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Autore: Cloe901s    05/10/2012    2 recensioni
Poi era arrivato lui.
E il ghiaccio si era sciolto.
Lui non aveva avuto paura di bruciarsi, non aveva avuto paura di soffocare.
E il ghiaccio si era sciolto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La tristezza non ci abbandona mai. Ci intesse e ci distrugge come meglio crede, fin quando non ci divora, completamente. È parte di noi, e noi diventiamo parte di lei. Noi vogliamo essere parte di lei.
Se non puoi distruggere il nemico, tanto vale allearsi con lui. E la tristezza non può essere battuta, può essere sostituita da altra tristezza o essere spazzata via dalla felicità. Ma che felicità può soffocare un cuore che non viene amato, un cuore che desidera amore, ma non lo riceve? Nessuna, piccoli illusori attimi, forse, a volte nemmeno quelli.
Io non avevo mai provato emozioni in vita mia, ero sempre stato una lastra di ghiaccio, una di quelle che non puoi toccare, perché rischi di bruciarti; una di quelle che quasi ti spaventa, vorresti non avvicinarti, perché temi possa crollarti addosso e distruggerti e bruciarti.
Poi era arrivato lui.
E il ghiaccio si era sciolto.
Lui non aveva avuto paura di bruciarsi, non aveva avuto paura di soffocare.
E il ghiaccio si era sciolto.
Lui aveva solo sorriso, mi aveva solo sfiorato.
E il ghiaccio si era sciolto.
Lui mi aveva preso per mano.
E il ghiaccio si era sciolto.
Ero io questa volta a bruciare, bruciavo come mai in vita mai. Bruciavo per ogni suoi sguardo, gesto, respiro, sorriso, pensiero.
Bruciavo quando sentivo il suo nome, bruciavo quando pronunciava il mio.
Lui era le mie emozioni, era il cuore che non avevo mai lasciato battere.
Avevo vissuto con lui, solo con lui.
Non avevo mai vissuto con i miei amici, con la mia famiglia, con le mie ragazze, io ero stato vivo con lui e grazie a lui.
Mi aveva nutrito, mi aveva dissetato, mi aveva amato e poi, nonostante tutto, me lo avevano portato via.
Avrei voluto potergli dare di più, avrei voluto dirgli quelle parole che lui tanto bramava e che io gli negavo.
Me le diceva lui, le ripeteva sempre, forse sperando che di rimando le avrei pronunciate anche io, ma niente, mai niente.
Ero freddo, ero freddo anche con chi mi scottava. Avevo paura forse, paura di espormi troppo, paura di provare emozioni.
Non so adesso a cosa mi siano servite tutte queste precauzioni…
Tutto quello che so è che non ho mai detto alla persona che amavo di amarla.
Sono convinto lo sapesse, ma io non gliel’ho mai detto.
Avrei voluto accadesse a casa sua, di sera, dopo cena.
Avrei voluto fossimo seduti sul divano, una mia gamba sopra le sue, come facevamo sempre, le nostre mani intrecciate, i visi rivolti verso la tv.
Avrei voluto sentire le farfalle nello stomaco, la testa girare violentemente, sarei voluto essere emozionato e nervoso, guardare il suo viso e sorridere tra me e me e poi sentire un suo “Che c’è?” accompagnato da quel suo magnifico sorriso. Avrei risposto guardandolo intensamente, nel modo in cui gli piaceva tanto, e, sorridendo, rispondere “Sei bellissimo.”
Lui avrebbe sorriso, ancora, abbassando lo sguardo pudicamente, avrei spostato lo sguardo sulle sue guance arrossate e non avrei visto il rossore, poiché al buio e illuminati solo dalla luce fioca della televisione, ma lo avrei immaginato, perché lui arrossiva sempre quando glielo dicevo.
Gli avrei allora posato un leggero bacio sulla guancia, proprio dove immaginavo fosse purpureo, e lui mi avrebbe guardavo, smettendo di sorridere. Era sempre serio quando facevo qualcosa di tenero, come se non volesse ridicolizzare il momento, come se volesse spronarmi a continuare, farmi capire che per lui era importante, non era un gioco.
Lo avrei abbracciato, ardente di tenerezza, e lui avrebbe affondato il viso nell’incavo del mio collo, solleticandomi con il suo respiro accelerato, come faceva sempre. Avrei cominciato ad accarezzargli i capelli, proprio vicino alla nuca, glieli avrei tirati delicatamente, come piaceva a lui. Avrebbe allora alzato lo sguardo, incontrando i miei occhi e, sorridendomi, posando un timido bacio sulle mie labbra prima di allontanarsi e cercare nei miei occhi un consenso, un benestare che sapeva non sarebbe arrivato.
E lì, in quel momento, quando il suo viso sarebbe stato rilassato, quando avrei letto nei suoi occhi quell’affetto che avevo cercato per tutta la vita, in quel momento avrei dischiuso le labbra, preso un breve respiro e dato fiato alle mie emozioni, alle mie povere emozioni che si sarebbero riassunte in sole due parole, semplici, immediate, eppure consistenti, pesanti, impegnative come poche.
“Ti amo.” L’avrei sussurrato, soffiato forse, sulle sue labbra, per poi baciarlo, dolcemente.
Lui sarebbe stato confuso, non avrebbe risposto con passione al bacio, troppo preso da altri pensieri, troppo emozionato forse.
Sarei poi tornato a guardare la tv, come se nulla fosse, avrei percepito il suo sguardo bruciarmi il volto. Si sarebbe poi rassegnato, avrebbe posato il capo sul mio petto e avrebbe pianto, silenziosamente, lacrime di gioia, lacrime di felicità. Io non lo avrei sentito, ma a lui non sarebbe importato, avrebbe avuto tutto ciò che desiderava.
Sarebbe stato così semplice rendere felice chi amavo, sarebbe stato facile, ma non lo avevo fatto, non lo avevo mai fatto.
Ogni sera pensavo fosse il momento adatto, ogni sera prendevo fiato, mi preparavo per dirlo e poi tacevo.
C’è tempo ripetevo, non capendo che il tempo in realtà non c’è mai. Il tempo vola, il tempo si muove, il tempo corre, ma non sta fermo e si diverte a correre più velocemente quando vede una cosa bella.
E come tutta la felicità, come tutte le gioie, anche le mie finirono.
In un caldo pomeriggio di Luglio, uno di quei giorni allegri, uno di quei giorni che non devi programmare perché sai già essere perfetti, tutto finì.
Il mio amore finì, la sua vita finì, portando con sé anche la mia, il mio calore si esaurì.
E il ghiaccio si riformò.
Si arrampicò lentamente, salendo per i piedi, avvolgendo le gambe, poi il ventre, arrampicandosi su per le braccia, inghiottendo il cuore.
Il suo corpo era freddo, io ero freddo. Se lui era freddo, anche io lo sarei stato.
Era il mio fuoco, come si fa ad esser caldi, a bruciare, senza fuoco?
Eppure il ghiaccio non aveva vinto, perché c’era qualcosa che non poteva prendersi, qualcosa che non aveva il potere di congelare: il suo ricordo, vivo, ardente, veloce, possente, caldo.
Non doveva andare così però. Non lo avevamo previsto. Avevamo previsto le ingiurie della gente, le crisi di panico, le notti gelide senza coperte, i baci forzati, le grida nella notte, i capelli nel bagno, ma non la morte. La morte, ce ne eravamo dimenticati.
Talmente presi dalla vita da dimenticare la sua fedele compagna.
 
 
Forse non valeva più nulla, forse era troppo tardi, anche se avevo sentito dire che non è mai troppo tardi, forse non poteva nemmeno sentirmi, forse era persino arrabbiato con me, forse mi guardava, forse no, forse mi sentiva, forse no, ma lo dissi comunque. Un “ti amo” affidato al vento, con la speranza che lo portasse a chi doveva arrivare, a chi era destinato e a chi sarebbe sempre rimasto, perché mai, promisi, mai lo avrei detto a nessun altro.
Mai.
  
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