Prologo.

Basterebbe un giorno per essere felici,
lontano da qui c'è gioia.

Quando si è bambini, c’è così tanta ingenuità.
Ecco perché non si vede l’ora di crescere, perché non ci si aspetta di dover affrontare tutto il casino che è il mondo.
Quando si cresce ci si sente persi, senza direzioni, senza perché.
C’è chi affronta questo periodo della vita insieme ad altri, chi invece non lo affronta e basta, lascia solo che quella sensazione di smarrimento gli entri dentro, senza fare nulla. Io non volevo affrontarla, perché?
Perché non aveva alcun senso,(credevo) “Prima o poi passerà da sola”.
Ero una di quelle a cuidel mondo in generale non fregava nulla.
Non mi ponevo domande esistenziali del tipo“chi siamo?” “da dove veniamo?”
semplicemente lasciavo correre così. Non mi importava se gli anni continuavano a passare e io continuavo a rimanere sempre , la solita ragazza solitaria. A cosa sarebbe servito stringere dei rapporti con altre persone,
che alla fine , in un modo o nell’altro mi avrebbero delusa? I miei unici “ amici” erano i libri.
Piuttosto che uscire in compagnia di qualcuno , preferivo restarmene rinchiusa in camera a leggere, qualunque tipo di libro capitasse sottomano. Preferivo però cimentarmi in scritture fantasy.
Perché? Perché così era più facile lasciare la mente fuori dal mondo “reale” e farla viaggiare lontano.
Preferivo passare le mie giornate stesa sulla grande quercia che c’era nel parco sotto casa, oppure chiusa in camera
con la musica a tutto volume.
I miei genitori avevano provato a convincermi ad andare da uno psicologo, perché secondo loro avevo qualche disturbo mentale, o cose del genere.L’ultima fatidica volta che era capitato avevo risposto troppo duramente,tanto che mia madre aveva smesso di rivolgermi la parola, disse che le mie parole l’avevano ferita davvero, ma io avevo solamente detto la verità: “ Sto benissimo, siete voi che avete dei problemi , non voglio finire come voi, che non vi amate più e state insieme  solo perché non potete divorziare visto i costi che ci sarebbero, non voglio essere vincolata a nessuno, per nessun periodo di tempo, per nessuna ragione, sto bene da sola, mi piace passare del tempo con me stessa, è forse un problema?”.Il discorso non si era più aperto, anche se mia madre continuava ad ignorarmi , non ci facevo neanche caso. La verità era che i miei genitori non mi conoscevano, per niente. Non ero totalmente un’asociale, ad esempio c’era quella piattola della mia compagna di banco, che si ostinava a dire che eravamo amiche da quattro anni, quando io invece ogni giorno le ribadivo che questa era e sarebbe rimasta solo una sua fantasia. Si chiamava Marie e non era tanto male, solo che era troppo petulante, troppo affettuosa, troppo “umanizzata” .  Prima non ero così, quando ad esempio scioccamente rileggevo i vecchi diari personali, leggevo un’altra me, come se fossi stata sottoposta ad un operazione completa di me stessa, come se improvvisamente qualcuno avesse operato i miei pensieri, il mio cuore, tirandone via tutta l’umanità.