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Autore: mad_locked    30/10/2012    7 recensioni
[Tom Hiddleston]
I vicini. Potevano essere tanto invadenti (come la signora del civico 28), gentili (come la famiglia del 32A), acidi (come il professore del 15B), o sfuggevoli e quasi inesistenti come l’uomo che le abitava giusto accanto.
L’aveva visto si e no cinque volte da quando abitava lì (ed erano più o meno 4 anni), sempre di spalle e da lontano, quindi per lei poteva benissimo essere un alieno che veniva da Marte, in incognito sulla Terra per spiare le abitudini degli essere umani.
/ff senza pretese su Tom Hiddleston - rating verde, ma cambierà in futuro *rotola nel suo angolo oscuro*
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non più tanto sconosciuto

La sveglia risuonò impietosa per tutta la sua abitazione, con quel bip odioso che le faceva venir voglia di scaraventarla per terra ogni volta, ma che puntualmente non accadeva perchè si ricordava di quanto l’aveva pagata. E si era detta che, nonostante l’ottimo deterrente, era stato comunque un furto bello e buono quello.


Flo si trascinò fuori dal letto, arrivando a carburare bene il cervello solo davanti al quotidiano bidone di caffè che beveva la mattina, con tanto zucchero e latte.

“Ah, che goduria per i sensi.”

Sì accoccolò sul divano del salotto con la tazza fumante tra le mani e accese la tv, ben consapevole che sarebbe dovuta andare in ufficio oggi, fortunamente solo per mezza giornata.
Una volta uscita dal torpore che l’accompagnava dal risveglio, andò a vestirsi, preparò il portatile e alcuni manoscritti ripieni di appunti da portare in ufficio; era talmente abituata a stare in casa da sola con i suoi libri e con il suo lavoro tanto da esasperare la sua già grave misantropia a livelli altissimi: non amava stare in mezzo alle persone, men che meno le persone del suo ufficio.

Armata di sciarpa, giaccone e galosce si avventurò fuori dal suo antro, cercando di tenere in equilibrio sulle spalle le tre borse che si era portata dietro; prendere l’autobus non era un’impresa facile con tutto il carico che si portava appresso, ed era un trauma più o meno ogni volta che doveva salire in una di quelle scatolette per sardine a due piani.

La pazienza non era davvero il suo forte e spesso (molto spesso) era finita in mezzo a pozzanghere, che di piccolo non avevano nulla, fin quasi alle ginocchia. Per questo motivo aveva adottato indumenti molto spicci e senza pretese, che da fuori potevano pure sembrare scialbi e insipidi, ma che in realtà avevano il compito di dissimulare un piano tattico ben progettato: nascondere eventuali macchie, la pancia e proteggere dagli spifferi maledetti.

Una volta scesa dalla dannata scatoletta rossa si apprestò a salire le scale dell’atrio, superare la reception con il cartellino ed entrare nel suo cubicolo; generalmente non soffriva di claustrofobia, ma la sua postazione la odiava, sembrava una gabbietta per criceti con tanto di ruota e per questo non la stupiva affatto il livello di nevrosi e incazzatura che aleggiava perennemente negli studi della casa editrice.

E ancora ringraziava di averci a che fare solo 3 volte al mese, quando serviva.

Una riunione con il suo superiore, l’aggiornamento con i correttori di bozze, meeting con gli altri editor. Troppe persone per un mercoledì mattina, ma soprattutto troppo caldo per settembre.

Aveva iniziato a sudare come un salume avvolto nella plastica, e si stava chiedendo il perchè dei tanti strati di stoffa che si era infilata qualche ora prima. Ah già, il freddo che doveva esserci ma che ora era scomparso, lasciando il posto a bellissimi e soleggiati 20°.

~0~

Un debole spiraglio di luce si era fatto forza ed era riuscito a penetrare le tapparelle e le tende della camera da letto, andando a disegnare strane forme sul copriletto candido.
L’uomo sepolto sotto il piumone tirò fuori un braccio dalla coltre candida e afferrò l’orologio da polso appoggiato sul comodino. L’orologio segnava mezzogiorno meno 20.

“Non male per essere rimasto in piedi fino alle 4.” Pensò prima di alzarsi in tutto il suo 1.87m di statura.

Capelli castano scuro arruffati e un paio di boxer neri erano tutto ciò che l’uomo potè intravedere dallo specchio della camera attraverso la vista ancora un po’ annebbiata dall’alcol della sera prima, mentre barcollava a piedi nudi fino al bagno.
Come ogni volta, la premiazione gli aveva messo una scarica di adrenalina in corpo che lo aveva fatto andare avanti fino al giorno dopo tra un drink e una birra, ritrovandosi sbronzo e un po’ incoerente sulla soglia di casa alle 4 del mattino.

L’uomo si lavò le mani e il viso, gocciolando per terra e sul proprio petto nudo fino ad afferrare con la mano l’asciugamano pulito che giaceva appeso accanto la lavandino sulla sinistra.

Si guardò allo specchio e iniziò a toccarsi il viso.
- 31 anni e già inizio a far fatica, forse dovrei prendermi una vacanza da quei dannati party dopo premiazione. - si disse, fissandosi allo specchio per qualche secondo per poi affrerrare l’accappatoio e appenderlo sul gancio di fianco alla porta della doccia.

Non era la sua abitazione primaria, ma lo stava lentamente diventando dal momento che appena poteva staccarsi dal lavoro preferiva tornare lì piuttosto che nella sua casa in centro, in mezzo al casino e al traffico; poteva essere divertente, per un po’, ma lui era un uomo tranquillo nonostante fosse di animo festaiolo e gli piacesse far casino.

Si tolse i boxer neri aderenti e infilò tutte le sue nude grazie sotto il getto caldo della doccia, lasciando che l’acqua spazzasse via gli ultimi residui della serata precedente; c’erano un sacco di donne attraenti e aveva flirtato come un disgraziato, ma dopo qualche bicchiere di troppo gli erano sembrate tutte quante noiosamente uguali.

Questo era il problema, sembravano tutte spaventosamente uguali, il che poteva essere un passatempo carino ma non per una cosa che andasse più in là di una notte.

L’acqua calda scorreva sulla pelle, portando via con sè il bagnoschiuma misto a pensieri molesti e malinconia.
“In fondo non è che io stia cercando una compagna fissa, o no?...”

Uscì dalla doccia e si asciugò in fretta, tornando in camera sua coperto solo dall’accappatoio di cotone bianco. Si affacciò alla finestra che dava sul lato comunicante con la casa accanto, scostando la tenda bianca opaca per guardare attraverso il vetro: la casa era di un blu scuro molto marcato, un pugno in un occhio in confronto alla sua, color crema al limone, ma quel quartiere ormai sembrava un bizzarro arcobaleno e ogni casa aveva ormai acquistato una propria personalità.

“Oh finalmente un giorno tutto per me. Oggi libri, film, musica e nessuno a rompermi le balle!” Erano rare le occasioni in cui poteva concedersi il lusso di un intero giorno per stare solo con se stesso.

Adorava il suo lavoro, ma a volte sentiva il bisogno di coltivare una giornata all’insegna delle cose che amava fare al di fuori della sua professione, da solo con se stesso. Era sempre stato così, anche prima di fare l’attore, e aver conseguito il sogno di una vita non l’aveva di certo cambiato. O per lo meno non aveva cambiato questo lato del suo carattere.

Dopo essersi messo addosso le prime cose decenti trovate nell’armadio, si procurò un bel libro e una tazza di tè fumante e iniziò a godersi entrambi i piaceri comodamente seduto sulla chaise lounge nel suo salotto; non l’aveva arredata lui la casa ma doveva ammettere che il mobilio era di suo gradimento, sobrio e con colori neutri.

~0~

Erano le 6 di sera e fuori c’era già buio pesto: questo era l’unico inconveniente dell’inverno che Flo odiava, insieme forse al vento maledetto che le si infilava nelle ossa, ricordandole tutti gli acciacchi che già aveva a 28 anni.

Si affrettò ad uscire dall’ufficio infernale per tornarsene nella sua adorata casetta, al caldo, con ettolitri di té, libri e i dvd delle sue serie preferite. Salì di fretta sull’aggeggio infernale rosso con le ruote, altrimenti chiamato autobus a due piani, per il quale Londra era particolarmente famosa.

“Perchè diavolo dovrei spendere altri soldi per prendere un taxi se ho già il biglietto dell’autobus, per quanto snervante sia prenderlo all’ora di punta.”
Il viaggio fu come al solito fastidioso e traumatico data la mole impressionante di persone che affollavano il veicolo a quell’ora di punta. Suonò il campanello per chiamare la sua fermata e scese dall’autobus, ringraziando il cielo che il viaggio, seppur di breve durata, fosse finalmente finito.

La sua misantropia stava peggiorando di giorno in giorno, e di questo passo temeva sarebbe diventata un’eremita, un così detto hikikomori che vive bene solo nei confini della propria abitazione e che non mette mai il naso fuori dal proprio uscio.

Stanca e sudata, arrivò alla base della piccola rampa di scalini in marmo opaco che portavano all’uscio della sua casa: era avvolta nel suo caldo giaccone con una sciarpa lunga un chilometro, che la facevano sembrare più un gommone che una donna, il trucco probabilmente mezzo sciolto e i capelli sparati in aria grazie alle “provvidenziali” folate di vento autunnali.

Non era veramente in condizioni di essere vista da un uomo in quel preciso momento. Ma il destino le aveva riservato ben altro.
Non appena arrivò alla porta bianca di casa sua iniziò a cercare le chiavi di casa nei recessi della sua borsa, cosa non esattamente così facile come può sembrare dal momento che ancora aveva appresso qualche plico di manoscritti. Era così intenta a cercare l’oggetto delle sue brame che non si accorse minimamente della porta accanto che si apriva.

- Eccovi, brutte stronzette! - esclamò trionfante, afferrando il mazzo di chiavi dalla borsa. Un leggero colpo di tosse le fece distogliere lo sguardo dalla porta e dal mucchietto di metallo ordinato che reggeva in mano, facendola convogliare sulla persona che stava sull’uscio della porta accanto, con un secchio in mano e l’espressione un po’ scocciata.

- Lei deve essere la mia vicina di casa. Piacere di conoscerla. - fece lui con tono educato ma freddo e alquanto scocciato.
Il cervello di Flo si era irrimediabilmente inceppato, non solo per la colossale figura di merda che aveva appena fatto con il suo vicino, più che altro per il fatto di aver realizzato (finalmente) chi fosse il suo misterioso vicino. E non poteva esserci rimasta più “male” di così.

-Pia.. cere. Floris Ander.. son. - disse lei, facendo molta fatica a connettere le funzioni del cevello con la sua bocca. Forse il buio stava ingannando i suoi occhi, e dal momento che non poteva veramente andare più a fondo di così, diede aria alla bocca.

- Ma lei è.. chi io penso che lei sia? - disse Flo, in tono sommesso e agitato. - Dipende da chi lei pensa che io sia. Se sta pensando che io sia Tom Hiddleston, complimenti, ci ha azzeccato.-









N.d.A: finalmente sono riuscita ad aggiornare la mia storia. Tra il lavoro che mi succhia via tutte le energie, e le altre mille cose non sono riuscita ad aggiornare presto quanto volevo io. Spero che il capitolo non faccia troppo schifo :c
P.S: voglio ringraziare tutte le gentili donzelle che hanno commentato il capitolo precedente. Grazie :*
  
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