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Autore: chocofrogs    12/10/2012    3 recensioni
«Ehi, Cato, guarda quella, forse quest'anno hai una rivale» il tono sarcastico di Paul era evidente, la ragazzina esile che stava attraversando l'atrio, era davvero piccola, con quelle trecce more che le cadevano sulle spalle e gli occhioni scuri da cerbiatta, sembrava quasi fuori posto.
Ma non aveva paura.
Non di quelli più grandi, che l'avrebbero potuta spezzare con due dita, anzi, aveva il volto alto, un passo fiero, e gli occhi lanciavano scintille ad ogni sguardo che incrociava il suo.
Sghignazzai appena, prima che si avvicinasse a me e mi sussurrasse qualcosa all'orecchio, appena udibile, come una minaccia.
«Non ridere, fra poco non saprai più come si fa»
Genere: Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cato, Clove
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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 It's in my DNA



 

«Ehi, Cato, guarda quella, forse quest'anno hai una rivale» il tono sarcastico di Paul era evidente, la ragazzina esile che stava attraversando l'atrio, era davvero piccola, con quelle trecce more che le cadevano sulle spalle e gli occhioni scuri da cerbiatta, sembrava quasi fuori posto.
Ma non aveva paura.
Non di quelli più grandi, che l'avrebbero potuta spezzare con due dita, anzi, aveva il volto alto, un passo fiero, e gli occhi lanciavano scintille ad ogni sguardo che incrociava il suo.
Sghignazzai appena, prima che si avvicinasse a me e mi sussurrasse qualcosa all'orecchio, appena udibile, come una minaccia.
«Non ridere, fra poco non saprai più come si fa»

«Clove, prego, fai un passo avanti» l'allenatore sorrise alla ragazzina, si chiamava Clove, allora.
Fece un piccolo segno di saluto a tutti, prima di camminare verso i coltelli, di ogni tipo, e lanciarne uno proprio al centro del manichino.
Deglutii, come fecero anche Paul e Kathrina, aveva solo dodici anni, ma era una serial killer professionista. Aveva una mira precisa, infallibile, ma non tanta forza, quella che a me non mancava; faceva a pezzi tutti i manichini, con tutti i coltelli, se la cavava anche col tiro con l'arco e la spada, la scure era un'altra delle sue specialità, però senza nessuna arma, lo sapeva anche lei, era spacciata.
Le parlai per la prima volta al suo secondo giorno di scuola all'Accademia, stava intagliando un ramo, appuntendolo sempre di più, quando io mi avvicinai.
«Dove hai imparato?»
«Non ti interessa, Cato» rispose secca, continuando ad affilare il ramo.
«Sai, Clove, non tutti a dodici anni sanno maneggiare, quante?, quattro armi perfettamente e se la cavano con tutto il resto. Quindi, per favore, chi ti ha insegnato?»
«Non ci crederai, ma ho imparato da sola, ho ucciso quattro uomini e ora ucciderò anche te perchè sai del mio segreto» fu la sua risposta ironica, facendo trapelare da quelle pozze scure puro divertimento.
Era carina.
«Tranquilla, so difendermi. Ora vado, ci vediamo.» le feci un occhiolino, ma lei alzò gli occhi al cielo e sussurrò un «
io non ci giurerei» divertito.
Non era male, in fondo.

La seconda volta che le parlai aveva quattordici anni ed era diventata una bella ragazza, a modo suo, così dannatamente misteriosa e letale da far venire la pelle d'oca.
Eravamo ad allenamento e lei stava cercando di impugnare una spada più grossa, ma era sempre esile e con poca forza, io mi avvicinai da dietro, facendo aderire il mio corpo al suo e misi la mano sopra la sua, sollevando la spada.
«Che fai?» ringhiò, senza, però, liberarsi dalla mia stretta ferrea.
«Ti aiuto, sei senza forze, Clove, sai usare bene le armi, ma che mi dici dello scontro a corpo a corpo? Non avresti di certe molte chance di uscirne illesa»
«Lasciami in pace»
«No, prova a liberarti di me, ora» dissi, sorridendole, senza mollarla.
Fece cadere la spada, si contorse in avanti, ma non riuscì ad alzarmi, sospirò, poi scivolò sotto le mie braccia, ricomparendo davanti a me con un'espressione vittoriosa in volto, questa volta mi fece lei l'occhiolino, andandosene.
Era furba, e la furbizia sostituiva,
quasi sempre, la forza.

La terza volta fu a Capitol City, quando Clove si era offerta per i Giochi ed io avevo fatto lo stesso, per proteggerla, per essere sicuro che fosse lei a vincere.
Eravamo appena tornati dalla sfilata e lei era corsa in camera sua, tuffandosi nel proprio letto, mentre io ero restato in salotto a mangiare qualcosa.
Poco dopo uscì dalla sua camera, mi si avvicinò e mi chiese un'oliva che stavo sgranocchiando rumorosamente, gliela porsi.
«Non possiamo vincere tutti e due, Cato.» mormorò, quasi dispiaciuta.
Era fredda con gli altri, ma con me si apriva, le sorrisi rassicurante, anche lei mi cambiava in un certo modo.
«Promettimi che se qualcuno mi ucciderà vincerai»
«Te lo prometto. Ma prima toglimi una curiosità»
«Dimmi»
«Dove hai imparato a combattere?»
E fu lì che sorrise, sorrise solo per me, ma di un sorriso triste, una lacrima le solcò il viso e avrei voluto abbracciarla e dirle che andava tutto bene, che c'ero io alsuo fianco, che non doveva avere paura di nessuno.
«Mio padre, morto l'anno scorso, diceva che se fossi stata sorteggiata per gli Hunger Games, avrei dovuto saper maneggiare almeno un'arma, scelsi i coltelli, diceva che ce l'avevo nel DNA, l'uccidere, il maneggiare armi, ma a me non è mai piaciuto»
«Mi piaci, Clove» mormorai.
«No, io non ti piacco, Cato! No!» urlò, mettendo le mani sulle tempie, massaggiandosele.


«Cato!» «Cato!»
Corro, corro, soltando, finchè non la vedo. Distesa a terra. Che fa fatica a respirare.
Mi avvicino a lei e vedo la rientranza che ha sul cranio, so che non c'è più nulla da fare, così le stringo forte la mano e le accarezzo dolcemente i capelli.
«Mi piaci anche tu, Cato» sussurra, sorridendo, felice finalmente.
«Lo so, Clove, lo so e anche tu mi piaci» sorride ancora, finchè non sospira e la presa della sua mano si fa più debole.
E tutto quello che mi viene in mente è
vendetta.
 

  
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