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Autore: Ilarya Kiki    29/10/2012    1 recensioni
La vita di Amy Wong fa schifo.
Lavora sottopagata in un call-center in una cantina, vive sola in un monolocale nel peggior sobborgo della sua città, Leadenville, con un dirimpettaio invadente e le bollette con cui fare i conti.
Ogni notte va ad ubriacarsi e vaga, solitaria, per le strade notturne come un fantasma…
Finché non si imbatte in una strana ragazza dai capelli rossi.
Quell’incontro stravolgerà la miserabile esistenza di Amy, e la farà intrecciare con i fili rossi dei destini di innumerevoli creature in un misterioso disegno più grande, l’ordine del mondo e l’equilibrio tra bene e male,
fino a risalire al suo oscuro e terribile passato.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Inferno, settimo cerchio, terzo girone.

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Andrea quella mattina sembrava molto agitata, più del giorno recedente, quando l’aveva conosciuta.
Era tornata.
Strano, aveva pensato Sharon, quando l’aveva vista comparire sotto il portone del condominio, sola questa volta, a differenza del giorno prima. Strano, ma intanto il suo cuore aveva ripreso a battere come un motore lanciato al massimo dei giri.
Perché era tornata?
“Sono tornata per te.”
Andrea sorrideva: Sharon era di nuovo scesa tutta trafelata, tutta rossa come un peperone, avendo ormai preso possesso di quelle pantofole verdi di quattro numeri troppo grandi per i suoi piedi. Era un po’ ridicola, ma non avrebbe mai potuto prendersi il tempo di vestirsi decentemente e far aspettare Andrea là in piedi…
“…per me…?”
“Sì Sharon. Mi piace molto parlare con te. Sei così diversa dalla gente con cui ho a che fare di solito…”
Era agitata, continuava a sistemarsi i ciuffi biondo-cenere della frangetta sulla fronte ed a sbattere i grandi occhi verdi, scalpitava come un cavallino. Indossava come il giorno prima quella pesante giacca di cuoio nero, che faceva un così strano effetto sul suo corpo esile…
“Senti, Sharon, ti fa di fare un giretto? Ho una tremenda voglia di parlarti.”
Cosa diavolo avrebbe dovuto fare? Sapeva di star peccando, pensò sentendo salire vampate di calore rovente nel sangue fino al viso. Quell’emozione così intensa e piacevole non poteva essere pura.
Forse per Andrea era diverso, anzi, sicuramente, ma lei era pienamente consapevole delle sensazioni che le provocava la vista di quella creatura meravigliosa, quei brividi, quei pensieri strani…era sicuramente peccato. Non avrebbe dovuto accettare il suo invito. Sapeva che era tremendamente sbagliato.
Eppure, lo accettò.
Era una debole, e si disprezzò.
Si incamminarono sulla via di case popolari, una che continuava a parlare, l’altra in pantofole, che la ascoltava. Giunsero ad un minuscolo spazio verde con un paio di panchine, poco distante dal super-market, e si sedettero.
“Sai…non li sto sopportando più i miei compagni. È successa una cosa, ieri mattina…hanno scoperto qualcosa di importante. E Ville è dovuto correre a dirla al capo. Una buona notizia, per fortuna…”
“Ville…?”
“Oh, sì. Ville è quello alto, con la coda, che quando ti guarda sembra che riesca a farti una radiografia…”
“Oh.”
Sharon rinunciò a chiedere che cosa fosse una radiografia.
“Sì, beh, Ville se n’è andato ieri sera, ma prima di andarsene non sapeva parlare d’altro che della loro incredibile scoperta…che era una cosa importantissima, che avevano sbagliato tutti i calcoli, eccetera eccetera. E Tony ha continuato a parlarne per tutta la mattina! Non ne posso più!”
“Tony è l’altro?”
“Sì, quello albino.”
“Che cosa hanno scoperto?”
“Emh, noi tre lavoriamo insieme per un’associazione, chiamiamola così, molto simile ai servizi segreti. Eravamo venuti qui perché due persone avevano infranto le regole…e poi abbiamo scoperto che una cert’altra persona, che credevamo morta, invece è viva. In sintesi questa è la scoperta. Non posso certo dirti di chi sto parlando,o non sarebbe più un segreto…”
“Sei un Angelo, Andrea?”
La ragazzina si zittì all’improvviso, bloccando le mani a mezz’aria ed impallidendo drasticamente.
Sharon trattenne un sorriso, suo malgrado. L’aveva proprio spiazzata.
D’altronde, come poteva sapere Andrea che lei Ville e Tony li aveva proprio incontrati di persona, la mattina precedente, mentre scoprivano che Jaja era viva e che era scappata di sua volontà dal trono della Stirpe Demoniaca?
Comunque, la reazione di Andrea alla sua domanda le rivelò che aveva fatto centro.
“Tranquilla, non lo dirò a nessuno.”
“Ma…come hai fatto a capirlo? Sei un’iniziata?”
“Sono la sorella di Tarja Lucifer.”
Andrea rimase ancora più stupita di prima, ed i suoi occhi si riempirono di terrore.
“Sono solo un’umana.”
“Non sei un Demone anche tu!? Come mai nessuno sapeva niente di te!? Insomma, Tarja è parecchio famosa, e tu…?”
“Sono solo un’umana. Ho vissuto qui tutto il tempo. Io e mia sorella siamo state separate. Non sono importante come lei…”
Andrea sembrò calmarsi, ma mantenne l’espressione esterrefatta. Si avvicinò un po’ a Sharon, e lei la lasciò fare. Non sapeva che cosa avrebbe dovuto provare: metà della sua anima le gridava che era sbagliato, che sarebbe stata catapultata vergognosamente nell’Inferno, l’altra metà era invece felice e luminosa come non lo era mai stata; le due metà si stracciavano e combattevano violentemente tra di loro, lasciandola in un vago stato di stordimento doloroso. Dio, un Angelo! Andrea era un Angelo, ecco il motivo della vaga aura di luce che sembrava emanare dai suoi occhi e da tutta la sua persona, di quella strana sensazione di gioia che la pervadeva ogni volta che la vedeva: l’idea di avere accanto un Angelo non faceva che fargliela adorare ancora di più…
Le sarebbe piaciuto abbracciarla, avendola così vicina. Il suo vago profumo le dava alla testa.
“Forse è meglio che io non dica ai miei compagni chi sei. Credo che si scatenerebbe un putiferio inutile, visto che sei umana…”
“Credo che se ne accorgeranno, Andrea. Siamo identiche.”
“Oh, non lo sapevo…io non l’ho mai vista…comunque non è necessario che glielo dica io. Non sanno nemmeno che vengo a parlare con te…”
“No?”
“No, sarà il nostro segreto.”
“Quanti segreti…”
“Già! Non ti piace l’idea? Sarà divertente!”
“D’accordo, Andrea.”
Sharon avvampò, scaldandosi in uno dei suoi rari sorrisi che accese il suo viso bianco come la luna di sfumature scarlatte.
“Sarà divertente…”

Dio, un Angelo!
Erano rimaste là a parlare per un tempo che Sharon giudicò infinito, ed ora si sentiva eccitata, piena, felice. Era una felicità strana, perché solo il fatto di esserci le causava un dolore stracciante in fondo allo stomaco, che la stordiva e la faceva sentire un’inetta per esservisi abbandonata. Era una felicità sbagliata, lo sapeva fin troppo bene.
Sua madre Madelin le aveva proibito di giocare con le bambole quando aveva otto anni, la prima volta che l’aveva vista organizzare un matrimonio tra le sue due preferite, due belle bambole di ceramica vestite con abitini gialli, rosa e blu.
L’aveva sgridata severamente, le aveva raccontato tutta una serie di storie bibliche e di punizioni divine a tal riguardo, le aveva parlato di Sodoma e Gomorra, di piogge di fuoco, l’aveva mandata a letto senza cena e aveva requisito tutte le sue bambole.
Sua madre si convinse che la storia fosse finita lì, ma Sharon sapeva bene che non era così.
Crescendo, infatti, si ritrovò a sognare estasiata le chiome d’oro delle eroine innamorate dei romanzi alessandrini, a rileggere avidamente tutte le descrizioni dei gesti e delle bellezze delle dame dei poemi cavallereschi di Orlando, a piangere amaramente leggendo la triste morte di Ofelia e di Giulietta nelle tragedie di Shakespere…
La Divina Commedia, poi –il suo libro preferito-, a tal riguardo era chiarissima: per i sodomiti era previsto il settimo cerchio, terzo girone, categoria “violenti contro la natura”.
La punizione consisteva nel correre eternamente sotto una pioggia di fuoco, proprio come era successo anche alla città di Sodoma. Lei non era certa di poter essere definita “sodomita” –infatti a quanto aveva intuito quello era un discorso che riguardava solo gli uomini-, ma sapeva che quello era il destino a lei riservato perché le sue emozioni erano contrarie alla natura, lo sapeva da quando aveva otto anni, da quando sua madre le aveva detto che un matrimonio tra due femmine andava contro il volere di Dio.
Ma non poteva farci nulla, oltre che star male. Adesso che c’era Andrea, poi, non sapeva più come comportarsi. Avrebbe resistito alla dannazione totale, o come una debole peccatrice avrebbe ceduto?
Il solo pensiero le fece correre un brivido intensissimo per tutto il corpo, e non capì se era di paura o di lussuria. Probabilmente entrambi. Le veniva da piangere.
Facendo questi pensieri stava risalendo le scale di casa, raggiunse sospirando il pianerottolo ed aprì la porta.

“Cherì!” gridò Tarja, seduta al tavolo già apparecchiato.
“Si può sapere dove sei stata? È già mezzogiorno! Stavo cominciando a preoccuparmi!”
“Emh…ho fatto un giretto…oh, Dio, finirò all’Inferno!”
La ragazza si mise la mani tra i capelli, corse a prendere il suo rosario e sparì con quello in bagno, dove aveva riposto anche la sua Divina Commedia, nell’armadietto accanto al latte detergente e all’aspirina. Amy, che stava preparando da mangiare, sbuffò.
“Ma si può sapere che le prende, a volte?”
“Secondo me è pazza” commentò Annette, stesa a tappeto sul divano. Non se n’era mai andata, proprio come aveva promesso il giorno prima.
“Non è pazza! È solo un po’ strana…” mormorò Tarja.
“Credo che chiunque diventerebbe strano, dopo aver passato un quarto d’ora con una come vostra madre…”
Tarja e Amy scoppiarono a ridere, mentre Annette spostò il suo peso dal divano al tavolo apparecchiato. Nel frattempo Amy metteva in tavola degli spaghetti conditi con un sugo pronto, per la gioia dei loro stomaci affamati.
Sembrava un po’ cambiata, Amy. Non si capiva bene perché, ma era come se fosse più disposta del solito a scherzare, e sbuffava molto meno di prima quando Tarja partiva con i suoi discorsi strani. Quella mattina era dovuta correre al lavoro, giustificando l’assenza del giorno precedente con la balla di essersi presa un virus intestinale, e poi, con la scusa di stare ancora male, era uscita in anticipo ed era andata a fare la spesa. Aveva giurato a se stessa che le gemelle non ce le avrebbe mandate mai più, a fare compere, a giudicare dalle conseguenze impreviste che il fatto comportava e dal mare di roba inutile che avevano portato a casa l’ultima volta.
Aveva anche comprato il quotidiano. Erano ben tre anni che non comprava il quotidiano.
Cherì non si presentò a tavola, e le tre divorarono tutto lasciando da parte una razione anche per lei, per poi spreparare le stoviglie ed impilare i piatti nel lavello in vista di quella sera, quando Davey si sarebbe preso la briga di lavarli.
Tarja rimase seduta al tavolo, mentre Annette si stravaccò di nuovo sul divano, chiudendo gli occhi e sprofondando in un profondo coma da pancia piena sotto lo sguardo irritato della padrona di casa. Amy infatti la stava squadrando con occhio ostile, mentre passava la spugna sul tavolo per eliminare le ultime briciole, e stava pensando ad un modo per liberarsi di lei nei giorni futuri. Poi però all’improvviso si spostò ed afferrò risolutamente il quotidiano, appoggiato sul mobiletto d’ingresso. Lo sbatté sul tavolo, davanti al muso esterrefatto di Tarja. La rossa fissò stupita la sua padrona di casa, facendo tanto d’occhi e sbattendo le lunghe ciglia. Amy sbuffò e incrociò le braccia.
“Ok, Tarja, chiariamo le cose. Se hai intenzione di vivere qui con me, allora trovati un lavoro. Non ho intenzione di mantenere te e tua sorella per sempre, con quella miseria di stipendio che ho.”
“…c-cosa?”
“Hai sentito. Devi trovarti un lavoro.”
Tarja prese il giornale con due dita come se non ne avesse mai visto uno, senza nemmeno aprirlo.
“Ma…io…non posso…io devo fare una cosa, prima…sai, Amy, quello di cui parlavo ieri, riguardo al motivo per cui ho lasciato Chrysantemum Hill…”
“Non mi interessa.” Amy incrociò le braccia e lanciò all’amica un’occhiata decisa. “Prima di fare qualsiasi altra cosa, devi portare a casa dei soldi. Non ammetto discussioni.”
Aprì il giornale alla pagina delle offerte di lavoro e lo piazzò sul tavolo davanti a Tarja, dopodiché se ne andò a dare una scopata al pavimento, che ne aveva decisamente bisogno.
Tarja rimase allibita a fissare quelle pagine scritte fitte fitte, tutte grigie, senza capacitarsi di quello che aveva appena sentito pronunciare ad Amy: eh sì, in quella ragazza era davvero cambiato qualcosa.

La notte era di nuovo calata, e di nuovo tutti si erano addormentati.
Nessuno era venuta a disturbarla, e Sharon ringraziò in silenzio sua sorella per questo: lei riusciva a capire che aveva un disperato bisogno di stare sola, ed anche se non poteva intuirne il motivo, l’aveva rispettata e per tutto il giorno aveva fatto in modo che nessuno si avvicinasse a lei.
La luna la rasserenava, semi-nascosta dalle nubi e dal riflesso sul vetro della finestra, ed i grani del rosario scorrevano veloci tra le sue dita sottili: Sharon si era accoccolata nel suo angolino notturno prediletto, ai piedi del letto di Amy, con la finestra che lasciava la luce lunare entrare ed illuminare soffusamente tutto il monolocale. Questa volta c’era anche Annette, stesa su un improvvisato materasso di trapunte sul pavimento tra la cucina ed il divano, ed anche se la sua presenza la disturbava un po’, le sue russate lasciavano intendere che non avrebbe causato problemi fino alla mattina successiva.
Pregava per la sua anima, per trovare finalmente un po’ di pace.
All’improvviso qualcuno comparve alla sua vista, sul marciapiede davanti al portone del condominio: era avvolto in un giaccone di cuoio nero, aveva capelli biondo cenere, ma da tutta la sua figura sembrava essere emanata una vaga aura di luce d’oro.
Sharon non riuscì ad attendere nemmeno un secondo, mise al collo il rosario d’avorio e corse giù.
Andrea, appena la vide, le circondò il collo con le braccia, riscaldando la sua pelle sottile coperta solo dal leggero tessuto della t-shirt.
Avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò : “Mi manchi…”
Sharon sentì il sapore caldo e umido della bocca di Andrea, e si abbandonò al suo bacio.
Settimo cerchio, terzo girone.
  
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