Fanfic su artisti musicali > Mika
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Autore: PattyOnTheRollercoaster    08/10/2012    2 recensioni
Il mio nome è Michel Holbrook Penniman Jr. Sembra un nome molto importante da portare sulle spalle, e le mie spalle, sebbene credo siano abbastanza forti, non hanno molta voglia di essere sempre così pesanti. Per questo motivo ho scelto un altro nome, un nome meno complicato, uno che tutti possano ricordare per quanto è corto. Un nome semplice, simpatico, colorato: Mika.
Una canzone diversa per ogni capitolo per dare vita ad una storia a volte triste, a volte allegra, che ha come protagonista un ragazzo - o forse un uomo? O forse un bambino? - che deve vedersela con il suo mondo colorato, in cui le combinazioni di colore non sempre sono perfette.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo ventitré
Any other world,
o Quel che rende felici





   Vado avanti e indietro per la stanza, intanto rimugino.
   Avanti. Indietro.
   «Io credo che l’ultima non sia stata molto male», osserva Ida con voce piccola. La fulmino con gli occhi. Cerco di fulminare lei più di tutti gli altri, anche se in questo momento mi danno sui nervi tutti quanti, ma lei di più! Perché se fosse veramente una mia amica, come ha proclamato di essere, allora verrebbe in tour con me, mollando tutto e concedendosi anima e corpo alla mia causa. Invece non lo fa, per il trascurabilissimo particolare che farà parte del cast per Les Misérables. Cioè, che vuoi che sia Les Misérables in confronto a me?! Io sono più bello di Victor Hugo, scommetto!
   Andrea me lo ha detto di stare calmo, che sto cominciando a dire cose assurde.
   «Okay, sto zitta», pigola Ida alzando le mani in segno di resa.
   Di nuovo avanti. Di nuovo indietro.
  C’è anche Andrea qui in studio, dove abbiamo appena ascoltato cinque delle coriste che John ha scelto in fretta e furia negli ultimi quattro giorni. Sono brave, su questo non c’è dubbio, ma non riesco a cantare decentemente con nessuna di loro. Forse è un problema mio, forse sono diventato scemo tutto d’un tratto, solo che nessuno me lo dice perché sono troppo gentili.
   Avanti. Indietro.
   «Ci sono un sacco di persone che sono interessate», dice John con gli occhi fissi sullo schermo del pc. «Potremmo fare altre audizioni.»
  Mi cade lo sguardo su Nick, che è arrivato proprio stamattina a Londra solo per fare una vacanza e si è ritrovato incastrato qui in studio, a guardare me che vado avanti e indietro. Credo che nelle piastrelle si scaverà una fossa, come succede nei cartoni animati. Nick sbadiglia e io guardo l’orologio appeso alla parete. Segna le undici e quaranta. Di sera. Siamo qui dall’una e mezza del pomeriggio più o meno. Mi passo una mano sul viso, sconsolato. «Ci pensiamo domani magari», dico.
  In meno di cinque minuti tutti prendono armi e bagagli e si defilano, sollevati. Rimango da solo con Andrea, che mi accompagna a casa in macchina, mi dà un bacio e mi saluta con un “non preoccuparti, vedrai che troverai una soluzione”. Ormai è mezzanotte passata quando giro le chiavi nella toppa e accendo la luce dell’ingresso. Sono sconsolato come non mai, non vedo proprio come potrò trovare una soluzione.
   Per la prima volta mi ritrovo a pensare a che cosa succederebbe se non avessi nemmeno una corista con me in tour.
   I live farebbero schifo. E se succede questo dovrei cancellarne alcuni. E se ne cancello alcuni devo cancellare il tour. E se non suono live perdo fans. E se li perdo non vendo l’album. E se non vendo la casa discografica mi molla! E se mi molla la casa discografica la mia carriera è finita! E potrei andare a vendere la mia immagine ormai rovinata in uno di quegli show televisivi di serie B! Potrei diventare povero e anche morire! Morire di fame e di stenti!
   «Andrea, sto per morire!»
   «…»
   «Mi hai sentito?! Morirò! Morirò di fame e di stenti! Forse domani me lo dirà anche l’oroscopo, ma io l’ho già capito!»
   «Calmati.»
   «Come faccio a calmarmi?! Manca un mese all’inizio del tour e non abbiamo una corista, ti rendi conto della gravità della situazione? No, ma come mai dovresti?! In fondo non è mica tutto il tuo lavoro che verrà messo in discussione perché a una maledettissima ragazzina hanno fatto un contratto che le sembrava più figo!»
   Mi fermo, quasi ansimante, e mi getto sul divano.
   «Hai finito?»
   «Forse no», dico acidamente.
   «Vedi di finire, che ho un idea da proporti.»
   Sospiro e mi tolgo le scarpe. «Che idea?», domando con tono stanco. Andrea non dice nulla, ma sento che è dall’altra parte del telefono. «Che idea?», ripeto, questa volta incuriosito.
   «Io pensavo… pensavo che forse potevo provare anch’io a cantare con te.»

   John annuisce. Nick annuisce. Ida annuisce. Io annuisco.
   Zuleika fa segno di no con la testa.
   «Che cosa c’è?», domanda Andrea nervosamente guardando mia sorella. Anch’io la guardo interrogativo.
   Lei continua a fare di no torturandosi le labbra con un dito e guardando Andrea assorta. «Non hai affatto la corporatura di Nadine, dovremmo rifare tutti i vestiti», dice seccamente girando attorno ad Andrea.
   «Significa che va bene?»
  «Certo che va bene», dico io sorridendo. Mi alzo e le do un bacio veloce sulle labbra. «Adesso dobbiamo solo provare, provare, provare.» Risistemo le chiappe sulla seggiola davanti al piano e dico: «Rifacciamo Blame It On The Girls, ti va?»
   «Okay.»
  Dopo una mattinata intera a cantare canzoni a casa mia, accompagnati dal pianoforte, siamo andati in studio per sentire l’opinione degli altri. Dopo un pomeriggio intero a cantare di fronte ad una piccola folla Andrea sembra un po’ più sicura di sé, ma ancora cerca il mio sguardo e la mia approvazione, a volte, soprattutto nelle parti delle canzoni in cui il coro è fondamentale. Tuttavia non posso fare a meno di notare, cosa che sicuramente Andrea non avrà notato dato che è tesa come una corda di violino, che la maggior parte dello staff è rimasto piuttosto contento di sentirla. Credo che sia una sorta di feeling naturale: quando ti trovi bene con una persona cantare con lei è più facile. Ammetto, infatti, che all’inizio la nuova band che avevo messo insieme l’anno scorso è stata difficile da gestire anche per me, ma era necessario, e sono fortunato ad aver conosciuto tutti loro: man mano che ci conoscevamo meglio il nostro legame si faceva più forte, e suonare assieme era più bello. Con Andrea sta succedendo esattamente la stessa cosa.
   A questo punto i giorni paiono scorrere più in fretta di quel che devono: l’estate sta lasciando il posto all’autunno, le giornate diventano più corte, ogni tanto tiro fuori un maglioncino perché fa fresco fuori, soprattutto la sera. Tutti i giorni, o quasi, facciamo le prove.
   Il primo concerto di Andrea è uno show privato: ci hanno contattati per un matrimonio, uno di quelli fastosi con trecento invitati che io non farei mai, per intenderci, e quando me lo dicono penso subito che sia la cosa più giusta da fare portarci Andrea.
   È stato montato un piccolo palco all’interno della sala del ricevimento, sono pronte tutte le luci, gli strumenti, e siamo vestiti nei nostri costumi di scena – che essendo un matrimonio piuttosto elegante, non sono troppo esagerati. Appena pochi minuti prima di salire sul palco vado da Andrea, che sta in un angolo buio della sala e guarda gli invitati con espressione angosciata. Si torce le mani e sposta il peso da un piede all’altro in continuazione. Quando mi vede arrivare sembra sull’orlo di una crisi di nervi: mi si avvicina con fare furtivo e mormora guardando le persone: «Non posso farlo Michael, non ce la faccio.»
   «Come?»
   Lei scuote la testa. «Non ci riesco, sono in troppi. Non salgo su un palco da almeno sei anni, forse di più. Oh, è vero, sono otto! Otto anni! Otto anni, otto anni che non salgo su un palco…»
   «Calmati.» Le poso le mani sulle spalle ma lei guarda ancora gli invitati e ha in viso un’espressione terrorizzata. Le sciolgo le mani, altrimenti finisce che se le stacca, e le volto il viso verso di me di modo che veda e senta soltanto me. «Ascoltami, devi calmarti okay? Tu sei bravissima, hai cantato benissimo fin ora durante le prove, eri perfetta.»
   «Ma le prove sono una cosa diversa», dice lei agitandosi, saltellando sul posto istericamente. «Le prove sono prove, qui c’è gente vera.»
   Cerco di pensare se alle prove c’era gente finta, e sto per dirglielo, ma poi ci ripenso perché probabilmente nello stato in cui è non coglierebbe la battuta. «Se ti agiti starai peggio. Andiamo, non ti ricordi com’era alla Royal? Quando salivi sul palco era tutto perfetto, io me lo ricordo, eri bellissima.»
   «Non siamo alla Royal qui, quello che stiamo facendo è totalmente diverso.»
   «Hai ragione, è meno importante della Royal: è solo un matrimonio.»
   «No, intendo dire… O mamma...» Andrea prende un grosso respiro e mi trascina dove c’è meno gente. «Intendo dire che lavorare con te è una cosa completamente diversa: tu fai musica pop.»
   «Lo so», dico annuendo. Non so perché lo dico, forse solo per dire qualcosa e darle l’impressione che ho capito cosa sta dicendo, invece non so ancora dove vuole andare a parare.
   «L’ambiente della Royal, ammettiamolo, è importante, sì, ma non raggiunge tutte le persone che invece raggiungi tu con la tua musica. Quello è un genere diverso con un pubblico diverso: meno vasto e con già le idee chiare in testa su cosa sia veramente la musica.»
   Faccio un mezzo sorriso. «Insomma, stai dicendo che hanno la puzza sotto il naso.»
   «Sì. No! Cioè, voglio dire che la tua musica fa cose stupende: tu riesci ad arrivare dritto nel cuore della gente con melodie bellissime, non per forza importanti o difficili da suonare, o che so io. Le tue canzoni sono veramente oneste, ed è per questo che la gente riesce a identificarcisi. Sono pensate e scritte con il cuore, io lo so, vedo come sei quando scrivi una canzone.»
   Rimango realmente sorpreso dal sapere che questo è quello che Andrea pensa della mia musica. Va al di là di qualsiasi cosa mi abbiano mai detto. È un complimento meraviglioso, e il fatto che lo pensi proprio lei mi rende solo più orgoglioso e felice. Per cercare di smorzare un po’ il tono serio della discussione sorrido, leggermente imbarazzato, e dico: «Guarda che io ci mangio con i miei cd.»
   Lei mi dà una spintarella. «Lo so, ma hai capito cosa voglio dire.»
   «Sì, ho capito. Ma non ho capito cosa volevi dire prima. Qual è il problema? Come mai sei così nervosa?»
   «Perché cantare queste canzoni, mandare questi messaggi alle persone… è più di quel che riuscivo ad immaginarmi, quando ti ho proposto di lavorare insieme. La tua musica è veramente importante per i tuoi fan. Tu sei importante per loro. È veramente un grosso impegno, e devo essere sincera: non lo immaginavo quando ho pensato che potevo essere la tua corista. Pensavo fosse solo qualcosa di divertente da fare, ma non è così.» Andrea guarda la sala e indica una persona fra la folla, un ragazzo che avrà al massimo diciassette anni seduto in prima fila che guarda il palco ancora mezzo vuoto e molleggia il piede a terra, impaziente. «Ho parlato con il fratello della sposa. È lui che ha proposto di contattare te per il matrimonio, e sua sorella ha accettato perché gli piaci, ma anche per fare un piacere a lui: è tuo fan da quando era bambino.» Andrea mi guarda e sorride: «Sembra un bravo ragazzo, e tu e la tua musica significate davvero, davvero molto per lui. Mi ha detto che grazie alle tue canzoni è riuscito ad uscire da un periodo di depressione molto brutto, un paio di anni fa, e che ti è molto grato per questo.
   «Vedi che cosa fai per le persone, Michael? Cantare We Are Golden, o Make You Happy, o qualsiasi altra cosa, fa veramente la differenza.»
   La guardo serio, gli occhi fissi nel suo volto, e capisco che crede in quel che sta dicendo. «La differenza di cosa?», chiedo in un sussurro.
  «Fa la differenza per tutte le persone che hanno trovato qualcosa di importante nelle tue storie, nei mondi che crei. Ma sai una cosa? In questo mondo, in qualsiasi altro mondo, puoi distinguere la differenza fra quel che ti fa soffrire e quel che ti rende felice. Invece nel tuo mondo no.» Andrea sorride. «Nel tuo mondo tutto è mischiato, non c’è modo di staccare felicità e tristezza, ma l’unica cosa che sentono, quando pensano alla tua musica, è la felicità. Anche se esiste sempre il lato oscuro nelle tue canzoni, si percepisce solo l’allegria.»
   «Mi stai dicendo che non te la senti? Di cantare assieme?», chiedo con un po’ di rammarico.
   «No, ti sto solo dicendo che è qualcosa di molto importante, e che mi impegnerò al massimo delle mie forze.» Sorride e getta un’occhiata alla sala. Sbuffa con un’espressione a metà fra l’esasperato e il terrorizzato. «Certo che sono proprio tanti però.»
   Rido e la prendo per mano, avviandomi verso il palco. «Tranquilla, ti sembreranno una bazzecola quando vedrai il Parc des Prices di Parigi.»

   Quella notte, solo nel mio letto, ripenso alle parole di Andrea.
  Sono uno dei pochi fortunati che possono vantare una carriera che è anche la loro passione. Quando ho iniziato è stato tutto così veloce che non mi sono mai veramente reso conto dell’impatto che la mia musica ha sulle persone. O meglio, lo sapevo, ma non ho mai creduto che fosse qualcosa di tanto profondo anche per il pubblico.
   Secondo Andrea la mia musica rende felici le persone. È una cosa piuttosto incoraggiante da sentirsi dire. Se è per questo, la mia musica rende felice anche me, ma non devo dimenticare cos’è che mi permette di creare queste canzoni: i miei amici, la mia famiglia, le persone che amo e a volte persino quelle che odio. Sono come un ladro, rubo le storie della gente che mi sta attorno, le elaboro nella mia testa e gliele ributto indietro sotto forma di registrazione.
   Andrea dice che tutta questa faccenda del cantante è davvero impegnativa, e non solo per gli impegni che in effetti mi ritrovo, spesso, a dover gestire tutti assieme, ma dal punto di vista umano. Ha ragione, ma questo mi fa pensare a qualcos’altro: oltre a tutto ciò che ho già elencato, cos’è che mi rende felice? C’è qualcosa, lo so, qualcosa che ho ma che allo stesso tempo mi manca.
  Mi rigiro di nuovo fra le lenzuola, questa volta provando a pancia in giù. So che devo dormire, che anche domani ho le prove e che dovrò alzarmi presto, ma non riesco a prendere sonno. Mi impongo almeno di chiudere gli occhi e smettere di fissare la scrivania, e quando mi rigiro per l’ennesima volta nel letto, troppo grande e troppo vuoto, sento la mancanza di Andrea.
  Vorrei che lei fosse qui, così potrei abbracciarla con un braccio solo, pigiare il mio petto contro la sua schiena, e tutti e due potremmo sentire i piedi freddi dell’altro, e scaldarceli.




















Buonsalve a tutti! ^^
Allora, questo capitolo dice quello che penso io della musica di Mika. Forse molti non ci pensano in maniera così filosofica, ma io sono fatta così e mi piace filosofare su certe cose. Morale della favola? Non lo so, so solo che Mika dovrebbe essere per lo meno soddisfatto dell'alta idea che ho di lui e della sua musica u_u
Comunque spero di non avervi annoiato troppo con questo capitolo filosofeggiante.
Che altro dire? Nulla di che, immagino. Vi lascio allo spoiler (uhuh, secondo me il prossimo capitolo potrebbe piacere a molte persone! Però vi dico che non dovete farvi ingannare dal titolo. Sono sadica a mettervi questa curiosità addosso, lo so!) e ci vediamo la prossima settimana :)
Patrizia
   
 
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