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Autore: Panenutella    24/10/2012    5 recensioni
Lo guardai meglio: era un angelo….
Aveva il viso cordiale e aperto. Gli occhi neri e profondi come due pozzi guardavano attenti il mondo e risplendevano come la luna. I suoi lineamenti era fini e eleganti, proprio come quelli di un Elfo. La sua stretta era gentile, la sua pelle calda. I capelli corti e neri erano pettinati in modo sbarazzino. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e mi salutò con un largo sorriso.
Nella mia mente contorta cominciai a sbavare come un mastino.
ATTENZIONE: la protagonista interpreta il ruolo della figlia di Galadriel – ovviamente inventata da me -, Hery, che ha una storia d’amore con Legolas e segue i protagonisti nel loro viaggio.
La maggior parte degli avvenimenti narrati in questa fic sono realmente accaduti, ma sono raccontati dal POV della protagonista.
Divertitevi, leggete e recensite in tanti! :)
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lesley's World'
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La mia vita sul set – Cap. 23

Dopo la prima intervista volavo a due metri da terra: volteggiavo da una stanza all’altra della camera dell’albergo facendo le più svariate cose, compreso riempire le valige – i nostri giorni a Queenstown erano quasi finiti e dovevamo spostarci. Mentre facevo quelle svariate migliaia di piccole cose alla luce del freddo sole di fine settembre parlottavo anche al cellulare, cercando di organizzare una serata al fast food per festeggiare la buona riuscita dell’intervista. Erano solo cinque del pomeriggio ma ogni minuto era prezioso!
-    Ciao Dommy! Mi sedetti di slancio sulla sedia della scrivania.
-    Ciao! Com’è andata l’intervista?
-    Bene! Sto organizzando un’uscita al Fast Food stasera, vieni?
A “Fast Food” lanciò un grido – Puoi scommetterci piccola! Porto anche quel pigrone di Bill, così magari rimorchiamo qualche bella donna!
- Ahaha Dom, possibile che non riesci a pensare a nient’altro?
- Non prendermi in giro, sai che penso anche ad altre cose.
- Mh, ad esempio?
- A trovare le sigarette stasera.
- Geniale! Devo riagganciare.
- Ok! Ciao! – Buttò giù. Feci il numero di Billy e cominciai a mettermi lo smalto rosso sulle unghie dei piedi dopo averlo preso da un angolo della scrivania.
- Billy Bond – rispose imitando pateticamente la voce sensuale di 007.
- Dom ti trascina a cena da me stasera. - Sembrò sbuffare. – Dice che magari riuscite a rimorchiare!
- Grannnnnnnde!! Quando ci vediamo?
- Ti faccio sapere! – chiusi lo smalto e lo rimisi nell’angolino della scivania.
- Adios!
Chiusi la comunicazione e chiamai Orlando che rispose al primo squillo.
-    Ciao amore! Aspettavo una tua chiamata… com’è andata?
-    È stato uno spasso! Ne parliamo stasera al Fast?
-    Aggiudicato! Io sono in centro, se vuoi prima di andare faccio un salto da te… che ne dici?
Il mio sorriso si intenerì. – Ti aspetto.
-    Splendido. Arriverò fra un’oretta circa.
-    Così tanto? Che devi fare?
-    Eeeeeh…  vedrai.
-    Eddai, dimmelo!
-    No! Ahah ci vediamo dopo piccola.
Riattaccò il telefono, lasciandomi sulle spine. Fare così era una caratteristica di Orlando: prima mi diceva qualcosa e poi non mi dava maggiori informazioni, il che il più delle volte mi lasciava presagire che stesse almanaccando qualcosa insieme ai ragazzi del cast – e per me non sempre quel qualcosa era piacevole.
Telefonai anche a tutti gli altri ma trovai solo i quattro Hobbit e Orlando disponibili. Craig aveva già un impegno per quella sera, Viggo doveva andare da qualche parte con suo figlio insieme a Bean – forse a giocare a bowling -, Sir Ian “era troppo vecchio per mangiare quelle dannate porcherie” e così anche gli altri. Mentre parlavo con tutti avevo preso dall’armadio tutti i vestiti, piegati e impilati sul letto matrimoniale. Poi ero salita su una sedia per prendere la valigia sopra il guardaroba e l’avevo posata per terra sollevando un cumulo di polvere che mi costrinse ad aprire la portafinestra e a fare entrare l’aria fredda.

Passai a raccattare tutte le cianfrusaglie che avevo tenuto sparse per l’appartamento per non so quanto tempo, sfidando ogni volta quella santa cameriera che ogni volta passava a pulire. Ero disordinata, molto disordinata: una cosa che avevo sempre condiviso con Jessie. Orlando, da quando ci eravamo conosciuti, cercava sempre di riordinare un po’ quella scia di disordine che ero abituata a lasciare dietro al mio passaggio. La cosa strana del mio disordine, era che le cose io le trovavo! Era nell’ordine di Orlando che le perdevo – e in questo lui assomigliava a mia madre.
Iniziai col cercare di mettere gli accessori del bagno nel beauty case in maniera ordinata, rinunciando al momento delle spazzole che gettai dentro a caso. Poi passai alla valigia più grande, con tutti i vestiti che mi ero comprata dal mio arrivo in Nuova Zelanda.
Ero così concentrata che non mi accorsi neanche del tempo che passava e alzai lo sguardo dai vestiti impilati solo quando sentii bussare alla porta. Corsi ad aprire col sorriso sulle labbra scavalcando di slancio tutte le borse, borsine e borsette sparse sul pavimento, e mi ritrovai davanti il viso da sex symbol di Orlando.
-    La mia bimba famosa! – mi prese per i fianchi e mi fece fare un giro in aria.
-    Orlie! – durante il volo gli tenni le braccia intorno al collo e poi abbassai il volto per baciarlo. – Mi sei mancato.
-    Anche tu, Les. – mi posò a terra ed entrai, con lui che mi seguiva a ruota. Saltellai di
nuovo in mezzo alla roba ma, arrivata all’altezza del divano, sentii un tonfo dietro di me: mi voltai e l’unica cosa che vidi era Orlando disteso a faccia in giù sul pavimento, con una borsa di pelle fra i piedi e le braccia larghe. Era inciampato!
Invece di aiutarlo scoppiai a ridere. Fece un po’ di fatica ad alzarsi, scaraventando la borsa verso il frigo dell’angolo cottura.
-    Sì ridi, ridi Lesley! Ahia che botta! – venne verso di me massaggiandosi il naso,
mentre io mi piegavo in due in preda al gran ridere. Orlando si avvicinò piano, utilizzando la pratica ninja supersilenziosa di Legolas. – Adesso vedi che ti faccio! - Appena fui a tiro, mi caricò in spalla come un sacco di patate. Una lieve paura si intrufolò al posto della risata.
-    Orlando mettimi giù! Giù subito!
Orlie rise. – Ti mangio! Miao!
Portandomi in spalla tranquillamente come un contadino con la balla di fieno corse verso la camera da letto e non curante di tutti i vestiti accatastati sul materasso mi ci scaraventò sopra, facendoli volare tutti giù. Ricominciai a ridere e lui si buttò a cavalcioni sopra di me, bloccandomi con le gambe e cominciando a farmi il solletico. Risi più sguaiatamente di prima e cominciai a dimenarmi sotto il suo peso cercando di bloccarlo ma lui perseverava. Alla fine, quando ritenne che così era abbastanza, si abbassò all’improvviso e mi baciò dolcemente socchiudendo gli occhi come un gatto. Sorrisi nel mezzo del bacio e lasciai che per un attimo quella dolcezza mi pervadesse, poi con un luccichio di scaltrezza negli occhi lo capovolsi con una mossa di autodifesa imparata al corso di Stunt, cogliendolo di sorpresa. Accettò quel cambio di posizione e invece di protestare, posò la testa accanto alla mia sul cuscino e mi circondò con le braccia, trasferendomi tutto il calore del suo corpo.
-    La sai una cosa? – mi chiese sottovoce. Lasciai passare un secondo.
-    Cosa?
-    Sei la mia vita.
Per un attimo pensai mi sarebbero uscite lacrime di commozione ma non successe. Mi girai verso di lui e poggiai il mio naso contro il suo, sfregando la punta con la punta.
-    Anche tu.
Sorrise e mi accarezzò il viso.

Sdraiati sul mio letto a farci le coccole neanche ci accorgemmo del tempo che passava. Solo quando mancava mezz’ora all’appuntamento con gli altri al Fast Orlando si alzò e mi disse che prima di andare doveva prendere una cosa in camera sua e che io dovevo avviarmi perché altrimenti facevo tardi. Nonostante la mia curiosità, eseguii i suoi ordini e lui andò in camera sui. Mi infilai dei pantaloni di velluto neri, una maglia a maniche lunghe, una felpa pesca e un paio Tiger bianche. Prima di uscire dalla stanza decisi di raccogliermi i capelli in una treccia su un lato della testa, guardai alla svelta il mio riflesso allo specchio e forse per il luccichio di felicità negli occhi o forse per le mie gote ancora arrossate per l’emozione delle coccole con Orlando, mi vidi bella.
Uscii volando, metaforicamente.


A parte Viggo che non poteva venire perché aveva un impegno con suo figlio, Bean che usciva con una ragazza e John che attualmente si trovava fuori città, gli invitati ufficiali alla festa erano le persone a cui ero più affezionata e quella – l’unica – che conoscevo un po’ di più fra i nuovi arrivati: i quattro Hobbit, Orlando, Craig. I soliti insomma. Ci dovevamo vedere davanti al Fast alle otto in punto e arrivai alle otto e due minuti, ma stranamente ero l’ultima ad arrivare. Un attimo…
- Ma dov’è Orlando?
Fu Dom a rispondere sistemandosi il cappello sui ciuffi biondi. – Ha chiamato due minuti fa, ha detto che ritarda.
-    Ok, allora… entriamo?
Mi chiesi perché Orlando non avesse chiamato me per avvertirmi, feci spallucce ed entrai nel locale.
Il Fast Food era, come dice il nome, un fast food. Una specie di McDonald’s che però serviva come la Ceasar Salad o pasta fredda, che non distribuiva insomma quelle schifezze di hamburger fatte con chissà che cosa – anche se le patatine, a mio avviso, erano fantastiche. Quando si passeggia fra le stradine di Queenstown il Fast si trova quasi per caso: non grande, con grandi sedili di velluto attaccati alle pareti e un forte odore di birra e cibo, immerso in un’atmosfera simpatica e accogliente che non si poteva definire tranquilla ma variava a seconda dei clienti della serata. Non so quante volte io e i ragazzi ci siamo andati dopo le faticose giornate di riprese per bere una birra e rilassarci, prima di tornare nei nostri comodi letti a Villa del Lago. I proprietari di quel locale ci avevano visti così tante volte che ormai avevano preso a chiamarci per nome e c’era anche chi provvedeva a non farci assaltare dai fan che qualche volta riconoscevano Viggo o Elijah.
Grazie alla mia prenotazione ci avevano sistemato in un angolino tranquillo del bar, ad un tavolo circolare munito si panche di velluto che lo attorniavano completamente: in sostanza, se ti volevi sedere dovevi scavalcarlo. Non proprio il massimo della raffinatezza e della comodità ma comunque simpatico.
Una volta tutti accomodati dissi:
-    Signore e signori… anzi, solo signori… siamo qui riuniti oggi…
-    Per celebrare la santa messa liturgica! – mi interruppe Craig, scatenando l’ilarità
generale.
-    Ehi Les, potevi avvertirci! Mi sarei messo il vestito della domenica! – protestò Dom.
-    La “domenica” in senso religioso è totalmente assente nella tua vita tranne che nel tuo nome, Dominic! – risposi con una linguaccia.
E Billy: - L’unica domenica che intende Dom è quella in cui si sta stravaccati nel letto tutta la mattina, meglio se accanto a qualche bella ragazza! – si girò e gli batté il cinque.
Dom guardò dietro di me e mi ordinò svogliato: - Les, di’ al venditore ambulante dietro di te che non compriamo niente.
Gli lanciai un’occhiata contrariata per quello che aveva detto e mi voltai girando il busto sul sedile, pronta a dire educatamente – non alla maniera di Dom – al venditore di rose che non volevamo niente ma prima che dicessi qualche cosa il cervello mi avvertì che quello dietro ad un enorme mazzo di fiori appostato alle mie spalle non era un venditore: da sopra quel cespuglio di mille colori a mezz’aria spuntava il viso sorridente di Orlando. Mi lasciai sfuggire un versetto intenerito e mi avvicinai a lui mettendo un ginocchio sullo schienale del sedile per dargli un bacio di ringraziamento.
-    Congratulazioni per la tua prima intervista Les.
Presi il mazzo e lo annusai. Mi ricordava il profumo dei campi vicino alla nostra prima location.
-    E tu, Billyno tanto carino, scansati che voglio stare vicino alla mia ragazza! – Orlando afferrò Billy da sotto le ascelle, lo sollevò e lo sistemò un po’ più in là sul sedile.
-    Ehi, Mozzarella, guarda che gli elfi non piacciono a nessuno!
-    Vediamo quante fan impazziranno per Pipino l’Hobbit! – ribattei scherzosa e
iniziammo tutti a ridere. In quel momento arrivò la nostra cameriera preferita del Fast, Marge: avremmo fatto come minimo quindici foto con lei e avevo il sospetto che se le fosse vendute in giro.
-    Allora, io prendo un’insalata fredda di pasta – dissi – ci puoi mettere tanti wurstel?
Lei annuì e mentre annotava le richieste degli altri lanciava sguardi seducenti ad Orlando: non era la prima volta che lo faceva ed ero stata molto indaffarata a marchiare il territorio durante le prime cene. Ma una volta chiarito il fatto che Orlando era mio e che lei non gli interessava minimamente, aveva smesso di provarci e anzi, mi stava anche diventando simpatica.
Alla fine del giro, Craig disse: - Credo che siamo tutti d’accordo nell’affermare che visto che è la nostra ultima cena al Fast ordiniamo anche una vagonata di patatine.
Annuimmo e Marge se ne andò con un sorriso divertito.
Quando rimanemmo soli, Elijah disse a mezza voce: - E’ davvero la nostra ultima cena al Fast, caspita. Mi sono affezionato a questo posto.
-    Già. – concordai. – A me mancherà un sacco Villa del Lago… sto pensando di far spostare il cenotafio di Jessie al cimitero, credo che sia illegale tenerne uno nel territorio di un albergo.
-    Hai fatto un cenotafio per Jessie? – chiese Billy di colpo interessato.
-    Sì! – esclamò Elijah. – E mentre lo costruiva giuro di averla sentita cantare.
Lo fulminai immediatamente con lo sguardo. Lui mi vide, arrossì e incassò la testa nelle spalle. Ci fu un attimo di silenzio.
-    Non ti ho mai sentita cantare… - mugugnò Orlando. Oddio Lesley, cambia discorso
subito! Come al solito non seguii quello che mi diceva la testa e rimasi zitta finché Dom non ruppe il silenzio calato sul tavolo.
-    Quelle persone dovevano essere terrorizzate…
-    Tu cosa proveresti se fossi in un grattacielo che brucia? – Chiese Sean. Alla sua
domanda retorica Dom lo guardò di sottecchi.
-    Chissà se sono ancora qui.
-    Intendi dire i fantasmi? – insinuò Billy. – Dom, quelle persone sono morte, nessuno
può sapere dove sono ora!
-    Io sì. Lo so. – Tutti gli occhi si girarono verso di me. – O almeno, credo. – Nessuno
fiatò. Guardai la mia mano stretta in quella di Orlando, poi il suo viso. – Quando abbiamo avuto l’incidente in barca, ricordi? Ho sbattuto la testa sullo scoglio… quando mi sono svegliata in ospedale il dottore mi ha detto che per un po’ sono andata in arresto cardiaco, che… sono andata e tornata, ma intanto ho visto. Ho visto una galassia davanti a me e ognuno dei suoi bracci mi faceva vedere cosa stavano facendo tutti quelli che amo. Ma non era una cosa estranea, era già dentro di me!
Silenzio. – Sei morta davvero? – chiese Elijah, annuii impercettibilmente. Poi feci la mossa più giusta che mi era balzata in mente in quel momento, e per fortuna riaccese l’atmosfera.
-    Sto pensando di comprare casa a Wellington! Una casa tutta mia… secondo voi ce la faccio con la paga della Compagnia?
Craig si grattò il naso. – Secondo me dovresti aspettare un po’ di soldi dalle Due Torri. Almeno sai che così hai dei risparmi.
Sean si dichiarò d’accordo. – E poi magari devi anche spendere soldi per ristrutturare, applicare i giusti e qualificati sistemi di allarme, mettere le inferriate alle finestre del giardino… L’unico che ha avuto abbastanza fortuna nel trovare una casa a posto è stato Orlando.
-    Oh sì mi ricordo! – esclamai. – Io e Liv ti avevamo accompagnato, vero Orlie? Avevi anche sbagliato strada.
Lui annuì. In quel momento arrivarono le nostre ordinazioni munite di alti boccali di birra. Una volta tutti pronti, con un’occhiata complice alzammo i boccali verso l’alto in un brindisi taciturno. Io bevevo alla mia prima intervista, alla mia vita sul set con dei ragazzi speciali come loro e, soprattutto, a Jessie.

Il giorno dopo chiesi a Linnie di accompagnarmi al cimitero per far incidere una lapide per Jessie, così prendevo anche due piccioni con una fava: avrei parlato con lei di Elijah e onorato Jessie come si deve. Pur con qualche riluttanza Linnie accettò. Andammo la mattina presto in taxi e ne approfittai per chiederle che era successo con Woody e perché si era comportata in quel modo brusco quando mi era venuta a trovare all’ospedale. Anche se era mia amica e la conoscevo temevo la risposta che mi avrebbe dato ma lei sembrava riluttante a rispondere con sincerità: cercò un paio di volte di sviare la mia attenzione dall’argomento con inutili giri di parole ma alla fine la mia testardaggine e la sua scarsa abilità nel mentire finirono col metterla con le spalle al muro. Il problema era che Linnie, quando si sentiva sotto pressione, passava direttamente all’attacco. Smise improvvisamente di guardare fuori dal finestrino e si voltò a fissarmi con occhi ardenti facendo ballare i ricci ramati. Parlò con voce glaciale, non urlando come mi sarei aspettata.
- Vuoi sapere perché mentre eri in ospedale ti ho urlato contro? Perché ho mollato Elijah? Eccoti servita: quando ti abbiamo visto cadere su quello scoglio e rimanere immobile ci siamo spaventati a morte, ancora di più quando non rispondevi. Ti sono venuti a prendere dall’ospedale in elicottero e ti ci hanno portato di corsa. Eravamo tutti preoccupati e specialmente Orlando… sembrava che stesse per lasciarci le penne, ma anche Elijah non stava fermo un attimo, non l’ho mai visto così agitato! Non ascoltava nessuno, c’era il terrore nei suoi occhi. Anche io ero spaventata, certo, ma non mi quadrava il suo stato d’animo.
    “Devi stare tranquillo” gli ho detto. “Tranquillo?” Ha risposto. “Io non sto tranquillo! Potrebbe andarsene! È troppo importante perché se ne vada! Non può morire…”. Si è seduto per terra e si è messo la testa tra le mani. Aveva ancora il costume. Io non riuscivo a capire quello che stesse dicendo. “Sei innamorato di lei?” gli ho chiesto e lui ci ha messo un po’ a rispondere. “No”, ha detto alla fine ma i suoi occhi dicevano un’altra cosa e io mi sono ingelosita da morire e imbestialita da morire con te, perché lui amava te e non me. Per questo l’ho lasciato.
-    Linnie… - dissi. – non è mai stato innamorato di me, neanche per un istante. Mi vuole sono bene ma ama te, me l’ha detto lui.
Linnie, che dopo il racconto aveva abbassato il viso, lo alzò e mi guardò mostrandomi che ora aveva gli occhi pieni di lacrime. – No, io non credo.
Il taxi ripartì e si allontanò. - Io sapevo che all’inizio tu piangevi seduta per terra e lui ti consolava.  – In realtà l’avevo visto nella galassia. – Ti devo dire la verità: dopo l’attacco alle Torri Gemelle Orlando mi ha lasciata e io e Elijah ci siamo baciati, ma è stato solo un bacio – mi affrettai a dire vedendo la sua espressione. – Eravamo entrambi confusi e incasinati e non ci stavamo con la testa. Siamo solo amici e lui ama te. Ma la domanda è: tu lo ami?
Il taxi si fermò davanti al cimitero. Scendemmo e lei, chiusa la portiera, mormorò: - Lo amo.
-    Allora vai da lui e parlagli.
Tentennò. – E se mi respinge?
Sorrisi. – Non credo proprio.
Accanto al cimitero c’era un’impresa di pompe funebri. Fino ad allora non ero mai stata in un posto del genere e avevo sempre sperato di non farlo mai: all’interno l’aria era pesante, anche se il riscaldamento dietro ad un comò era acceso. Davanti alla porta c’era un uomo in giacca e cravatta che scriveva attento con una stilografica, e accanto alla scrivania una porta coperta da una pesante tenda di velluto viola. Appena entrammo, ci vide e si alzò.
-    Buongiorno. Sono Aaron. Accomodatevi. - Wow, questo saltava i convenevoli a pie’
pari! – Voi siete?
-    Io sono Lesley Dalton. – Aaron scrisse il mio nome su un quaderno nero, poi alzò lo sguardo verso Linnie.
-    Oh, no, io sono qui come supporto morale – si affrettò a precisare lei. – Quella che deve fare questa cosa è Les.
Aaron tornò a guardarmi. – Mi dispiace per la sua perdita. – Quell’uomo doveva aver ripetuto quella frase un milione di volte, tanto quanto bastava per perdere il senso emotivo per quelle parole cariche di significato, eppure nei suoi occhi si leggeva un dispiacere sincero… o almeno così mi pareva.
-    Grazie. – Risposi.
-    In cosa posso esserle utlile?
-    Vorrei una lapide, il più presto possibile.
-    Vuole seppellire il defunto in questo cimitero?
-    Sì.
Aaron scrisse sul quaderno. – Cosa ci vuole incidere?
Combattei contro la difficoltà del trattenere le lacrime e ci pensai su. – “A Jess” – mi fermai. – “7 Ottobre 1983 – 11 settembre 2001” – Mi fermai di nuovo. Pensai di far incidere cose come “Amata mia sorella”, ma non andava dal momento che era troppo banale e non era mia sorella. Anche tutte le altre che mi venivano in mente erano comuni. Citare una frase della lettera, neanche a pensarci. Poi mi venne in mente una cosa che Jess aveva detto a  Matthew Colt, il giorno dopo il mio compleanno, quando era venuto per rompere le scatole a tutti.
-    “Salta sulla tua macchina e fila via, imbecille!” – conclusi, e risi. Quella frase
raffigurava tutta la figura e il carattere di Jessica, era perfetta per lei. Fantastica. Aaron purtroppo non poteva capirlo e mi guardò allibito per un attimo, tornando poi a scrivere nel suo quaderno.
-    Quando si terranno i funerali?
-    In realtà si sono già tenuti. A New York. - Mi guardò perplesso. – Nessuno deve
essere seppellito sotto la lapide. È solo un modo per onorare una mia grande amica perché non ho potuto essere presente al suo funerale. Jess è morta nell’attacco alle Torri Gemelle. Vorrei che sia tutto pronto per domattina. Per la collocazione, mi fido di lei.
Aaron mi aveva guardato dolorosamente al sentir nominare il WTC ma la sua natura professionale riprese subito le redini della situazione.
-    Intende pagare ora?
-    Non ho altra scelta.
Aaron contò il totale su una calcolatrice. – Di solito è la mia assistente a fare i conti ma è in maternità… - cercò di spiegare. – Sono 2500 dollari.
-    Perfetto. – Scrissi tutto su un foglio del biglietto degli assegni. – Per quando sarà pronto?
-    Domattina alle dieci come ha chiesto lei, signorina Dalton.
-    Grazie. – mi alzai e Linnie con me. Gli strinsi la mano. – è stato un piacere.
Una volta fuori mandai un messaggio a tutti i miei amici.
“Domattina, alle dieci, al cimitero. Funerale Jess. Siate puntuali”.

Il mattino dopo alle dieci in punto, c’erano Viggo, Orlando, Miranda, Liv, Dom, Billy, Sean, Elijah, Linnie, Bean, Craig, Christine con Alexandra ed io, naturalmente. Tutti vestiti con gli abiti più solenni che eravamo riusciti a tirare fuori dalle valigie già pronte e chiuse per la partenza di quella sera, in silenzio davanti alla lapide di Jessie scolpita a puntino che recitava a caratteri eleganti.

A Jess
7 Ottobre 1983 – 11 Settembre 2001
“Salta sulla tua macchina e fila via, imbecille!”

All’inizio i ragazzi avevano a riso al leggere quella frase, ma ora nessuno stava ridendo ed eravamo lì impalati da dieci minuti.  Il fatto era che non riuscivo a spiccicare una parola in sua memoria! Orlando mi stringeva la mano e solo grazie a quella stretta riuscivo a non piangere, e ad un certo punto avevo detto:
- Credo che sia il caso di dire qualcosa. – ma poi più niente. Alla fine, quando ognuno di noi l’aveva ricordata abbastanza per il tempo che aveva passato con lei, dal silenzio emerse la voce di Viggo  che cantava i primi versi di How to save a life, un po’ come io avevo fatto per Moulin Rouge.
- Step one you say we need to talk, he walks, you say sit down it’s just a talk. He smiles politely back at you, you stare politely right on through.
Poi Liv: - Some sort of window to your right, as he goes left and you stay right, between the lines of fear and blame you begin to wonder why you came.
Cominciai io, stando al loro gioco: - Where did I go wrong? I lost a friend somewhere along in the bitterness and I would had stayed up with you all night had I know how to save a life.
A turno e in coro, come per tacito accordo, cantammo tutta la canzone in una sinfonia di voci per me molto commovente. * Forse quello era il funerale che Jess voleva, non lo sapevo. Sapevo solo che per me era quello giusto, anche se non era molto ortodosso o consono alla tradizione. Magari anche gli altri che avevano cantato con me la pensavano allo stesso modo! Ed ero riuscita a onorare Jessie, anche perché non avevo potuto assistere al suo vero funerale a New York per colpa di quella cavolo di tempesta che mi aveva impedito di prendere l’aereo. Quando finimmo tutto il ritornello applaudimmo: l’emozione di quel momento ci travolse facendoci manifestare le emozioni, eppure stavolta non erano negative, non mi venne da piangere come una bambina, ma sorrisi! Applaudire mi aveva sempre messo allegria e l’avevo sempre fatto agli spettacoli con Jessie e adesso che lei non c’era più lo facevo per lei, mi sentii finalmente in pace. Il fatto di non aver potuto andare a New York mi aveva fatto sentire in colpa fino a quel momento e ora finalmente era tutto finito!
- Grazie a tutti per essere venuti, vi voglio bene – dissi con un sorriso rivolta a tutti e subito dopo mi ritrovai in un grande abbraccio di gruppo, mentre Alexandra correva con le sue gambettine intorno a noi. E va bene, qualche lacrimuccia di commozione mi scappò anche dentro tutto l’abbraccio!
- Bene! – disse Viggo riacquistando all’istante il suo istinto da Aragorn – ci vediamo all’aeroporto gente!

Io e Orlando tornammo insieme a Villa del Lago per un ultimo saluto a tutto lo staff dell’albergo e ai nostri appartamenti che ci avevano ospitato per tutto quel tempo! Io e lui avevamo deciso di scrivere una lettera di ringraziamento da consegnare alla reception nella quale ci complimentavamo per la qualità dei servizi e dei dipendenti e promettevamo di fare buona pubblicità. Appena entrati nella mia stanza Orlando mi abbracciò e mi baciò. Il contatto fisico con il suo corpo mi fece battere forte il cuore, come sempre. Ogni giorno che passava lo amavo sempre di più, non avrei mai e poi mai voluto tornare a quel periodo di settembre, il peggior mese della mia vita.
-    Allora che dici, pranziamo e andiamo all’aeroporto? – proposi. – L’aereo per Rohan è alle cinque.
Orlando sorrise. – Non ti ricordi proprio il nome di quel posto vero?
-    No! Però non me lo dire: voglio scoprirlo una volta atterrata dopo un volo immersa nella mia totale ignoranza geografica!
Ridemmo. Gli passai un braccio intorno alla vita. – Andiamo.

Prendemmo le valigie, controllai circa sette volte di aver preso tutto e nonostante ciò ero sicura di aver dimenticato qualcosa, chiudemmo la stanza, andammo alla location, consegnammo le chiavi e la lettera, salutammo tutti e andammo al ristorante. Per fortuna ci acconsentirono di lasciare tutti i bagagli in un angolino tranquillo e ben sorvegliato dell’ingresso, mangiammo e poi di corsa all’aeroporto! Incontrammo tutti gli altri al check-in, pronti a separare, per la prima volta, la Compagnia. D’ora poi non avremmo più lavorato tutti insieme ma in location separate perché così prevedevano i copioni delle Due Torri e del Ritorno del Re: io sarei andata a Rohan – quel posto sconosciuto – con Orlando, Miranda, Viggo, John, Bernard Hill, John Mahaffie – secondo regista. Billy e Dom a Wellington, Sean e Elijah dal monte Ruapehu nell’Isola del Nord. E poi c’erano quelli che se ne sarebbero andati via per un po’: Bean, Liv, Craig, che promise di venirmi a trovare ogni settimana. Appena mi vide entrare con Orlando Elijah mi corse incontro e mi abbracciò stretta stretta sollevandomi da terra.
-    Ehi El! Che succede? Che ho fatto?
-    Io ti adoro nella maniera più assoluta! Non smetterò mai di ringraziarti Les!
-    Linnie ti ha parlato?
-    Sì!
E mi abbracciò di nuovo. – Adesso siamo pari – dissi.
Ora era il momento di salutare tutti quanti.
-    Mi mancherete un sacco – dissi fra un abbraccio e l’altro.
-    Ehu, non c’è bisogno di fare le scene, ci rivedremo lo stesso ogni week end! – esclamò
Billy. – Non staremo tanto lontani, e poi fra neanche due mesi ci sarà la presentazione della Compagnia dell’Anello!
In quel momento arrivò la chiamata per l’aereo mio e della troupe di Rohan.

Il viaggio in prima classe, come al solito, era comodissimo. Io e Orlando ci posizionammo in due sedili appartati e trascorrevamo il tempo facendoci le coccole e mordicchiando uno spuntino, parlando del più e del meno e guardando foto. Dopo la metà del viaggio, però, mi sembrò pensieroso.
-    Che c’è, Orlie?
Evitò il mio sguardo - Mmmm… niente.
-    Ehiiiiiiiii!
-    Volevo chiederti una cosa…
-    Bene, allora dimmela! – sorrisi.
-    Mi vergogno… e non so se accetterai.
-    Se non me lo chiedi non lo saprai mai, dimmelo all’orecchio se sei timido.
Orlando mi prese una mano fra le sue, si chinò verso di me e mi sussurrò all’orecchio:
-    Vuoi vivere con me?


Ammetto che l’idea della canzone non è stata mia ma di Grey’s Anatomy, sono rea di furto d’idea! Magari a voi fidati lettori non è piaciuta neanche ma, giuro, a me sì! Se qualcuno fosse interessato a sentire la versione per come l’hanno cantata in questo capitolo, eccovi il video e la sequenza degli attori!
Sequenza di voci: Viggo – Liv – Lesley – Orlando – Miranda (2 voci di seguito) – Lesley – Christine – Tutti – Lesley!

Video: http://www.youtube.com/watch?v=CxSR3ZYcdZA&feature=my_liked_videos&list=LL5A5-9eWUkFi8nwzSS8hYDQ

Se vi ha fatto schifo ditemelo senza problemi! Accetto le critiche!
Vi voglio bene!
Nut
   
 
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