,” l’attimo dopo mi chiesi cosa avessi fatto di male per essere tanto stupido. Annabeth non aveva tutti i torti a chiamarmi Testa d’Alghe, probabilmente avevo quelle al posto del cervello.
Per un attimo pensai che mi avrebbe mollato un pugno, invece non disse nulla, si limitò ad appoggiare la testa sulla mia spalla e a chiudere gli occhi.
La guardai, aspettando che dicesse qualcosa, ma si era addormentata.
Sorrisi, afferrandole la mano e avvicinandomi al suo orecchio.
“Tu sei bella sul serio, invece,” le sussurrai, arrossendo.
Mi guardai intorno per essere certo che gli altri non mi avessero sentito e poi mi sedetti di nuovo con la schiena dritta.
Annabeth sorrise e poi mi sussurrò: “Grazie, Testa d’Alghe.”
 
Quando mi svegliai l’orologio segnava le sei del pomeriggio. Annabeth dormiva ancora con il capo appoggiato alla mia spalla, mentre Rachel stava parlottando con Nico. Sembravano andare d’accordo.
“Dove siamo?” chiesi, con la voce impastata.
Raddrizzai la schiena, cercando di non svegliare Annabeth, e guardai Apollo.
“Mancano ancora due ore di viaggio,” disse il dio. “Ma dobbiamo fermarci per la notte.”
“Lei è un dio, non ha bisogno di dormire!” esclamai.
“Già,” confermò Apollo. “Ma tra un’ora dovrò far tramontare il sole e domattina dovrò farlo sorgere. Non è che io lo porti in giro personalmente, però…”
Cercai di protestare, ma Apollo mi zittì.
“Vedila così: se io non mi faccio vedere all’alba e al tramonto, quello là, scoprirà che vi sto aiutando e mi fulminerà.”
“Ma lei è immortale,” gli feci notare. “Non può morire.”
Apollo mi fulminò.
“Già. Ma sai quanto è fastidiosa una fulminata?! Ti lascia il prurito per secoli!”
Io non replicai, abbassando lo sguardo su Annabeth che si stava svegliando.
“C’è un Bed&Breakfast oltre quella curva,” ci disse il dio tassista. “Vi lascerò lì e tornerò a prendervi domattina. Potete pagare con le dracme, la proprietaria…” Apollo arrossì. “Be’, è una mia vecchia amica.”
Spiegai brevemente ad Annabeth ciò che era successo mentre lei dormiva, mentre Apollo svoltava la curva e si fermava di fronte ad un piccolo edificio di mattoni.
Sentendo il rumore dei freni, una ragazza dai lunghi capelli rossi stretti in una treccia si precipitò fuori, pulendosi le mani sul grembiule che portava legato in vita.
Quando incrociò lo sguardo di Apollo, arrossirono entrambi.
“Ci vediamo domattina dopo il sorgere del sole,” ci disse, allontanando lo sguardo da quello della ragazza. “E non cacciatevi nei guai. È assurdo che lo stia dicendo proprio io. Insomma, fate i bravi,” concluse, riaccendendo la macchina.
Quando sentii il motore rombare chiusi gli occhi, perché sapevo che Apollo stava per prendere le sue vere sembianze divine e sapevo anche che guardare in dio in un momento del genere voleva dire rimetterci la pelle.
Quando li riaprii, Apollo era sparito, c’eravamo solo noi e la ragazza dai capelli rossi.
Ci voltammo verso di lei e la ragazza ci sorrise.
“Ci servirebbe una stanza per la notte,” dissi.
“Ma certo,” il suo sorriso si ampliò ed i suoi occhi azzurri s’illuminarono. Era davvero bellissima. “Benvenuti. Il mio nome è Dafne.”



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Buonsalve a tutti! :)
Come al solito, ecco arrivato il blablabla time. Non ho da dire niente di diverso dal solito, cioè che spero che questo capitolo  vi sia piaciuto e che se aveste qualunque critica da farmi esponetela tranquillamente :)
La parte più importante del blablabla time sono i ringraziamenti, che oggi vanno a:
Nocciolina puff, Ginevra Gwen White e gademo per aver recensito il capitolo precedente
bulmettina, cosmopolitan e di nuovo i sopracitati per aver messo la storia tra le preferite
Ashlelyly 95, beautifulday, darksky98, Daughter of Poseidon, Fred_Deeks_Ben, gademo (again!), GretaJackson16, lettoreaccanito e Nanetta4ever per averla messa tra le seguite
Grazie a tutti, davvero, il vostro supporto per me conta tantissimo. 
Siccome è la mia prima long su PJ e la prima che scrivo con una tematica fantasy ci tengo molto e mi fa piacere sapere che qualcuno apprezza il mio lavoro. 
Be', niente, al prossimo capitolo gente! Lettori, fatevi sentire, mi raccomando! :)
Un bacio a tutti, 
Emily. 
   
 
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