Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Elizabeth_Tempest    09/10/2012    4 recensioni
Nella Danimarca settecentesca, il destino di una testarda contessa e di un misterioso giovane venuto da lontano s'intrecceranno.
"Friederieke guardava fuori dalla finestra, annoiata, rigirandosi pigramente il lavoro tra le mani; il cucito non l’aveva mai entusiasmata, lo aveva sempre trovato noioso dato che non ne trovava una vera utilità pratica –del resto i suoi abiti arrivavano sempre da qualche sartoria della capitale, dove suo padre spendeva un vero e proprio patrimonio per farle avere sempre i modelli più in voga alla corte francese.
Si concentrò sul ricamo, tentando di ricordare cosa fosse di preciso… forse un usignolo? si chiese, lanciando un’occhiata perplessa ai fili azzurri.
Non le sovvenne nulla ed alzò lo sguardo, sperando di poter sbirciare il lavoro della signorina Bernstein che invece pareva tutta presa dalla sua opera e la teneva in modo tale che la fanciulla non potesse vedere cosa stesse ricamando." [dal primo capitolo]
La storia è ambientata prima degli eventi di The Lost Canvas, ed è collegato ad uno dei gaiden.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Pisces Albafica
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo VIII

Iedike si chiuse nella sua stanza, ignorando bellamente la signorina Bernstein e spalancando l’armadio: la tentazione di presentarsi a pranzo come la più convinta delle meretrici, giusto per il gusto di vedere la faccia scandalizzata di padre Hans –e, perché no, magari uno sguardo infiammato dal desiderio da parte del suo ospite; di certo non l’avrebbe offesa- era tanto forte che farla sragionare.

Da quando quell’incantatore vestito da prete era arrivato a Frydenjord, tutto era cambiato, si era rovinato: la gente era diventata strana, morta dentro, il villaggio non risuonava più del suo caos allegro e piacevole, al suo posto rimaneva solo un'apatia generale che, sempre più spesso, stava degenerando in atti di una violenza inaudita, cose che nemmeno la grappa poteva spiegare e ora quell’uomo voleva introdursi anche nella sua casa?

Non gli bastava aver rovinato il villaggio? Aver plagiato suo padre?

Il suo caro padre, sempre così buono con lei, così ingenuo, che ora pendeva dalle labbra del predicatore come mai aveva fatto con padre Peder e che, sempre più spesso, pareva volerla spingere ad abbracciate in toto la religione e a maritarsi. Non prendeva più alcuna decisione, il conte Frydendahl, senza aver consultato padre Hans, quell’uomo ora era la sua Bibbia vivente… anche Ludwig pareva andarci molto d’accordo… ma quell’uomo, quel maledetto parassita, perché altro non poteva essere, ne era certa, l’odiava.

Padre Hans sapeva bene che Friederieke Frydendahl non poteva essere messa nel sacco con qualche moina e la blanda minaccia dell’Inferno e per questo la odiava…

A distrarla dai suoi pensieri fu la sua precettrice, che schioccò la lingua con disapprovazione. –Signorina Friederieke, questo modo di fare è poco consono ad una signorina nella vostra posizione: una signorina per bene non mostra la sua rabbia, ma la cela e porge l’altra guancia.

Iedike si voltò, gli occhi azzurri che mandavano lampi d’ira; non sapeva perché quella rabbia fosse fuoriuscita così repentinamente, ma le parve inarrestabile, un incendio che divampava divorando tutto ciò che trovava sulla sua strada. –Sinceramente, signorina Bernstein, non è mia aspirazione divenire una martire e qua, in camera mia, penso di avere il diritto di cedere alla rabbia. Mettete via quel vestito, non ho intenzione di vestirmi come una monaca: ho caldo, penso che metterò il vestito rosso che mio fratello ha portato da Londra.- sibilò la ragazza ed in quel momento il viso fiero e barbaro rivelò l’antica e famosa vena sanguinaria dei Frydendahl.

-Ma… signorina Iedike!- esclamò la donna, in parte spaventata da quella reazione, che, come sapeva bene, portava solo guai, ed in parte scandalizzata. –Signorina contessa, ragionate per carità di Dio! Quell’abito non è certo adatto per pranzare con un ministro del Signore!- ma non ebbe il coraggio di continuare dopo l’ennesimo sguardo di Iedike.

Tacque e prese l’abito che la contessa desiderava, dando poi ordini secchi a Ina ed Edda, che erano appena entrate nelle stanze della giovane aristocratica.

In poco tempo la fanciulla venne abbigliata e acconciata e Iedike non poté dirsi che soddisfatta: l’abito, che Ludvig aveva fatto cucire con qualche modifica pensata appositamente per lei, la sorella scalmanata e selvaggia, esaltava la figura snella ma non la costringeva troppo, lasciandole una certa libertà di movimento. La profonda scollatura quadrata, bordata da pizzo italiano leggero e candido che ne nascondeva la profondità, contrastava col rosso cupo dell’abito, decorato da ricami dorati, i quali riprendevano certe cineserie esibite da non si sapeva bene quale principessa francese, mentre le maniche si allargavano sopra il gomito, en sabot, rivelando diversi strati di mussolina leggera e finissima di un bianco quasi accecante.

I capelli vennero semplicemente raccolti in una treccia morbida, come Iedike li preferiva, ed infine la contessa indossò dei gioielli di perle.

Con un sorriso soddisfatto la giovane si rimirò allo specchio, mentre infilava le scarpette di raso rosso.

-Siete così bella, contessa.- si lasciò sfuggire Ina, ammirata. La signorina Bernstein le scoccò uno sguardo di rimprovero, ma Iedike, con un sorrisetto furbo, la ringraziò, poi, presa sottobraccio l’istitutrice prussiana, scese nella sala da pranzo.

 

Albafica, dopo aver speso molto tempo a frugare nella biblioteca, era giunto alla conclusione che quella stanza non nascondesse nulla e si era infine accomodato, aspettando che venissero a chiamarlo per il desinare e pensò a quel poco che sapeva.

Padre Hans era giunto alla morte del precedente curato, padre Peder, un uomo “di spirito e di nerbo, con un cuore da santo e la battuta facile”, come aveva spiegato Jens, il quale era un amico di vecchia data dell’ormai passato a miglior vita prete.

Il nuovo predicatore era un uomo raffinato, colto e scaltro, da come gli era stato descritto, che preferiva occuparsi delle belle parole e delle promesse di torture ed Inferno, piuttosto che delle persone che Dio gli aveva affidato, dalla parlantina “pericolosa come il veleno di una vipera”, che aveva incantato perfino di conte Frydendahl.

“L’unica ad esserne immune, per ora, è Friederieke. Per ora, perché, anche se è una gran testarda, non so quanto potrà resistere al grigiore: prima o poi diventerà un morto vivere come tutti gli abitanti del villaggio.” aveva sussurrato sconsolato Jens, tracannando una chicchera di grappa.

Già, Friederieke Frydendahl, la contessa più bizzarra che avesse mai conosciuto: bellissima ed orgogliosa, gli occhi di cielo inquisitori ed intelligenti ed il sorriso più radioso mai visto, almeno fino al Giapango.

Così sfuggevole… non aveva un posto preciso, in quel mosaico confuso, eppure, se smetteva di ragionare con la mente, il cuore gli diceva, anzi, gli urlava, che quella fanciulla non era che un’innocente e che, ben presto, sarebbe stata una vittima da vendicare, se non avesse scoperto in fretta cosa stava succedendo.

Ma, Albafica lo sapeva bene, col cuore non si poteva andare molto lontani, lo aveva imparato a sue spese e quasi invidiava il dono dei cavalieri dei ghiacci, quello di essere gelidi e adamantini come l’elemento che padroneggiavano con assoluta maestria.

E poi c’era il conte Ludvig, il fratello della giovane ed incantevole contessa, altrettanto sfuggente, ma, a differenza della giovane donna, non così innocente. Lo avvertiva nel profondo, quell’uomo nascondeva qualcosa, un segreto pericoloso forse, ma in ogni caso era un qualcosa che lo inquietava. Un’incognita che poteva rivelarsi pericolosa.

Possibile che quel fratello tanto affezionato e complice potesse davvero essere alleato della stella malefica o, peggio ancora, esserlo lui stesso? In quel caso davvero avrebbe venduto ad Hades quella giovane nata dal suo stesso grembo? Non sapeva rispondersi, aveva visto troppi orrori e depravazioni, nella sua vita di Saint, per poter affermare con assoluta certezza che mai un fratello avrebbe venduto la propria sorella per gloria e potere.

Per quanto riguardava la baronessa Sophia, non gli era parsa pericolosa ed era solo un’ospite, in effetti. Una fanciulla scioccarella e vanesia, che non aveva abbastanza influenza su quelle terre per determinare un morbo dell’animo come quello che stava colpendo gli abitanti di Frydenjord.

Era così assorto nei suoi pensieri, che nemmeno si accorse che una delle serve era entrata nella biblioteca finchè la giovane, col viso in fiamme e gli occhi pieni di ammirazione –Albafica maledì mille volte il suo aspetto, così inutile e controproducente- , fece una riverenza e si schiarì la voce. Il giovane guerriero alzò lo sguardo su di lei.

-Monsieur Van Dijk è atteso dal conte Frydendahl e dai suoi figli, la contessa Friederieke e il conte Ludvig, per il pranzo. Vi prego di seguirmi.- balbettò la giovinetta.

Il ragazzo si alzò e quella gli fece da guida fino alla porta, di legno scuro ed antico, intagliato con scene di guerra ormai cancellate dall’usura, davanti al quale stava aspettando una donna alta e bionda, dal viso severo e con lo stesso sguardo impertinente di Friederieke. Il viso, dai tratti danesi alteri, assomigliava molto a quello di Sophia ed Albafica non ebbe dubbi sulla sua identità: di certo era la baronessa Maria Eckersberg.

La nobildonna si accorse del nuovo venuto e, con un sorriso di circostanza, lo salutò cortesemente, continuando a sventagliarsi: al giovane parve preoccupata, ma non sapeva spiegarsi il perché.

Pochi istanti dopo il pesante silenzio che era calato tra i due ospiti venne rotto da delle risatine divertite che rivelavano l’arrivo di Christina e Sophia: le due fanciulle, bardate con abiti stranamente semplici per il loro gusto, anche se uno sguardo più attento rivelava quanto la stoffa dovesse essere costata al barone Eckersberg –e non si parlava certo di poche corone- e quanto le cuciture e i ricami fossero di buona fattura.

Christina, che delle due sorelle era sempre stata la più modesta e la più timida, il cui carattere tranquillo era stato però intaccato dalle cattive abitudini della nonna e delle zie, aveva scelto un abito scuro, dalla linea abbastanza semplice e molto accollato, ma Sophia aveva optato per un bell’abito dai colori tenui, forse il modello più casto tra quelli proposti a Versailles, ma di certo non adatti alla vista di un prete di campagna.

La giovane baronessa era accompagnata da un bimbetto di non più di otto anni, la pelle nera come la notte, vestito come un piccolo pascià, con abiti preziosi e chiari, che esaltavano ancora di più l’esoticità della sua persona. Gli occhi della creatura, grandi e profondi, erano tristi e, allo stesso tempo, vuoti, come quelli di tanti schiavi: chissà quando aveva rinunciato all’idea di essere stato libero, si chiese Albafica.

O forse era nato in schiavitù e la libertà non era stato altro che un tarlo doloroso nella sua mente, che l’aveva spinto proprio nella direzione opposta, nella passiva accettazione di quella prigione, alla morte dei moti di spirito che caratterizzavano l’uomo libero dai ceppi mentali della schiavitù.

Quel fanciullo, dopotutto, non era differente dagli abitanti di Frydenjord e, con un terrore quasi inconcepibile, immaginò Friederieke e Jens –ma soprattutto quella giovane donna innocente- al posto del bambino nero.

Il giovane olandese fece un inchino alle due giovani baronesse, che risposero con riverenze aggraziate e sorrisi ammaliatori –o sciocchi, come meglio si voleva definirli- e subito Sophia prese la parola.

-Oh, monsieur Van Dijk! Spero non abbiate atteso troppo! Purtroppo Karim ha rovinato uno dei miei vestiti, sapete… fatto arrivare da Versailles, dallo stesso sarto che veste la Regina! Purtroppo è un selvaggio, non si può certo pretendere che capisca il valore delle cose.- disse la giovane, con un sorriso convinto. –Si sa, i negri un anima non ce l’hanno e bisogna che noi, che siamo loro superiori, insegniamo loro a comportarsi a dovere… confido che il buon Dio, che mi ha dato questa missione, guidi il mio giudizio, perché non posso non soffrire per questo sfortunato.

-Davvero buona, baronessa.- commentò Albafica, fingendosi commosso da quelle parole che urtavano il suo animo nel profondo.

Al Santuario, da secoli, arrivavano persone di ogni dove, pronte a servire Athena per il bene dell’umanità e quella sciocca ragazza, dall’alto del suo finto perbenismo, parlava con un tale disprezzo della razza nera, da fargli seriamente venirgli voglia di urlarle in faccia.

Non era da lui, ma il pensiero dei piccoli apprendisti cavalieri –di cui un piccolo gruppetto di fanciulli tra i cinque e i dieci anni era appena giunto da un angolo remoto dell’Africa- che imparavano ad immolarsi per la salvezza di certa gente gli divenne insopportabile.

-Oh, me lo dicono spesso, sapete? Non è da tutti avere tanta pazienza con questi selvaggi!- esclamò la giovane.

Christina, annuendo, cantò le lodi della sorella, ma il suo sguardo esprimeva tutto fuori che ammirazione: ne era invidiosa e, allo stesso tempo, era succube di quella personalità così forte e dispotica.

Il guerriero iniziava a sentirsi nauseato da quelle due, mentre la baronessa Maria osservava la scena in silenzio, il viso una maschera gelida ed immobile che nascondeva fiumi di disprezzo per quelle due creature che aveva messo al mondo: dei Frydendahl le sue figlie non avevano assolutamente nulla, erano solo due stupide Eckersberg, la sua più grande vergogna.

I suoi poveri genitori, se le avessero viste, si sarebbero vergognati e l’avrebbero disconosciuta come figlia, ma, grazie al cielo, essi non erano vissuti abbastanza per vedere quello scempio. Ovunque essi fossero, Maria sperò che seguissero con il loro sguardo solo Iedike, che di tutti i loro nipoti era l’unica ad avere davvero sangue Frydendahl nelle vene.

 

Iedike riusciva a sentire le voci delle cugine fin da infondo al corridoio e, più si avvicinava, più intuiva l’argomento della conversazione: Karim, lo schiavo negro di Sophia, un bambino sveglio ed intelligente che quella sciocca ragazza Eckersberg aveva ridotto da un giocattolo rotto.

Quel povero infante, catturato nella Sierra Leone, era giunto tra le grinfie della sua parente due anni prima, come dono di compleanno, era stato un bambino scalmanato e allegro, come tutti i fanciulli della sua età e più di una volta aveva tentato la fuga, forse nella vana speranza di rivedere la madre, che era stata venduta ad un mercante di schiavi il quale, a quanto ne sapeva la giovane contessa, l’aveva rivenduta ad una piantagione di cotone ad Haiti.

Ogni volta il barone Eckersberg lo aveva fatto frustare finchè, di quell’animo allegro e selvatico, non erano rimasti che i cocci. Iedike guardava sempre quel bambino con pietà e dolore, perché lo comprendeva: se fosse stato per Sebastian Eckersberg, che sperava sempre nella morta prematura di suo padre e suo fratello, ella stessa avrebbe fatto una fine simile a quella di Karim.

Era una donna, sarebbe per sempre stata una schiava, nel bene e nel male. Ma non poteva dirlo ad alta voce.

Sempre a braccetto della signorina Bernstein, comparve nel piccolo atrio di fronte alla sala da pranzo, sorridendo quando gli occhi di zaffiro di Albafica Van Dijk su posarono su di lei.

 

-Ma come si è vestita?!- bisbigliò Christina, mettendo a tacere Sophia. Albafica, non intuendo istantaneamente a cosa si riferisse, si voltò e si trovò davanti una bellissima contessa Frydendahl.

L’abito rosso scuro che indossava era forse un dono della stessa Afrodite, perché la sua figura già squisita ora pareva assolutamente celestiale: non gli sovvenne donna più bella della giovane danese di fronde a lui, nemmeno quando si sforzò di ricordarne una.

Fece un inchino e la fanciulla rispose con una riverenza. –Monsieur Van Dijk, zia, cugine care. Vedo con piacere che non sono in ritardo come pensavo.- disse la fanciulla, ma il suo sguardo azzurro era solo per Albafica.

Ci ho messo un po', mi dispiace ^^ Niente, il mio prof di diritto è pazzo e io sto cercando di studiare senza libro, la motivazione di fondo è questa ^^ Non so voi, ma io arrivo sempre a fine ottobre con almeno un libro che manca.

Bene, Alba è cotto, Iedike è nera, nel prossimo capitolo vedremo qualche scintilla.

   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Elizabeth_Tempest