[ why would I wait
till I die to come alive? ]
Quando
Mihael entrò nell’appartamento impiegò qualche secondo ad accorgersi
della
temperatura a dir poco glaciale.
Imprecò gettando un occhio al termostato, fece cadere la propria borsa
dei
libri a terra e attraversò l’ingresso a grandi passi.
Chiuse
rapidamente le grandi finestre del salotto, in ordine impeccabile, e
quella
della cucina, linda e profumata come l’aveva lasciata quella stessa
mattina, e
la mezza finestra del bagno di servizio, quasi inciampando nell’anta
ancora
aperta del mobiletto sotto al lavandino per la fretta.
Si
bloccò sul posto, accorgendosi che tutto
era come era stato lasciato quattro ore prima.
Non perse ulteriormente tempo e trovò la stanza della propria
coinquilina,
vuota a sua volta, il letto disfatto e il piumone scomparso.
«Misa?»
la chiamò, non riuscendo a negare la propria preoccupazione.
Il
mistero durò poco a lungo: trovò la donna nella propria
camera, nel proprio letto, avvolta in entrambe le loro coperte e in un
paio di
plaid che doveva aver recuperato da qualche armadio.
«Chiudi
la porta, chiudi, chiudi!» esclamò lei dal suo bozzolo, nascondendo la
testa
sotto al cuscino e sembrando a tutti gli effetti uno strano ibrido fra
una
donna e uno struzzo.
«Che ci
fai qui?» le domandò, un Come stai? fra
le righe che aveva imparato mesi prima a evitare.
«Freddo,» rispose lei
con
voce lamentosa, e Mihael pensò che forse avrebbe fatto meglio ad
accendere il
riscaldamento quando ancora era nella stanza corretta. Oh, be’.
Si
sfilò le scarpe con i piedi mentre abbassava la zip della giacca,
lentamente
per attirare l’attenzione di Misa. Lei fece capolino, curiosa, e quando
comprese le sue intenzioni gli sorrise e si mosse per fargli spazio sul
letto.
Mihael
si prese tutto il tempo del mondo; prima chiuse le tapparelle e tirò la
tenda,
quindi spense la luce (che Misa aveva lasciato accesa nonostante fosse
oltre
mezzogiorno, donna incapace di risparmiare) e rimase
davanti alla porta ancora aperta, il
giorno alle spalle, il viso in ombra.
Si
svestì lentamente, rivolgendo la propria attenzione a ogni singolo
gesto, e
quando ormai indossava solo un paio di boxer scuri (e si accorse
dell’idiozia
commessa, cazzo che freddo)
si infilò sotto le coperte.
Misa
gli scivolò contro, il corpo caldo e nudo, e lui non poté che ridere.
«Sei
stata tutta la mattina rintanata qui perché non avevi voglia di
vestirti?» le
chiese con finto rimprovero nella voce. Il giorno in cui l’aveva
conosciuta era
stato anche il giorno in cui aveva imparato che prendersela con lei non
avrebbe
mai aiutato in niente né lo avrebbe fatto sentire meglio in alcun modo.
Lei non
annuì né smentì, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e
respirando.
Dopo
qualche minuto mugugnò qualcosa, evidentemente in uno stato di
dormi-veglia.
«Che
vuoi?»
«Ho
messo le mutandine.»
«Donna,
tu sai come sorprendermi.»
In
risposta, Misa gli tormentò il fianco con le unghie. Erano sempre
irrealmente
lunghe e ben curate, qualcosa che Mihael aveva col tempo imparato a
temere.
Aveva
imparato molte cose da quando stava con lei.
«Vuoi
fare sesso?» gli chiese la donna in un sussurro – ed ecco qualcos’altro
che
aveva dovuto imparare a riconoscere: la voce-da-pianto.
Non si
mosse, però fu cauto nel rispondere: «Tu lo vuoi?»
Misa
allora poggiò le labbra sulle sue, e aveva già quel sapore di lacrime
addosso
che Mihael non sarebbe mai stato in grado di sopportare.
Era
compito di Mello,
guidare, e di Matt quello di stare al posto del passeggero e fare il
fottuto
passeggero. Stare zitto e fermo, ed essere la personalità affascinante
nel caso
in cui fossero stati fermati dalla stradale.
Non era
compito di Mello quello di sentirsi stanco e cedere il volante, e
quelli di Matt non era quello di
trovare uno stramaledetto muro contro il quale andare a schiantarsi.
Matt
aveva rovinato
la vita di Mello, e non era neppure rimasto in vita abbastanza a lungo
da
permettere all’amante di prendersi la propria rivincita.
Che
gran coglione
pezzo di merda.
Misa
aveva disimparato a fare qualsiasi cosa, dopo la propria ultima
relazione.
Light
non era un argomento che veniva affrontato, né all’appartamento né
altrove: non
era una cosa che Misa discuteva alla leggera, il fatto di essere stata
quasi
sposata a un serial killer e di averci quasi avuto un figlio.
Ella
non era più capace di baciare ed essere ricambiata, non era più capace
di vivere un
normale atto di sesso penetrativo, sicuramente non avrebbe amato mai
più.
Non
avrebbe più avuto la possibilità di avere figli, a seguito di un aborto
che era
stato devastante sul suo fisico. Con difficoltà sarebbe stata in grado
di
fidarsi più di qualcuno al punto da poter mostrare le proprie braccia
nude.
Se quel
giorno non avesse incontrato Mihael e non ne fosse rimasta tanto
affascinata,
difficilmente avrebbe visto un altro giorno.
«Sotto
quale treno
vuoi buttarti?»
«…»
«Puoi
evitare il
prossimo? Ho bisogno di essere a casa prima che il padrone butti fuori
la mia
roba e quella del mio ex perché le scatole non sono state chiuse bene.»
«Posso
farti
compagnia?»
«Cosa
vuoi mangiare per cena?» chiese Misa, cominciando a mettere via la
spesa che
Mihael era uscito e aveva comprato per entrambi.
Lui non
rispose. Almeno, non subito.
«Usciamo
questo weekend,» le disse, facendo suonare la frase più come un dato di
fatto
che non una proposta. «Il tempo è migliorato e restare chiuso qua
dentro mi
deprime.»
«Come
vuoi tu,» fece lei.
«È un sì?»
«Sì,
Mello, caro.»
«Vorrei
inoltre che ti trovassi un lavoro. Uscire un po’ da sola, conoscere
qualcuno.
Ci sono giorni in cui ti ucciderei,
parli solo di quello che vedi alla tv o su internet. Potresti tornare
all’università.»
«Non credo
che potrei farlo. Cercherò un lavoretto.»
«Non
voglio che tu faccia la modella. Un lavoro vero.»
Lei si
voltò a guardarlo negli occhi, vestendo la stessa espressione fra il
triste e l’incredulo
che vestiva ogni volta che avevano quella conversazione.
«E
perché dovresti volere una cosa del genere?»
Sedettero
l’uno di
fronte all’altra, in silenzio. Misa indossava un paio di shorts e una
felpa di
Light, lunga e scura, le cui maniche non faceva altro che tormentare.
Il tic
cominciava a
dare filo da torcere ai nervi di Mihael, però non si sentiva in grado
di dirle
nulla.
L’ultima
volta che il
giovane aveva alzato la voce verso qualcuno era in una situazione di
stress, si
sentiva molto stanco e nervoso e aveva pesantemente insultato l’uomo
che amava
attimi prima di un incidente automobilistico dal quale era riemerso da
solo.
«Non
fare domande stupide. Non posso essere innamorato di te, sei una donna.»
Lei
rise, rise forte, fino a che le lacrime non cominciarono a rigarle le
guance.
«Avrò mai
modo di farti cambiare idea?» gli chiese con la voce rotta.
«No,
signora.»
Misa
annuì e sorrise, smettendo finalmente di muoversi come se le provocasse
male
fisico restare ferma sul posto e apparendo improvvisamente più
tranquilla.
«Bene.»
[Non ho
parole. Questo fandom non esiste più, né per me né per il resto del
mondo.
Giulia,
questa è colpa tua e io ti odio.]