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Autore: nephylim88    04/10/2012    2 recensioni
La vendetta! A chi non è mai capitato di chiedersi che sapore ha? La protagonista di questo racconto lo scoprirà dopo un giro in macchina in piena notte. Frustrata, depressa, odia la sua vita. Paradossalmente ama il suo lavoro, dietro alla reception di un hotel, ma detesta profondamente i suoi colleghi. La “soluzione” le si presenterà in una notte di luna piena… soluzione che farà esplodere la sua follia!
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Mi chiamo Luigi Lorenzi, brigadiere di questo paesello sperduto in mezzo ai monti. E non posso dire di essere di buon umore. Stanotte, poco dopo le tre del mattino, una banda di pazzi ha bussato disperatamente al portone della caserma, urlando tutti come dei disperati. Il maresciallo Tomasi li ha fatti entrare, ma ci è voluto del bello e del buono per calmarli. Erano completamente isterici tutti quanti, urlavano di stragi e lupi feroci. Dopo un’ora e mezza di sgolamenti, sono riuscito a farli zittire. Da quello che ho capito, dalle 10 alle 2 hanno girovagato sotto shock per i boschi. Pare che fossero completamente sconvolti da una strage avvenuta nell’hotel lassù, in mezzo agli alberi. Certo, non è stato semplice seguire quell’assurda deposizione, ogni volta che uno di loro arrivava al momento di descrivere cos’era successo, immediatamente partiva una crisi isterica. Non avevo mai assistito a una scena così. Alla fine, sono riuscito a ricostruire quanto segue: pare che una bestia molto grossa, forse un lupo o un orso, sia entrata nell’auditorium dell’hotel e abbia aggredito e ucciso un bel po’ di persone. Quante? Non si sa. Sono scappati per puro miracolo. Quasi non sanno come hanno fatto ad arrivare in paese.
Mi alzo dalla mia postazione, chiamo un’ambulanza, perché quei poveretti vadano in ospedale. Poi, con due o tre uomini, mi avvio a controllare l’hotel, sebbene non ne abbia poi così tanta voglia. Faccio fatica a credere che un orso o un lupo siano arrivati ad entrare in un hotel per fare una strage. Gli orsi sono animali troppo schivi per azzardare una mossa simile, e non si vedono lupi dal almeno trent’anni, da queste parti!
D’altra parte, il terrore di quelle persone era sincero. Glielo leggevo negli occhi! C’era anche una ragazza che non poteva avere più di trent’anni, ma aveva ciocche consistenti di capelli bianchi! Continuava a guardarmi, e a ripetere “non ci vada, la prego, non ci vada!”… Qualcosa di strano è successo, lassù…
Sono le sei di mattina. Il cielo sta schiarendo, e noi stiamo arrivando all’hotel. Siamo in quattro, in macchina, e nessuno dei miei colleghi parla. Nemmeno io sono così loquace. All’improvviso compare l’hotel, in tutta la sua imponenza. Non è certo una bella struttura, vista da fuori. I proprietari l’hanno costruito sulle piste da sci e hanno basato la loro fortuna sulla comodità, piuttosto che sulla bellezza. Ma chissà, se avessero costruito anche una struttura fatta bene, come certi hotel giù in valle, forse la grande affluenza si sarebbe mantenuta più costante, invece di calare come ha fatto negli ultimi tempi, soprattutto in estate. E perché dovrebbero venire qui? La zona è bella, questo è innegabile, ma una struttura fatta in blocchi quadrati di cemento armato non attira certo la clientela! Parcheggiamo  e scendiamo dalla macchina. Ok che sono le sei del mattino, ma il silenzio che si sente è innaturale. E poi realizzo. Gli uccelli. Non cantano. Ed è strano, cazzo! Nei miei giorni liberi vado in giro per questi boschi, all’alba, e gli uccelli fanno un dannatissimo casino! Guardo l’ingresso dell’hotel. E la sensazione che sia successo qualcosa di terribile si acuisce. L’edificio incombe su di noi, e mi accorgo che nessuno dei miei colleghi azzarda a fare un passo. Sono impietriti almeno quanto me. Deglutisco e mi avvio verso l’ingresso. Apro la porta e prima ancora di poter vedere qualcosa, sento l’odore di rame tipico del sangue, più altri odori che non riesco a identificare. Esito. Ora sono terrorizzato. Ma non posso fermarmi qui e andarmene. Ho un dovere ben preciso nei confronti dei cittadini. Devo assicurarmi che vada tutto bene, lì dentro. Così entro. E lo spettacolo che mi si presenta davanti è orribile! Non posso dire di essere un tipo impressionabile, una volta sono entrato in una macelleria che non seguiva proprio per niente le norme d’igiene, e non sono certo diventato vegetariano per questo, com’è successo al brigadiere che stava con me in quel momento. Ma questa è una cosa completamente diversa. Il sangue cola dappertutto, così come pezzi di corpi e di interiora. Azzardo un passo, molto lentamente, ed estraggo la pistola. Poi, con la mano libera, tiro fuori un fazzoletto dalla tasca e me lo piazzo davanti al naso e alla bocca. Il puzzo è insopportabile. E quel punto del tappeto è talmente intriso di sangue che le mie scarpe, sprofondando, fanno un rumore acquoso, tipo “ciac, ciac”. Sento un rumore alle mie spalle. È Tomasi che è inciampato in una testa umana, sulla quale l’espressione di puro terrore è ancora visibile. Tomasi, seguito a ruota da un altro collega, esce fuori in preda ai conati. Non è un atteggiamento professionale, e sarebbe mio dovere farglielo notare, ma li capisco. La voglia di vomitare è troppo forte, ma riesco a resistere. So che, se esco, poi non avrò più il coraggio di rientrare. Un mugolio proveniente dalla reception mi fa voltare di scatto, sembra un animale ferito. Intravedo appena qualcosa di peloso, e in quello stesso momento un raggio di luce solare illumina la hall. E sento dei singhiozzi, che inframmezzano delle parole confuse. Puntando la pistola verso la fonte di quel rumore, azzardo un “chi è là?”. Ma la mia voce esce fuori stridula. Guardo Bonel, il collega rimasto. Ha l’aria di chi ha voglia di rannicchiarsi in un angolo a piangere. Gli faccio cenno di coprirmi le spalle. Immediatamente riesce a riprendere un minimo di contegno, per quanto possibile in mezzo a quel bagno di sangue. È ammirevole, Bonel. Davvero ammirevole. Giriamo attorno alla hall, pur mantenendo una certa distanza di sicurezza. E la scena che si presenta è ancora più agghiacciante di tutto il macabro spettacolo intorno a noi. Una ragazza, con gli abiti sbrindellati. Sta piangendo. Ma la sua espressione è strana. Ha le lacrime agli occhi, singhiozza convulsamente, ma il suo viso non ha quasi espressione! Poveretta, ha vissuto uno shock terribile, questo è chiaro! E ora sta abbracciata a quella che, con un conato, riconosco essere Adele, la direttrice dell’hotel. La ragazza la sta accarezzando, noncurante del fatto che la donna è completamente sventrata, le sue viscere che formano un tappeto sanguinolento dietro al bancone. – Signorina… - azzardo. Lei solleva lo sguardo verso di me, ma sembra non vedermi. E, a fatica, la riconosco: Aida, la giovane receptionist. L’avevo conosciuta l’anno prima, alla sua prima stagione qui. Si stava facendo una passeggiata per la valle e si era fermata a chiedere un’informazione. Una ragazza così solare… e ora… ora… ora sembra una vecchia. Ma non tanto nel fisico. Lo sguardo… con una notte così, ha vissuto mille anni. Non ne uscirà più, da un evento simile. E, mi sa, nemmeno io.
- Aida… - riprovo. Lei alza lo sguardo di nuovo. Sembra un po’ più lucida.
- Lei non doveva morire… - mi dice, continuando a piangere. – mi dispiace…
- Aida, cosa stai dicendo? – domando, avvicinandomi a lei, cercando di ignorare il cadavere di Adele.
- Mi spiace, è colpa mia, colpa mia, colpa mia, colpa mia… - continua così per un po’, poi ricomincia a singhiozzare. Non so cosa risponderle. Più che altro, non capisco perché continui a darsi colpe. Che si riferisca alla strage? Chissà, forse dovevano uscire a cena, e lei l’ha convinta a restare in albergo, firmando così la sua condanna a morte.
- Aida, hai visto cos’è successo? Cos’è stato a fare tutto questo? – la incalzo, sapendo che probabilmente non mi risponderà. E infatti, lei continua a singhiozzare, senza degnarmi di una risposta.
Guardo Bonel, e mi accorgo che sta diventando sempre più pallido. Mi sa che fra poco sviene. Con un sospiro, mi chino, afferro Aida e la porto fuori da quell’inferno.
 

- La ragazza sembra essersi ristabilita. – è pomeriggio. Sono in ospedale, fuori dalla stanza dov’è ricoverata Aida, in attesa che arrivino i suoi genitori. Sembrano passati secoli da quando ho fatto visita a quell’hotel, e invece sono passate poche ore. Il dottor Brandi sta davanti a me, tiene in mano una cartellina. Ma un tempo eravamo vecchi amici, prima che lui intraprendesse la carriera di medico e mi rendo conto che non è tutto lì, quello che vuole dirmi.
- Davvero? - rispondo, aspettando che vada avanti. A dire la verità sono piuttosto sorpreso, sapendo quel poco che il medico legale è riuscito a dirmi sulla strage.
- Già… - borbotta, sempre più incerto.
- Franco, qual è il problema? – chiedo, chiamandolo per nome per fargli capire che parlo sul serio.
- Senti, il medico legale ti ha parlato di quello che è successo?
- Chi, Zorzi? Sì, me ne ha parlato. Non era un referto ufficiale, ma qualcosa mi ha detto. La strage è stata fatta da un animale. Non si capisce che animale, ma si sa per certo che ha una forza straordinaria. A quanto pare, la ragazza è stata molto fortunata a sopravvivere.
- Già… ma non solo a sopravvivere. Aveva due segni di aggressione. Una cicatrice sul polso vecchia di mesi, ormai non si vede quasi più. Lei ha risposto che l’aveva morsicata un cane, lo scorso inverno.
- E direi che non ha nulla a che fare con la strage, no? – sbotto, prendendomi un fiero colpo quando vedo l’espressione dubbiosa del dottore. – e l’altro segno?
- I vestiti sbrindellati…
- Coraggio, fuori il rospo. Tu non me la racconti giusta! Cosa c’è che non ti convince?
- Un’infermiera mi ha fatto notare che certi strappi sui vestiti non sono stati provocati da un’artigliata. È come se si fossero strappati per la troppa pressione, ecco. Come se la ragazza fosse cresciuta di colpo.
- Ha un bell’occhio, quell’infermiera!
- Sì, ed è anche molto superstiziosa. Fidati, se ti dico che l’avrei mandata a quel paese, non fosse stato che, in effetti, la ragazza non presenta ferite di alcun genere. Ma proprio nessuna, accidenti! Neanche una stramaledetta ecchimosi! Non lo so, questo mi dà i brividi!
- Stai dicendo che la ragazza potrebbe essere la diretta responsabile di quella strage? Magari si è trasformata in un lupo mannaro? – lo incalzo con un ghigno che, me ne rendo pienamente conto, è finto come una moneta da 3 euro. Perché, e questo mi fa rabbrividire all’ennesima potenza, usando tutta la razionalità di cui sono capace, mi rendo conto che questa teoria non fa così tanta acqua. Anzi, è la teoria più sensata che sono riuscito a prendere in considerazione!
- Risparmiami il tuo sarcasmo, Luigi! So perfettamente quanto assurda sia la teoria che ti ho propinato, ma non riesco a trovare altre spiegazioni. Tanto più che la ragazza sembra maledettamente tranquilla, cazzo!
- Ma che stai dicendo? L’ho trovata in stato di shock, stamattina!
- Non so cosa dirti, al riguardo. So solo che ora è allegra come non mai. Non è normale!
- Franco, non potrebbe essere in negazione?
- Secondo te è negazione? Non credo, mi sembra strano che quella fase sia arrivata solo dopo poche ore. Oltretutto, quando le ho chiesto qualcosa relativamente ai suoi colleghi, ha risposto qualcosa tipo “sono morti. Peccato!”. E per di più con un’alzata di spalle e un mezzo sorriso! Dimmi quello che vuoi, ma una in atteggiamento di negazione non si comporta così.
- Ok, ok. Ho afferrato il concetto. – mugugno. In quel momento, arriva una donna, tutta trafelata. È chiaramente la madre di Aida.
- Mia figlia! Mia figlia sta bene? – la sua voce è stridula dall’ansia.
- Certo, signora, non si preoccupi! – rispondo, sapendo bene che è una risposta stupida da dare a una madre la cui figlia è sopravvissuta a una strage. Brandi le fa cenno di entrare a vedere la figlia.
Butto l’occhio nella stanza, e noto, con un brivido, lo sguardo delle ragazza. Sta sorridendo. Un sorriso malvagio.
  
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