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Autore: Linduz94    24/10/2012    2 recensioni
Hinata è una ragazza troppo timida, tanto che il suo problema rende persino insopportabili alcune situazioni.
... e se due uomini oscuri cambiassero questa situazione?
... se la sua vita cambiasse radicalmente da un giorno all'altro senza avere la possibilità di confidarsi con qualcuno?
... se avesse per la prima volta la possibilità di proteggere le persone a cui tiene?
forse finalmente troverà il suo posto nel mondo...
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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PROLOGO

La sveglia suonò alle 6:45. Tastai con gli occhi chiusi sul comodino finché non trovai la mia più grande nemica e la spensi di scatto.
Come tutti i giorni mi diressi ancora assonnata verso il bagno e lì mi sciacquai il viso, con la speranza di diventare un po’ più lucida. Speranza vana perché uscendo sbattei contro lo spigolo della porta.
Ma chi diavolo si era inventato di fare le porte così spigolose?
Mugugnando dal dolore scesi al piano inferiore e cominciai a prepararmi la colazione. Mentre il latte si scaldava nel forno a microonde cominciai a pensare alla giornata che mi aspettava rinchiusa fra le quattro mura della stanza di una scuola.
Naturalmente le prossime ore si prospettavano tutto fuorché interessanti.
In cinque ore di lezione, tre erano di possibile interrogazione, il mio incubo. Decisi che avrei ripassato un po’ in autobus anche se sapevo comunque come sarebbe andata, avrei fatto scena muta come tutte le volte che mi chiamavano. Tutta colpa della mia eccessiva timidezza. Ero un caso disperato e i professori ormai si erano rassegnati.
Il problema maggiore però era che quest’anno mi attendevano gli esami di maturità e i miei docenti si stavano seriamente preoccupando per la mia condizione disperata e si chiedevano come avrei fatto ad affrontare l’esame orale.
Anche io me lo chiedevo di continuo e non riuscivo a trovare una soluzione a questo problema, nonostante tutti i miei sforzi.
Il microonde suonò, tolsi la tazza e versai del caffè. La mia colazione ideale includeva anche qualche biscotto che in quel momento sembrava essere scomparso dalla credenza.
Dovevo ricordami prima o poi di dire a mio cugino Neji di smetterla di mangiare ogni cosa trovasse durante il pomeriggio. La mancanza di cibo mi faceva diventare nervosa.
Finita con calma la colazione andai a cambiarmi.
M’infilai velocemente un paio di jeans stretti e una maglia poi misi sopra un cardigan, il mio preferito.
In bagno non ci impiegai molto, e come ogni giorno mi diedi un’occhiata veloce allo specchio.
La mia espressione pallida e ancora assonnata non collaborava a tirarmi su di morale, così mi assicurai almeno di avere i capelli in ordine.
Erano corti e neri, con dei strani riflessi blu. Mi piacevano ma non ero molto brava ad acconciarli, così avevo deciso di tagliarli a caschetto pensando anche alla comodità. Avevo però deciso di tenere la pesante frangia in modo da nascondermi il viso in caso di necessità, il che voleva dire che mi nascondevo quasi sempre a causa della mia eccessiva timidezza.
Quando uscii dal bagno anche mio cugino si era svegliato.
“Che ci fai ancora qui? L’autobus parte fra un quarto d’ora”
“Cosa???” come al solito mi ero attardata troppo.
Afferrai al volo lo zaino dal letto e corsi a mettermi le scarpe.
“Io vado. Ciao!” gridai già mezza fuori di casa e feci in tempo a sentire il “ciao” fioco di Neji prima che la porta si chiuse.
Mi fiondai sulla bici e uscii dal cancello in un lampo.
Da casa mia alla fermata normalmente ci vogliono dieci minuti in bici quindi cominciai a pedalare veloce.
 
Arrivai in fermata in sette minuti, un bel record, ma ero senza fiato.
Misi il lucchetto alla bici e poi mi diressi verso il gruppo di persone che aspettava l’autobus.
Da un angolo vidi una figura uscire e agitare la mano nella mia direzione, era Tenten la mia migliore amica.
Era una ragazza molto solare, sempre in movimento, aveva dei bei capelli castani che però raccoglieva sempre in due chignon e due luminosi occhi marroni. All’apparenza poteva sembrare una ragazzina fragile e invece era una vera e propria leonessa, oltre che un’esperta di arti marziali. Ogni volta che la vedevo mi si stampava un sorriso in viso a causa della sua contagiosa allegria. La conosco dall’asilo e non ricordo mai una volta di averla vista triste, è davvero unica.
“Ciao Hinata!!”mi salutò con un sorriso.”Allora hai studiato abbastanza per oggi?” mi chiese quando le fui vicina.
“Si però lo sai come va a finire tutte le volte” abbassai il capo frustrata.
“Ma dai! Un giorno o l’altro devi superare questa tua inutile paura per il pubblico! Non puoi continuare così anche perché sei molto sveglia e rischi di venire sottovalutata, soprattutto con gli esami che ci attendono quest’anno!
Devi riuscire a fare una bella impressione!”
“Già hai ragione ma è più forte di me”
Lei sorrise, ormai era la centesima volta che ripetevamo quel discorso e finiva sempre che lei aveva ragione ma nonostante questo non c’erano mai miglioramenti da parte mia.
In quel momento arrivò l’autobus e lentamente le persone cominciarono a salire.
Il viaggio durò venti minuti e l’autobus ci portò direttamente davanti all’istituto superiore di Konoha.
Appena scesa aspettai da un lato Tenten che scendeva e poi ci avviammo verso l’entrata dell’edificio.
Come d’abitudine mi guardai attorno e subito mi irrigidii.
“Guarda” sussurrai alla mia amica. “ Ci sono anche oggi”.
Alla destra dell’edificio infatti c’era una macchina nera parcheggiata. Al suo interno due figuri guardavano gli studenti che passavano. Avevano un’aria molto inquietante, forse perché erano vestiti completamente di nero o forse perché, a causa degli occhiali da sole neri che portavano, non si riusciva a vedere dove guardassero, comunque sia era una settimana che le due ragazze li notavano fuori da scuola, sia alle otto quando entravano e sia all’una e mezza quando uscivano.
“Lascia perdere magari aspettano qualcuno” rispose noncurante Tenten.
“Mmh” la sensazione di pericolo però non passò.
 
Le prime tre ore trascorsero lentamente, sembrava che la lancetta dell’orologio si fosse addormentata.
Alla quarta ora entrò nell’aula la professoressa di geografia, Kurenai.
Era in perfetto orario, con gli occhi di quello strano colore rosso e i lunghi capelli scomposti neri che ondeggiavano alle sue spalle.
Era abbastanza giovane, sulla trentina ma la sua espressione era di totale disciplina e serietà.
Appena entrata il chiacchiericcio si spense all’istante e l’aria sembrò raggelarsi.
Se fosse volata una mosca avrebbero tutti cercato di zittirla all’istante.
Era giorno d’interrogazione e ventiquattro cuori battevano all’impazzata. Perfino il secchione della classe, Shikamaru era sempre in difficoltà con lei e si agitava durante le interrogazioni orali, abbandonando la sua solita aria annoiata.
La donna si sedette e dopo aver appoggiato la borsa, estrasse il registro e cominciò a scorrere i nomi.
Tutti sembrarono trattenere il respiro.
“Kiba Inuzuka, Choji Akimichi e poi vediamo se Hinata questa volta riesce a farmi una frase completa” mi fulminò con lo sguardo.
Nel frattempo il mio cuore perse un colpo.
Cominciai a sudare freddo e abbassai di colpo il capo.
“Dai forza le cose le sai!” mi sussurrò Tenten.
Annuii appena alzandomi lentamente e mi avviai verso la cattedra con gli altri mie compagni di pena.
Avevo la vista annebbiata e il cuore sembrava esplodermi nel petto.
“Iniziamo da te Hinata, parlami della situazione economica dei paesi dell’est Europa. Voglio sapere la situazione generale e i motivi della loro condizione”.
Cominciai a tormentarmi le mani sudate, sembrava che nell’aula ci fossero 40 gradi.
Sapevo la risposta alla domanda la sapevo per filo e per segno ma in quel momento la mia mente sembrava bloccata. Nero, il buio assoluto.
Deglutii rumorosamente e mi strinsi il braccio sinistro con la mano.
“Allora? Non sai rispondere?” mi incalzò la donna inchiodandomi con lo sguardo.
Ma perché? Sapevo di essere preparata, ma perché in quel momento la mia mente sembrava inceppata?
Gli occhi insistenti della donna mi infastidivano, non riuscivo a concentrarmi.
Vidi che distoglieva lo sguardo e scriveva sul registro.
Ero nel panico più assoluto.
“Bene passiamo allora ad un’altra domanda…”
 
L’ora sembrava non finire mai, quando la campanella suonò mi diressi verso il mio banco, le mie gambe sembravano due pezzi di legno.
“Ma è davvero una zitella rognosa” mi disse Tenten una volta che fu uscita.”Sa benissimo come ti comporti quando ti chiamano per le interrogazioni orali e ti aveva già chiamato la settimana scorsa ma che cosa vuole?”
Per tutta risposta sospirai rassegnata.
Ero ancora accaldata e la mia mente sembrava si fosse inceppata.
Dovevo superare quel problema in qualche modo ma nel frattempo mi sentivo impotente e incapace.
“Ma cos’è che ti spaventa così tanto quando ti interrogano?” Tenten mi riscosse dai miei pensieri.
Già cos’è che mi spaventava? Forse lo sguardo insistente, ma non tutti i professori lo avevano. Forse era il fatto che i miei compagni mi guardassero, ma non avevo motivi per vergognarmi di fronte a loro, erano cinque anni ormai che ci conoscevamo.
“Non lo so, davvero” sospirai.
Il resto della giornata passò senza intoppi e finalmente venne l’ora di andare a casa.
“Senti io devo passare all’ospedale dove lavora mia mamma quindi non vengo a casa con te, scusami ma oggi ho questo problema” Tenten mi osservò preoccupata, non le piaceva lasciarmi sola in autobus.
“Tranquilla sopravvivrò” le sorrisi.
Indugiò qualche secondo e poi si allontanò salutandomi. Io ricambiai il saluto e poi mi diressi verso la parte opposta.
Purtroppo la fermata dell’autobus per il ritorno era un po’ lontana quindi mi avviai veloce.
Arrivata più o meno a metà strada mi accorsi di loro.
I tipi vestiti di nero erano dall’altra parte della strada appoggiati a un muretto e sembravano osservarmi.
Velocizzai il passo il più possibile, avevo una brutta sensazione.
Dopo una decina di metri mi voltai e constatai con orrore che anche loro stavano camminando dall’altro lato e sembrava mi stessero seguendo.
Senza accorgermene mi misi a correre, arrivai senza fiato alla fermata quando all’improvviso l’autobus apparve, era di molto in anticipo ma per la prima volta fui sollevata di questo.
Appena le porte si aprirono mi fiondai dentro. Nel frattempo i due uomini si stavano avvicinando velocemente, pregai che l’autista avesse fretta e non li badasse.
I secondi sembravano ore.
Quand’erano ormai a pochi metri dal veicolo le porte si chiusero e il mezzo partì.
Sospirai di sollievo quando fui lontana da quei due e mi sedetti sul primo posto vuoto che trovai quasi di schianto.
Che cosa volevano da me quei due tizi?
Forse rapivano le persone per qualche commercio clandestino.
Forse mi avevano inseguita perché avevano visto che ero sola e quindi ero una facile preda, però anche Tenten si era diretta all’ospedale, da sola.
Mi si raggelò il sangue all’istante. E se ce ne fossero altri? E se avessero preso Tenten?
Afferrai subito il telefono e con mani tremanti schiacciai i bottoni.
Il telefono squillò a lungo. Forse avevo capito troppo tardi.
Forse l’avevano già presa.
“Pronto? Hinata? Cosa succede?”
“Tenten sei tu?”
“Si si dimmi c’è qualcosa che non va?”
“Sei già all’ospedale?”
“No sono quasi arrivata”
“Ah ok e non c’è niente di strano?”
“No no niente perché?”
“Sei da sola?”
“Si Hinata ma che ti succede??”
“Dimmi quando arrivi all’ospedale..”
“Beh ormai sono arrivata, mancano pochi metri, ma mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?”
Sospirai di sollievo.
“Domani ti racconterò, mi è successa una cosa strana”
“Non puoi dirmelo ora?”
Mi guardai attorno ma c’erano troppe orecchie che avrebbero potuto sentire.
“No è meglio di no. Domani ti dico. Scusami del casino”
“Uff va bene ok… Ciao ciao”.
“Ciao” spensi la chiamata.
Almeno ora ero più tranquilla.
 
Tornata a casa da scuola dovetti affrontare l’ira di mio padre, Hiashi Hyuga.
Ogni volta che venivo interrogata sapevo che dopo automaticamente avrei dovuto affrontare quell’inferno, non riusciva a capire il mio disagio e minacciava ogni volta di portarmi da uno psicologo per sapere se avevo qualcosa che non andava, perché in questo modo macchiavo il buon nome degli Hyuga.
Era sempre stato così, non sopportava il mio carattere debole e sottomesso.
Non ho mai avuto memoria di lui come un padre amorevole e orgoglioso dei suoi figli, non da quando la mamma non c’è più almeno.
Io ero troppo piccola quando successe, avevo appena due anni.
Mia madre era sempre stata molto cagionevole di salute, e se il primo parto per lei era stato disastroso per le gravi condizioni a cui l’aveva portata, il secondo le fu fatale.
Io e mia sorella Hanabi quindi eravamo state cresciute senza una presenza materna solida, a parte qualche nutrice che nostro padre ci rifilava, per questo ci siamo fatte forza l’una all’altra.
Lei era quella più aggressiva delle due, non cedeva mai, nemmeno nei battibecchi con lui, per questo forse era un po’ la favorita tra le due.
Io, invece, ero quella debole e timida. Ho sempre cercato in tutti i modi di far star bene mia sorella, mi sentivo quasi in dovere verso di lei, come se la morte di nostra madre fosse stata a causa mia, e per questo cercavo di sostituirla.
Avevo persino imparato a cucinare, a fare il bucato e qualsiasi altro lavoro domestico che ci potesse liberare da quelle fastidiose cameriere che mio padre pagava, ma non ero mai riuscita a contrastare la sua rabbia nei miei confronti e quindi ogni volta mi sorbivo la ramanzina a testa bassa e lasciavo che ogni parola mi scorresse nella testa, con la speranza, un giorno, di riuscire ad affrontare le mie paure.
Per fortuna almeno era sabato e quindi il giorno dopo niente scuola, anzi c’era una mega festa organizzata da Ino, una mia cara amica, dove ci sarebbero state tutti i giovani di Konoha, non solo del nostro anno, ma anche quelli più grandi, come mio cugino Neji.
Sarebbe stato divertente e speravo di riuscire a dimenticare l’accaduto di quel giorno.
Non dissi niente a mio padre riguardo ai due uomini neri, oltre al fatto che non gliene sarebbe importato l’avrebbe considerata una scocciatura se fossi stata rapita, e poi pensai che a scuola ero sempre accompagnata da Tenten.Comunque avrei cercato di stare sola il meno possibile.
 
Quel pomeriggio andai in palestra.
Lì frequentavo il corso di danza classica da non so più quanti anni.
Essendo di nobili origini dovevo imparare quel tipo di danza, oltre che saper suonare il violino e il pianoforte in modo impeccabile. Mio padre era una fanatico per il mantenimento del buon nome della famiglia e costringere le sue figlie a imparare queste “nobili arti”, come le chiamava lui, gli sembrava un buon modo per seguire il suo ideale. Io, sottomessa com’ero, non ebbi mai il coraggio di ribellarmi, al contrario di mia sorella che invece adesso frequentava il corso di arti marziali con Tenten.
Nonostante tutto ballare mi piaceva, mi sentivo viva mentre danzavo.
Avevo scoperto qualche anno fa che una ragazza più grande nel mio corso sapeva ballare anche modern, e spesso concedeva anche lezioni private, quindi le avevo chiesto se poteva insegnarmi qual cosina privatamente e lei aveva accettato insegnandomi tutto quello che sapeva e senza chiedermi niente in cambio.
Non l’avrei mai ringraziata abbastanza.
La danza classica mi piaceva, ma con quel tipo di danza mi sentivo libera.
Potevo muovermi come volevo ed esprimere quello che provavo con il corpo.
Era l’unica libertà che mi ero concessa.
Mi diressi nella saletta dove tre volte alla settimana avevo lezione di danza classica e che fortunatamente al sabato pomeriggio, per un’ora e mezza, era libera.
Avevo tutto il tempo che volevo per sfogarmi in solitudine.
Appoggiai la borsa e mi tolsi le scarpe. Feci un riscaldamento veloce, avevo troppa voglia di ballare.
Presi il cd che portavo sempre con me in quei momenti e la prima traccia partì lentamente, così mi preparai con calma.
Le note di “Dancing” di Elisa risuonarono nella stanza e con un sorriso sulle labbra cominciai a danzare.
 
Un’ora più tardi uscii dalla sala da ballo esausta ma sollevata.
Mi diressi verso l’uscita e inevitabilmente passai davanti alla palestra.
Avrei dovuto proseguire tranquillamente, come ogni volta, e invece mi impietrii davanti alla porta.
Capelli biondi come il grano e occhi azzurri come il cielo.
Era proprio lui, il ragazzo di cui ero pazzamente innamorata.
Naruto.
Stava giocando a pallacanestro con altri ragazzi che conoscevo di vista.
Sapevo che giocava e sapevo anche tutti i suoi orari, date tutte le volte che lo avevo spiato di nascosto, ma era strano vederlo lì di sabato. Evidentemente si stava solo divertendo un po’ con gli altri.
Era davvero il più bel ragazzo che avessi visto, nonostante in quel momento fosse tutto sudato e avesse il fiatone per me restava un dio greco da ammirare sempre e comunque.
Ero talmente presa da lui che non mi accorsi che i suoi amici mi avevano vista.
“Ehi Hinata! Che ci fai lì?” mi urlò Rock Lee, un ragazzo davvero eccentrico con delle enormi sopracciglia nere e capelli a caschetto dello stesso colore. “Vieni a giocare anche tu!”
A queste parole anche Naruto si voltò a guardarmi e i suoi occhi color del mare incontrarono i miei perlacei.
Sentii le gambe cedermi proprio come quella mattina e un prepotente calore invadermi le guance.
Abbassai di botto la testa per evitare di guardarlo ancora e far vedere il rossore che mi aveva invaso il viso.
Scossi energicamente la testa per rispondere a Rock Lee e scappai di corsa.
Codarda.













Vi prego! Siate clementi!!! E' la mia prima fanfiction!
Comunque accetto ogni tipo di consiglio e se vi è piaciuta sarà felice di proseguire a pubblicare i prossimi capitoli..
Per ora è tutto :) :)
  
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