Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: EvgeniaPsyche Rox    14/10/2012    8 recensioni
Roxas Coleman è un diciannovenne che è stato costretto ad arruolarsi nell'esercito; dopo due settimane all'accampamento conoscerà una persona alquanto stravagante, Axel Powell, e subito tra i due si instaurerà un rapporto particolare.
-
«E allora tu cosa faresti?»
«Se venissi colpito dici?»
«Sì.»
«Chissà... Ti penserei, forse.»
Genere: Drammatico, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
HTML Online Editor Sample

Canti Di Guerra Al Tramonto.

 


HTML Online Editor Sample

Quando aveva cinque anni sognava di fare il pittore; non sapeva esattamente il perché, dato che non era così bravo a dipingere, anzi.
Però lo attirava assai l'idea di guadagnare qualche spicciolo prendendo un pennello in mano e mescolando i colori a suo piacimento.
Quell'idea lo emozionava, ecco.
Poi, a dieci anni compiuti, aveva iniziato a fissarsi con gli animali e aveva desiderato ardentemente fare il veterinario.
A trèdici anni era troppo impegnato a litigare con i suoi genitori per pensare al futuro e a quattordici aveva pensato di fare il mantenuto o addirittura il disoccupato.
Successivamente, per il suo sedicesimo compleanno, quando gli avevano regalato un libro di astronomia, si era accorto che l'unica cosa che voleva veramente fare era vedere lo spazio attraverso il vetro di un'astronave, galleggiando nell'infinità delle stelle e nell'immensità dell'Universo.
Voleva far parte di tutto, del grande, dell'enorme; desiderava sentirsi in mezzo a quei puntini luminosi e ai pianeti.
Sua madre gli aveva detto che era una follia; insomma, c'erano tante altre cose piacevoli da fare nella vita, e lui voleva proprio la più difficile, se non impossibile.
A quel pensiero sorrise amaramente: ormai, in fondo, poco importava.
Roxas Coleman adesso aveva diciannove anni, quattro mesi e ventitrè giorni e stava già impugnando un fucile Lee-Enfield.


 

Dopo due settimane all'accampamento si ritrovò a correre tra i grigi corridoi delle stanze, il cuore a mille, il respiro pesante e le lacrime agli occhi.
Salì la prima rampa di scale e si catapultò sulla finestra, spalancandola immediatamente: porse un poco in avanti il volto arrossato e scoppiò in rumorosi singhiozzi, singhiozzò forte, fortissimo, così tanto che temette seriamente di perdere la voce a causa dell'estremo dolore alla gola.
Si mise le mani sulla faccia e pianse ancora più rumorosamente, lasciandosi scivolare lentamente lungo la parete grigia, orribilmente grigia, proprio come lo era quel posto: tutto grigio, opaco, spento.

Era successo troppo velocemente e la vita gli era sfuggita dalle mani prima ancora che avesse potuto veramente assaggiarla, prima ancora di poterne sentire il gusto dolce e amaro al tempo stesso; adesso invece sapeva soltanto di metallo, la puzza del fuoco e della solita dose di minestra quotidiana che gli faceva contorcere le budella.
Com'era possibile? Lui aveva finito le superiori. Aveva terminato le superiori e aveva deciso di fare una pausa di sei mesi per scegliere definitivamente che cosa fare nella vita, per mettere in ordine i pensieri e i sentimenti.

 

HTML Online Editor Sample

«Ehi, ragazzo, che succede?»

 

HTML Online Editor Sample

Smise di singhiozzare, il pianto si placò all'istante e per un momento ebbe paura di aver sentito il proprio cuore fermarsi di scatto.
Alzò lentamente gli occhi blu e scorse una figura dall'altra parte del muro, confusa a causa della vista appannata dalle lacrime; il labbro inferiore gli tremò e un brivido gli percorse la schiena.
«Nulla», vomitò fuori un sibilio flebile, appena percettibile, fragile, tremendamente ed orribilmente fragile.
Diavolo: era o non era un soldato che doveva lottare per il proprio paese?
«Nulla.», ripeté poi, questa volta leggermente più forte. «Mi sono permesso di prendere una breve pausa, ma mi stavo immediatamente recando agli allenamenti.»
Silenzio.
Bum, bum, bum. Gli sembrò di sentire il battito in gola, era lì, a riempirgli la testa con il suo bum-bum incontrollato e frenetico.
Era la fine. Lo avrebbero sgridato per aver saltato l'inizio degli allenamenti e gli avrebbero fatto passare la notte a correre intorno all'accampamento.
Silenzio, ancora silenzio, ancora bum-bum.
Ma cosa gli era preso? Prendersi una pausa? Dove pensava di essere?
Silenzio, bum, bum, bum.
Avrebbe dovuto inventarsi una scusa migliore, più accettabile.
Silenzio, ancora silenzio, ansia, panico, tutto si mescolava, era tutto mescolato, come quell'orribile minestra che gli davano per pranzo e cena.

 

HTML Online Editor Sample

Ah-ah-ah.

 

HTML Online Editor Sample

Un altro battito perso. Un altro colpo, un'altra freccia dritta al cuore.
Si asciugò velocemente gli occhi bagnati e focalizzò la vista sull'uomo di fronte a sé; aveva il volto spigoloso chinato all'indietro, le mani appoggiate sui fianchi e i capelli scarlatti gli ricadevano sulla schiena in una coda leggermente disordinata.
Rise.
Stava ridendo.
Rideva? Perché? Per quale assurdo motivo una persona che era costretta a stare in quel posto da incubo stava ridendo? Si stava forse prendendo gioco di lui, patetico soldato principiante? O forse era impazzito del tutto?
Roxas corrugò la fronte, cercando di riprendere comunque la solita espressione impassabile che accomunava tutti in quel posto. «Ma che fai, ridi?»
L'uomo dalla folta chioma rossa accennò un'altra risatina divertita e si infilò una mano tra i capelli, continuando a sorridere. «Sì, visto che tu piangi, io ho deciso di ridere. Sai, tanto per cambiare un po'. Comunque piacere, il mio nome è Axel, Axel Powell. E tu chi saresti, Mr ''mi metto a piangere di nascosto e poi dico che ho preso una piccola pausa''?»
Poi sorrise ancora, e proprio in quel momento un raggio di luce gli illuminò gli occhi verdi come lo smeraldo più lucente.

 

«Aspettate il segnale!», udì gridare da qualcuno dietro, probabilmente dal generale.
Respirò profondamente e strinse con forza l'arma tra le mani, mentre le nuvole iniziarono ad ammassarsi pigramente nel cielo.
Durante il quinto anno delle superiori aveva conosciuto una graziosa ragazza che gli aveva fatto tingere le guance di rosso. Si chiamava Naminè Brooks e aveva subito amato i suoi occhi così intensi e blu, tremendamente simili ai propri. Così come aveva amato i suoi capelli lisci e dorati, danzanti nella brezza autunnale, mentre le sue piccole mani stringevano un po' impacciatamente i libri di scuola e il suono della campanella rieccheggiava nel cortile.
Era rimasto ad osservarla in silenzio per quasi trè mesi, e poi, finalmente, chissà come, era riuscito a rivolgerle la parola.
Non ricordava nemmeno che cosa le aveva detto; rammentava soltanto che lei gli aveva sorriso con gli occhi e lui aveva immediatamente capito che voleva passare il resto della sua vita a fianco a lei.
A quella graziosa ragazza delicata e un po' timida che amava disegnare.
«Aspettate ancora!»




«Ha detto che mi aspetterà.»
«Ne sei sicuro?»
«Sì, ha detto così.»
«Ma te l'ha promesso?»
A quella domanda inaspettata Roxas si voltò di scatto, notando però che Axel, con la schiena appoggiata sulla parete opposta e il volto in parte illuminato dagli ultimi raggi del sole, non lo stava guardando. «Cosa?»
«Te l'ha promesso?», l'uomo dai capelli fulvi incrociò le braccia al petto e chiuse le palpebre, sospirando pesantemente. «Ti ha promesso che ti aspetterà sempre e comunque?»
Roxas appoggiò la testa sulla finestra, tornando ad osservare il cielo tinto di rosso, giallo e arancio; sentiva ancora tutta la stanchezza del pesante allenamento addosso, i capelli biondi appiccicati sulla fronte e le gocce di sudore che gli ricoprivano la pelle. «No, perché mai avrebbe dovuto farlo?»
«Allora non è detto che lo faccia.»
«Perché?»
«Perché non te l'ha promesso.», il tono improvvisamente duro di Axel lo innervosì enormemente e in quel momento si pentì amaramente di avergli parlato di Naminè.
«Non c'entra niente.»
«C'entra invece, perché non hai alcuna certezza che lei sia ancora lì ad aspettarti, quando tornerai a casa.», l'uomo dalle iridi verdi riaprì lentamente le palpebre e osservò con estrema attenzione il biondo ancora intento a scrutare il tramonto, quasi fosse alla ricerca di qualcosa.

«Roxas?», lo chiamò poco dopo, perplesso dal suo silenzio.
E Roxas si era voltato, gli occhi lucidi e un groppo in gola che gli aveva reso la voce rotta e spezzata. «Perché, la certezza di tornare a casa ce l'abbiamo?»

 

«Fuoco!»
E in un attimo il silenzio divenne caos, esplosioni, colpi e urla.
Gli allenamenti possono preparare a spararare, a correre come il vento e ad essere forte, ma non c'è alcun allenamento in grado di prepararti alla guerra, al campo di battaglia, all'orrore, al respiro affannato e all'unico pensiero fisso che ti martella in testa, uno, uno soltanto: devo sopravvivere.
Roxas era sicuro che quelle due parole stavano bruciando i neuroni del cervello dei suoi compagni; li aveva visti, i loro occhi spalancati e arrossati, lo sguardo che lasciava trapelare il terrore e la paura viva, il sangue che pulsava nelle vene, la fronte sporca di fango e la pelle lacerata.
Eppure lui non stava pensando a sopravvivere. Forse non gli interessava davvero, chissà.
Comunque sparò. Prese la mira e sparò nello stesso momento in cui un lampo squarciò il cielo, annunciando un temporale ormai vicino.
Prese la mira e sparò, sparò una, due, trè, quattro volte. Sparò e vide corpi privi di vita cadere a terra con un tonfo sordo.

 


Quello per loro divenne una sorta di luogo segreto dove incontrarsi; le prime dieci scale, davanti a quella piccola finestra che si affacciava sul cielo, e si vedevano lì, sempre al tramonto, sempre alla stessa ora, gli stessi colori, le stesse persone.
E Roxas gli parlò della sua vecchia vita, come la chiamava lui; gli parlò degli anni da liceale, gli parlò di suo padre che si era ammalato soltanto due anni prima, gli parlò di come era stato trascinato in quel dannato accampamento, gli parlò delle sue paure, ma anche delle sue speranze, della vita dopo.
Qualche volta pianse, e Axel lo consolò.
Qualche volta rise, e lo fece grazie ad Axel.
Altre volte rimase in silenzio, e Axel si limitò a rispettare quell'assenza di parole.
«A te non piacerebbe andare nello spazio?»
«Eh?»
«Non sarebbe magnifico andare nello spazio?»
Axel scosse la testa, incrociando le braccia, a fianco al biondo. «No, mi basta vedere il cielo da qui.»
«Sei noioso.», lo prese in giro Roxas con un flebile sorriso sul volto; Axel rise, una risata acuta e calda, gli occhi scintillanti sotto i raggi rossi.
«Non sono noioso, è che mi accontento, tutto qui.»

Non aprirono mai quella piccola finestra.



Qualche volta Roxas leggeva ad alta voce di fronte ad Axel le lettere che riceveva da sua madre.
Trovava estremamente piacevole condividere quelle parole disordinate ed indecifrabili con qualcuno; così come lo angosciava enormemente il fatto di vedere alcune righe cancellate a causa della censura dei generali.
«Mio fratello ha superato gli esami.», sorrise appena e sistemò il foglio all'interno della busta. «Non me l'aspettavo proprio.»
«Allora non è così stupido come pensavi.»
«Già.», si sedette sotto la finestra e appoggiò la testa sulla parete, socchiudendo un poco le palpebre. «Forse è cambiato.»
Axel annuì lentamente, avvicinandosi a passi felpati verso il giovane prima di chinarsi di fronte a lui. «E questo ti spaventa?»
«Un po'. Il tempo passa, sai, e mentre noi siamo qui dentro, è brutto pensare che fuori il mondo continua ad andare avanti e cambia perfino.»
«Se resteremo qua non ci sarà questo problema.»
«Perché, vuoi restare in questa sottospecie di inferno?», Roxas sollevò istintivamente un soppraciglio, accigliato e perplesso dall'affermazione di Axel.

«Beh, ci siamo conosciuti. Non è così male, no?»
Ma Roxas non rispose.



Prese la mira, sparò e guardò il cielo. Fissò gli aerei che squarciavano le nuvole, le tagliavano, le facevano esplodere.

Poi ritornò a focalizzare la vista di fronte a sé, nella realtà, la violenza e gli orrori della guerra.
Prese la mira e sparò, ancora, ancora e ancora. Sparò finché non divenne un gesto automatico. Sparò fino ad accorgersi che l'unico modo per sopravvivere era uccidere, e questa consapevolezza lo svuotò.
Qualche volta si voltò alla sua destra e guardò i suoi compagni; vide i loro occhi, lesse i loro pensieri urlanti, la loro voglia di sopravvivere, la vide, ma poi Roxas alzò di nuovo lo sguardo al cielo, sempre lì, in alto.
Voleva ancora andare nello spazio e per farlo doveva sparare, sparare e sparare all'infinito.
Prese la mira e sparò ancora.




La prima volta che impugnò una Thompson M1A1 fu un fiasco totale e rischiò addirittura di sparare alla schiena di un suo compagno.
Fu terribile. Il generale gli gridò contro di tutto e si sentì umiliato come non mai, di fronte agli occhi di tutti, tutti i suoi compagni, tutto l'accampamento.
Era lì, solo, nel nulla, nel nulla pieno di gente e veniva sgridato come un bambino dalla maestra per essersi comportato male.

HTML Online Editor Sample

«Adesso basta, ha capito.»

 

HTML Online Editor Sample

Quando Roxas rialzò le iridi blu sussultò, accorgendosi della presenza di Axel di fronte a sé.
Era lì. Axel era lì, era lì vicino a lui, contro il mondo.

 


HTML Online Editor Sample

«Sai, magari un giorno potremo andare nello spazio insieme.», Roxas dondolò leggermente la gamba sinistra, roteando lo sguardo da una parte all'altra del corridoio.
Axel nel frattempo si era già alzato, ma non appena udì la voce del compagno si voltò di scatto, sorridendo flebilmente. «Sarebbe divertente.»
«Allora ci andremo.»
Il sorriso dell'altro si spense improvvisamente ed Axel assunse un'espressione seria. «Come faccio ad essere sicuro che non menti?»
«Beh... Non lo so, devi fidarti, credo.», farfugliò il biondo con aria confusa. «Non c'è altro modo.»
«Sì che c'è.»
«E sarebbe?»
«Una promessa.»
Roxas sospirò pesantemente e allontanò la schiena dalla parete, iniziando ad incamminarsi verso la rampa di scale per tornare ad allenarsi; ormai il sole se n'era andato, lasciando posto alle tenebre. «Ancora con questa storia?»
«Mi fiderei di più, se me lo promettessi.», questa volta fu Roxas a voltarsi e si tuffò per l'ennesima volta in quegli smeraldi splendenti. 


HTML Online Editor Sample

Il generale li aveva puniti entrambi e Roxas l'aveva vista come la più grande sconfitta della sua vita; si era addirittura aspettato di vedere Axel arrabbiato per la prima volta, ma invece no, lui rideva, a petto nudo, le braccia scintillanti sotto la pioggia, gli occhi verdi e luccicanti. «Non è così male, almeno non suderemo!»
«Aspettami!», Roxas tentò in ogni modo di stare dietro al compagno, di raggiungerlo, ma quest'ultimo continuò a correre, a calpestare le pozzanghere.
«Sei una checca Roxas, dai!»
Rimasero più a lungo del dovuto sotto la pioggia e si raffreddarono un po', ma Roxas aveva pensato che era okay, che andava bene così perché si era divertito come non mai.
Aveva cercato di correre il più velocemente possibile, ma Axel gli era sembrato sempre più lontano, in mezzo all'odore pungente della pioggia.

 


Prese la mira, sparò, e guardò il cielo.
Udì le urla in lontananza, ma non vi badò.
Il cielo. Le nuvole. La pioggia. I tuoni. I lampi. E gli aerei.
Ne vide uno perdere il controllo prima di precipitare, schiantandosi brutalmente contro il terreno infangato.
Aerei. Pioggia. Tutto insieme. Caos della guerra.
Fissò a lungo il cielo, troppo a lungo, pensò poi.
Troppo a lungo.
Troppo, perché dopo fece appena in tempo ad abbassare gli occhi che un proiettile lo colpì in pieno sulla fronte.
Bum.

 


Axel sapeva praticamente tutto di Roxas, ma quest'ultimo non conosceva quasi nulla di quell'uomo stravagante dai capelli rossi come il fuoco più acceso e vivo.
Non sapeva se era fidanzato, sposato, o chissà altro. Non sapeva da dove veniva, né se frequentava l'Università, o ancora se lavorava.
Non sapeva da quanto tempo si trovava lì, nell'accademia. Non sapeva se c'era qualcuno ad aspettarlo fuori da quel postaccio.
Roxas aveva iniziato seriamente a pensare che forse Axel era sempre così energetico semplicemente perché era una di quelle persone che non aveva nulla da perdere; sì, insomma, ne era piuttosto sicuro, fino a quando in un gelido pomeriggio di inverno gli arrivò una lettera.
Una lettera. Per Axel. Lui non ne aveva mai ricevute, né aveva mai scritto a nessuno. E allora perché di punto in bianco c'era qualcuno che gli scriveva, qualcuno che pensava a lui?
Si mise in un angolino e la lesse, ma non ad alta voce come faceva lui qualche volta. Lesse piano, le labbra mimavano appena parole incomprensibili a Roxas, e lo vide, lo vide tremare dopo un po', poi lo vide piangere.
Aveva iniziato a piangere e Roxas lo aveva fissato a lungo, sconvolto.
Axel stava piangendo.
Ma poi cosa c'era di sbagliato? Anche lui aveva pianto diverse volte; perché invece se lo faceva Axel suonava così strano?
Non gli chiese cosa non andava. Non gli chiese nulla. Non gli chiese chi era il mittente, né gli chiese che cosa c'era scritto. Non gli si avvicinò, lo guardò e basta.
Lo guardò mentre piangeva, mentre si massaggiava un po' le tempie con gli occhi arrossati e le mani che stringevano quel pezzo di carta. Axel alzò lo sguardo soltanto per un secondo; alzò le iridi verdi e guardò Roxas, lo fissò, poi tornò a piangere.
E Roxas capì soltanto dopo che era una richiesta silenziosa, la sua. Capì soltanto dopo che gli stava chiedendo aiuto, una piccola consolazione. Capì soltanto dopo che se gli avesse chiesto che cosa non andava, lui gliel'avrebbe detto, e magari, chissà, avrebbero potuto piangere insieme.




Il dolore aveva un sapore metallico mescolato al forte odore del sangue.
Non aveva sparato abbastanza per sopravvivere?

Rimase lì, disteso, e quasi ne fu sollevato in un certo senso. Era lì, immobile, e c'era silenzio intorno a lui, perché ormai non sentiva più nulla; né gli spari, né le urla, né gli ordini del generale.
C'era un silenzio meraviglioso e ora poteva contemplare il cielo nei suoi ultimi respiri di vita.
Il vento gli schiaffeggiava la faccia e sentiva il fango che si mescolava al suo sangue; le nuvole però erano ancora lì, insieme alla pioggia, agli aerei.
Era tutto immenso, e lui era piccolo, così tanto piccolo.
Pensò che stava bene. Non era amareggiato e neanche spaventato. Non pregò Dio, non supplicò nessuno.
Disteso a fissare il cielo.
Altri aerei squarciarono le nuvole e ne vide uno esplodere di fronte ai propri occhi.
Poi le palpebre si fecero più pesanti e scivolò nell'oblio.
Era okay, andava bene così, la morte era tranquilla e silenziosa.

 

 

Axel era particolarmente bravo a pilotare gli aerei, al contrario suo che era uno dei migliori sul campo di battaglia, nelle prime file, con un fucile in mano.
Proprio per questo non si trovarono mai insieme nelle missioni; e tutto ciò fu davvero un peccato per Roxas perché gli sarebbe piaciuto vedere il comportamento di Axel in guerra, quella vera, non semplici allenamenti.
Però non se lo immaginò mai agitato o preso dal panico, anzi.
Lo vedeva seduto comodamente, i piedi appoggiati sui comandi e quel sorriso sghembo stampato sul volto; lo vedeva tranquillo, forse addirittura troppo, magari pensava ad altro, mentre pilotava.
Comunque riuscivano sempre a scambiarsi quattro parole prima di dividersi; Axel quella volta si era allontanato di nascosto dalla sua squadra per andare dal biondo, tirandogli così una pacca sulla spalla. «Buona fortuna.»
Roxas non era riuscito a sorridere, ma aveva apprezzato il gesto. «Grazie, anche a te.»
«Hai paura?»
«Perché, tu non ne hai?»
E Axel aveva sorriso, come sempre, senza rispondere però alla domanda dell'altro. «Andrà tutto bene, te lo prometto. Scommetto che dopo tornerai a casa.»
«Magari.»
«Fidati.», poi l'uomo gli aveva tirato un altro colpo leggero sulla schiena prima di tornare al suo posto.
E Roxas lo aveva guardato per qualche secondo, sorridendo appena. 


HTML Online Editor Sample

«Se ti colpissero cosa faresti?»
«Non lo so. Pregherei, probabilmente.»
«Cosa?»
«Beh, pregherei Dio, no?»

«Perché, tu credi in Dio?»
«Non saprei. Però sai, in un momento del genere credo che sarei disposto a credere in qualsiasi cosa.»
Axel sorrise. «Questo si chiama sfruttare. Non è giusto ricordarsi dell'esistenza di qualcuno soltanto quando ti fa comodo.»
«E allora tu cosa faresti?»
«Se venissi colpito dici?»
«Sì.»
«Chissà... Ti penserei, forse.» 


HTML Online Editor Sample

Roxas Coleman non morì a diciannove anni, quattro mesi e ventitrè giorni, impugnando un fucile Lee-Enfield, né mori su un campo di battaglia.
Quando si risvegliò non vide più grigio, ma soltanto bianco.
Fu ricoverato e lo fecero uscire due settimane più tardi con gravi danni al cervello che gli alterarono la memoria.
E quando tornò a casa con quel piccolo zainetto verde sulle spalle, il volto scavato e stanco, le labbra pallide, la testa fasciata, la vide; Naminè lo aveva davvero aspettato, era lì, era diventata ancora più bella, e aveva corso quando lo aveva intravisto, le lacrime di gioia agli occhi.

Ma lui non rispose al suo abbraccio, né rispose ai suoi sentimenti.
Fece finta di non ricordarsi di lei. Le chiese chi era, e lei pianse, pianse forte prima di sparire per sempre dalla sua vita.
Roxas rivide davvero sia suo fratello che sua madre. Suo padre era morto, ma non pianse quando lo scoprì perché gli ci volle molto tempo prima di ricordarsi chi era veramente suo padre.
Visse per un po', cercò di ricostruire le sue giornate nonostante continuasse a sentire un'enorme peso al cuore, all'anima; cercò di vivere nonostante la mattina si risvegliava con gli occhi bagnati e il corpo dolorante.
Era orribile non ricordare. Era orribile vedere volti e non riconoscerli: era orribile avere sbalzi d'umore senza senso, era orribile scuotere la testa e dire ''no, non ricordo niente.''
Ci furono volte in cui si dimenticò di essere stato in guerra e forse fu addirittura un bene.
Altre volte invece i ricordi erano forti, vivi, li sentiva vicinissimi e si alzava automaticamente, guardando in alto, alla ricerca degli aerei.

La sua mente sembrò aver completamente rimosso l'immagine di quell'uomo dai capelli rossi, fino a quando un giorno, accendendo la radio, non sentì quell'infinita lista dei caduti durante la guerra.
Infinita. Gli sembrò davvero infinita.
Si sedette in cucina e ascoltò in perfetto silenzio, soltanto la voce del conduttore che rieccheggiava nella stanza.
Un po' si perse, un po' pensò ad altro, un po' si dimenticò di quello che stava facendo; ma quando arrivarono a quella lettera, alla lettera P, si irrigidì e sentì il battito cardiaco accelerare in maniera incontrollabile.

HTML Online Editor Sample

''Palmer, Parker, Patel, Patterson ...'' 

HTML Online Editor Sample

Si alzò di scatto, la mano tremante, il cuore in gola e il respiro ansimante.
Non voleva sentire. Non voleva. Preferiva sperare, illudersi. Lo preferiva. Non voleva la realtà.

Non era pronto.  

HTML Online Editor Sample

''...Perry, Peterson...''

 

HTML Online Editor Sample

Però doveva farlo. Doveva sapere. Doveva, ma non voleva.
Cognomi, nomi, volti sconosciuti, ricordi offuscati, dolore al petto, ovunque. 

HTML Online Editor Sample

''...Philipps...''

 

HTML Online Editor Sample

Rimase lì, immobile, il braccio allungato verso il tasto off, un tremore ovunque, il cuore che esplodeva forte, fortissimo.
Passarono quasi cinque minuti, ma poi, alla fine, lo sentì. 

HTML Online Editor Sample

Powell.
«Comunque piacere, il mio nome è Axel, Axel Powell.»

 

HTML Online Editor Sample

E allora Roxas pianse, singhiozzò forte, fortissimo, si lasciò cadere pesantemente sul pavimento e si mise le mani sul volto, piangendo, continuando a piangere.
Pianse perché aveva ricordato tutto in un attimo; quel volto spigoloso, il sorriso sghembo, gli occhi verdi, i capelli rossi.

Pianse perché sapeva che quell'aereo che aveva visto esplodere prima di perdere i sensi era il suo, era morto lì, lo aveva visto morire.
Pianse perché avrebbe voluto dirgli che anche lui lo aveva pensato, quando era stato colpito.
Pianse perché sapeva che se gli avesse fatto quella promessa lontana, forse si sarebbe salvato.
Pianse, pianse a lungo, per un tempo che sembrò interminabile.
Pianse perché poi il suo ricordo si fece sfocato, lontano, inafferrabile. Dimenticò la sua voce, il suo profumo inconfondibile, la sua risata calda, i suoi capelli rossi.
Cercò di mantenere vivi i suoi occhi verdi; quegli occhi luccicanti come lo smeraldo più splendente.
Ma il tempo cancellò anche quelli e a lui non rimase più niente.
____________________________________________________________ 

HTML Online Editor Sample

*Note di Ev'*
Malinconia portami via, proprio.
Oddio, che brutta entrata in scena. -Tossicchia-
Allora, sì, non so che cosa mi stia accadendo; insomma, ho lasciato tutte le storie a metà e per questo mi sento una merda, dico davvero, mi dispiace un sacco. Però non voglio forzare la mia ispirazione; quando sarà il momento giusto, arriverà. E, inoltre, mi è tornata la voglia di scrivere ''Tutor And Boyfriend'' e ''Insidie Interiori'', quindi credo di essere sulla buona strada.
Visto che siamo in tema di Halloween e visto il mio amore folle verso codesta festa, avevo in mente di postare una raccolta dell'orrore; ho iniziato tipo trè o quattro storie, ma poi mi interrompevo sempre dopo un po'. Mah, credo che mi ci vorrà un po' per pubblicarla.
Intanto boh, mentre mi stavo deprimendo per questa mia carenza di scrittura, ecco che ieri un lampo ha illuminato la mia mente; un'ispirazione, voglia di scrivere su... Boh, su un campo di battaglia, sulla guerra!
E ho iniziato a scrivere. Ho scritto fino alle una e oggi ho terminato tutto.
Anyway, andiamo avanti; una storia drammatica che ha come luogo appunto l'accampamento; Roxas e Axel in versione soldati, dove si conoscono, e, in un certo senso, si confortano a vicenda.
Anzi, è Axel che conforta Roxas, più che altro.
La storia va avanti in un miscuglio tra il presente -Inizialmente scritto in corsivo-, il passato e poi sì, in un certo senso il ''dopo'', il futuro.
Il tutto è avvolto da un filo di malinconia, reso ancora più forte quando alla fine Roxas ricorda di Axel, scoprendo che quest'ultimo è morto. Ciò che fa soffrire molto Roxas, inoltre, a parte il fatto che lo dimenticherà a causa dei danni al cervello, è proprio il fatto che è pentito. Pentito per non aver approfondito il rapporto con lui, ecco.
Che altro dire... Boh, basta. Non voglio dilungarmi °-° Lascio a voi la parola, e, come dico sempre, vi prego di recensire, dato che ho bisogno urgentemente delle opinioni altrui ç_ç
Alla prossima, gente!
E.P.R.

 

   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: EvgeniaPsyche Rox