Capitolo
9
grigia solitudine
Rimanemmo
insieme tutta la notte. Non ci eravamo lasciati neanche per un
attimo: lui era stato tremendamente affettuoso nei miei confronti, si
era lasciato andare per tutto il tempo.
Quando ricominciai a
piangere, baciò le mie lacrime delicatamente mentre il suo sguardo,
da sempre apatico, faceva trapelare sempre di più la sua
frustrazione. Oramai era chiaro per me che lui soffriva parecchio nel
vedermi piangere e questo mi faceva sentire in colpa. Dovevo godermi
quest'ultima notte con lui, rendendola più speciale possibile.
Lo
facemmo tre volte nel giro della notte e, anche se avremo voluto
continuare, non potemmo concludere l'opera perché il sonno ci aveva
rapiti dagli albori della mattina.
Mi svegliai
verso mezzogiorno. Mi girai immediatamente verso il lato di Akito, ma
con una desolante sensazione e rabbia per essermi addormentata in un
giorno così importante, iniziai a girare per tutta la casa urlando
il suo nome, cercando di capire se era già andato via. Infine
guardai nella sua camera e notai che tutto era esattamente come
l'aveva trovato il giorno del suo arrivo. Tutto era tornato come e
non fosse successo nulla. Avevo forse sognato di ritrovarmi tra le
sue forti braccia? A quel pensiero non riuscii a trattenere le
lacrime, le mie gambe si fecero improvvisamente deboli e, tra un
singhiozzo e l'altro, riuscii a intravedere un biglietto bianco sopra
il cuscino rosa del letto.
Mi avvicinai repentinamente verso
quella fonte di speranza e lessi con il cuore in gola.
Ti ringrazio per l'ospitalità,
Sana.
Prenditi cura di te, ti auguro di essere felice.
Akito
Queste erano esattamente le parole che ci si poteva aspettare da Akito Hayama, il ragazzo che non mostra mai ciò che pensa, che si nasconde dietro i suoi occhi duri e profondi. Questo è tutto ciò che mi rimane di lui. Un un piccolo biglietto stropicciato. L'unica prova di aver realmente vissuto questa notte talmente bella quanto terribile. A quei pensieri, le mie lacrime, non solo mi bagnarono il viso, ma anche il petto, le gambe e il pavimento.
*****
Gli aeroporti sono la mia passione, come potevo non aver mai notato però quanto possano diventare uno dei luoghi più tristi? Guardandomi intorno potevo vedere solo persone che partivano, accompagnate dai loro cari e delle scene da film; persone che si abbracciavano con sentimento, persone che si salutavano da lontano con gli occhi grondanti, e persone come me che, per non vivere quella scena, si avviavano da sole al check in.
Il mio occhio
da esperto non poteva non emergere tra i pensieri tristi. Notai che
l'aereo era molto grande, un aereo di linea nuovissimo. Aveva delle
prestazioni pari a quelle di un tornado.
Sapevo che quei pensieri
non potevano annidare la mia mente ancora per molto, ma ci provai.
Dopo circa un ora di viaggio riuscii a passare qualche minuto nel
sonno, ma senza addormentarmi definitivamente. Ogni volta che
riaprivo gli occhi e guardavo dal finestrino, tra le nuvole, riuscivo
a scorgere solo il suo volto.
Non potevo non pensare a quella
notte, tanto, troppo bella.
Ero riuscito ad amarla
incondizionatamente, senza pensare ai risvolti negativi, a ciò che
avrei provato la mattina dopo sapendo di dover partire.
La
penombra della notte disegnava dolcemente i suoi sinuosi lineamenti,
sembrava quasi un illusione; ma lei era realmente là, più bella che
mai, ad aspettare un nuovo bacio, una nuova carezza.
Mentre lei
all'alba riuscì a prendere sonno, io non potei dormire. Continuai a
rimanerle abbracciato fino a metà mattina: volevo sentire il calore
del suo corpo sul mio, fino alla fine. L'osservai per qualche minuto
un'ultima volta; gli scostai i capelli dal viso e osservai più da
vicino i suoi lineamenti, così da poterli stampare a fuoco nella mia
mente e da poterli portare sempre con me.
Dopo aver preparato le
valigie e dopo svariati tentativi nello scrivere un misero biglietto,
che si rivelò un completo fallimento, mi avviai verso la porta,
uscendo in silenzio per non svegliarla.
Quella mattina avevo
provato delle emozioni contrastanti, che non avevano niente a che
fare con il senso di colpa di aver tradito mia moglie. Poteva
veramente chiamarsi tradimento, quello lì? Tecnicamente sì, ma non
riuscivo a vederlo come una cosa sporca, sbagliata. Per la prima
volta dopo tanto tempo mi ero sentito esattamente dove dovevo stare,
in completo equilibrio, come se il mio posto fosse solo quello, come
se lo scopo della mia vita fosse proprio quello di stare accanto a
lei, e di non lasciarla mai. Dall'altra parte però, quella
sensazione di smarrimento, di ferita lacerante, che pesavo di aver
dimenticato, era tornata a infestare il mio cuore, sempre più
insofferente a quel genere di sensazione; come se non avesse provato
altro nella vita, come se volesse un attimo di tregua. Questo era
successo nello scrivere quel biglietto. Sapevo che sarebbe rimasta
delusa e ancora più amareggiata leggendo quelle semplici parole di
cortesia, come se fossimo stati degli estranei per tutto il tempo.
Una piccola parte di me, quella irrazionale, mi portava ad avercela
ancora un po' con lei per quello che mi faceva provare, per la pace
che sapevo non mi avrebbe mai regalato lontano da lei. Il fatto di
non poterla avere mai completamente mi faceva diventare matto e mi
portava ad amarla e odiarla allo stesso tempo: la odiavo per la sua
bellezza, per il suo buonumore, per la sua vitalità che non avrei
mai più potuto accarezzare se non in qualche dimensione onirica. La
mia croce, la mia passione, la mia ossessione di sempre: Sana Kurata.
L'America era
caotica esattamente come quando l'avevo lasciata; L.A. non era di
certo mutata.
Decisi di avviarmi verso casa mia: dovevo
affrontare la situazione e prendermi le mie responsabilità, anche se
dopo quello che era successo in Giappone, sarebbe stato più
difficile di prima.
Già all'ingresso notai la disposizione dei
mobili cambiata, un profumo di rose e una temperatura degna del mese
di Dicembre.
Entrai in cucina e la vidi seduta sulla sedia,
leggendo un libro di ricette.
“Come mai sei già qui?” Non si
voltò, ma notai che il sua pancia era diventata leggermente
convessa.
“Il progetto non era stato approvato correttamente e
forse questo intaccherà il mio lavoro in Giappone.” Questo era
tutto ciò che avevo da dire. Non mi andava di dire nient'altro.
“Dove vai adesso?” mi fermò proprio mentre stavo tornando in
camera mia, ancora senza voltarsi. La sua voce apatica mi faceva
sentire avvilito.
“Vado a sdraiarmi, sono stanco”
“Ci
sono delle cose che dobbiamo chiarire prima, Akito.”
*****
Tra le lacrime
e i miei singhiozzi sentii il campanello suonare. Avevo realmente
voglia di ricevere visite? Non riuscii a formulare completamente
quella domanda che una voce femminile da dietro la porta mi
rassicurò.
“Sana sono tua madre, vuoi aprirmi per favore? Lo
so che sei in casa, ho visto la tua macchina nel corti...” non la
feci finire.
Alla sua vista non potei far altro che scoppiare in
lacrime più di prima.
L'abbracciai sulla porta e lei, interdetta,
non poté fare altro che stringermi e consolarmi, come faceva durante
la mia infanzia.
Dopo qualche minuto la feci entrare e chiusi la
porta. Lei si sedette sul divano e mi fece cenno di mettere la testa
sulle sue gambe. Così feci.
“Sono venuta a trovarti perché
sono due settimane che non ti fai sentire, mi sono preoccupata.” La
sua voce calda mi riscaldava il cuore, ormai stropicciato e
incompleto proprio come il biglietto che mi aveva lasciato
Akito.
“Vuoi dirmi cosa è successo?” continuò calma.
Rimasi
in silenzio per un po' fino a quando trovai il fiato per
parlare.
“Akito è... tornato in America” La mia voce era
tremante e poco chiara, ma mia madre avrebbe colto lo stesso il
messaggio.
“Lo immaginavo cara” fece una pausa, un sospiro, e
poi continuò “forse ho sbagliato a suggerirti di aiutarlo a
sistemarsi”.
“Non l'ho solo aiutato a sistemarsi, l'ho
invitato a stare qui” le carezze sui miei capelli divennero colpi
di martello di plastica.
“SEI UNA SCIOCCA! SAPEVI CHE SAREBBE
ANDATA A FINIRE COSI'! COME POTEVI PRETENDERE DI VIVERE CON LUI COME
SE FOSTE DUE FRATELLINI?!” non finiva di darmi colpi con il suo
martello giallo e rosso.
“Mamma piantala, non ho voglia adesso
di discutere” all'udire della mia voce ancora apatica si calmò e
continuò ad accarezzarmi la testa.
“Scusa tesoro... ma come ti
è venuto in mente di invitarlo a stare qui?”
“Non lo so! Mi è
venuto spontaneo” singhiozzai ancora e ancora tra le braccia di mia
madre che stava in silenzio.
“Sapevo infondo che sarebbe andata
a finire così, ma non ho resistito: Akito Hayama è sempre stato il
mio punto debole.” Continuai, tra le lacrime.
“Ieri notte...
per la prima volta dopo tanto tempo... non mi sono sentita più
sola... ma ora, lo sono nuovamente e più di prima!” I miei
singhiozzi si fecero sempre più deboli fino a quando mi sorprese,
finalmente, un gran sonno.
Angolo autrice
Salve
a tutti :)
Lo so, lo so, sono sparita dalla circolazione e chiedo
umilmente scusa. È stato un periodo faticoso per me e non ho proprio
avuto tempo di aggiornare.
Non me la sentivo di abbandonare questo
progetto, anche perchè in effetti gran parte del lavoro è stagnante
nel mio pc... e poi, questa è la prima storia che ho pubblicato e si
merita una conclusione.
Detto questo, non posso promettere
aggiornamenti costanti e veloci, mi sento solo di promettere che
questa storia avrà una fine.
Spero che il capitolo sia stato di
vostro gradimento anche se breve :)
un bacio, a presto!