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Autore: okioki    11/11/2012    3 recensioni
Ginevra Ansuino, legata ad un mondo d'insidie per un vincolo sottile ma potente è parente stretta dell'Alto savio Vespasio. Viene richiamata da egli stesso, morente, per curare i diritti del suo legittimo successore.
1^ Classificata al contest "Voci di Corridoio" indetto da MekhetNineOmbre sul forum di EFP.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Visita al padre

 


Nickname, EFP: Rebeccuori
Titolo della Storia: Visita al padre
Genere: Fantasy, Introspettivo, Generale,
Note dell'autore: Spero di non aver tralasciato niente che potrebbe non essere comprensibile ai fini della storia. Ahimè, sono uscita stremata e non pienamente soddisfatta dal risultato finale. Purtroppo, avendo poco tempo a disposizione mi sono ridotta agli sgoccioli e non mi è stato possibile narrare la storia come volevo. Lascio tutto a tuo giudizio.



 

Prima ancora che sorgesse completamente il sole, le strade e i vicoli della città bassa si erano affollata di venditori che mostravano a gran voce i loro gingilli, bercianti predicatori che accusavano la città di ogni qual genere di peccato con lunghi sermoni, musicisti ambulanti che suonavano ballate giunte da terre lontane; e sacerdoti che recitavano i salmi del Dio-che-è-tre durante la loro traversata; le osterie e i mercati generali avevano aperto i battenti provocando un affluire di gente dentro e fuori di essi; le puttane dei bordelli avevano iniziato ad ostentare la loro mercanzia e non solo quello, mentre tutta la gente del volgo riversava sulle strade della città in cerca di divertimento nella prima mattinata.

Ginevra Ansuino, dalla veranda dalla cittadella in cui risiedeva, osservava tutto ciò mentre la brezza del fiume le risvegliava i sensi e scompigliava i capelli. Da tempo si era convinta che non sarebbe mai entrata in sintonia con la vita di Capo del Sole, né avrebbe mai capito le strane abitudini e le regole che vigevano in quel luogo. L'aveva lasciata troppo piccola per riuscire in qualche modo a riabituarsi, eppure, si era ripromessa varie volte che non si sarebbe mostrata impreparata ad accogliere le tradizioni cittadine.

Al suo arrivo era stata convinta di trovare tutta la città in lutto per il savio morente, invece i cittadini non gli riservavano se non un mero quarto d'ora di preservazione della decenza. Le poche volte che si era avventurata nel basso borgo, in compagnia delle mogli di qualche alta carica pubblica, le era parso addirittura di sentire la città avvolta in una sorta di euforia.

«Mia signora, savio Arnoldo v'invita alla sua tavola» la grigia e rigida domestica messa al suo servizio interruppe improvvisamente le sue meditazioni.

Sospirando, Ginevra diede un'ultima occhiata alla città, per poi rientrare e chiudere le grandi finestre.

Le sue stanze erano arredate solo del necessario: un letto a baldacchino, un grande specchio e un armadio. L'unica parvenza di colore era data dai bauli di legno lavorato e la grande arpa che si era portata dietro da Sentiero dei Rivi.

Si sedette sul bordo del letto, spazzolandosi i capelli con movimenti lenti e soffici.

Ricordava savio Arnoldo dall'infanzia: già d'allora le pareva un vecchio decrepito, quindi poteva solo immaginarsi in che stato era ridotto adesso che lei era diventata una donna.

La vita è ingiusta, l'Alto savio sta per morire mentre quel vecchio inutile è ancora in vita” pensò, per poi pentirsene. Nelle sue infantili visite estive Arnoldo era stato gentile con lei più di chiunque altro savio, anche se già da quel periodo lo considerava irritante.

Con un espressione di pieno disappunto stampato in volto, la domestica le tolse la vestaglia di morbida flanella, aiutandola a indossare un vestito grigio e austero, senza scollatura o decorazioni, le cui lunghe maniche scendevano fino a toccar terra.

Nella cittadella, durante quel periodo di lutto, non erano ammessi abiti particolarmente colorati o stravaganti, quindi si era adeguata, anche se non aveva saputo rinunciare alle maniche a losanga. Inoltre sentiva di aver sviluppato una profonda antipatia verso la donna che le era stata data in servizio, così austera e rigida, tanto da voler saltare quella convenzione solo per fargli dispetto.

Dopo aver adornato il collo con una collana di perla nera, ed essersi fatta acconciare i lunghi e scuri capelli brizzolati in uno stile sobrio, s'incamminò verso le stanze del savio.

Quella mattina non aveva voglia di aspettare gli altri inviti per poi decidere chi degnare della sua presenza. L'avrebbero presa sicuramente come un'offesa e una esplicita preferenza nei confronti di Arnoldo, ma lei aveva fame.

Aveva considerato quel gioco divertente i primi giorni, ma subito dopo la prima settimana aveva capito che doveva soppesare attentamente ogni sua mossa o atteggiamento verso uno o l'altro savio, perché le sue parole sembravano aver peso.

Sentendo i suoi passi risuonare nel corridoio deserto, le venne in mente che sarebbe stato bello ritornare nelle verdi valle di paese, dove ogni suo suono veniva attutito dall'erba, dove poteva vestire abiti più gioiosi e non doveva conservare un portamento così pudico.

Scacciò in fretta quei pensieri: era venuta per un motivo preciso, e non se ne sarebbe andata finchè non avrebbe compiuto il suo volere.

Ma come poteva se non le permettevano di vedere l' Alto savio?

 

Savio Arnoldo stava pregando quando Ginevra fu introdotta nel suo solarium.

Vedendolo in ginocchio la donna sentì tornare in sé l'infantile irritazione che provava ogni volta che vedeva quel vecchio; perché l'aveva mandata a chiamare se non aveva ancora finito di recitare i suoi salmi?

Nonostante ciò attese in silenzio che il savio finisse d' intonare le ovazioni al dio-che-è-tre, e quando le si rivolse riuscì persino ad accennare un sorriso.

«Scusa, mia cara» disse Arnoldo mentre due paggi lo aiutavano ad alzarsi.

Dava l'impressione di essere molto antico con quella sua lunga barba bianca rimasta immutata negli anni. Portava la veste sacerdotale bianca con finimenti d'oro sui bordi e sulle maniche.

È soltanto una palla di lardo con la gobba ed il viso pieno di rughe e le chiazze marroni sul cranio” si ricordò però Ginevra.

«Puoi accomodarti, mia signora» esortò l'uomo accennando alla tavola imbandita.

Alla solo vista delle pietanze, Ginevra si pentì di aver accettato di getto l'invito. La tavola poteva dirsi imbandita solo per gentilezza: c'erano focacce di grano duro, prugne snocciolate, latte alle mandorle e fichi aspromontani. Aveva sperato di far colazione con le pietanze tipiche di Capo del Sole, ma il vecchio sicuramente soffriva d'incontinenza e si sarebbe dovuta accontentare.

Si sedette a malincuore davanti al savio, mangiando poco e parlando ancora di meno.

Quando Arnoldo ebbe mangiucchiato qualcosa le disse: «Ultimamente il buon cibo scarseggia. Con la guerra le carovane di rifornimento non giungono più come una volta.»

Ginevra avrebbe voluto chiedergli a cosa servissero tutti i campi rurali che circondavano la capitale, ma si trattenne dal farlo, annuendo semplicemente con espressione grave.

«Come sta mio zio?» domandò invece. «Mi sarà permesso di vederlo almeno oggi?»

Si portò il bicchiere ricolmo di latte alle mandorle alle labbra. Era dolce al punto giusto.

Il savio sbatté pesantemente le palpebre, assumendo un cipiglio scuro. «In agonia. Chiede sempre di te, sua diletta nipote...» Era incredibile come quell'uomo mentisse tranquillamente su verità che entrambi sapevano. «In quanto a vederlo... non dipende da me.»

Ginevra ruotò gli occhi spazientita, chiedendosi il motivo per cui l'avesse chiamata.

« Come ti trovi cara?» chiese savio Arnoldo, mentre i suoi inservienti sparecchiavano la tavola.

Ginevra si strinse le spalle, istintivamente, prima di ricordarsi che non era visto come buon gesto a Capo del Sole. «Bene, in complesso » rispose molto sarcasticamente. «Le gran dame e le mogli delle alte cariche non fanno che allietare le mie giornate con le belle novelle o i bei giochi della capitale.»

Prese una prugna, assaggiandola a piccoli morsi. Odiava quelle donne: non erano altro che un cumulo di pettegole, alcune sarebbero potute perfino essere brillanti, ma non avevano la minima parvenza di forza e sottostavano completamente al volere dei mariti.

Savio Arnoldo piegò le labbra in un sorriso. «Non hai mai saputo mentire cara, fin da bambina, conosco quel tono» la rimproverò pacatamente, picchiettando le dita sul tavolo.

Stupido vecchio, il mio tono era scherzoso.”

«Il patriarca mi ha esplicitato che avrebbe piacere di conoscerti» l'informò mentre sorseggiava il suo latte.

Ginevra sorrise sorpresa, era ospite della cittadella da ormai due settimane, ma non aveva mai visto il Patriarcato, né il patriarca.

«Sarebbe un piacere di cui non vorrei privarlo» disse. Poi, visto che la notizia l'aveva messa di buon umore le venne voglia di far conversazione. «Chi credi che sarà il prossimo Alto savio?» domandò curiosa, spezzettando la focaccia e dandone un piccolo pezzo al vecchio.

«Grazie cara, i miei denti... Che importanza può avere per una donna come te, mia cara, che fra poco sarà tra le verdi valle di paese?» domandò il savio masticando rumorosamente.

Ginevra decise di mostrarsi in un sorriso condiscendente. Sapeva che per quanto quel vecchio potesse essere gentile considerava le donne inferiori agli uomini.

«A Sentiero dei Rivi si risente della guerra come in qualsiasi capitale del regno. Voglio sapere se l'uomo che terrà in pugno le anime di tutti noi sarà sensato o meno, e se finirà l'opera di mio zio venendo a patti con i Rossi.»

«Non ci sarà bisogno di sapere tutto ciò, se tuo zio rimane in vita» ribatté Arnoldo. Ma poi si sciolse in un'espressione più dolce: «Eppure il suo protetto, Oliviero, da tempo non visita la capitale, rinchiuso in un monastero che sorge su di un'isoletta. Vespasio la designato come suo successore, ma non penso che nessuno degli altri savi accetterebbe l'investitura di un uomo stato per così tanto tempo lontano. Oliviero è molto devoto e non verrebbe a patti con i dragoni per nessun motivo, continuando a perseguire questa guerra insulsa e ripristinando gli antichi dei.»

«Tu l'accetteresti come Alto savio?» gli domandò Ginevra.

Savio Arnoldo ebbe un attimo di esitazione. «Se questo è il volere di Vespasio» disse poi, guardandola con più attenzione.

Comincia a capire quanto io conti” si disse soddisfatta Ginevra, prima di continuare con quell'interrogatorio. Fino a qualche momento prima avrebbe definito quella visita inutile, ma pian piano, continuando così, Arnoldo le avrebbe presto svelato cose che gli altri savi le tenevano nascoste. “Forse riuscirò perfino a vedere mio padre prima che muoia.”

«Tu chi indicheresti?» “Spero che non dica se stesso, è già abbastanza vecchio, ed il prossimo anno probabilmente dovremmo già scegliere un'altro uomo.”

Il vecchio si mosse inquieto, mentre i servi cominciavano a sparecchiare la tavola.

«Sarei senz'altro stato una saggia scelta...» cominciò il savio. Ginevra si trattenne dal fare una smorfia. «Purtroppo ho già avuto i tempi della mia vita, e volevo ritirarmi fuori città, e coltivare una terra...»

Ginevra increspò la fronte, non sapeva che i sacerdoti possedessero terre di proprio. Da quel che ricordava di savio Arnoldo, era un figlio cadetto di una casata minore, ed era impossibile che potesse avere un qualche feudo.

«Sono in molti che amerebbero portare le bianche vesti di tuo zio. Clemente Fioravante ritiene di essere il più consono: è imparentato per parte del prozio con una Salina, oltre al fatto che suo cugino è stato il protetto del capofamiglia ; e questo, crede, sarebbe un legame di sangue più che utile per cancellare le discordie tra Capo del Sole e Re Vezio, di recente sposato con Vivante Salina.» Sospirando, Arnoldo scosse la testa con fare rassegnato. «C'è anche Decimo Seraveri, con lui almeno saremmo sicuri che l'istituzione non superi la corruzione che c'è già adesso. È un vecchio con manie di gloria, quel tipo d'uomo che fa tutto ciò che gli si dice di fare a patto che gli si assicuri il potere, e verrebbe meno alle decisioni importanti. Poi c'è Simo.»

Ginevra si porse in avanti, il volto racchiuso nella mani, più interessata. In un modo e nell'altro, si era fatta un'idea su che tipo di persone fossero Clemente e Decimo.

Decimo si era mostrato un adulatore oltre ogni misura, donandole doni dai più disparati luoghi del mondo: una piccola viverna dalla pelle dorata dalla Roica, una piuma di fenice da Tyais, un falco pellegrino da Aspramontagna... Certo, in cambio di qualche buona parola qui e là da mettere con l'Alto savio. Ma quando si era scontrato con la sua incorruttibilità aveva fatto muro alla sua semplice richiesta di vederlo.

Con Clemente era stato un divertimento più sottile, vinto presto dall'odio. Savio Clemente era stato il primo a cui aveva concesso l'onore della sua presenza per una visita privata. L'uomo si era mostrato estremamente gentile nel tempo che aveva passato nei suoi alloggi, dando sfoggio di tante diverse pietanze e piatti squisiti; poi aveva cominciato un lungo sermone, parlando della sua virtù e devozione religiosa e descrivendo dettagliatamente l'influenza che la sua famiglia avrebbe potuto avere sulla fine della guerra. Quando Ginevra gli aveva fatto notare con fredda cortesia «Mio zio non è ancora morto, savio Clemente», si era indispettito, diventando dal giorno dopo il primo a sostenere che nessuna donna, bastardo, e persona di bassi natali avrebbe dovuto avere il permesso di vedere il savio nei suoi ultimi giorni di vita.

Per questa ragione Ginevra covava verso di lui un odio viscerale e si era ripromessa che mai e poi mai quell'uomo sarebbe stato Alto savio.

Ma che potere poteva avere finchè non le permettevano di vedere il morente?

Finché non riceveva l'Alto savio era soltanto una donna, e una donna non aveva alcun potere sulle dispute religiose.

«Simo? Il patriarca può diventare Alto sacerdote?» domandò curiosa. L'unico che non avesse mai incontrato era proprio lui. Aveva sentito però delle strani voci: sembrava essere molto popolare tra le donne che frequentavano la città alta, che ogni qual volta che lo si nominava si accendevano smaniose.

Savio Arnoldo annuì lentamente. «Sì cara, Simo era savio ancora prima di diventare patriarca.»

«E cosa pensi di lui?» domandò Ginevra.

Il vecchio sembrò pensarci su prima di rispondere, e le parole uscirono con estrema cautela. «È un uomo che non perde tempo. È riuscito a far in modo che Vespasio lo nominasse patriarca in sua vece, quando la sua malattia era cominciata a manifestarsi» rivelò.

Non era difficile spiccare in una cerchia dove gli uomini veniva scelti a secondo del prestigio della casata nobiliare, pensò Ginevra, ma questo non lo disse. Anche lei, che era stata istruita nelle cose basilari, e solo per grazia di suo padre, aveva saputo smascherare uno a uno tutti i savi e le loro proposte, mentre ancora non riusciva a capire l'etica e il comportamento che vigeva nel luogo che sarebbe dovuto essere l'esempio di purezza e moralità per tutte le altri capitali.

«È giovane, per la carica che ricopre, ma certamente adeguato. Non ho mai visto così tante ambizioni in un uomo solo. È già convinto che sarà Alto savio, continua ad amministrare la città a suo piacimento. Non ci metterei la mano sul fuoco però. Niente porterebbe di più ad unire le fazioni parteggianti che sapere che Simo potrebbe essere investito della carica. Farebbero di tutto per impedirlo, e non farebbero male. Non è nuovo il suo odio verso i dragoni, con lui sicuramente sarebbe guerra fino all'indipendenza. È un Aviero, conosci la loro storia?»

Ginevra annuì. Non ricordava proprio i particolari, ma le sembrava che gli Aviero fossero un'antica dinastia aspromontana che aveva visto il suo declino anche grazie ai dragoni.

«Bene cara, sono lieto che le mie lezioni non siano state del tutto dimenticate... » mormorò il vecchio sorridendo. Reggendosi al tavolo cerco di alzarsi lentamente, mentre già ricominciava ad essere scosso dai tremiti.

Ginevra sperò che i servitori accorressero a sorreggerlo prima che l'etichetta la costringesse ad alzarsi per aiutarlo. Le sue preghiere furono esaudite, perché subito dopo accorsero due paggi a sorreggere il loro signore.

Sistemandosi le pieghe del vestito Ginevra si alzò a sua volta, accennando un inchino al savio.

«Sono stata lieta di condividere il cibo con te, savio Arnoldo, e per questo lodo il dio-che-è-tre» lo ringraziò sorridendo.

Il vecchio fece il segno della pace con la mano. «Sia lodato e benedetto, per tutto il male che c'è al mondo. Perché soltanto nel male è bellezza, e senza male non ci accorgeremo del bene... » mormorò il vecchio. « Di niente cara, ricordati più tardi di venire all'ovazione... ora cosa hai intenzione di fare?» domandò.

Ginevra ampliò il sorriso. Quella che Arnoldo voleva far passare per semplice curiosità in una conversazione aveva un accenno di smania.

È troppo vecchio per sperare che il suo corpo non lo tradisca” pensò.

Con fare noncurante scrollò le spalle. «Andrò a pregare per mio zio» rispose, e dopo aver ottenuto la licenza di andarsene dal savio s'inchinò ancora una volta, un' inchino più profondo che celò il suo sorriso sardonico.

 

Passeggiando frettolosamente discese la breve scala che conduceva al cortile, dove era situato un piccolo altare.

Era racchiuso tra tre mura ed un lato della cittadella, e questo gli conferiva un aspetto angusto, rinforzato dai profumi untuosi delle piante che vi crescevano.

Ginevra l'aveva scoperto per caso, abbandonato com'era da tutti, e dopo averlo ritenuto vagamente simile ad un cimitero ed esserne stata inquietata, aveva deciso che era il posto ideale. Quasi del tutto mimetizzate con l'ambiente, c'erano due colonne di marmo bianco dall'aspetto decadente, che fungevano da base per una tavolazza bianca reclinata e coperta d'edera e muschio.

Era un altare degli antichi dei, perciò quando era subentrato il dio-che-è-tre era stato lasciato a se stesso.

Raccogliendosi la gonna, e facendo ben attenzione a non farla sporcare di terra, Ginevra avanzò verso l'altare, inginocchiandosi con le mani congiunte.

Fioravante, Seraveri, Aviero... chi dovrei favorire padre? Che forse il migliore di tutti sia proprio il vecchio Arnoldo, come vuole far sembrare?...Fioravante è una creatura dei Rossi, con lui saremmo sempre soggiogati ai dragoni. Seraveri... non è altro che un candidato specchio. Aviero... nessuno lo vuole come Alto Savio. Lo conoscerò più tardi, nel meriggio”. Mordicchiandosi il labbro guardò il cielo, mentre i raggi del sole bruciavano ardenti la sua pelle. “Vorrei che Oliviero fosse qui, così non ci sarebbe alcuna inutile disputa e potrei trascorrere con mio padre i suoi ultimi giorni...”

Scosse la testa, era stupido continuare a sperare: Oliviero si trovava nel monastero di un isoletta sperduta del fiume Lioleto.

Cosa sarà passato per la mente dell'Alto savio quando ha nominato quello stupido suo protetto?” si chiese Ginevra con rabbia.

Sapeva benissimo perché l'avesse fatto: in quell'abisso di corruttibilità e cupidigia di denaro, sicuramente Oliviero sarebbe stato l'unico in grado di restituire l'austera e pudica severità che quell'ambiente doveva avere.

Dovrei farlo chiamare, temo per la sua incolumità...”. Non nutriva particolare affetto per lui, ma era l'uomo scelto dall'Alto savio, e lei avrebbe fatto di tutto per proteggerlo. Eppure il tempo passava, le condizioni di Vespasio si facevano sempre più critiche, se non fosse riuscita a far arrivare Oliviero a Capo del Sole prima della sua morte avrebbero scelto qualcun altro...

Di scattò si rialzò in piedi. Sì, ormai era questione di tempo, doveva assolutamente vedere l'Alto savio.

 

Più tardi, Ginevra Ansuino si recò all'ovazione per l'anima dell'Alto savio che si teneva nella Piazza del Sole, dentro il tempio del dio-che-è-tre. Ci si recò con le altre dame altolocate, occupando in piedi il fondo del tempio.

Quando l'aveva visto da fuori, con i sui bei gradini di marmo bianco, le colonne con le scanalature,i capitelli con decorazioni floreali, e la trabeazione con tutte le scene de Il poema del Falco scolpite, la sua impressione era stata di abbagliata sorpresa. Lo spazio interno era però ben differente, umido e semi-oscuro, l'unica parvenza di luce proveniva dalle numerose candele accese attorno la statua dei tre volti, in cui proiettavano inquietanti ombre.

Savio Ilio, l'addetto alla messa, cominciò recitando uno dei salmi de Il dio Sole, passando attraverso cantilene più o meno conosciute e finendo con Lamento della morte del volto di dio.

Ginevra ascoltò con impazienza il tutto, arrivando persino a pensare che sarebbe morta volentieri anche lei pur di non dover sottostare a quel supplizio.

Le donne di cui era circondata invece tenevano il capo chino, con aria profondamente assorta, anche se ebbe l'impressione che mentre si tenevano l'una con l'altra la mano si lanciassero messaggi segreti. Quando savio Ilio ebbe finito, lentamente le gente si riversò fuori dal tempio con un grande vociare.

«Cara Ginevra» le disse la moglie del priore sorridendo, una bellezza aspromontana dagli occhi da cerbiatta e i capelli biondi. «Mi chiedevo se avresti voglia di pranzare con noi, parlando del più e del meno.»

Era sempre molto gentile con lei, ed anche se Ginevra non le aveva mai dato importanza, continuava a dimostrarsi tale.

«Ti ringrazio, cara Greta» le rispose con cortesia glaciale, «purtroppo gli impegni non mi permettono di beneficiare della tua ospitalità.»

Detto questo si allontanò andando verso l'uscita, prima che le pettegole potessero chiederle altro. Non avrebbe permesso in alcun modo, a nessuno, di distoglierla dalle sue intenzioni reali.

Savio Arnoldo le aveva affittato una carrozza per tutto il tempo che avrebbe passato a Capo del Sole, ma aveva deciso che camminando si sarebbe schiarita un po' le idee.

Mentre scendeva i gradini del tempio si chiese perché mai Simo avesse manifestato il desiderio d'incontrarla proprio in quel momento. Da quanto diceva Arnoldo, era un uomo convinto del proprio potere e non sentiva il bisogno d'ingraziarsela.

Si affrettò a percorrere il breve tratto di strada che portava al Patriarcato, ricordandosi che non era buona cosa che una donna passeggiasse da sola, ma non aveva saputo resistere: era stanca della compagnia delle donne come lo era della compagnia dei savi.

Il Patriarcato era quasi attiguo al tempio, e non le ci volle molto per arrivare. La sua sontuosa e larga facciata sulla piazza faceva intendere la smisuratezza che si estendeva a formare l'amplesso architettonico: una struttura unica attorno ad un cortile curatissimo che terminava con un ampio giardino. All'ingresso principale il grande cancello sembrava torreggiare su Ginevra, che fu colpita dalla maestosità delle decorazioni.

Cosa avrà fatto questo Simo perché mio padre lo nominasse patriarca?”

Fece un cenno alla guardia che si trovava davanti ai battenti.

«Voglio vedere il patriarca. Digli che è la nipote dell'Alto savio a richiedergli udienza.»

 

Ginevra aveva sempre ritenuto l'etichetta religiosa di Capo del Sole troppo solenne e rigida, preferendo di gran lunga l'etichetta atea che si usava a Sentiero dei Rivi, ma non era preparata ad una simile seccatura quando entrò nel Patriarcato.

C'erano molte stradine secondarie che portavano ai meandri nascosti del palazzo, ma la via da seguire e le istruzioni che gli aveva dato la guardia erano semplici e diritte, e non gli rimase che seguirle. Percorse gli ampi corridoi, salì le ripide gradinate, passò da una sala all'altra; quasi sempre qualche dipendente sospettoso temporeggiava o l'ostacolava, chiedendo chi fosse e chi l'avesse fatta entrare e come era arrivata fin lì. A tutti questi non dovette far altro che ripetere che era la nipote dell'Alto savio e che aveva richiesto udienza al patriarca. Dovette passare per molte stanze e lo dovette dire molte volte prima che la lasciassero finalmente accedere agli alloggi del patriarca. La scortarono per una lunga scala a spirale che saliva per la torre nord-ovest.

Le stanze erano silenziosamente spoglie, nel loro aspetto di austerità severa.

I soffitti alti davano la sensazione di uno spazio immenso, le grandi finestre allungate verso il cielo invadevano di luce la stanza. Dalle pareti di calce si riflettevano sul pavimento gli enormi quadri raffiguranti mappe di continenti lontani: spiccante dentro le cornici d’oro si vedeva Queceta, l’isola delle montagne gemelle attorniata da un mare schiumoso; Narveda con le sua case basse attorno al maestoso Tempio del Mare; e poi La Roica, che sorgeva orgogliosa.

Un uomo sedeva a un massiccio tavolo di legno e scriveva freneticamente su di una pergamena.

Quando fu introdotta al suo cospetto l'uomo posò la penna e i suoi occhi sbiaditi si fissarono su di lei. Ginevra capì che era Simo di Aviero e dopo che le guardie l'ebbero presentata accennò appena un inchino.

Il patriarca si mostrò più espansivo, alzandosi si esibì nel tipico inchino di Capo del Sole, con una grazia simile che si sentì a disagio.

«Ginevra, abbiamo sentito molto parlare di te» le si rivolse in un tono allusivo.

Poi fece un gesto secco con le dita: «Potete andare» disse alla guardie.

Dopo che li ebbero lasciati Ginevra avanzò verso l'uomo. «Simo di Aviero, anche io ho sentito molto parlare di te» replicò. «È un piacere fare la tua conoscenza.»

Non era vero. Quella visita era stata tutt'altro che piacevole, resa ancora più tediosa dal modo in cui era stata condotta nelle sue stanze. Ma nonostante ciò sapeva di doversi mostrare cara e appetibile se voleva che il patriarca esaudisse le sue richieste, anche se la rabbia l'invadeva.

«Mia signora, attendevo impaziente il giorno del nostro incontro. Come sai questi sono tempi turbolenti e la tua presenza e di massima importanza per designare il successore dell'Alto savio» rispose Simo, saltando i convenevoli.

«Sono lieta che almeno tu lo capisca.» Nonostante tutti i propositi, quello fu l'unico commento che lasciò la bocca di Ginevra, glaciale. “Per il resto non sono che circondata da idioti”.

Era facile capire il motivo per cui quell'uomo era talmente in voga: la sua voce suadente e le sue movenze raffinate avrebbero incantato qualunque dama di Capo del Sole. Non era molto bello, ma se messo a confronto con gli altri savi spiccava oltre ogni modo: alto, slanciato, biondo, più simile a un dragone che ad un aspromontano. Anche lui portava la veste sacerdotale dei savi, ma questo non lo rendeva meno gradevole, anzi, gli conferiva un aspetto di ancor più candore.

Però lei non era una dama di Capo del Sole e non si sarebbe lasciata vincere facilmente dai suoi modi.

«E che tu capisca anche che debba assolutamente vedere l'Alto savio, per accertarmi di tutto ciò» insistette con decisione, facendosi più vicina.

Era una mossa azzardata, ma ormai aveva capito che i savi non davano niente per niente: savio Decimo voleva il potere, savio Clemente voleva che la sua famiglia ne uscisse trionfante, savio Ruggero voleva alcuni territori che erano della sua famiglia, savio Arnoldo voleva influenzarla con le sue parole, savio Ilio voleva lei...

Era votato ad un ordine che imponeva la castità ma Ginevra era sicura che non seguisse proprio tutte le regole al dettaglio. Era meno avanti negli anni degli altri savi, e qualunque uomo, prima o dopo, sentiva il bisogno di soddisfare le sue voglie.

Inoltre non le avrebbe fatto ribrezzo come la sola idea di sedurre uno degli altri savi.

Sono stata fortunata, dopo tutto.” Simo non era proprio giovanissimo, qualche ruga aveva cominciato ad increspare la sua bella fronte, però aveva degli occhi chiari, di quella sfumatura slavata che era tipica dei popoli dragoni. “Ho sempre desiderato avere gli occhi chiari” ricordò Ginevra. Sin da bambina aveva sempre desiderato avere gli stessi occhi di suo padre e dei suoi altri fratelli, non neri come senz'altro aveva avuto sua madre.

Simo annuì, dopo un breve silenzio. «Certo, credo che ognuno di noi capisca ciò che deve. Vedremo.» Fu tutto ciò che disse.

«Sì, vedremo» ribatté Ginevra stizzita. Presa dalla smania di soggiogarlo mise la mano sulla scrivania, avvicinandola furtivamente a quella di Simo, e, dopo un attimo di esitazione, toccandola.

Simo continuò a leggere, assorto dalla pergamena, senza dar segno di aver sentito qualcosa.

Com'è possibile? Mi ignora! Che sia per questo vestito grigio, che mi rende così scialba?” si chiese Ginevra.

Irritata strinse ancora di più la mano del savio, decidendo di sedersi sulla scrivania.

«Sii gentile con me, Simo» sussurrò dolcemente accavallando le gambe. «Mio p... zio giace in agonia in un letto. Non rappresento alcun pericolo come tutti voi savi credete. Io non posso prendere alcuna decisione in merito alle sue questioni; anche se sono la parente di un dio questo non fa dea me. Voglio soltanto dirgli addio... sii gentile con me» ripeté, portandosi la sua mano in mezzo alle gambe. Poi sorrise maliziosa, vedendo che Simo aveva alzato il capo dalle carte e il suo sguardo si era accesso.

Sorridendo mestamente il patriarca allontanò la mano disinvolto, guardandola con apprensione. «Non è mia intenzione offenderti, mia signora, ma non ti ho offerto nulla» le disse mentre incideva una rapida firma su di un foglio. Picchiettò con le dita sul tavolo. «Ashiya, mia cara, porta un cesto d'uva alla mia ospite.»

Per Ginevra quello fu come uno schiaffo ricevuto in pieno volto.

Una porta secondaria si aprì, e una donna dalla pelle scura comparve nella stanza.

Rapida si raddrizzò, e scese dal tavolo, tesa come una fune, chiedendosi se quella donna avesse udito ogni cosa.

Era bella, aveva due occhi da gatta dorati . Portava una veste simile alla sua camicia di notte, di flanella, che lasciava intravedere le sue forme sinuose.

La sua bellezza era così esotica, i suoi occhi trasudavano una forza magnetica e pericolosa che per un momento si sentì mancare le parole.

«Sì, gradirei» sussurrò con voce strozzata.

La donna sorrise, un bagliore bianco e fulmineo, e accennando ad un inchino uscì ad eseguire l'ordine.

Ginevra si spiegazzò di nuovo le gonne, cercando di vincere l'imbarazzo che stava per disegnarsi sulle sue gote.

Era stata stupida, non sarebbe mai dovuta venire a chiedere aiuto a quell'uomo.

Simo non avrebbe fatto nulla per la causa di Oliviero. Anzi, era probabile che anche lui facesse parte di un complotto per spodestare la volontà dell'Alto savio, e che peccasse di una ambizione avida come diceva savio Arnoldo, e che volesse diventare Alto savio egli stesso.

Piuttosto cedo la corona a Fioravante!” promise a se stessa.

Quando la donna tornò, la stanza era ancora chiusa in un opprimente silenzio.

Ashiya la sorpassò emanando un intenso profumo di chiodi di garofano, e posò sulla scrivania un cesto con piccoli groppi d'uva verde, imperlati di gocce d'acqua.

«Sevyr, eccoti l'uva che volevi» le disse la donna, accennando appena un sorriso.

Ma chi diamine è questa puttana?” si chiese Ginevra, leggermente invidiosa. Che fosse l'amante, la serva, la concubina di Simo?

Ebbe il buon senso di stare zitta, anche se il modo in cui la pelle nera le si era rivolta era appena al di sotto dell'insolenza.

Distogliendo gli occhi dai suoi scritti per sorridere a Ashiya, Simo prese un chicco d'uva, studiando le rotondità prima di portarselo alla bocca.

«È dolcissima, Ginevra.» Leccandosi le dita Simo prese un altro chicco. «Assaggiala, non c'è niente di più dolce. A parte forse le fragole aspromontane...» All'ultima considerazione la sua voce assumesse una cadenza triste.

Ginevra prese un grappolo d'uva, sollecitata, incominciando a mangiarne qualche chicco.

Era dolcissima, ma c'erano decisamente molti altri frutti più dolci, oltre che le fragole aspromontane.

Sarebbe rimasta lì solo il tempo necessario per non perdere la faccia: avrebbe mangiato l'uva, ringraziato il savio e poi sarebbe andata via.

Avrebbe sistemato la questione con Fioravante e sarebbe andata via.

Via da Capo del Sole e da tutte le sue burocrazie e intrighi e modi di fare che le davano sui nervi.

«C'è in te qualcosa di Vespasio.» Simo lo dichiarò solennemente, come se stesse lanciando un anatema o consacrando un animale in una cerimonia, fissandola. «Si dice che l'unico peccato da soddisfare che rimane a un sacerdote sia quello della gola: il piacere che traeva Vespasio nell'assaggiare nuove pietanze era oltremodo vicino al divino. L'Alto savio era sempre alla ricerca di nuovi gusti, sopratutto se questi erano dolci. Gli ricordavano il paese dal quale proveniva...»

«Sentiero dei Rivi» l'interruppe Ginevra sprezzante, riposando l'uva rimanente nel cesto.

Nella sua mente prese spazio l'intuizione che quell'uomo si facesse beffe di lei, rivolgendole parole cariche di sottaciuta ironia, e questo non riusciva a sopportarlo. Doveva andarsene subito, prima che rischiasse di strangolarlo. «E ti sarei grata se d'ora in poi evitassi di parlare al passato, perché l'Alto savio ancora non è morto, e non morirà prima che io lo veda e che sia messo in chiaro che l'unico suo successore sarà savio Oliviero.»

Stava per chiedergli la licenza di andare, come imponeva l'etichetta, ma il savio ebbe ancora da ridire.

«Sei scortese a dire ciò» la rimproverò, ma a Ginevra sembrò che la stesse prendendo in giro.

Il sorriso strafottente di Ashiya, lì accanto, confermava in qualche modo i suoi sospetti. «Non sei forse stata la prima a dire che dobbiamo essere gentili?» domandò.

«Sì, gli uni con gli altri» sottolineò lei, stringendo a pugno la stoffa della gonna.

Sospirando Simo si alzò, facendo un cenno alla donna scura di andare, non prima di averle consegnato le scartoffie in cui era impegnato.

«Infatti,» si lasciò scappare Ginevra osservando Ashiya allontanarsi con un vistoso ondeggiare di fianchi, « sono stata educata ad uccidere soltanto con la gentilezza.»

L'uomo alzò le sopracciglia. «Una dote curiosa» commentò. «Purtroppo non sono noto per essere gentile, ma conosco il valore della cortesia con chi lo è con me. Mi fai un grande torto se credi che io voglia spodestare la volontà di Vespasio: è il mio benefattore e il mio padre.»

Ginevra affilò gli occhi. “Vespasio è mio padre, ma nonostante ciò non mi permettete di vederlo.”

Da quanto le aveva riferito Arnoldo, Simo aveva ricevuto il Patriarcato poco tempo dopo che la malattia dell'Alto savio aveva cominciato a manifestarsi, inoltre volgeva la maggior parte delle funzioni pubbliche dell'Alto savio da quando questo era costretto a letto.

Possibile che suo padre avesse cambiato idea sul suo protetto Oliviero, e avesse deciso di nominare Simo? Non lo vedeva da tanto Oliviero, dopotutto. Nessuno lo vedeva ormai da anni, rinchiuso com'era nel stramaledetto monastero che ospitava i totem degli antichi spiriti.

Eppure quella per Simo era una scelta avventata. Tutti quegli anni di diplomazia, la guerra volgeva quasi al termine, erano sacrifici a cui l'Alto savio aveva sottoposto Capo del Sole e Aspramontagna per instaurare La Pace con re Vezio. Che volesse buttare tutto via favorendo un uomo che odiava i dragoni?

«Io vedrò mio padre prima che muoia, di questo potete esserne certi» dichiarò decisa, dando voce ai suoi pensieri. “C'è Ilio, ancora Ilio... posso sperare di convincere lui...”

Con un cenno girò le spalle a Simo, incamminandosi verso la porta. Stava solo perdendo tempo.

«No, non lo vedrai» rapido come una freccia Simo interloquì di nuovo. «Non come vuoi tu.»

Oltre che a farsi beffe di lei, quell'uomo forse traeva piacere a farle perdere le staffe.

Tuttavia, la buona educazione che aveva ricevuto, le impedì di giungere alla porta come se non avesse udito nulla. Non avrebbe lasciato che fosse lui ad avere l'ultima parola.

Per il dio-che-è-tre! Ogni momento che passo a battibeccare con questo uomo è un momento che potrei adoperare per la causa di mio padre!” si rese conto.

«Prego?» domandò voltandosi, sperando di essersi espressa il più gentilmente possibile.

Lei era la figlia dell'Alto savio, era una donna bella e fiera, indipendente, intelligente. Ma quell'uomo fin da quando era entrata nella sua dimora non dimostrava nessun ossequio nei suoi confronti, e non la temeva come la temeva gli altri, e non cercava il suo favore.

«Ritengo che tu, savio Simo, mi debba delle scuse. Non osare. So da me stessa qual è il mio dovere» lo avvisò cortesemente.

«Non osare? Il dio mi vincola a dire la verità. O a dire bugie con parole vere.» Simo aveva dipinto sul volto un'espressione d'innocente confusione. «Ho detto tutto ciò che è vero, ed è male. Ma, come dice Lenido: Ed il male è bene, perché senza bene non ci sarebbe male» recitò.

Ginevra non era in vena di sentirsi berciare alcun insegnamento dei canoni e nessuna predica, tra l'altro da un uomo che avrebbe dovuto disprezzare il pensiero dragone, perciò rimase in silenzio.

«Eppure avrei dovuto sapere che non tutte le donne sanno giocare» dichiarò sospirando. «Il savio potrebbe morire questa sera, oppure domani, o anche dopodomani, o anche tra un mese. Ma tu non lo vedrai. Non nel modo in cui vuoi. Vespasio mi ha detto che saresti venuta, lui sapeva, e mi ha anche detto che non ti avrebbero permesso di vederlo.»

«Ma davvero?» Ginevra affilò gli occhi.

«Davvero. Gli avvoltoi non permettono mai che qualcun altro si avvicini alla loro preda» replicò Simo. «Ma nelle tenebre tutto sfugge come un'ombra: un topo di campagna può apparire simile ad un avvoltoio. Puoi dileguarti Ginevra.» L'uomo le fece un cenno verso la porta.

Ginevra non se lo fece ripetere due volte. Aveva addirittura mantenuto la calma quando l'aveva paragonata ad un topo di campagna, anche se non le sarebbe dispiaciuto schiaffeggiarlo di nuovo. Accennando un inchino con il capo si diresse verso la porta.

«Ma se senti il desiderio di diventare un avvoltoio» aggiunse Simo frettolosamente, quasi a rincorrerla con le parole,« rimani. Ti porterò io dall'Alto savio, ma lo vedrai a modo mio, e all'ora che riterrò giusta.»

Lei si bloccò, vinta da un sentimento di trionfo e rabbia e incertezza.

Quanto è complicato il gergo di questa città! Perché non l'hai detto subito? E adesso cosa vuoi in cambio, eh Simo?”

Non lasciando che questi pensieri ombrassero il suo viso si voltò a guardare il savio, provocando il turbinio della sua gonna.

A testa alta, riservò un mezzo ghigno al patriarca.

«Ma lo vedrò». Per il momento non le importava nient'altro.

«Lo vedrò.»

***

Ginevra si ritrovò costretta ad accettare la mano protesa che le era stata offerta.

La scala che conduceva alla torre della cittadella in cui risiedeva l'Alto savio era ripida e leggermente inclinata: una scalinata che sembrava infinita ed estremamente pericolosa se percorsa di notte.

«Sevyr» sussurrò la tyaisiana con tono canzonatorio. Ashiya. La Gatta.

Non riusciva ancora a credere che tutta la città fosse a conoscenza della concubina di savio Simo, e che le avessero addirittura affibbiato un soprannome. Né che Simo non si preoccupasse di mantenere segreta l'identità della sua amata, ma che si facesse vedere in sua compagnia molto spesso e senza freni inibitori.

A Sentiero dei Rivi li avremmo chiamati spergiuri quelli come lui. Lo avrebbero sicuramente condotto al rogo al tempo dell'Alto savio Guglielmo” si disse Ginevra con disappunto. Il fatto che la questione fosse di dominio pubblico e nessuno dicesse niente l'infastidiva.

Aveva lasciato il Patriarcato credendo di essere a conoscenza di un segreto del patriarca, ma appena due giorni dopo si era dovuta ricredere.

Seguendo il consiglio di Simo era stata buona, aspettando che fosse lui a chiamarla, e quindi per combattere la noia aveva deciso di partecipare a uno dei salotti delle dame della città alta.

Era intenta a rimirare allo specchio un'elaborata acconciatura che le aveva fatto madonna Carlotta quando aveva sentito la moglie del Tesoriere parlare di Simo e di Ashiya sottovoce.

Dopo aver ascoltato tutti i pettegolezzi che si raccontavano su di loro aveva chiesto aggrottata:

«E nessuno dice niente? Voglio dire, i savi non possono avere alcun tipo di rapporto terreno, ma addirittura un savio che fa tutto ciò alla luce del sole...»

La donna, un'arcigna quarantenne imbellettata di trucco, le aveva lanciato un'occhiata supponente. «Perché no? Alla luce del sole quella è la sua sguattera, e guai chi dice il contrario.»

Per un momento aveva covato un odio profondo per quella donna.

Perché no?” ripensò mentre saliva i gradini, supportata dalla mano di Ashiya. “L'Alto savio ha molti figli, eppure alla luce del sole sono suoi nipoti”. Aveva letto, attraverso le sue parole, ciò a cui quella donna alludeva veramente. Eppure suo padre non si era mai mostrata così affettuosa con lei in presenza di altri, e da quanto sapeva non aveva mai condotto in gioventù sua madre a Capo del Sole per farla ammirare, vociferare, o farle visitare la più bella capitale dell'omonimo regno.

D'impulso, sentì il desiderio di spingere indietro la donna tyais per farla rotolare fino la fine della scalinata. Ma non poteva, se voleva arrivare a suo padre.

Otto giorno. Otto giorni c'erano voluti prima che Simo si decidesse a darle qualche segno.

Ginevra aveva cominciato persino a credere che non sarebbe alla fine accaduto niente.

Quella notte, prima che Ashiya venisse a chiamarla nella sua stanza, si era trangugiata quasi un'otre di vino matronese, ascoltando un affascinante cantastorie intonare Raggiungere la divinità, una delle sue ballate epiche preferite. Adesso era un po' stordita e senza l'aiuto della Gatta sicuramente sarebbe stata lei a fare un volo dalle scale.

Le riusciva facile capire perché quella fosse l'unica via sicura di notte: nessuno si sarebbe mai sognato di arrancare per una scalinata così pericolosa e scostante.

La strada più breve per raggiungere la torre principale della cittadella passava per il cortile d'onore, ma era troppo visibile. Ginevra Ansuino salì gli ultimi gradini sforzandosi di non vomitare.

 

Vespasio Ansuino, l'Alto Sacerdote, giaceva morente nel suo solarium, che aveva la vista più vasta di tutta la città sottostante.

Quando entrarono la stanza era immersa nell'oscurità.

Visibile solo per la flebile luce della luna, il volto di Vespasio appariva rilassato nel sonno.

Ginevra ne rimase impressionata. Come le aveva detto Simo, Vespasio era stata un uomo in carne e sempre alla ricerca di nuovi sapori, eppure la malattia l'aveva consumato, rendendolo scarno.

Avrebbe voluto correre da lui e abbracciarlo, ma c'era Ashiya con lei, e avanti, riusciva ad intravedere la sagoma di Simo.

Era seduto, con indosso la veste sacerdotale che nell'oscurità riluceva dei suoi filamenti d'oro.

Ginevra avanzò verso la figura. «Simo» lo apostrofò, chinando il capo. «Dunque dicevi il vero.»

Mi domando perché a quest'uomo risulti tutto così facile. Oppure è troppo facile che solo lui riesce ad osare?”

Era un dilemma. Fino a quando non l'aveva condotta fino a lì, non avrebbe mai detto che sarebbe stato così facile far visita a suo padre. Non le era nemmeno venuto in mente d'inoltrarsi di notte nelle stanze dell'Alto savio, aveva il timore costante che l'avrebbero scoperta. Forse, soltanto perché era con il permesso di Simo la missione non era fallita.

«Ma come? Non ti avevo già detto: il dio mi vincola a dire la verità. O a dire bugie soltanto con le parole vere.» Anche quella notte, a distanza di otto giorni, le pareva che il suo tono grondasse di sarcasmo.

Ginevra si sforzò di non prendersela. In fondo, l'aveva portata dove voleva.

«Ti ringrazio, savio Simo» disse seriamente. «Ti ringrazio. Cosa...?» lasciò cadere la frase sul vago. “È impossibile che quest'uomo faccia questo per niente.”

La risata di Simo proruppe nella notte. «Niente» disse prendendole le mani nella sue. «Niente. Non c'è niente per cui non possa provvedere da me stesso. Vespasio è come un padre per me.»

Ginevra svincolò le mani dalla sua stretta. “Non può essere vero! Vuole qualcosa...”

Sorridendogli apertamente per la prima volta, si apprestò a chiedergli ciò che più le premeva. «Come sta? Non me l'hanno mai detto chiaramente...»

«Adesso bene. Ho detto a savio Gilio di fargli bere una tisana dei sogni, adesso e quieto. Ormai il tempo che passa sognando è di più di quello che passa con noi... comincio a credere che preferisca il mondo dei sogni al nostro... Ripete una parola, dice Gilio, sempre: Liviana.»

Ginevra annuì. Liviana. Quindi non era a sua madre che andava a far visita nel sogno.

Per un momento, per un solo momento aveva sperato che fosse così.

«Gli è sempre mancato qualcosa che non aveva» mormorò meditabonda.

«A tutti noi manca qualcosa che non abbiamo» obbiettò Simo, ragionevolmente. Poi la superò, avanzando verso Ashiya. «Mia cara...» lo sentì sussurrare.

Ginevra si fece forza. Con la mano andò a cercare quella pallida e scarna del padre, e la strinse.

Quanto ho aspettato questo momento. Tanto che ho quasi paura” ammise Ginevra a se stessa.

Poi scosse la testa. “No, non devo avere paura.”

Delicatamente, baciò la mano del vecchio e recitò un salmo: «Io, nel vedere quest'uomo che muore, Dio, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, padre, ho imparato l'amore.»

Il respiro di Vespasio era una rantolo sibilante, ma udite quelle parole il vecchio si scosse un poco.

«Giulietta... Giulietta sei tu» con la voce impastata l'Alto savio la cercò nella notte. «Giulietta...» si agitò il vecchio.

Ginevra gli pose una mano sul volto, per cercare di calmarlo. Era bagnato di lacrime.

Povero vecchio, e solo l'ombra dell'uomo che era...”

«Simo,» con voce tremula Ginevra ridestò la sua attenzione. «Simo, vieni. Un savio deve essere presente quando mio padre dirà chi è il suo protetto.»

Un attimo dopo aver pronunciato quelle parole, avrebbe voluto mordersi la lingua. “Padre, padre ho detto.”

Ma né Simo, né Ashiya la Gatta sembrarono farci caso, e si avvicinarono.

«Ginevra sei tu... Ginevra, e Alberto? Lui, è venuto? E Giacomo?» ricominciò a dire il vecchio.

«No, nessuno di loro è venuto.» “Giacomo pensa che tu gli abbia già dato tutto quello che potevi dargli, Alberto... è morto Alberto? Non ti ricordi nemmeno questo? Non ricordo nemmeno io. Forse una febbre invernale se lo portò via. I tuoi figli si sono dispersi come il vento... E lui che vedi quando sogni?”

«Liviana... Liviana! Lei? Tito? Leopoldo?» domandò inquieto l'Alto savio, cercando di alzarsi.

«Zio, zio...» premendo con forza il viso nelle sue mani, Ginevra lo costrinse a calmarsi e a rimanere sdraiato. Con decisione gli asciugò le lacrime. «Ora ascoltami!» ordinò. «Chi è il tuo protetto?» domandò duramente, scandendo bene le parole.

Alla luce della luna gli occhi chiari di Vespasio apparivano gli occhi di un cieco. «Simo...».

Udite le parole, per un momento, Ginevra si sentì il cuore in gola. Scattò con la testa verso Simo, alle sue spalle, che sorrideva pacato. Un'onda di disprezzo verso l'uomo la sommerse di nuovo, prima di dileguarsi in fretta. Non poteva permettersi di odiarlo.

Cosa diavolo gli ha fatto questo... Aviero? Gli ha strappato il ricordo forse?” si chiese, lanciando un'occhiata guardinga alla Gatta, che quasi non si distingueva dall'oscurità. Era risaputo che era una arte della Terra delle Sabbie quella di strappare il ricordo.

«...Ci sei anche tu?» il vecchio alla fine riuscì a formulare la domanda.

Il patriarca si fece avanti, chinandosi anch'esso a baciare la mano del vecchio. «Padre, sono venuto a portarti in visita tua nipote, Ginevra. Padre, è Oliviero il tuo successore vero?» gli domandò accarezzandogli gentilmente la fronte.

Il vecchio mosse la bocca senza emettere alcun suono, e con la mano fece segno a Ginevra di avvicinarsi.

Lei si chinò, l'orecchio vicino alle labbra dell'Alto savio.

La pelle di suo padre emanava il fetido puzzo della morte, tanto che fu quasi tentata di non toccarlo, ma poi, l'affetto che aveva provato per l'uomo che era stato, vinse ogni remora.

Gli baciò ambedue le guance, asciugando pazientemente le lacrime che aveva ripreso a solcargli il viso. «Dimmi padre» sussurrò, con obbedienza. Era la prima volta che si mostrava così diligente di fronte a lui.

Vespasio fece qualche suono umidiccio con le labbra, prima di accostarle al suo orecchio.

«Oliviero» disse con voce improvvisamente nitida, ma talmente bassa che fece fatica a comprendere. «Ciò che devi fare fallo da te, fallo bene figlia. Non fidarti di nessuno... Ho peccato, ho peccato... Ma l'invidia adesso mi logora più del male che sento dentro, figlia, ti invidio la vita...» bofonchiò parole con significati disconnessi. Poi, la sua voce ebbe un attimo di esitazione. A voce più alta, udibile anche agli altri presenti dichiarò: «Ginevra Ansuino, figlia del mio diletto fratello, a te lascio Comodda e i suoi feudi e un reddito annuale di quindicimila ifidie... per l'affetto che nutrivo per Giulietta, tua madre.»

Perchè mai in ifidie? Quelle sono le monete dragoni!” si chiese Ginevra, non capendo. “Cosa vuol dire? Devo sostenere La Pace dei dragoni... è questo che intende? Sì, senz'altro. Altrimenti qui a Capo del Sole quelle monete non avrebbero alcun valore... Vuole che porti avanti l'alleanza con Re Vezio... eppure perché ha nominato Oliviero suo protetto e ha fatto di Simo il patriarca? Nessuno dei due ama i dragoni! Padre, io non capisco, non continuo a capire il contorto linguaggio di Capo del Sole...”

Ginevra si rialzò, dolente. Era troppo stanca e brilla per pensare lucidamente.

Si rivolse a Simo, che era stato in silenzio per tutto il tempo. «Lasciamolo riposare» decise.

L'uomo annuì. Ginevra si guardò intorno per cercare Ashiya, ma non le parve di vederla da nessuna parte. Che si fosse dileguata?

Vorrei poterlo chiamare padre... questa d'altronde è l'ultima volta che potrò chiamarlo” pensò tristemente, osservando il volto dell'uomo che era stato l'Alto savio.

«Zio» disse invece. « Benedicimi, zio.»

Silenzio. Le sue parole si persero nel silenzio, e un attimo dopo il savio aveva ripreso a dormire.

Ginevra non poteva sopportare oltre.

«Savio Simo, ti ringrazio» disse. Poi sentendo la sua voce poco ferma tacque, per riprendere fiato. «Oliviero è colui designato come prossimo Alto savio» lo informò, cercando d'intravedere ogni reazione che l'uomo avrebbe potuto avere.

La notizia non sembrò destabilizzarlo in alcun modo però.

Sorrise, guardandola con gli occhi leggermente socchiusi. I suoi occhi da dragone.

«Lo immaginavo. Ma la dote che ti ha lasciato mi ha sorpreso. È una dote da re. Potresti sposarti con un signore di campagna oppure, quando ne avrei, pagare l'apprendistato di tuo figlio a qualche corporazione» fu il commento Simo. «Vuoi spedire un falco messaggero al monastero di Oliviero questa stessa notte, Ginevra?» le domandò poi, premurosamente.

Perché d'un tratto è così gentile e servile? Che sia dispiaciuto per me? L'ultima cosa che mi manca da sopportare, a quest'uomo, è la sua compassione!”

Con rabbia represse le lacrime che minacciavano di salire.

Non doveva: i bambini e i vecchi come suo padre, che si svegliavano la notte con gli occhi acquosi e non capivano niente, potevano permettersi di farlo. Ma lei no. Non stava male e capiva ancora molte cose. Avrebbe dovuto lottare finchè la volontà di suo padre non sarebbe stata rispettata.

Si ricordò, d'un tratto, il consiglio che Vespasio le aveva dato prima, quando soltanto lei poteva udirlo. Non fidarti di nessuno, aveva detto.

Perfino di Simo, che l'aveva condotta fino lì, avrebbe dovuto dubitare.

Stancamente annuì, certa che alcuni lavori era meglio farli di prima persona.

Voleva andare a dormire, in realtà, ma non poteva.

Era talmente stremata che non si ricordò nemmeno di accennare a Simo che fine avesse fatto la sua Gatta. Mentre si lasciavano alle spalle la stanza del savio morente, e scendevano lentamente i gradini della scalinata, pensava, sperava, pregava.

Io, nel vedere quest'uomo che muore, Dio, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, padre, ho imparato l'amore...

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1° posto:Visita al padre
Lessico: 9/10
Se ci sono errori, non ne ho trovati. Unica cosa per cui ho deciso di togliere un punto, è una scelta opinabile quella di usare per dialoghi e pensiero simboli che possono essere confusi.
Stile: 9/10
Mi piace davvero molto lo stile. Descrizioni semplici ma efficaci, buone atmosfere, assenza di periodi particolarmente lunghi. Inoltre, riesce perfettamente a creare l’atmosfera adatta alla storia. Rende perfettamente l’impressione di assistere a una scena del basso medioevo/rinascimento. Anche l’uso dei termini e del corsivo è reso alla perfezione.
Originalità: 15/16
Essere originali non significa affatto creare qualcosa di totalmente nuovo, ma saper sfruttare anche gli elementi presenti e riutilizzarli in una maniera personale. Ed è esattamente quello che accade con questa storia. Con una fonte di ispirazione che suppongo essere stata lo stato pontificio e le guerre itestine all’Italia, questa storia riesce a sviluppare un’ambientazione credibile, coerente e solida senza vergogna di mostrare i propri spunti. Dirò che, eccezion fatta per la canzone di De André (non so niente di musica, perdonatemi) le note finali risultavano non necessarie.
Trama: 13/16
Non si capisce perché le cose accadono, alla fine. Ma questo non perché scritta male, ma perché è generalmente lo scopo della politica (in storie di questo genere, intendo). I personaggi agiscono, si capisce perché agiscono, e per alcuni si capisce cosa vogliono. Ma se il primo colloquio è abbastanza palese come intenti (e non che voglia essere altrimenti), da quando entra in scena Simo la cosa si fa più complicata. L’idea è che giochi, e l’80% delle mosse serve a coprire lo scopo del restante 20%. Il finale è eufemisticamente aperto, e non capisco se sia per usarla come base o se sia lo scopo della storia. In fin dei conti, non importa.
Caratterizzazione: 5/6
Dici poco su alcuni e molto su altri, ma questo solo in proporzione al loro ruolo nella storia. Di ogni personaggio sappiamo quello che serve perché abbia una sua particolare personalità. Non tutti personaggi unici e complessi, certo, ma tutti individui. E, per inclinazione personale, ho personalmente amato il personaggio di Simo. Anche il non saper niente di Ashiya è funzionale a incrementale l’aura di mistero sulle motivazioni dell’azione.
Gradimento personale: 5/6
Che posso dire? Ben scritta, ben strutturata, ben sviluppata. Semplicemente, prediligo mondi di più esplicito stampo fantasy.
Totale: 5,62
  
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