Prologo:
Now you’re
adrift in the sea of lies.
la
musica era
assordante e in quell’ appartamento erano decisamente in
troppi per lei, e
nonostante fosse la festeggiata si guardava intorno ansiosamente
piuttosto che
godersi la festa.
Aveva detto che
sarebbe venuto, per lei, e stranamente c’era anche stato ma
adesso non riusciva
più a trovarlo da nessuna parte.
Iniziò a
preoccuparsi, così come accadeva tutte le sere, suo padre
era uscito di nuovo
senza che lei se ne accorgesse. Non poteva lasciarla così,
non in quel momento!
“Dana!” sentì la
voce maschile di un suo compagno di classe che si stava avvicinando con
in mano
due bicchieri pieni di alcolici.
“Hai visto mio
padre?” Chiese lei agitata al ragazzo ancora prima che lui
potesse aprire
bocca.
“Ehm… Mi è
sembrato di vederlo uscire poco fa.” Rispose confuso il
ragazzo, per poi
provare ad attaccare con un discorso diverso, inutilmente.
“Grazie Jay!” Dette
una pacca al braccio dell’ amico e corse verso l’
uscita d’ emergenza mentre
uno speaker annunciava la torta con tanto di candeline in arrivo.
Maledisse se
stessa e suo padre per il fatto di doversi perdere la torta mentre
andava a
sbattere contro l’ unica pianta dell’ appartamento,
ma l’ ascensore era ora
davanti a lei e si stava chiudendo. Accelerò il passo nella
speranza di
riuscire ad entrarci senza rimanere schiacciata tra le porte, ma non
fece in
tempo e per poco non prese una facciata.
Si precipitò
allora giù dalle scale, un piano e premette nervosamente il
tasto luminoso
inutilmente perché l’ ascensore era già
sceso, poi riprese a scendere le scale
e al piano inferiore al precedente fece lo stesso, restando
però questa volta
davanti alle porte chiuse che riflettevano la sua immagine distorta;
lunghi
capelli biondi e ondulati le incorniciavano il viso, un paio di occhi
grigi e
le labbra piene. Respirò un paio di volte e si
lisciò i capelli biondi, pronta
ad affrontare suo padre.
Le porte si
aprirono e la schiena di suo padre le apparve davanti agli occhi.
Sospirò
pesantemente e la ragazza russa entrò nello stretto vano
della cabina,
incrociando per un attimo lo sguardo azzurro del padre riflesso nello
specchio
davanti a lui.
Le porte si
chiusero dietro di lei, avrebbe avuto il tempo di tre piani prima di
giungere
al piano terra, doveva essere veloce e concisa. Si avvicinò
ancora e avvolse
con decisione le spalle del padre con le proprie braccia, rimasero
così fino a
che l’ ascensore non terminò la sua discesa, per
un attimo solo lei si chiese
se stesse facendo la cosa giusta, di tutte le cose che aveva provato
non era
ancora riuscita a staccare suo padre dalla bottiglia. La causa risaliva
a
quando lei era ancora piccola, a quando sua madre li aveva lasciati
soli,
quello già era stato un duro colpo, quando poi suo padre era
riuscito a trovare
una nuova compagna –una donna bellissima e umile, le aveva
sempre ricordato una
fata- tutto era precipitato con un disastroso incidente d’
auto, l’ ubriaco
alla giuda dell’ altra auto aveva tolto la vita a quella
donna felice e solare.
Da quel giorno suo padre aveva sempre finito per non definirsi degno di
niente,
era certo di non essere più degno della felicità,
eppure non si era mai accorto
di avere una stella luminosa e raggiante sempre al suo fianco pronta ad
accoglierlo tra le sue braccia.
Le porte del
piano terra si aprirono.
“Cerca di essere
felice, almeno per questa sera, fallo per me.” Le
implorò lei mentre il calore
si allargava dentro di lei. Suo padre annuii freneticamente per poi
affrettarsi
verso l’ uscita liberandosi dall’ abbraccio della
figlia che rimase bloccata in
quella piccola cabina a osservare la schiena di suo padre uscire nella
fredda
notte primaverile. Così neanche quello aveva funzionato.
Abbassò la testa,
scoraggiata, fissandosi i piedi con tristezza.
A ridestarla
lievemente furono le porte che le si chiusero in faccia. A spaventarla
fu
invece l’allarme antincendio.
Sapeva che
prendere l’ ascensore durante un incendio era una cosa
più che stupida, ma che
poteva farci? L’ allarme era scattato dopo che porte si erano
chiuse. Implorò
l’ ascensore perché si muovesse più
velocemente e perché non precipitasse.
Quando
finalmente le porte del piano si aprirono, rimase di nuovo bloccata,
dalla
porta in cui aveva appena dato la festa usciva del fumo nero e
soffocante,
mentre delle urla al suo interno superavano il volume della musica.
Ogni pensiero
dentro di lei si bloccò mentre l’ adrenalina e la
paura cancellavano ogni
pensiero logico e ogni minima idea. L’ unica cosa che fece fu
lanciarsi verso
la porta per aprirla e far uscire i suoi amici da lì dentro.
Strinse con
forza la maniglia e girò, stranamente non era rovente, o
forse non aveva
sentito il calore per via dell’ adrenalina che era entrata in
circolo. Il fumo
le accarezzò il viso mentre un’ ondata di calore
le toccava la pelle molto meno
dolcemente.
Si aspettava un’
altra scarica di adrenalina che avrebbe guidato il suo corpo, invece
rimase lì
davanti paralizzata da ciò che stava vedendo; tutti i
ragazzi erano ammassati
ai muri mentre una figura al centro della stanza si agitava e urlava
avvolta
dalle fiamme, accompagnata dalla pianta da ornamento che stava creando
un alone
di bruciato contro il muro altrimenti bianco. L’ impianto
antincendio si
attivò, troppo tardi perché il corpo del ragazzo
cadde a terra, mentre le
fiamme continuavano a bruciare la sua carne, l’ odore che
sprigionava era
nauseante e temette per un solo istante di vedere la sua cena sul
pavimento.
Quando quel
raccapricciante spettacolo si consumò un silenzio assordante
invase l’
appartamento, o forse di nuovo la sua mente si era rifiutata di sentire
e
vedere. Perché da quel momento non riuscì a
ricordare come era finita nel
parcheggio sotto l’ edificio.
Si trovava fuori
dal palazzo; una camionetta dei pompieri, due volanti della polizia e
un’
ambulanza illuminavano la facciata dell’ edificio con le loro
sirene. Inutile
dire che per il ragazzo mangiato dalle fiamme non c’era stato
niente da fare. Ma
quello che a malapena si poteva definire un incendio era stato spento.
Tremò,
infreddolita in mezzo al gelo della notte fissando i suoi occhi chiari
al quarto
piano; da fuori non si sarebbe mai immaginato ciò che era
successo all’
interno.
Una mano forte e
calda si strinse sul suo braccio scuotendola appena –per un
attimo pensò che
quella mano potesse appartenere a suo padre-, quando si
voltò incrociò il volto
pallido e tirato di un poliziotto.
“Lo conoscevi?”
Chiese lui con voce dura ma comunque calma. La ragazza lo
guardò spaesata; non
voleva sapere chi era stato mangiato dalle fiamme in quel modo, non
voleva
conoscerlo.
“Jay Mills?”
Chiese ancora il poliziotto. Ecco, il cuore della ragazza si strinse
fino a
farle provare vero e proprio dolore, lacrime calde le solcarono il
volto mentre
annuiva freneticamente. Non poteva essere, perché proprio
lui? Era sempre stato
gentile con lei, non aveva fatto niente per meritarsi una fine del
genere.
Una coperta
calda le venne appoggiata sulle spalle. “Cosa gli
è successo?” Chiese con voce
stridula la ragazza. Il poliziotto sospirò, con una faccia
desolata.
“Non troviamo
altra spiegazione.” Disse lui come se avesse già
rivelato di cosa si trattasse.
“Cosa? Che cosa
gli è successo?!” Questa volta fu il suo turno di
scuotere il poliziotto per
farlo parlare. Lui
sospirò ancora,
straziando ancora di più Dana.
“Non riusciamo a
trovare altre cause se non l’ autocombustione.” A
quella risposta la bocca di Dana
si spalancò rischiando di staccarsi e finire per terra.
Altre lacrime –questa
volta di rabbia- premettero contro i suoi occhi per uscire ma lei si
mise a
ridere.
“State
scherzando? Come posso credere a una cosa del genere?! L’
autocombustione non
esiste!” Si accorse a malapena di urlare disperatamente, ma
si rese bene conto
che urlare e piangere non sarebbe servito a riavere il suo amico
indietro.
Lasciò la stretta sulle braccia del giovane poliziotto e si
abbracciò tremando.
Parole di
consolazione le attraversavano le orecchie senza mai rimanere impresse
nella
sua mente. Voleva solo vedere suo padre, non le importava se in quel
momento
sarebbe stato ubriaco e puzzolente di fumo, aveva solo bisogno di
sentirsi tra
le sue braccia, come tanti anni prima quando gli abbracci non si
dovevano
chiedere.
Poco prima:
La
spiacevole
puzza del fumo di una sigaretta gli giunse al naso e staccando gli
occhi dal
binocolo guardò in cagnesco la ragazza che come se niente
fosse gli aveva
soffiato il fumo della sigaretta direttamente in faccia.
“Lili, per
favore…” Protestò debolmente tornando a
osservare il fumo che usciva da una
finestra lontana.
“È colpa del
vento. Quindi è colpa tua” Sostenne lei calandosi
meglio il cappuccio scuro sui
capelli mezzi rasati e portandosi alle labbra la sigaretta.
“Senti Alex, non è
che stiamo sprecando di nuovo tempo? È tardi e domani ho una
verifica.” Disse
lei sbuffando altro fumo. Il vento si alzò scompigliano i
suoi capelli scuri.
“Finiscila, a te
non importa minimamente della scuola.” Rispose lui
armeggiando con la rotella
centrale del binocolo senza toglierli dagli occhi.
“Beccata.”
“Già, beccata.”
Ripetè lui staccando finalmente gli occhi del colore del
ghiaccio dal binocolo.
“Non farmelo
pesare.” Sbuffò nervosamente altro fumo.
“No, intendo, beccata.”
Indicò il palazzo che stava
osservando fino a un attimo prima. Sorrise nel vedere l’
espressione
esterrefatta di Lili e lasciò il binocolo nelle sue mani che
si allungavano
avide. Lasciò cadere la sigaretta, e lui con un’
espressione ancora più
soddisfatta la schiacciò sotto il tallone per spegnerla.
“Cavolo.”
Borbottò la ragazza aggrottando le sopracciglia.
“È davvero lei. Non me lo
sarei mai aspettata. Dana Raluca, viene a scuola con te
vero?” Continuò lei
tastandosi le tasche in cerca di un’ altra sigaretta,
imprecando contro le
proprie dita e Alex.
“Si, viene a
scuola anche con te sai?” La ragazza rispose con un gesto
nervoso della mano,
come se stesse scacciando un insetto.
“Eppure sembra
così strano, non me ne ero mai accorta prima.”
Disse dubbiosa la ragazza.
“Non senti la
sua energia?” Chiese lui avvicinandosi.
“Si ti credo,
cavolo!” Esclamò lei staccandosi dal binocolo e
spingendolo verso il petto del
ragazzo, mentre lo guardava male. “Ma prova a spegnermi
un’ altra volta la mia
ultima sigaretta e giuro che ti congelo!” Il ragazzo rise di
gusto, anche se
sapeva che in quel momento Lili era del tutto seria.
“Colpa del
vento.” Rispose sarcastico lui.
“Quindi è colpa
tua” Inveì Lili, raccogliendo ciò che
restava della sigaretta.
“Dai, andiamo ad
aiutarla.” Disse lui ancora contento per la scoperta.
“Ti raggiungo
dopo, ora ho da fare.” Si alzò e senza aspettare
una risposta dal ragazzo aprì
la porta che portava fuori dal tetto.
†
Ok,
nuova long, che tanto long non sarà, si tratterà
solo di 11 capitoli.
In
questo prologo avete avuto solo un’ assaggio di quello che
accadrà prossimamente,
non credete che questa sarà una storia semplice u.u
La
verità è che non ho molto da dire, anche
perché appena ho pubblicato il prologo
mi è passato completamente di mente queste note qui alla
fine… spero
solo che questo esperimento (che a dire
il vero neanche io so come chiamare, né so il genere giusto
in cui inserirlo) possa
essere di vostro gusto magari facendomelo sapere con una recensione? :)
*Si
fa piccola piccola e fugge*