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Autore: PhoenixOfLight    03/10/2012    3 recensioni
"Le cose belle non sempre mitigano quelle cattive, ma viceversa, le cose cattive non necessariamente rovinano e rendono meno importanti le cose belle" (Doctor Who)
Agata era una bambina molto, molto sola... ma non riusciva a capire il perché.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è bello sentirsi soli, soprattutto quando si è bambini

 

Ispirato a una storia vera.

 

 

 

 

Non è bello sentirsi soli, soprattutto quando si è bambini.

Inizi a chiederti se è colpa tua o degli altri. Se sono loro a lasciarti sola o se sei tu che ti isoli.

Se hai qualcosa che non va, qualcosa che a loro non piace.

Allora inizi a cercare quella cosa che non va. Perché c’è, deve starci.

O non ti spiegheresti perché, mentre tutti giocano, tu stai in disparte.

Come quel giorno assolato di metà... marzo? Aprile? Non lo ricorda bene, Agata (dodici anni, gli occhi profondi e tristi e la maglia arancione).

Sembrava un giorno come gli altri, nulla era cambiato: era sola, di nuovo, mentre tutti giocavano.

Ci aveva provato, prima, a entrare nel gruppo, ma vedeva i loro risolini divertiti e gli sguardi derisori.

Non sapeva giocare molto bene a pallavolo, ma neppure Cristina ci riusciva, eppure tutti le sorridevano e le parlavano e scherzavano con lei. Forse perché indossava le maglie strette e i jeans a bassa vita e si truccava.

Li fissò per un attimo passarsi la palla più e più volte, in quel cortile troppo assolato e troppo marrone, sudati e sorridenti.

Il professore era seduto all’ombra e li fissava, ma presto si alzò e iniziò a giocare con loro.

Persino lui la ignorava.

Nessuno le aveva chiesto di unirsi a loro.

Si voltò a sinistra, dove i bambini della scuola materna giocavano insieme nel cortile. Le due scuole erano vicine e spesso sentiva le urla e le risate dei piccoli mentre i professori spiegavano, e il cuore le si riscaldava un po’.

Con un sospiro, alzò lo sguardo al cielo limpido e sognò di volare, di essere un uccello meraviglioso che tutti avrebbero ammirato.

Poi tornò a fissare il pavimento e cominciò a canticchiare una melodia sconosciuta ma piacevole.

Rimase così per qualche minuto, prima di sentire delle voci, tutte insieme.

«Ehi, bimba! Bimba? Bimba con la maglietta arancione? Maglietta arancione! Bimbaaa?».

Agata si voltò e si accorse che – ehi! – lei era l’unica ad avere una maglietta arancione e che, quindi, stavano chiamando lei!

Si voltò verso il professore, ma lui stava giocando. Nessuno li aveva sentiti.

Perciò, corse verso le sbarre tra la scuola materna e la scuola media.

Erano sei o sette bambini e la guardavano con tanto d’occhi.

«Stavate chiamando me?» chiese, imbarazzata e perplessa.

«Sì!» rispose una bambina, mentre gli altri annuivano. «Come ti chiami?».

«Agata».

«Che bel nome...» disse un’altra bambina.

«Grazie» sorrise Agata, arrossendo.

Rimasero in silenzio per qualche attimo, prima che un bambino chiedesse: «Perché stai da sola?».

Agata rimase spiazzata dalla domanda e inghiottì più e più volte per eliminare il magone che le era cresciuto in gola.

«Nessuno vuole giocare con me» rispose con un sorriso malinconico.

«E perché?» chiesero due o tre bambini.

«Non lo so. A loro non piaccio. Mi mettono sempre in disparte, sto sempre sola».

«No, non essere sola!»

«Che cattivi».

«Sei così gentile e dolce, non devi essere triste!».

«Tieni!» esclamò la bambina al centro, quella che aveva parlato per prima. Si chinò e strappò due piccoli fiori bianchi. «Prendi questi fiori! Così non sarai triste!».

Fu in quel momento che Agata capì.

Non c’era nulla che non andasse in lei.

Erano gli altri che non volevano stare con lei, erano gli altri a sbagliare.

Gli altri bambini imitarono la loro amica e iniziarono a strappare quanti più fiori riuscissero a prendere, porgendoglieli.

Non riuscì a trattenere le lacrime. Ma erano lacrime di gioia.

«Grazie, grazie, grazie...».

Li prese tutti, piangendo e ridendo. Avrebbe voluto abbracciare ognuno di quei bambini.

Poi, qualcuno la chiamò. Era una sua compagna, dovevano rientrare.

«Io devo andare» disse Agata.

«No, non andartene! Prendi altri fiori!».

«Grazie, grazie mille, vi voglio bene, grazie...» ripeté, prendendo gli ultimi fiori e voltandosi.

«Ciaoooo!».

«Ciao, bimba Agata! Ciao!».

Lei si voltò, li salutò con la mano e poi corse verso l’istituto.

Aveva gli occhi lucidi, le guance rosse e un sorriso enorme sulle labbra.

In quel momento, tutti la stavano guardando, ma nessuno rise di lei.

In quel momento era felice.

 

 

La giovane donna salvò la bozza del racconto, si stiracchiò e sospirò.

Era soddisfatta, finalmente.

Azionò la stampante e roteò sulla sedia girevole, fissando il soffitto con un mezzo sorriso sulle labbra.

Poi, prese le pagine stampate, li inserì nel plico di fogli sulla scrivania, lo afferrò, si sistemò la maglia arancione e uscì dalla stanza.

Quel ricordo sarebbe diventata una storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Agata: nome di origine greca, deriva da agathé che significa “buona, virtuosa” (x)

   
 
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