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Autore: j a r t    09/10/2012    2 recensioni
Chester ha 16 anni ed è al liceo. Si sente giustamente incompreso e solo, i suoi compagni di classe non fanno altro che prenderlo in giro. Arriva però una nuova professoressa che vuole aiutare Chester a superare il suo momento difficile e gli fa capire che la vita ha in serbo per lui un destino diverso da quello che immagina.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Chester Bennington
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oh, ma che bello, è precisamente un mese che non aggiornavo .____. BEH, TRANQUILLI, SONO VIVA, FUCK YEAH. Anyway, mi scuso con chi segue/recensisce/legge la storia per aver aggiornato così tardi ma un po' per la scuola, un po' per le varie attività e un po' perché pubblicherò finalmente il mio manga *orgogliosa* ho scritto il capitolo un po' a pezzetti ^-^" in cambio, ve lo regalo di una lunghezza accettabile (forse) *w*

Per un po' i personaggi della prof e Sally si distaccheranno, prima di assumere la loro importanza decisiva^^
Detto ciò, buona lettura :3
CHAP 8
Sally non era proprio una bella ragazza, ma neanche brutta, insomma... una tipa normale. Avete presente le tipe normali, no? Quelle con i capelli lunghi, lisci, castani e che indossa sempre jeans stretti e magliette attillate. L’unica cosa che la rendeva ‘anormale’ - o perlomeno diversa dalle altre ragazze - era la sua passione per i gruppi rock e metal. Si sa che le ragazzine sono in fissa con i figaccioni pop. Lei no, però, e aggiungerei un ‘per fortuna’: non mi erano mai piaciute le ragazzine che adoravano gli artisti solo per la loro bellezza. Anzi, aspetta. Non mi erano mai piaciute le ragazzine, insomma, non ci avevo mai fatto caso, non mi ero mai interessato a loro. Ma che?! Mica mi stavo interessando a Sally?!
No categorico.
Avevo chiuso con le donne già prima di iniziare a combinarci qualcosa. Beh, come dire...? Troppo complicate, già. Bastava pensare a mia madre, la prima donna della mia vita: se n’era andata di casa fregandosene di tutto e di tutti solo per un suo capriccio. Beato chi la capiva.
 
Sally scese le scale per trovarsi proprio di fronte a me in soggiorno. Era deliziosa vestita in quel modo, con un nastro azzurro tra i capelli, un bel vestitino turchese decorato con tanti strass e... aspetta. Perché diavolo si era vestita così bene? Per il mio compleanno? Accidenti. Forse la cosa era più seria di quel che mi aspettassi, per lei.
Mi avvicinai squadrandola da capo a piedi, risultando forse un po’ fastidioso.
“Beh?” proruppe lei quasi all’improvviso.
Stetti un po’ in silenzio, poi mi decisi finalmente a rispondere.
“Sei carina” dissi semplicemente portandomi una mano dietro la nuca.
Ero imbarazzato, era palese. Sentii un calore sulle guance e sperai con tutto me stesso che non si notasse il colore che stavano assumendo. Abbassai la testa come per nascondermi e ringraziai il Cielo per non avere altri tipi di problemi in quel momento. Il rossore alle guance mi bastava.
Alzai la testa di nuovo dopo poco e la osservai meglio. Non era normale, non era deliziosa, era bellissima. Davvero tanto.
“Allora andiamo?” domandò la prof che arrivò alle mie spalle: anche lei era bella, vestita molto elegante.
Mi guardai un attimo gli abiti. In confronto a loro facevo davvero pena: non sembrava il mio compleanno, piuttosto di una delle due.
“Su, tranquillo” mi anticipò la prof come se mi avesse letto nel pensiero. Mi prese per mano e con Sally al seguito ci avviammo verso la sua auto.
 
Poggiato con la testa contro il finestrino, nessuna delle due spiccicava parola e quella situazione un po’ mi inquietava. Forse non sapevano cosa dire, cosa chiedere. Osservavo le luci dei lampioni scorrere una dopo l’altra senza interesse, sperando solo di arrivare a destinazione, che probabilmente sarebbe stata più allegra.
 
Mi riscossi quando l’auto si fermò.
“Siamo arrivati!” esclamò la prof tutta allegra seguita da un “era ora” della ragazza seduta accanto a me. Scendemmo e mi ritrovai giusto di fronte un bel ristorante abbastanza grande ed elegante, con un giardino sul davanti. Non avevo mai mangiato in un ristorante così figo e mai avevo sperato di farlo: era un’ambizione troppo grande per la mia vita modesta. Il giardinetto sul davanti era ben curato, con l’erba tagliata a pelo e le aiuole di varie forme.
“Forza!” mi invogliò la prof ad entrare dentro, distraendomi dall’ammirazione che provavo per quel posto.
 
Solo allora ci pensai, ma mi venne in mente subito: come faceva lei a sorridere sempre e incondizionatamente? Se fossi stato io al suo posto, di certo non sarei stato bello allegro e sorridente senza un marito.
Oddio.
Che andavo pensando?
Scossi la testa e Sally mi guardò stranita, come se fossi un pazzo idiota che parlava da solo.
Beh, tanto torto non l’aveva.
 
La serata fu splendida, una delle più bella della mia vita, se non la migliore in assoluto: mangiammo fino a scoppiare - almeno io e Sally, la prof si mantenne più sul leggero - e c’era di tutto: dagli antipasti con le fritture che amavo alla pizza, carne e pesce, che però non mangiai.
“Perché non lo mangi?” mi aveva chiesto la prof sbirciando nel mio piatto e notando che non avevo toccato quell’anguilla neanche con la punta della forchetta.
“Mi fa schifo il pesce” solita frase fatta dei bambini di due anni.
“Se solo lo provassi ti renderesti conto che è buono.”
La guardai come se fosse impazzita di botto.
“Non sono un bambino piccolo, l’ho già assaggiato altre volte, ma mi fa schifo lo stesso.”
Tornai a volgere lo sguardo verso quell’anguilla nel mio piatto e immaginarmela viva, viscida e sgusciante mi faceva venire il voltastomaco: e per quale assurda ragione avrei dovuto mangiare quella schifezza?
Incrociai le braccia aspettando il prossimo piatto e la prof sospirò divertita.
 
A fine serata non avevo più voglia di farmi quelle amate canne. Chissà perché? Forse perché non mi sentivo più solo.
Anche soltanto il pensiero di fumare mi faceva venire i brividi e provare disgusto.
“Dai, ti accompagno a casa” fece la prof facendomi entrare in auto.
Sally non parlò per la maggior parte della serata, probabilmente perché quel “Sei carina” l’aveva disturbata... oppure si aspettava qualcosa di più?
N O P E.
Dovevo smetterla di pensare a quelle cose, mi facevano arrossire in maniera assurda!
 
“Ok, allora ci vediamo domani a scuola, ciao!” mi salutò la prof mentre io scendevo dall’auto.
Io non ce l’avevo tutto quell’entusiasmo, come mai?!
Anche Sally mi salutò con un sorriso, finto come il biondo dei miei capelli.
Ricambiai il saluto di entrambe ringraziandole ed entrai in casa.
Era tutto buio quando aprii la porta. Pensai che Brian non fosse ancora - stranamente - tornato dal lavoro, ma mi ricrebbi quando mi accorsi che c’era proprio lui seduto al tavolino del soggiorno con una grossa torcia accesa.
“Ci hanno staccato la corrente» sussurrò lui e mi meravigliai di quanto tempo avessimo potuto tenerla senza pagare le bollette.
Crollò un silenzio spaventoso su quella stanza, così pesante da sembrare di piombo.
Hey Brà, è il mio compleanno oggi!
Già, e tu non mi hai ancora fatto gli auguri.
Né mai me li farai.
Gli occhi iniziarono a lacrimarmi senza un mio palese permesso. Io ci tenevo, ci tenevo tanto, come un bambino piccolo. Ma quello che in realtà mi faceva piangere era la nostra situazione: come avevo potuto spassarmela così tranquillamente mentre lui era qui da solo al buio?
Mi sentivo grande, più di lui. Sentivo delle responsabilità che non avrei dovuto avere, se fossimo stati una famiglia normale.
Tornate dentro, brutte stronze di lacrime!
E invece no.
Non mi ascoltarono, solo mi sfidarono e scivolarono lungo le mie guance, veloci e irraggiungibili. Corsi in fretta in camera mia per non mostrarmi così debole con mio fratello maggiore. Richiusi la porta alle mie spalle e mi sfogai in un pianto liberatorio non troppo forte, per paura che Brian mi sentisse attraverso quella sottilissima porta.
Acceso delle candele che avevo in camera e mi preparai una bella canna da fumare in pace. Quella pace che potevo raggiungere solo tramite essa. Come avevo potuto pensare solo per un attimo di separarmi dalla mia unica certezza e fonte di gioia?
Gioia fittizia, lo sapevo. Quella gioia che tradiva un pezzettino del mio fottuto cervello ogni volta.
Quando finii l’effetto fu devastante: non ci ero più abituato. Però ero felice. Ero felice come pochi su quel pianeta.
Mi coricai pensando alla solitudine di Brian e a cosa realmente facevo/non facevo per lui e per noi, per rendere migliore quella situazione di merda.
Forse avrei fatto meglio a lasciare una scuola e trovarmi finalmente un lavoro. Sì, ero deciso: anche contro la volontà di Brian che mi spingeva a continuare gli studi, il giorno dopo stesso avrei trovato un lavoro adatto a me per procurare un po’ di soldi.
Il cuscino accolse le mie lacrime come sempre e solo lui sapeva fare.
 
Il giorno dopo Brian venne per svegliarmi e balzai dal letto fronteggiandolo.
«Vado a trovarmi un lavoro.»
Mi guardò perplesso. Lo avrebbe voluto e non voluto allo stesso tempo, lo sapevo.
Abbassò lo sguardo sospirando.
«Va bene. Non immischiarti in brutte cose.»
Annuii con convinzione. Non che l’idea di lavorare mi eccitasse, ma era sicuramente meno noioso dello stare in classe e avere a che fare con monomi, binomi e compagnia bella.
 
Mi lavai dopo essermi fatto qualche canna sperando che non si notasse troppo il rossore degli occhi. Brian era già uscito da un’oretta quando anch’io mi incamminai per le strade della città. Con le mani in tasca squadrai le vetrine dei negozi una ad una, sperando di notare uno di quei foglietti gialli o arancioni con su scritto “cercasi apprendista/lavoratore/qualcosa del genere”. Vagai come un disperato per mezz’ora e ogni vetrina che oltrepassavo era un abbattimento.
Passai davanti al barbiere e fu lì l’illuminazione: un bel cartoncino bianco annunciava che il negozio cercava personale per un aiuto. Entrai sperando di trovare qualcosa di accettabile.
«Salve» salutai con indifferenza.
Al bancone c’era un vecchietto che assimilai a quello del negozio di dolci. Forse avevano la stessa età, ma magari questo non era proprio simpatico come l’altro.
«Dimmi» rispose scorbutico e mi resi conto che la mia impressione era esatta.
«Sono qui per la proposta di lavoro.»
«Bene ragazzino, apri le orecchie: se ti faccio fare un periodo di prova non è scontato che ti prenda a stare qui. Il tuo lavoro consiste solo nel pulire questo posto tra un cliente e l’altro. Niente di più, ma neanche niente di meno. In compenso, dato che il mio locale è molto famoso e c’è tanta gente, il tuo lavoro lo dividerai con quella ragazza lì giù» mi indicò una ventenne dai boccoli rossi «sempre che ti prenda a lavorare qui» proseguì.
«Non me ne frega, mi servono solo soldi» risposi dopo essermi sorbito quella predica interminabile.
«Già mi piaci, ragazzo.»
  
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