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Autore: Emily Kingston    09/11/2012    5 recensioni
Mi chiamo Percy Jackson e sono un mezzosangue.
(...)
La sera del mio compleanno io e Annabeth ci siamo baciati, finalmente, e alla fine dell’estate sono tornato a New York da mia madre e Paul. E tutti vissero felici e contenti, insomma.
Invece no.
Credevo che le mie avventure da semidio fossero finite – o che comunque, mi stessero concedendo una pausa – e pensavo di essere solo un adolescente di Manhattan, figlio di un dio, con una ragazza semidivina, dislessico, con una sindrome di iperattività e disturbo dell’attenzione. Ma ho dimenticato di mettere in conto che sono un mago nell’attirare la sfortuna.

-
Sono passati alcuni mesi dalla sconfitta di Crono e, proprio quando tutti al campo pensavano di poter avere un po' di tregua, Grover si troverà in difficoltà ed un nuovo nemico inizierà a tramare nell'ombra, deciso a distruggere il Campo Mezzosangue. Tra imprese, nuove profezie, bizzarre divinità e strani sogni, riusciranno i nostri eroi a vincere la battaglia?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Grover Underwood, Percy Jackson, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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#13. Dico addio alla mia vita

 
Il bosco non era mai stato così silenzioso e sinistro.
Perfino i mostri che di solito si aggiravano tra gli alberi, nascondendosi dietro a rocce e cespugli, avevano cessato di respirare e si erano ritirati in una sorta di temporaneo letargo.
Dopo aver mosso pochi passi all’interno della foresta mi fermai, voltandomi indietro brevemente. I tronchi degli alberi mi coprivano la visuale, ma riuscii lo stesso a scorgere una ciocca bionda dei capelli di Annabeth e il cuore mi si riempì di paura e di dolore.
Non volevo morire, ecco tutto. Mi avviavo verso una morte quasi certa e non volevo morire. E il motivo, per quanto egoistico, era solo uno: non ci sarebbe stata Annabeth negli Inferi. Non ci sarebbero stati Grover, Tyson, Talia e tutti i miei amici. Sarei stato solo, per l’eternità.
Ma dovevo tentare di battere Minosse, dovevo almeno provarci. Forse non ne sarei uscito vittorioso – anzi, quasi sicuramente ne sarei uscito morto – ma dovevo proteggerli; volevo proteggerli. Soprattutto Annabeth.
Continuai ad avanzare nell’oscurità, Vortice puntata verso il buio che si estendeva di fronte a me. Il bagliore leggero della lama di bronzo celeste illuminava appena le ombre del bosco, permettendomi almeno di vedere dove mettevo i piedi.
Mano a mano che mi avvicinavo al centro della foresta, ogni passo diventava più pesante e sentivo il mio Tallone d’Achille più esposto che mai, già immaginando Minosse che mi conficcava la lama della sua spada nella schiena.
L’unica cosa che mi consolava erano i ricordi che avevano iniziato ad affollarmi la mente. Risate attorno al falò, passeggiate in riva al lago, giornate passate al cinema e scherzi a opera dei figli di Ermes.
Chiusi le palpebre e continuai a camminare lentamente verso il mio nemico, permettendo ai ricordi di cullarmi per un’ultima volta.
 
Mia madre si fermò davanti al cinema e, prima che potesse fare qualche altra battuta su me e Annabeth, scesi dalla macchina e le dissi di venirmi a riprendere entro un paio d’ore.
Lei mi guardò contrariata, ma io le voltai le spalle e mi avviai verso l’entrata.
Nonostante fosse un comunissimo lunedì pomeriggio, il cinema era pieno di gente. Vagai nell’ingresso per un sacco di tempo e, solo dopo aver urtato per due volte di seguito una signora anziana che aveva accompagnato i nipotini a vedere un film d’animazione, finalmente la individuai.
Se ne stava in piedi davanti a un cartellone pubblicitario, con le mani dietro la schiena e lo sguardo assente puntato sulle porte a vetri che davano sull’esterno.
Indossava un paio di pantaloncini di jeans ed una canottiera bianca; la collana con le perle del Campo Mezzosangue e l’anello di suo padre le pendeva dal collo e avrei giurato che il piccolo rigonfiamento sul suo fianco fosse il suo inseparabile pugnale di bronzo.
Aveva la pelle più abbronzata e i capelli leggermente più lunghi rispetto all’ultima volta in cui l’avevo vista e, arrossendo, pensai che fosse anche più carina.
Scuotendo il capo per scacciare quel pensiero, mi avvicinai a lei con un mezzo sorriso.
“Ehi!” Esclamai.
Annabeth spostò lo sguardo su di me, aprendosi subito in un gran sorriso.
Sentii le gambe diventare di gelatina e ci volle tutto il mio autocontrollo per non cadere a terra come un imbecille.
“Percy,” disse e il suo sguardo s’illuminò.
 
“Muovi quelle gambe, Testa d’Alghe!”
Talia sogghignava di fronte a me, parando ogni colpo della mia spada. Probabilmente Luke doveva averle insegnato qualcuno dei suoi trucchetti quando lui, Annabeth e Talia avevano vissuto insieme.
Per quanto mi costasse, dovevo ammettere che il figlio di Ermes era davvero un ottimo spadaccino – almeno, lo era sempre stato tutte le volte che avevo combattuto contro di lui.
“Vai Perce!” Gridò Grover dagli spalti e io mi voltai  un secondo per sorridergli.
Annabeth me l’aveva detto centinaia di volte di non abbassare mai la guardia, infatti, pochi secondi dopo mi ritrovai con il sedere per terra e la spada di Talia puntata alla gola.
“Battuto,” disse la figlia di Zeus, gli occhi scintillanti – letteralmente. “Per la terza volta di fila.”
Mi aiutò a rialzarmi e mi pulii i pantaloni dalla polvere.
“Stai perdendo colpi, Percy,” mi disse la ragazza, battendomi una pacca sulla schiena.
Io e Talia avevamo un rapporto di odio-affetto che anche io faticavo a capire. Un minuto litigavamo furiosamente e quello dopo ci davamo pacche incoraggianti sulla schiena, solo Zeus sapeva come mai.
“Dai, andiamo a darci una sistemata,” propose, passandomi un braccio dietro alle spalle e guidandomi verso le capanne.
 
La spiaggia era deserta – cosa strana dato che era il quattro luglio – e io ed Annabeth stavamo camminando in silenzio sulla riva.
Era stata lei ad invitarmi a vedere i fuochi; o meglio, io avevo cercato d’invitarla, avevo fallito e lei aveva invitato me.
“Allora…” di solito io e Annabeth avevamo sempre qualcosa da dirci, anche se si trattava di insulti, ma in quel momento mi sentivo come se mi fossi dimenticato l’alfabeto. Non ero in grado di mettere insieme neanche una parola, figuriamoci una frase di senso compiuto.
Un boato spezzò il silenzio e il primo fuoco d’artificio esplose nell’aria, tingendo la notte di azzurro.
Io e Annabeth alzammo gli occhi verso il cielo, dove le scintille colorate creavano immagini tra le stelle.
“Sono davvero belli,” commentò Annabeth, mettendosi a sedere sulla sabbia.
Io la imitai, sistemandomi non lontano da lei.
I fuochi d’artificio si susseguirono nel cielo uno dopo l’altro, colorando la notte di mille colori diversi che illuminavano il viso ammaliato di Annabeth, rendendola ancora più bella di quanto già non fosse.
Non era la prima volta che pensavo a lei in quei termini e la cosa mi fece arrossire. Ma Afrodite ci aveva visto giusto, due anni prima, il mio cuore stava andando da Annabeth. In quel momento non avrei saputo dire se l’avesse raggiunta o no, ma ero certo che ci stesse provando con tutto se stesso.
Sentii le dita di Annabeth sfiorare le mie ed abbassai lo sguardo. Dato che sono iperattivo, quello fu come un segno per me e le afferrai la mano, stringendola delicatamente.
Annabeth non mi guardò né disse nulla, si limitò a fissare il cielo con un timido sorriso che le danzava sulle labbra.
 
Il fuoco si alzava imponente, di un rosso acceso.
Eravamo tutti seduti in cerchio e cantavamo le canzoni del campo, accompagnati dalla musica dei figli di Apollo.
Bastoncini pieni di marshmellow sfioravano le fiamme, permettendo ai dolciumi di arrostirsi un po’.
Istintivamente sfiorai la perla sulla mia collana, la mia prima perla, il mio primo anno al Campo Mezzosangue.
Passai velocemente in rassegna i volti di tutti i presenti: Annabeth, Grover, Chirone, Luke, Silena Boureguard, Charlie Beckendorf; perfino la faccia di quella piantagrane di Clarisse mi fece sentire meglio. Sorrisi scorgendo Grover che mi guardava.
Avevo trovato una casa, finalmente, un posto dove ero stato accettato per quello che ero: un ragazzino dislessico e iperattivo, con un forte disturbo dell’attenzione.
Il mio sguardo si soffermò su Annabeth.
Degli amici. Per la prima volta nella mia vita, avevo trovato degli amici.
 
Il vento mi accarezzava il viso, scompigliandomi i capelli.
‘Come va lassù, capo?’
Sorrisi, accarezzando la criniera di Blackjack.
“Quante volte devo dirti di non chiamarmi capo?”
Il pegaso nitrì, scendendo in picchiata verso la spiaggia di Long Island.
Sul bagnasciuga, Tyson si divertiva a lanciare legnetti nell’acqua, rimanendo estremamente deluso quando affondavano.
‘Scendiamo, capo?’
“Sì, Blackjack,” dissi, osservando mio fratello con un sorriso. “Scendiamo.”
Ovviamente quando Tyson mi vide m’incrinò un paio di costole con uno dei suoi soliti abbracci.
“Percy!” Urlò e le sue enormi braccia ciclopiche mi avvolsero.
“Tyson,” gemetti, cercando di respirare nel suo abbraccio. “Mi soffochi così.”
Il mio fratellastro ciclope mi lasciò subito andare, indietreggiando di un paio di passi.
“Oh, Tyson ha fatto male Percy?”
Io scossi il capo, abbozzando un sorriso.
“Nah, tranquillo campione.”
Tyson sorrise e mi strinse di nuovo tra le braccia, nonostante tutto era bello riaverlo a casa.
 
Sospirai, riaprendo gli occhi.
Minosse era in piedi davanti a me, con un ghigno stampato in viso ed una lunga spada nera tra le mani. Era fatta con lo stesso metallo di quella di Nico, il metallo dello Stige.
“La morte ti saluta, Percy Jackson,” disse, brandendo la spada verso di me. “Farò a pezzi te e tutti coloro che hanno impedito la mia vendetta! Questo stupido campo morirà con i tuoi stupidi amici, semidio.”
Assottigliai le palpebre, puntandogli contro Vortice.
Nonostante avessi una paura matta di morire, mi sentii invadere da una strana forza.
Minosse conosceva il mio punto debole, era vero, ma era altrettanto vero che eravamo io e lui, solo io e lui, raggiungere la mia schiena non sarebbe stato così facile. Io non gli avrei reso così facile raggiungere la mia schiena.
“Io invece penso che la morte sarebbe molto più felice di rivedere te,” ribattei, “le sarai mancato.”
Minosse rise, conficcando la spada nel terreno. Chiuse gli occhi e stese le braccia davanti a sé, aprendo le mani con i palmi rivolti verso il basso.
Una profonda crepa si aprì poco lontano dai suoi piedi e da essa fuoriuscì un sottile alito di fumo.
Non era la prima volta che vedevo una cosa del genere e un brutto presentimento mi attanagliò lo stomaco. La mia mente tornò ad alcuni anni prima, in una sera d’estate fuori dal padiglione, con una statuetta di Mitomagia dimenticata a terra e Nico Di Angelo che scappava nella foresta.
“Vedi, Percy, io non sono un mortale qualunque,” disse il vecchio re, con voce cantilenante. “Io sono un semidio, proprio come te.”
Deglutii.
“Un semidio?”
Minosse annuì, compiaciuto per l’effetto che la notizia aveva avuto su di me. Nella mia mente apparve l’immagine del volto della statuetta di Mitomagia che Nico aveva lanciato a terra dopo che Bianca era morta per recuperarla. Probabilmente dovevo avere la stessa espressione di allora, solo che adesso non c’erano statuette di Mitomagia da raccogliere né semidei tredicenni da recuperare.
“Sono sicuro che hai già capito tutto,” mi rispose, gettando uno sguardo sulla crepa che aveva fatto apparire dal nulla.
Non so perché, ma in quel momento mi sentii arrabbiato con lui ancora di più.
Con un grido, mi lanciai in avanti, ma la lama di Vortice cozzò con quella della sua spada.
Tentai un altro affondo, ma Minosse se la cavava bene per uno che era stato un fantasma per secoli. Parò quasi tutti i miei colpi e i pochi che andarono a segno rimbalzarono sulla sua pelle come fosse fatta d’acciaio.
Combattemmo per diversi minuti, o forse per ore, non saprei dirlo, ma le nostre spade continuavano a cozzare tra di loro.
Provai a colpirlo in diversi punti del corpo, ma nessuno sembrava essere il suo Tallone d’Achille, doveva aver scelto con molta cura il punto dove far convergere la sua mortalità.
“Perché non ti arrendi, Perseus Jackson?” Cantilenò, incalzandomi con una serie di colpi velocissimi. “Sai anche tu che non vincerai questa battaglia.”
Io ringhiai, gettandomi su di lui.
In quel momento, mentre la mia spada e la sua riprendevano a scontrarsi, mi tornò in mente l’ultima parte della profezia.
Se il signore dei fantasmi un’anima prenderà infine
Degli Ultimi Eroi essa decreterà la dolorosa fine
Non potevo permettergli di uccidermi, se fossi morto io i miei amici mi avrebbero seguito negli Inferi.
Per un momento non mi sembrò una cosa poi così brutta. Almeno, avremmo potuto passare l’eternità insieme, nell’Elisio.
Scossi il capo, scacciando quei pensieri, e guardai Minosse con gli occhi ridotti a fessure.
Sarebbe stato lui a passare l’eternità con qualcuno, non io e i miei amici. Lui avrebbe passato l’eternità insieme alle Furie e ai Segugi Infernali, bloccato nei Campi della Pena.
“Sei tenace, ragazzino,” disse, parando uno dei miei colpi. “Devo riconoscertelo.”
Poi un sorriso si fece largo sul volto pallido del re. Dalla crepa che aveva creato prima che iniziassimo a combattere uscirono un paio di zombie, entrambi armati.
“Hai giurato sullo Stige!” Esclamai, guardando i morti viventi che si avvicinavano a me.
“Ho giurato che nessuno dei miei ti avrebbe attaccato alle spalle,” rispose, probabilmente aveva calcolato quella mossa sin dall’inizio. “I miei amici non ti stanno arrivando alle spalle, dico bene?”
Strinsi i denti,ingoiando un’imprecazione.
Con un balzo evitai la lama di uno degli zombie e mi feci scudo dietro ad un albero.
I due mostri mi circondarono, attaccandomi su due fronti. Dopo varie manovre riuscii a portarli di fronte a me, così da avere almeno una panoramica generale dei loro attacchi.
Mentre io mi dannavo con gli zombie, Minosse ci guardava annoiato, con una mano stretta attorno all’elsa della spada.
Finalmente, dopo minuti interminabili di combattimento, Vortice ridusse i due zombie in polvere. Ma ne arrivarono altri, e questa volta mi colpirono alle spalle.
Guardai Minosse con incredulità, mentre uno dei mostri mi afferrava per il collo e l’altro mi bloccava le braccia.
Riuscirono a togliermi Vortice dalle mani e mi fecero inginocchiare a terra, con la schiena rivolta verso l’alto.
Vidi i piedi di Minosse avvicinarsi e sentii un brivido nascere dal mio Tallone d’Achille.
“Hai infranto un giuramento sullo Stige,” dissi, la bocca impastata di saliva.
Minosse rise, premendo la punta della spada sulla parte bassa della mia schiena. Mi aveva solo sfiorato, ma una fitta di dolore mi paralizzò gambe e braccia, facendomi strizzare gli occhi.
“Sono un figlio di Ade, Percy Jackson, lo Stige non mi fa affatto paura.”
Lo sentii spingere la punta della spada leggermente più a fondo e pensai al volto di Annabeth: i capelli biondi e gli occhi grigi, la pelle abbronzata e quel suo sguardo di rimprovero che mi rivolgeva spesso. Vidi quel volto cambiare nei miei ricordi, da quello di una ragazzina di dodici anni con una marea di perle attaccate alla sua collana a quello della ragazza più bella che avessi mai visto.
Con un sorriso amaro pensai che mi avrebbe ammazzato per essere morto.
Chiusi gli occhi e tanti altri volti mi inondarono la mente, susseguendosi uno dopo l’altro velocemente.
“Dì addio alla tua vita, figlio di Poseidone.”
Annabeth, pensai e poi fu il buio.
 





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Non picchiatemi, per piacere! 

Bene, dopo questa implorazione, passiamo alle cose serie. Allora, allora, allora, il capitolo. Be', intutile dire che ormai siamo alla fine, il prossimo sarà l'ultimo capitolo (che conterrà anche un epilogo) e poi quest'avventura sarà finita. Va be', ma lasciamo i sentimentalismi a lunedì quando aggiornerò - e siete autorizzati a venirmi sotto casa con i forconi se non lo faccio. 
So che ho aggiornato appena pochi giorni fa, ma questo capitolo era pronto e non mi piace lasciare troppo le persone sulle spine se posso evitarlo, anche se un pizzico di suspance ci vuole ;)
Comunque, spero che anche questo capitolo vi soddisfi e spero anche, quindi, che mi facciate sapere cosa ne pensate. 
Grazie a tutti per il vostro supporto, 
Emily. 


   
 
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