Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Hiraedd    13/10/2012    1 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Capitolo 13.








Passare una settimana in infermeria si stava rivelando un inferno.
 
Certo, non si era mai illuso che sarebbe stato addirittura divertente –dal momento che passava la maggior parte del tempo in solitudine-, ma di certo non aveva mai immaginato uno strazio tale da fargli chiedere a gran voce di poter riprendere le lezioni –addirittura Erbologia- pur di uscire di lì.
 
Madama Chips gli aveva più volte detto di far riposare le gambe, per aiutare la ricostruzione delle ossa e per facilitare il compito di sostenere nuovamente il peso del corpo senza provocare ulteriori danni.
 
Di quando in quando, tuttavia, lontano dagli occhi severi dell’infermiera, Dearborn provava ad alzarsi e a fare un rapido giro per la stanza.
 
Era un modo come un altro per spezzare i momenti di noia, un diversivo ingenuo per ingannare il tempo.
 
Quando Madama Chips, la mattina del giovedì, uscì dalla stanza dopo averlo informato di dover andare a comunicare a Lumacorno la mancanza di qualche scorta, Caradoc si alzò in piedi lentamente.
 
A lui le gambe non facevano quasi più male; solo, di tanto in tanto, sentiva una particolare pressione alle anche,  in corrispondenza delle spine iliache.
 
-non dovresti stare seduto, o sdraiato?- domandò una voce dal tono monocorde, all’improvviso.
 
Per quanto il tono non fosse decisamente alto, né squillante o quant’altro, l’inaspettato rumore ebbe il risultato di spaventare Caradoc, che si trovò a ricadere sul letto con un gemito di dolore per il movimento improvviso.
 
Sulla soglia dell’infermeria, lontano sei letti e sette comodini, Benjy Fenwick lo guardava con quel suo sguardo inquietante, una mano stretta al petto e l’espressione lievemente dolorante dipinta in viso.
 
Il primo pensiero, del tutto irrazionale, di Caradoc alla vista del Serpeverde, fu che se solo avesse saputo del suo arrivo si sarebbe finto dormiente.
 
Mica per altro, si disse, il problema era che non sapeva minimamente come trattare con quel ragazzo.
 
Si sentiva a disagio, sotto quello sguardo blu pavone, e questo non era semplicemente tollerabile, avendo lui passato una buona metà della propria vita a costruirsi attorno un’immagine calibrata unicamente per farlo sentire ovunque a proprio agio.
 
In più, si ricordò, Fenwick lo sopportava a malapena. Anzi, spesso non faceva nemmeno lo sforzo di essere educato.
 
-che cosa ci fai, qui?- domandò scortesemente portandosi una mano al fianco che più gli doleva dopo il sobbalzo improvviso –non dovresti essere a lezione?-.
 
Fenwick, imperscrutabile, si limitò semplicemente ad alzare la mano dolorante.
 
-che hai fatto?- gli chiese incuriosito.
 
Fenwick scosse il capo, avvicinandosi di qualche letto e continuando ad esaminarlo con quello sguardo che –diamine!- aveva solo lui.
 
-ho sentito uno dei Prewett dire a Bones che dovresti stare seduto il più possibile, se vuoi che sabato Madama Chips ti dimetta- disse quasi saccente Fenwick, ignorando completamente la sua domanda.
 
-oh, certo che voglio che Madama Chips mi dimetta. Stare qui dentro è più tedioso di qualsiasi altra cosa io abbia mai fatto-.
 
Fenwick si concesse un sorrisetto quasi divertito.
 
-immagino- mormorò alla fine, guardandosi attorno –la Madama?-.
 
Caradoc scosse il capo.
 
-da Lumacorno a chiedere scorte- borbottò portando di nuovo una mano alla sbarra del letto per riprovare ad alzarsi –di solito non torna prima di venti, venticinque minuti-.
 
Fenwick annuì, guardandolo alzarsi con sguardo scettico.
 
-allora, che è successo alla tua mano?-.
 
Se c’era anche una sola cosa più debilitate del parlare con Benjamin Fenwick, probabilmente era stare in silenzio con lui. Situazione che Caradoc voleva evitare a, più o meno, qualsiasi costo.
 
-solo un incidente a Pozioni- minimizzò il Serpeverde, rivolgendo uno sguardo alla propria mano –la Bones se la cava peggio di Dorcas in quella materia. E credimi, non lo ritenevo possibile-.
 
Suo malgrado, Dearborn si ritrovò a rispondere con un sorrisetto divertito. Con attenzione, tentò qualche passo in direzione della finestra.
 
-non riesco a capire come abbia fatto a prendere un G.U.F.O. in quella materia, davvero- rispose Caradoc memore della discussione con Meli e Kingsley di solo qualche giorno prima –avrebbero dovuto impedirle di continuare anche ai M.A.G.O.-.
 
Il Corvonero poté leggere, scritto a chiare lettere negli occhi di Fenwick, il consenso del ragazzo sulla sua ultima affermazione.
 
 

*

 
 
Fenwick non era proprio convinto di fare la cosa giusta.
 
Invece che sedersi su uno dei lettini disponibili, forse sarebbe stato più saggio andare in dormitorio e tornare più tardi, quando fosse stato certo di trovare la Madama.
Intavolare una discussione con Dearborn non era saggio, proprio per niente.
 
Soprattutto perché Ben non sapeva come comportarsi, e la cosa non gli piaceva neanche un po’.
 
Lui sapeva sempre cosa fare. Trattava le persone con fredda cortesia –pur ammettendo di non essersi quasi mai comportato così con Dearborn-, le invogliava quasi sempre a non rivolgergli più la parola e a girare alla larga da lui, preferendo magari la compagnia di qualcun altro.
 
Dopo gli ultimi avvenimenti, però, non pensava di poter fare così anche con Caradoc.
 
Cioè, non è che fosse successo niente di notevole, in effetti. Una chiacchierata innocente e decisamente strana al limitare della foresta proibita, qualche nuova considerazione da parte sua, una discussione origliata e una scoperta nemmeno troppo eccezionale sul passato di Dearborn –argomento che, tra l’altro, non l’aveva mai nemmeno interessato-.
 
Si, alla fine aveva anche ammesso di essersi sbagliato nel giudicarlo troppo frettolosamente.
 
Magari l’ego gigantesco del Corvonero servivaeffettivamente, come aveva ipotizzato Dorcas, a nascondere qualcosa di più profondo.
 
Una volta appurato questo, però, rimaneva il punto chelui non aveva alcun interesse nello scoprire cosa fosse, quel qualcosa di più profondo.
 
Davvero, Dearborn rimaneva comunque il bastardo vanesio di sempre.
 
-ti fanno male le gambe?-.
 
In realtà non gli importava nemmeno troppo. Ma se c’era una cosa più pericolosa che passare del tempo con Caradoc Dearborn –perché diavolo non si era dileguato appena saputo che la Madama non sarebbe stata disponibile a breve?- era passare con lui del tempo in silenzio.
 
Era decisamente più saggio iniziare a parlare. E se le domande iniziava a farle lui, allora era perfino meglio.
 
-non molto- borbottò Dearborn in risposta.
 
Guardava, con quegli occhi così particolari, l’ammasso di cioccorane ancora intatte posate piuttosto disordinatamente su quello che doveva essere il suo comodino. Le scrutava come se non fossero state l’una identica all’altra, e alla fine, allungando la mano, ne prese due accuratamente scelte dal mucchio.
 
Del tutto stupito, Fenwick si ritrovò a prendere al volo quella che Dearborn gli aveva lanciato dopo uno sguardo incuriosito.
 
-è stata una caduta piuttosto spettacolare- lasciò cadere Benjy, iniziando a scartare il dolce.
 
Si aspettava una risposta tipicamente alla Dearborn, indice di una personalità che passava il proprio tempo ad elogiare se stessa.
 
Dearborn scoppiò a ridere e quasi la diede, quella risposta. Poi, facendosi serio e guardando Benjamin negli occhi, sembrò ripensarci. Scosse la testa come ad accantonare il discorso.
 
-signor Fenwick, il professore mi ha detto che era venuto a cercarmi-.
 
La voce querula dell’infermiera giunse quasi ad infastidire. Il ragazzo si voltò, alzandosi dall’angolo del letto vuoto su cui si era accomodato, e diede in un sorriso cortese rivolto ad una delle poche persone per cui provava vera stima ad Hogwarts. Con una smorfia, fu costretto a lasciare intatto il dolce.
 
Con Poppy pugno-di-ferro Chips non si scherzava.
 
Annuendo, il ragazzo mostrò il palmo della mano, che fino a quel momento aveva tenuto contro il petto. Alcune ustioni correvano su tutto il palmo e sulle dita, fino ai polpastrelli, non troppo gravi ma sicuramente abbastanza dolorose, nell’insieme.
 
-che cosa hai fatto, ragazzo?- chiese burbera la donna, che infondo ricambiava quella strana simpatia –Signor Dearborn, lei cosa diamine ci fa in piedi? Non avevo forse insistito per il suo riposo?-.
 
Dearborn alzò il mento in un’espressione straordinariamente superba.
 
-le gambe mi reggono. Sono giorni che riposo-. A testimonianza delle proprie parole, azzardò qualche passo verso il corridoio centrale formato dai letti. La Madama arricciò le labbra e, quando il ragazzo fu arrivato quasi dalla soglia, gli indicò il letto con il volto di un sergente contrariato.
 
-aculei di porcospino, mi sono caduti nella rigenerante- scrollò le spalle il Serpeverde, distogliendo l’attenzione dell’infermiera dal Capitano della squadra di Quidditch corvonero.
 
Che Dearborn facesse un po’ quello che voleva, con le sue gambe.
 
-aculei di porcospino? Nella rigenerante?- domandò scettica l’infermiera –essì che la descrivono come il miglior pozionista della scuola, Fenwick. Almeno era una piccola quantità, non può aver causato alcun danno serio. Vado a prendere l’unguento. Dearborn, lei si sieda. Non può scorrazzarsene in giro per la sala con le gambe in quelle condizioni-.
 
-le mie gambe mi reggono- si lamentò nuovamente Caradoc.
 
Alla fine, il Corvonero si voltò verso Fenwick.
 
-sei stato gentile a coprire Meli, la disattenzione degli aculei le sarebbe valsa come minimo una punizione-.
 
Per un attimo Fenwick non rispose.
 
-se io parlassi la Bones non prenderebbe un M.A.G.O. in pozioni nei prossimi quattrodici anni, come minimo- mormorò alla fine, scuotendo il capo –non che non se lo meriterebbe, ma la cattiveria gratuita non fa al caso mio. E ora è in debito con me-.
 
-sempre più Serpeverde- ribattè Dearborn con un sorrisetto divertito –sai, Hestia dice che non riesce ad inquadrarti. Non sa se sei il Serpeverde riuscito peggio nella storia di Hogwarts, o il Corvonero riuscito meglio-.
 
Benjy si lasciò andare ad un sorriso.
 
-ecco, signor Fenwick- esclamò la Madama rientrando, con una mano sul fianco e l’indice destro pericolosamente puntato ad ammonirlo dinnanzi al volto –metti l’unguento sulle piaghe tre volte al giorno, non esporlo troppo al sole, entro due giorni la tua mano dovrebbe tornare come nuova-.
 
-la ringrazio, Madama- mormorò freddamente cortese il Serpeverde, recuperando la serietà.
 
-torna qui quando ti sembrerà guarita, ci darò ancora un’occhiata- disse alla fine la donna, dopo una lunga occhiata. Poi spostò lo sguardo su Caradoc –Dearborn, lei deve stare seduto-.
 
-ma le gambe reggono!- si lamentò ancora in risposta il ragazzo –non voglio certo che mi si atrofizzino i muscoli, rendendomi le gambe simili a due stecchini da denti. Quale ragazza mi guarderebbe più, poi?-.
 
-allora resti pure in piedi, e vediamo quante ragazze la guarderanno ancora quando sarò costretta ad amputargliele, le gambe- lo seccò la Madama, lasciando la sala con un tono irritato.
 
-ampu… amput… quella cosa che fanno i babbani!? Ma lei non può!- esclamò scioccato Dearborn alle spalle dell’infermiera. Alla fine, spaventato, si voltò verso Ben –non può, vero?-.
 
Ben scosse le spalle, come ad indicare che non ne aveva idea. Caradoc lo sguardò impaurito, e poi lanciò un’occhiata al letto.
 
-aiutami, Fernwick- brontolò alla fine, indicandogli le coperte –non sono sicuro di voler restare senza gambe-.
 
Lo aveva preso per una tenera crocerossina Tassorosso?
 
No, sul serio, perché diamine non se ne era andato in Dormitorio fregandosene altamente della propria mano, dell’infermeria e di Dearborn, che adesso lo guardava con quello sguardo così normale –e Merlino, ce ne voleva di coraggio per appioppare a Caradoc Dearborn una definizione del genere-?
 
Se Dearborn, in quel momento, non fosse stato parato in tutto il suo metro e settantacinque di statura contro la porta dell’infermeria, Benjamin Fenwick avrebbe conquistato l’uscita con qualche facile mossa.
 
 

*

 
 
Caradoc Dearborn non era completamente scemo, nonostante cercasse di non farlo trasparire davanti agli altri. Come diceva suo padre, la cosa importante era salvare le apparenze.
 
Proprio per questo, lui, che non era completamente idiota, aveva sempre intuito l’effetto che faceva alle persone. Se lo consideravano scemo, era perché era quello che voleva lui per primo.
 
Con Fenwick non era andata esattamente così. Aveva iniziato a stargli antipatico senza fare assolutamente nulla per esserlo –insomma, lui era Caradoc Dearborn, non poteva stare antipatico a qualcuno!- e ancora adesso non era proprio del tutto sicuro di risultargli un po’ più simpatico.
 
Ma una cosa la sapeva. Lo aveva confuso.
 
Glielo poteva leggere negli occhi: confusione e un buon grado di fastidio.
 
-allora?-.
 
Era quello che aveva intenzione di dire, l’esortazione che usava sempre per farsi obbedire all’istante.
 
Lo avrebbe chiesto con quel tono un po’ frignone un po’ indolente con cui era abituato a chiedere tutto. Ma sapeva che non avrebbe funzionato, con Fenwick.
 
-ti do tutte le mie cioccorane se mi aiuti- fu tutto quello che disse, con il sospiro di un bambino.
 
Ben scoppiò a ridere divertito come lo aveva visto fare solo in biblioteca, più di un mese prima.
 
 

*

 
 
-sai, dovremmo mandare in infermeria Caradoc più spesso-.
 
Hestia Jones, seduta sulla poltrona dinnanzi alle vetrate della Sala Comune Corvonero, dichiarò il suo parere con la leggerezza con cui avrebbe attestato la presenza delle nubi in cielo. Il suo tono di voce era talmente colloquiale che, in un primo momento, Podmore non si rese nemmeno conto di quello che la sua ragazza aveva appena detto.
 
-e io che credevo che gli volessi bene- mormorò appena il Prefetto, inarcando la schiena come un gatto che ricerchi le carezze del padrone quando, con la mano destra, la Jones gli raggiunse i capelli. Con un sorriso, la ragazza si limitò per un attimo ad osservare il proprio ragazzo seduto ai piedi della poltrona.
 
-certo che gliene voglio- scosse le spalle, lieve –ma devi ammettere che abbiamo passato più tempo insieme in questi quattro giorni che negli ultimi tre anni, se non si contano le estati. Sai, non devono essere per forza cose gravi: magari un veleno ad azione lenta, quel tanto che basta a potergli infilare un bezoar in bocca e spedirlo dalla Madama. O un incidente per le scale, un po’ di Ossofast e torna come nuovo-.
 
Il ragazzo sorrise appena.
 
-farò finta di non aver sentito dei tuoi progetti per attentare alla vita del mio Capitano- dichiarò alla fine annuendo appena, e aprendo gli occhi per scrutarla da sotto le ciglia, sornione proprio come un gatto –anche se magari potrei essere d’accordo-.
 
Questa volta, a ridere toccò ad Hestia.
 
-…bada bene, se interrogato negherò ogni cosa!- sottolineò il ragazzo con aria cospiratoria.
 
Con un sospiro, Sturgis Podmore appoggiò la testa tra le ginocchia della giovane, rimanendo a gustarsi le coccole della ragazza, seduto ai piedi della poltrona su cui lei stava accomodata.
 
Conoscendola, nessuno avrebbe preso sul serio le sue parole.
 
Il legame che univa Hestia Jones a Caradoc Dearborn poteva anche sembrare controverso, ma aveva radici profonde.
 
Era vero che nessuno, al mondo, litigava con la frequenza con cui parevano farlo loro due –esclusi i Prewett, si intende- ma era anche vero che nessuno riconosceva con la velocità della ragazza gli stati d’animo che Dearborn celava dietro alla propria maschera. Allo stesso modo, Caradoc sapeva esattamente che non c’era alcun limite alle cose che poteva confessare alla Jones. Se si fosse trovato sull’orlo di un precipizio e Hestia gli avesse detto di saltare, lui non avrebbe esitato a farlo.
 
-domani studi con la Meadowes?- domandò Sturgis dopo qualche attimo di silenzio, incuriosito –sai, quella ragazza mi piace. Sapevi che è andata a trovare Caradoc, tre giorni fa?-
 
-si, ultimamente studiamo insieme di giovedì. Forse viene anche Meli, e quindi probabilmente in realtà non studieremo affatto. È sorprendente quanto quella ragazza si impegni nel cercare argomenti che esulino completamente dalle materie scolastiche- scherzò Hestia addolcendosi e annuendo –davvero? No, non lo sapevo. Aspetta è… è stata lei a portare il mughetto?-.
 
Sturgis annuì, e la ragazza si perse per qualche attimo a scrutarlo con attenzione.
 
Era bello, il suo ragazzo. Certo, non aveva la bellezza sfacciata ed elegante di Caradoc, che di lineamenti era quasi perfetto, né la bellezza quasi androgina di Fenwick, dal fascino ambiguo quanto il suo carattere.
 
No, era una bellezza più classica e che probabilmente lei notava più degli altri, essendo coinvolta sentimentalmente in un modo che non avrebbe mai creduto possibile.
 
Sturgis aveva i capelli quasi ricci lasciati crescere sulle spalle con disinvoltura, e quegli occhi quasi castani che serbavano tracce di simpatico verde. Aveva l’indole ciarliera e amichevole che caratterizzava anche i suoi fratelli maggiori –Hestia ormai li conosceva bene- e lo scintillio nello sguardo che portava la gente ad obbedirgli in modo spontaneo.
 
Incrociando lo sguardo decisamente divertito del proprio ragazzo, che probabilmente si era accorto di quell’esame e si sentiva più un pezzo di carne che una persona, arrossì furiosamente.
 
-per domani sera alla fine avete organizzato qualcosa?- domandò glissando abilmente sulla domanda che, anche voltata verso le vetrate, poteva quasi sentire nell’aria –hai chiesto aiuto a Mathison, no?-.
 
Il ragazzo annuì, esaltato.
 
-si, si è subito detto disponibile ad aiutarci. Ha detto che quando era studente era lui ad occuparsi del Club dei Duellanti. E che la serata di Halloween gli sembra perfetta per un incrocio con una lezione di Difesa Contro le Arti Oscure. Vedrai, amore, ti divertirai-.
 
Hestia, vedendo l’entusiasmo dipinto a chiare lettere nello sguardo del proprio ragazzo, non se la sentì di smontarlo così bruscamente.
 
Lei odiava Difesa Contro le Arti Oscure almeno quanto Difesa Contro le Arti Oscure odiava lei.
 
 

*

 
 
Quel giovedì sera Sturgis Podmore non stava nella pelle dall’aspettativa. Escluso Caradoc non mancava assolutamente nessuno, sebbene Hestia Jones portasse scritta in volto a chiare lettere la riluttanza a partecipare ad una simile riunione e l’espressione di Fabian Prewett fosse molto più adatta ad un funerale che alla serata di Halloween.
 
Davvero, Fabian Prewett non era mai stato così scontento di vedere Dorcas Meadowes.
 
Per i mutandoni a strisce di Merlino, ma Fenwick non aveva capito proprio un accidenti?
 
Fu solo vedendo il ragazzo un passo dietro alla Corvonero, che si accorse dello sguardo truce che aveva negli occhi. Dovevano aver discusso, Fenwick e la Meadowes, per quella che probabilmente era la diciassettesima volta in una manciata di settimane.
 
-non capisco perché ti prema tanto- borbottò Gideon al suo fianco, seguendo il corso del suo sguardo e, sicuramente, anche dei suoi pensieri.
 
Com’è che aveva avuto la brillante idea di dire a suo fratello che avrebbero dovuto avvertire la Meadowes del programma di quella sera? A Gideon, Dorcas non stava simpatica. Cioè, non gli stava nemmeno antipatica. Era un discorso complicato.
 
-non mi preme tanto- commentò lui sottovoce, incrociando le braccia al petto –ho provato a farlo per lei come lo avrei fatto per chiunque nella sua situazione-.
 
-dev’essere un bel po’ testarda- ammise Gideon, scrollando le spalle –o magari aveva paura di come l’avrebbero presa in giro i Serpeverde se non si fosse presentata. Ho sentito dire che la Carrow, quando vuole, si accanisce su di lei particolarmente. Magari le dava fastidio che qualcuno la ritenesse troppo debole e paurosa-.
 
Fabian alzò gli occhi verso il fratello, lo sguardo decisamente scettico.
 
-la Meadowes che tiene conto di quel che si dice di lei? Davvero, questa sarebbe una novità- mormorò Fabian scrollando le spalle –ma allora perché…?-
 
-Merlino, Fab, se ti interessa così tanto perché non vai a chiederlo a Fenwick, o a lei direttamente?- sbuffò contrariato il fratello, rivolgendogli un’occhiataccia.
 
-io non…!- brontolò di malumore, stupito dal tono del fratello –non mi interessa così tanto!-.
 
All’occhiata scettica che ricevette in risposta, scrollò nuovamente le spalle. Dopo qualche attimo di silenzio, in cui vide Gideon guardarsi attorno, avvertì il fratello allontanarsi in direzione di Hestia e Kingsley, intenti a parlare.
 
Diceva la verità, per Merlino! A lui non interessavacosì tanto.
 
…oh, al diavolo!
 
Dorcas Meadowes, dopo aver messo a tacere il proprio migliore amico, si diresse con il solito passo anonimo –possibile che pure i suoi passi fossero tanto banali? Talmente banali da stupire- verso il lato opposto della sala. Nel farlo, portò uno sguardo singolarmente pensoso su di lui, guardandolo negli occhi per quello che poteva anche essere un tempo maledettamente lungo. Quando alla fine la Corvonero si volse al fondo della stanza, lui sospirò un fiato che non si era accorto di aver trattenuto.
 
-Fenwick, non sei riuscito a….-
 
-no- tagliò corto il ragazzo guardandolo con quegli occhi maledettamente scuri e pieni di incognite. Alla fine, sospirando, Ben si fece leggermente più stizzito –non vuole sentire ragioni. Dice che proprio perché sarà una riunione diversa dalle altre non può mancare-.
 
Fabian sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
 
-le hai fatto presente il molliccio?- chiese voltandosi con lo sguardo verso l’armadio che, a memoria di studente, conteneva una di quelle creature.
 
-non la preoccupa minimamente- brontolò Fenwick seguendo il suo sguardo –quando li abbiamo affrontati al terzo anno il suo molliccio era un topo delle dimensioni di un drago adulto. Magari è ancora così, e la tua preoccupazione è totalmente superflua-.
 
-magari si-.
 
Se c’era una cosa che davvero aveva il potere di sconvolgere Fabian Prewett, era il vedersi accanto a Benjamin Fenwick, d’accordo con lui su qualcosa, intenti a fare comunella.
 
Ancora più sconvolgente fu il pensiero, veloce come il lampo e altrettanto illuminante, di trovarlo addirittura vagamente simpatico.
 
 
 







NOTE: 

mi scuso per il ritardo. Sul capitolo non ho nulla da dire, sono un po' di fretta e risponderò alle recensioni quando tornerò a casa. 
Spero che il capitolo piaccia,
Hir!
 
 
 

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Hiraedd