7. Date
"Allora, che cosa è successo di così
importante?" Chiese Conan, tenendo con una mano la cornetta del telefono
e con l’altra il farfallino, sforzandosi di avere una voce tranquilla e un po’
seccata. Dall’altra parte sentì Ran fare un respiro profondo, come se si stesse
preparando ad iniziare un discorso lungo e difficile, poi il suo tono serio: "Ho
bisogno di parlarti, Shinichi."
"Sono qui, dimmi tutto." Rispose calmo lui, abbassando lo sguardo mentre una
goccia di sudore freddo gli scendeva dalla fronte. Era teso, davvero molto, ma
non voleva che lei lo capisse "No...non in questo modo...vedi io..." un altro
respiro profondo "Vorrei incontrarti. Voglio parlarti di persona, non attraverso
il telefono."
Stavolta toccò a Conan lasciarsi andare ad un sospiro: "Ran, te l’ho detto, non
posso tornare adesso...sto seguendo un caso..."
"Ne ho davvero bisogno, Shinichi." lo interruppe con un tono triste e sincero
che lo zittì all’istante:
"Non ti chiedo di abbandonare il tuo caso, so quanto ci tieni ad essere un
detective...vorrei solo che tu tornassi per un pomeriggio, magari, o se è troppo
anche solo per un paio d’ore..."
"Ran, cerca di capire..." riprese Conan con la sua voce da adulto, molto a
disagio. Sa il cielo quanto avrebbe voluto ritornare normale subito, parlarle
senza quello stupido aggeggio, poter stare insieme a lei senza fingere e mentire
in continuazione. Purtroppo era una cosa che non dipendeva da lui...
"Non posso mollare tutto così, di punto in bianco, anche se solo per poco
tempo...io.."
"Però non ti sei fatto problemi a mollare me, di punto in bianco!" stavolta
nella voce di Ran c’erano rabbia e risentimento, sentimenti che lo trafissero da
parte a parte, dolorosamente, lasciandolo profondamente scosso.
Dannazione Ran come faccio a farti capire che non è stata colpa mia che darei
anche l’anima pur di tornare indietro nel tempo mi odio per quello che faccio ti
prego non odiarmi anche tu
"R...Ran...mi dispiace, ma quel giorno di tanto tempo fa, quando ho deciso di
seguire questo caso, ti giuro che non avrei mai creduto di impiegarci così
tanto..." Nessuna bugia, aveva parlato sinceramente questa volta, e pur sentendo
dall’altra parte del telefono lo sbuffo incredulo della ragazza continuò:
"Vorrei davvero poter tornare, ma non posso proprio..."
"Shinichi, io devo parlarti al più presto...per me è davvero indispensabile.
Vieni domani, ti prego."
La voce inflessibile che aveva mantenuto s’incrinò nell’ultima parola, che suonò
davvero come una supplica e non solamente come un modo di dire. Conan ne fu
colpito, sembrava che per lei fosse una questione di vita o di morte. Che
volesse parlargli riguardo a quello che aveva confidato al suo _fratellino_ allo
stabile? Però sembrava che Kazuha fosse riuscita a tranquillizzarla quella
sera... perché era di nuovo così triste? Che fosse davvero solo a causa sua che
soffrisse?
"Okay...verrò, se è davvero così importante. Ma domani, Ran...è un po’ troppo
presto. Mettiti nei miei panni, non posso andarmene all’improvviso..."
"Stai mentendo!" Ran era di nuovo in collera, Conan sentì un’altra fitta al
petto: "Non mi sembra che ci siano stati tutti questi problemi, mesi fa, quando
sei tornato per il caso del diplomatico. Anzi, ricordo benissimo che hai detto
di essere stato avvisato da Conan e di aver preso immediatamente il treno per
venire qui. Certo, se si tratta delle tue stupide indagini sei sempre scattante
e pronto a farti in quattro per tornare...quando invece si tratta di me..." le
scappò un singhiozzo e il piccolo detective capì che stava facendo di tutto per
non piangere. Il suo viso si rabbuiò, cosa mai doveva fare? Se per l’ennesima
volta si fosse rifiutato di tornare come voleva lei probabilmente l’avrebbe
persa per sempre. Non voglio più vivere nell’attesa che lui si ricordi che
esisto.
Le parole che Ran gli aveva detto fra le lacrime risuonarono vivide nella sua
mente, sentì quasi come se il suo cuore bruciasse. Tuttavia, non poteva nemmeno
assicurarle di incontrarla l’indomani, poiché non dipendeva da lui e illuderla
sarebbe stato troppo crudele. Immaginò Ran che l’aspettava per ore invano, vide
le sue lacrime, il suo dolore, lo stesso che aveva visto al tavolo di quel
lussuoso ristorante quando qualche tempo prima l’aveva delusa, ancora una volta.
"Shinichi..." la sua voce lo destò da quei pensieri, credette quasi di sentire
le lacrime scenderle sulle guance mentre pronunciava il suo nome. Non voleva che
piangesse, non poteva permetterlo, non avrebbe sopportato di essere di nuovo
causa del suo pianto...non di nuovo...
"Va bene Ran. Come vuoi tu. Se per te è davvero così importante che io lo
faccia, domani tornerò a casa. Te lo prometto." si pentì di queste parole un
istante dopo averle pronunciate, ma la reazione della ragazza gli scaldò il
cuore e gli fece dimenticare per un attimo l’impossibilità di quella promessa:
"Oh Shinichi! Io...Ti ringrazio tanto. Avevo davvero paura che... beh, non
importa, adesso. Ne parleremo domani. Facciamo alle dieci davanti alla fontana
del parco?" la voce era squillante, riconoscente e piena di gioia. Lei era
rassicurata, Conan spaventato:
"Ehm...è già sera tardi Ran, vorrei andare a letto se non è chiedere troppo e
sai bene quanto mi piace dormire fino a tardi, domani poi che è Domenica..." si
aspettò un’altra dura reazione della ragazza, che non venne. Niente in quel
momento poteva guastare la sua felicità:
"Certo che lo so! Ogni mattina per farti alzare dal letto per andare a scuola ti
dovevo citofonare un centinaio di volte!" scherzò lei: "Va bene dormiglione,
facciamo allora alle sei di domani sera. Per te è okay?" Conan spostò lo sguardo
di lato, stringendo i denti a disagio: "Sì sì...come no..." balbettò inquieto,
stringendo la cornetta tanto forte che la mano sudava.
"Allora siamo d’accordo. E non ritardare come tuo solito Shinichi, o sarà peggio
per te!" Ran stava scherzando ma non poteva sapere il tuffo al cuore che quelle
parole avevano provocato nel suo interlocutore: "N...non tarderò, tranquilla. Ci
vediamo domani..."
"A domani, ciao!" sentì il suono del ricevitore agganciato e lo fece a sua
volta. Rimasto solo con se stesso si rese conto della stupidaggine che aveva
appena fatto e cominciò a sbattere piano la testa sulla porta a vetri della
cabina telefonica. Era stato uno stupido, aveva fatto a Ran una promessa che
molto probabilmente non avrebbe potuto mantenere. Molto probabilmente....
Uscì dalla cabina telefonica e una zaffata di aria gelida gli sferzò la faccia,
mentre si avviava verso la panchina dove Heiji si era seduto ad aspettare,
visibilmente annoiato. Quando si accorse del suo ritorno il ragazzo si
stiracchiò e lo guardò fisso con aria interrogativa. Purtroppo Conan non era
disposto a perdere tempo a spiegarsi: "Hattori, torna all’agenzia da solo, io
devo fare una cosa"
"Come dici scusa?" Heiji si alzò dalla panchina, gli si avvicinò piegandosi
sulle ginocchia in modo da essere alla sua stessa altezza e lo guardò dritto in
faccia: "Dopo avermi fatto aspettare mezz’ora qui al freddo, dopo avermi
assicurato che mi avresti spiegato tutto finita la telefonata, vorresti che me
ne andassi? Non ci penso nemmeno." Concluse con semplicità. Conan gli lanciò
un’occhiata fra l’irritato e l’annoiato: "Mi dispiace." Sembrava tutto tranne
che rammaricato: "Ma devo proprio fare questa cosa. Dì a Ran che abbiamo
incontrato il professor Agasa, che dormirò a casa sua perché ha inventato un
nuovo videogioco e voglio provarlo. Ci vediamo domani mattina..." si voltò per
andarsene ma di nuovo il ragazzo lo afferrò per la collottola: "Io non dico
niente a nessuno se tu non ti spieghi subito, Conan kun. Parla, forza, piccolo,
dov’è che vai?" Lo scrollò, Conan lesse sul suo viso un’espressione che lo
preoccupò: se Heiji perdeva la pazienza era probabile che si _dimenticasse_ che
lui in realtà era un diciassettenne come lui. Quando Heiji aveva quello sguardo
da pazzo, non c’era da stare tranquilli...sebbene fosse un bravo ragazzo e un
buon amico, uno dei migliori che si possa desiderare, era meglio non calcare
troppo la mano...sarebbe stato capace di combinargli chissà quali casini, per
vendicarsi, e in quel periodo ne aveva fin troppi a cui pensare. Sospirò
rassegnato ma anche infastidito dall’essere costretto a fare qualcosa che non
voleva; due volte in un giorno, un bel record. Il suo orgoglio ne stava uscendo
gravemente segnato, accidenti. "Non ho mentito, vado davvero dal professore per
passare la notte lì. Ho bisogno di parlare con Ai"
"Ma Ai non è quella ragazzina bionda, che ha inventato..."
"Sì, proprio lei. Devo parlarle proprio riguardo a quello."
"Come mai?" Conan gli lanciò un’occhiata in tralice, si costrinse a raccontare
la sua telefonata all’insistente detective dell’ovest, consapevole che non
l’avrebbe lasciato andare finché non avesse saputo tutto quanto. Lui lo
ascoltava annuendo, aggrottando le ciglia meditabondo.
"Ho capito. Certo che anche tu...chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Dovevi proprio prometterle una cosa del genere?" Chiese con aria di rimprovero.
"Ma che cavolo avrei dovuto fare me lo spieghi? Mi stava scoppiando a piangere
lì..." Sbuffò Conan sempre più irritato. Heiji se ne accorse e preferì
smetterla. La stima e l’amicizia di Shinichi Kudo erano molto importanti per
lui, e non voleva rischiare di perderle. Era il miglior detective che avesse mai
conosciuto, aveva sempre tenuto da conto tutti i consigli e le frasi a effetto
con cui ogni tanto Kudo esordiva, con uno stile unico al mondo, che l’aveva
sempre affascinato. Ogni tanto, inconsciamente, assumeva nei suoi confronti un
atteggiamento protettivo, quasi da fratello maggiore, seppur consapevole della
grande forza sia morale che fisica del suo migliore amico. Lo lasciò andare e
stette a guardarlo mentre si aggiustava il collo della camicia e della giacca
che lui gli aveva sgualcito, poi si alzò: "Beh, una soluzione si troverà...in un
modo o nell’altro tu riesci sempre a cavartela, per quanto la situazione sembri
disastrosa. E poi ci sarò anch’io con te..." Conan gli lanciò un’occhiata
stupita e incredula, Heiji sfoggiò un sorriso a trentadue denti: "E noi due
insieme siamo imbattibili, i migliori detective del mondo." Il bambino fece una
risatina di rassegnazione, mentre una goccia gli scendeva dalla testa alla nuca,
cominciò a camminare verso la casa del professore ma, a metà strada, Heiji lo
chiamò e lo fece voltare: "Dicevo sul serio prima..." ribadì, stavolta con
l’espressione grave che gli vedeva sempre mentre ragionavano insieme su un caso:
"Sono sicuro che riuscirai a trovare una via di uscita. Hai risolto questioni
ben peggiori di questa in passato, perciò non abbatterti. Ce la farai." Conan
gli sorrise di rimando e si incamminò verso la casa del suo ex vicino,
zoppicando, provando a mente il discorso che avrebbe dovuto fare alla bella
Sherry.
"Allora ha accettato!? Ma è stupendo!!" esultò
solidale Kazuha, vedendo l’espressione raggiante sul viso della sua amica: "Già,
avevi proprio ragione, ho fatto bene a dargli un’altra possibilità. Certo, ho
dovuto insistere un pochino, ma appena ha capito quanto era importante per me ha
subito acconsentito a venire." Ran stava in piedi davanti allo specchio della
sua camera, teneva in una mano una camicetta celeste ancora appesa alla gruccia
e nell’altra un maglioncino a collo alto ma senza maniche, di un verde prato.
Non aveva smesso di sorridere da quando aveva finito di parlare al telefono:
"Quale ti piace di più?" Chiese a Kazuha, che se ne stava seduta sul letto con
le gambe accavallate: "Ran chan, lasciatelo dire...hai il gusto dell’orrido."
Rispose chiudendo gli occhi a fessura, Ran la guardò per un attimo perplessa,
poi aggrottò la fronte: "Cosa vuoi dire?"
"Beh, tu e Kudo non vi vedete da un sacco e tu vorresti andare all’appuntamento
vestita come tutti i giorni? Ma andiamo!" Si alzò e si avvicinò all’armadio,
scostando Ran quasi con sgarbo e cominciando a rovistare fra i suoi abiti; alla
proprietaria non piacque molto quel suo gesto ma non disse nulla, troppo felice
quella sera per arrabbiarsi con chiunque, e si limitò a mugugnare. Alla fine
Kazuha riemerse dall’armadio in cui aveva infilato la testa un po’ spettinata e
tirò fuori una minigonna a pieghe rosa, corredata di una cinta nera: "Uhm,
questo va bene per sotto, ma per sopra dovrò prestarti qualcosa io..." disse
meditabonda, infilando tra le mani di Ran l’indumento. Aprì il suo borsone e
cominciò a svuotarlo buttando tutto per terra, di fronte ad un’incredula Ran
rimasta senza parole: sembrava che lei non esistesse più, non la considerava
proprio, quasi come se la ragazza stesse scegliendo i vestiti per la sua
bambola. Dopo un po’ le sfuggì un gridolino di soddisfazione e le mostrò un top
nero con una giacchetta di seta trasparente dello stesso colore a maniche
lunghe, da indossare sopra: "Ecco, metti questi, ti trucchi un po’ e..." osservò
i lunghi capelli bruni e sciolti della ragazza e ne prese una ciocca fra le
dita: "Sì, direi che domani mattina come prima cosa ti faccio la piastra, hai i
capelli un po’ gonfi...e le scarpe..."
"Kazuha chan, ti vuoi calmare?" Sbottò infine Ran. Lei la guardò come se di
colpo l’avesse svegliata da un sogno ad occhi aperti, con aria interrogativa,
poi arrossì: "Scusami tanto, Ran chan, mi sono lasciata prendere la mano.
Comunque, hai degli stivaletti neri con il tacco?"
Le guance di Ran divennero di fuoco, abbassò lo sguardo: "Ecco io...non so...non
è il mio stile. Quel top poi è così scollato...se Shinichi me vedesse preparata
in quel modo per lui potrebbe mettersi in testa strane idee...potrebbe credere
di..."
"Di piacerti?" Terminò sorridendo la frase per lei: "E non è così, Ran chan?"
"No! È solo un amico...un mio caro amico!" le gridò contro, ma si accorse che
Kazuha non credeva ad una sola parola di quello che diceva e, infastidita,
decise di vendicarsi: "Piuttosto, per chi l’hai comprato tu quel top, non è che
volevi indossarlo per il tuo amato Hattori?" insinuò con aria maliziosa e
stavolta toccò a Kazuha essere imbarazzata: "N..No!! Ma che dici? L’ho visto in
vetrina e mi piaceva...figurati se io compro una cosa del genere per quel
bamboccio! Sai che lo considero un po’ il mio fratello minore...è inutile che
fai quella faccia, dico sul serio!!" strizzò gli occhi, poi entrambe rimasero in
silenzio riflettendo: "A proposito, dove sarà finito Heiji?" Chiese Kazuha
perplessa. Ran si strinse nelle spalle con aria preoccupata: "Boh...ci siamo
voltate e non c’era più...teneva sulle spalle anche Conan, chissà dove l’avrà
portato...povero piccolo, ha avuto una giornata difficile, e la sua gamba..."
Chinò la testa, Kazuha sospirò: "Perché non chiedi a tuo padre di uscire a
cercarli? È un abile detective, no? Li troverebbe subito." Ran assunse
un’espressione rassegnata: "Oh, credo che nemmeno una bomba atomica lo
schioderebbe dal divano...stasera c’è uno special su Yoko Okino alla
televisione..." sentirono fischi, schiocchi di baci e grida di approvazione che
venivano dal salotto, probabilmente lanciate dall’uomo allo schermo del
televisore e sospirarono insieme. Ran si sedette sul letto: "Beh, poco male...di
solito Conan kun scompare e va via tutto solo a qualsiasi ora...almeno stasera
c’è Hattori con lui. Certo che è strano..." Ran aggrottò la fronte meditabonda:
"il suo comportamento mi è sempre sembrato fin troppo...bizzarro per un bambino
delle elementari. Prendi oggi, ad esempio...è venuto a salvarmi allo stabile
ma...come sapeva che ero lì? La scuola ha chiamato dicendo che è scappato via di
corsa dalla classe...come se lui...in qualche modo sapesse che ero in
pericolo..."
"Ma dai Ran chan, come avrebbe potuto? È solo un bambino...anche se, a pensarci
bene, hai ragione. Non riesco a capire nemmeno io come ha fatto a sapere dove ti
trovavi, ma perché non glielo chiedi?" disse infine, battendosi il pugno sul
palmo della mano.
"L’ho fatto" rispose Ran: "Lui ha detto che aveva marinato la scuola e che era
andato lì a giocare, quando all’improvviso mi ha sentita urlare...e che non ha
visto nessun rapitore. Però io sono sicura che..." socchiuse gli occhi, poi notò
l’espressione interrogativa e un po’ a disagio di Kazuha e sorrise: "No, nulla
di importante. Devo essermi sbagliata, ero sotto shock..." la ragazza del Kansai
stava per ribattere qualcosa quando udirono suonare alla porta: "Dev’essere
Heiji, ora gliene dico quattro." borbottò Kazuha avviandosi verso la porta, Ran
rise divertita, poi ricominciò a pensare a quella mattina. Non era stata la sua
immaginazione, aveva sentito chiaramente una voce acuta, quella di Conan,
parlare con il rapitore. Inoltre c’erano stati quei passi sulle scale, e tutto
era successo prima che lei urlasse, ne era sicura perché ricordava di aver
pensato che era il complice del rapitore che stava salendo, di essersi
spaventata e quindi di aver gridato. Non era salito nessun altro oltre al
bambino, quindi i passi non potevano essere stati che i suoi... la storia di
Conan non reggeva, per quanto si sforzasse di dargli un senso. Perciò il bambino
Ha mentito
Sobbalzò: perché mai avrebbe dovuto farlo? Qual era la vera ragione per cui si
trovava lì? Decise che si sarebbe fatta dire la verità da lui ad ogni costo,
restia a pensare che il caro Conan kun potesse dirle delle bugie solo per il
gusto di farlo. Seguì il percorso effettuato da Kazuha qualche secondo prima e
vide all’entrata solo Heiji Hattori: "Dov’è Conan?" gli chiese preoccupata;
Heiji abbassò lo sguardo, ancora un po’ seccato dalle lamentele che Kazuha gli
aveva appena propinato e cominciò a raccontare la storia suggeritagli da
Shinichi nel parco.
"Scusa Kudo, non credo di aver capito bene:" Ai si
voltò con la sedia girevole della scrivania dando le spalle allo schermo del
computer su cui stava lavorando e lanciando a Conan un’occhiata gelida. Il
professor Agasa assisteva alla scena sulla soglia della porta, lisciandosi i
baffi bianchi: ancora non aveva capito bene perché il piccolo detective si fosse
presentato a casa sua così all’improvviso e a sera inoltrata. Conan si infilò le
mani nelle tasche dei pantaloncini: "Vorrei che tu preparassi un antidoto per
domani pomeriggio, prima delle sei. Oh, non importa se sarà temporaneo..."
aggiunse in fretta quando si accorse che la ragazza apriva la bocca per
ribattere qualcosa: "Mi serve solo per qualche ora...ti prego, fammi questo
favore, è importante..." La guardò negli occhi attraverso le lenti degli
occhiali e per un po’ rimasero a fissarsi, poi lei si voltò di nuovo verso il
computer e cominciò a battere velocemente le dita sulla tastiera; Conan era in
attesa, i pugni stretti nelle tasche. Dopo qualche minuto Ai smise di scrivere
ed esordì con voce tranquilla: "Non mi hai ancora detto come è andata oggi...sai,
ho avuto l’impressione che non volessi parlarmi." Conan assunse un’aria
innocente, distolse lo sguardo dalla sua schiena e lo fece vagare per la stanza,
cercando di apparire disinvolto: " No, cosa te lo fa pensare?" Ai riprese a
scrivere: "Ad esempio il fatto che hai rifiutato tutte le mie chiamate" rispose
con semplicità ma il suo tono etereo tradì una punta di risentimento.
Conan rimase interdetto: che l’avesse offesa? Subito sorrise e scosse la testa:
Ai non era come tutte le altre ragazze, non se la prendeva per sciocchezze del
genere, non badava a simili inezie. Sì, doveva certamente aver frainteso il tono
della sua voce, lei non era così futile... assunse di nuovo l’aria acqua e
sapone: "L’ho fatto perché ero con Ran, capisci, non potevo parlarti...ora
dimmi, ce la fai a farmi questo favore?" Era ansioso di sentire la sua risposta,
ma a quanto pare la piccola scienziata si divertiva un mondo a tenerlo sulle
spine, chissà se per ripicca o per qualche altro strano motivo:
"Sei sicuro di avermi detto tutto riguardo a oggi pomeriggio? Proprio tutto
quanto?" Conan sobbalzò, il suo tono di voce non era carico di curiosità, era
piuttosto simile a quello che suo padre Yusaku assumeva quando voleva
rimproverarlo per qualcosa.
Consapevolezza...Lei sa...!!
Si voltò infuriato lanciando un’occhiata torva al professore che sorrise
agitato, mettendo le mani aperte all’altezza delle spalle, come per proteggersi:
"Shinichi, io non le ho detto nulla, giuro..."
"Non sta mentendo, Kudo...passavo casualmente accanto al salotto mentre parlava
al telefono con te. Non è stato per niente carino nascondermi di aver avuto
un’intervista sulla nostra piccola avventura, se mi concedi il gioco di parole.
Oh, non preoccuparti comunque, sono abituata ad essere tradita e tenuta
all’oscuro di tutto..." Aveva parlato freddamente, tenendo gli occhi sullo
schermo del pc, ma Conan notò che le sue mani tremavano leggermente. Chinò la
testa, si sentì di nuovo in colpa, sapeva a cosa si riferiva Ai con quelle sue
ultime parole, una cosa di cui si sentiva colpevole quasi quanto coloro che
l’avevano fatto...non le aveva detto nulla proprio per proteggerla dalla
frustrazione che poteva provare, o almeno così aveva creduto, per avere la
coscienza a posto. La verità era invece
Che non volevo affrontare di nuovo il suo sguardo pieno di dolore vederla
piangere come quella sera di tanto tempo sentire le sue lacrime e l’ho ingannata
non avrei dovuto l’unica cosa che so fare è mentire agli altri e a me stesso
Conan si avvicinò alla scrivania: "Haibara io...mi dispiace. Avrei dovuto
dirtelo hai ragione...però...non temere, risolverò tutto io. Non preoccuparti di
nulla...solo... " Il suo tono di voce era sinceramente dispiaciuto, ma Ai non ne
fu addolcita: "...Solo di preparare il tuo stupido antidoto, no? In fondo è per
questo che sono qui...non c’è molta differenza fra quando lavoravo per
l’Organizzazione e adesso...l’unico motivo per cui la gente mi sta intorno è
sfruttarmi per preparare pozioni. Pazienza, ormai ci sono abituata..." Stavolta
sembrava veramente risentita e arrabbiata, la sua solita espressione neutra e
imparziale non riuscì a nascondere i suoi sentimenti. Conan fece per rispondere
qualcosa ma si bloccò, abbassando la testa in modo che i suoi occhi non fossero
visibili e si voltò per andarsene ma, giunto sulla soglia, il professore gli
fece cenno di guardarsi alle spalle con aria triste e lui si voltò, vedendo che
Ai aveva abbandonato la sua posizione perfettamente eretta per prendersi la
testa fra le mani, con i gomiti poggiati alla scrivania. Sembrava davvero
esausta, quasi disperata. Conan le si accostò e le posò delicatamente una mano
sulla spalla, lei si voltò e si ritrovarono vicinissimi, le frange dei capelli
che si sfioravano...Ai distolse lo sguardo, Conan credette di aver visto un
rossore sulle sue guance: "Ai, scusami, scusami tanto. Capisco come ti senti ma
io non volevo ferirti, e per quanto banali possano sembrare queste scuse non so
cos’altro dire. Non voglio sfruttarti, il fatto è che era davvero indispensabile
per me che tu mi facessi quel favore." La voce gli tremò: "Ma pazienza. Troverò
un altro modo per risolvere il mio problema. Tu non pensarci più..." tornò sui
suoi passi ma stavolta fu lei a bloccarlo quando ormai era arrivato sulla
soglia:
"E’ per quella ragazza, giusto? Ran Mouri... sì, dev’essere per lei..." la sua
voce era malinconica, ma quando parlò di nuovo ridivenne neutra, indifferente:
"Senti, posso provare a prepararti un antidoto per domani, ma non so se andrà
tutto bene; dalle analisi ho visto che l’antidoto, seppure temporaneo, da
assuefazione. Tuttavia ho paura che se te ne somministro una quantità troppo
elevata il tuo corpo...non resisterebbe....potresti fare una brutta fine Kudo,
dico sul serio. Sei disposto a rischiare?" Si voltò con la sedia e puntò gli
occhi freddi nei suoi, determinati e senza il minimo segno di indecisione: Conan
annuì. Se lo era aspettato, naturalmente, ma per un attimo aveva sperato che
rinunciasse...
"Allora vedo che posso fare. Mi metto subito al lavoro, fuori tutti e due..."
concluse, chiudendo il programma su cui stava lavorando e aprendone un altro.
Conan sorrise riconoscente alla sua schiena, le lanciò un ultimo_grazie_ e si
avviò verso il salotto accompagnato dal dottor Agasa, per quella sera desideroso
solo di un cuscino soffice e di una bella coperta calda.