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Autore: yoshimoto    21/10/2012    0 recensioni
Descrivono il mito come un qualcosa di sacro e immutabile nel tempo, magari esagerato durante il suo corso. I filosofi lo chiamerebbero «allegoria di un concetto di un popolo o di un’ideale comune».
Gli scrittori direbbero che è la loro ispirazione, così come per i pittori.
I cantanti proporrebbero la loro idea di «uomo da cui prendere esempio» per una vita ricca di successo.
Un’adolescente comunissima come me, invece, urlerebbe alla gente intorno a sé che il primo mito a cui dobbiamo ispirarci siamo noi. Dobbiamo prendere le sconfitte e le sofferenze e dobbiamo affrontarle a testa alta, senza il timore di rimanerci secchi spiritualmente e praticamente.
Perché, diciamocelo, a quanti piacerebbe avere una vita perfetta?
Soldi, successo, amore, cultura tutti insieme? Ma dico, stiamo scherzando? Farebbe comodo a tutti essere talmente sublimati dal resto del mondo da non doversi preoccupare di niente.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Midsummer's legend

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Descrivono il mito come un qualcosa di sacro e immutabile nel tempo, magari esagerato durante il suo corso. I filosofi lo chiamerebbero «allegoria di un concetto di un popolo o di un’ideale comune».
Gli scrittori direbbero che è la loro ispirazione, così come per i pittori.
I cantanti proporrebbero la loro idea di «uomo da cui prendere esempio» per una vita ricca di successo.
Un’adolescente comunissima come me, invece, urlerebbe alla gente intorno a sé che il primo mito a cui dobbiamo ispirarci siamo noi. Dobbiamo prendere le sconfitte e le sofferenze e dobbiamo affrontarle a testa alta, senza il timore di rimanerci secchi spiritualmente e praticamente.
Hai una folle idea che ti sfiora il cervello da un po’? Mettila in atto, magari frutterà e ti renderà felice.
Un tuo amico ti propone una qualsiasi sfida? Perché non provare a parteciparvi? Insomma, il bello della vita è proprio godersela fino all’ultimo, perché poi andremo a finire in un regno talmente calmo che anche gli stessi angeli ci direbbero che l’inferno dopotutto non sarebbe stato male.
Perché, diciamocelo, a quanti piacerebbe avere una vita perfetta?
Soldi, successo, amore, cultura tutti insieme? Ma dico, stiamo scherzando? Farebbe comodo a tutti essere talmente sublimati dal resto del mondo da non doversi preoccupare di niente.
«Oh, che bel gioiello» diremmo «quanto vale?»
Ci risponderebbero con un sorriso a trentadue denti: «Solo un miliardo di sterline»
E noi non esiteremmo a dare quella somma ingente. Tanto, che importa?, la nostra vita si baserebbe sul denaro altrui. E no, non sto facendo riferimenti puramente casuali ai politici e ai grandi imprenditori. Cioè, non ne avevo l’intenzione. All’inizio.
«Sei bellissimo» «Wow, che splendore» «Sei vestito divinamente!» «Senza parole»
Che tradotto per i comuni mortali equivarrebbero essenzialmente a «Che obbrobrio» «Oddio, che squallore» «Sei vestito da straccione» «Vorrei insultarti»
E noi staremmo lì a bearci dell’ammirazione del resto del mondo in attesa che niente di tutto questo finisca.
Poi arriva qualcuno come Che Guevara o Gandhi e ti senti alle strette.
I tuoi ammiratori aprono gli occhi e sei spacciato.
Guerre, silenzi, digiuni. Ti senti un po’ un Luigi XIV o sua moglie Maria Antonietta.
«Cosa vuole il popolo?»
«Del pane, ma non ne hanno»
«Che mangino le brioche»
E boom. Sei spacciato. Hai detto le ultime parole sacre.
Ora sarai ghigliottinato e non avrai scampo. Ti accorgi troppo tardi di aver sbagliato e, mentre la tua testa rotola giù per il patibolo, la tua anima vola verso l’alto con i sensi di colpa.
Allora trovi San Pietro al cancello del Paradiso che ti scruta indagatore.
«Hai fatto qualcosa di male?» ti chiede.
Tu scuoti il capo, mentendo nonostante tu sia al cospetto del braccio destro di Dio.
«Hai creduto in Dio?»
Scuoti ancora il capo. «Ho creduto in me»
E ancora boom. L’inferno.
Arrivi lì e Satana ti fa la stessa domanda del Santo in Paradiso.
Scuoti ancora il capo e lui sorride invitandoti poco cortesemente nella sua caldissima dimora.
Urla e dolore, lussuria e depravazione. L’esatto opposto a cui in vita ci spingono ad ottenere.
E chi preferirebbe una giornata a pregare piuttosto di una all’insegna del movimento? Nessuno, a meno che tu non creda nel non voler affrontare quello che hai davanti.
E quindi, a questo punto, il Paradiso sarebbe vuoto.
Al suo interno ci sarebbe solo il “mito” più citato al mondo. Su Google troveremmo un numero illimitato della parola “Dio”: «Dio è onnipotente, onnipresente» «Dio mi odia» «Dio non esiste» «Dio è con me»
E allora il mito sarebbe solo un qualcosa di inconsistente e inutile.
Credete in voi stessi, fidatevi di me. Altrimenti San Pietro vi leggerà nella mente e vi costringerà alla preghiera a tutte le ore vestiti in orribili abiti bianchi e infradito scomodissime.
 
 
Così come l’inferno, la vita terrena ha quel non so che di inquietante.
A partire dalla sveglia o dalla voce squillante di tua madre che ti avvisa di essere in ritardo nonostante tu sappia che stia mentendo solo per farti sbrigare. O dalla luce che penetra dalla finestra che hai dimenticato di chiudere la sera prima, troppo occupata a studiare una materia inutilissima come la matematica.
Perché sì, la matematica sostanzialmente è inutile.
Non è che uno parla utilizzando formule matematiche o suoi simili.
«Buongiorno, tre quarti diviso radice cubica di otto, vero?»
«Ottantaquattromila fratto un miliardo!»
Sarebbe come vivere in un incubo, ma da svegli.
Il mio professore, a sentire quel che sto dicendo ora, si strapperebbe quei due peli rimastigli sulla capocciona minacciandomi: «Quest’anno sarai bocciata nella mia materia» e allora io non avrei esitato a sfoggiare i voti brillantissimi nel resto degli altri ambiti.
Lo avrei bloccato sul tempo facendogli presente che non avrebbe potuto fare niente. Avevo altre nove persone dalla mia parte.
Potente, ecco cos’ero allora.
Papà medico importantissimo e mamma casalinga disperata alla ricerca di un uomo che potesse regalarle quel che papà le negava perché troppo interessato al suo lavoro: sesso.
L’avevo scoperta avvinghiata al suo maestro di Salsa quando, una sera, tornai tardi da una festa.
Lei subito si era staccata da lui, giustificandosi con scuse impossibili.
«Stavamo guardando i mobili» diceva imbarazzata «Lui è un ottimo falegname e io voglio cambiare aria in casa»
La fissavo con occhi allibiti. A quindici anni e una vita meravigliosa come la mia, quello fu veramente un grande colpo inflittomi. Non avevo mai osato pensare che mia madre non amasse sul serio l’uomo che l’aveva sopportata nonostante i suoi sbalzi d’umore repentini e le era stato accanto quando i suoi genitori morirono.
Sì, era uno stakanovista convintissimo, ma amava sua moglie.
Difatti ho sempre pensato che avesse il prosciutto sugli occhi, mai pensato il contrario. Troppo ingenuo e buono, pover’uomo.
Allora mamma mi aveva proposto uno scambio equo: mi avrebbe fatto partecipare a qualsiasi festa durante l’anno se avessi tenuto nascosto l’avvenuto a papà.
Detto fatto.
Solo che anche lei nel campo dell’ingenuità non era da meno: papà decise di farle una sorpresa tornando prima da un convegno medico in America, trovando la sorpresina.
Niente di che, solo lei che ora, invece del maestro di salsa da solo, si era ritrovata anche con il compagno di quest’ultimo.
Due finocchi e un donna sposata.
Adulterio che passò inosservato per la bontà dell’uomo che mi permise di nascere.
Ecco cosa c’è di inquietante nella vita: la gente cattiva che si approfitta di quella buona. Ma almeno avevo imparato che sbagliando non s’impara niente, e che persuadere la gente fosse il compito più arduo della storia. A meno che tu non sia medico, innamorato e, di conseguenza, accecato dalla stupidità umana.
Ma magari papà era buono perché doveva avere un animo caritatevole con le persone che avrebbe dovuto curare.
Magari l’arrivo della nuova governante avrebbe fatto cambiare anche lui. E me. Ad ogni modo, la nostra famiglia fu radicalmente – e forse anche fortunatamente – migliorata.
San Pietro e Satana entrarono nelle nostre case nelle vesti di una madre e un figlio dall’aspetto meravigliosamente buono e cattivo allo stesso tempo.
Affascinanti, intelligenti, furbi. Furono loro a complicare ulteriormente le nostre vite.
E, ovviamente, io e il mio genitore cogliemmo al volo quell’opportunità: affrontammo tutto quasi senza batter ciglia, sapendo che, in un modo o nell’altro, quelle due persone ci avrebbero portati rispettivamente nel girone giusto.
John Miller avrebbe indossato la lunga veste bianca e io i miei abiti preferiti, con la differenza che avremmo vissuto tutto quello ancora in vetta al nostro periodo migliore. Nessuno Che Guevara o Gandhi tra noi, nessun patibolo: solo la Terra come campo interminabile di prove da superare.
  
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