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Autore: millyray    11/11/2012    1 recensioni
Kelly, insieme al figlio diciassettenne Tyler, decide di trasferirsi a Miami, lasciandosi alle spalle la loro vecchia casa nell'Indiana, tutto ciò che avevano costruito e, soprattutto, le loro vecchie vite.
Hanno bisogno di ricominciare da capo, da un nuovo punto di partenza dopo che le loro vite si sono improvvisamente incrinate, specialmente quella di Tyler a cui la vita ha deciso di togliere molte cose e che, per questo, non riesce più a trovare un motivo per sorridere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO SETTE

Blake si buttò di peso sul divano accanto alla sorella e sbuffò di noia. Osservò che cosa stavano facendo alla tv e inorridì non appena si accorse che era uno dei film di High School Musical.
Sua sorella si era vista quei film almeno un centinaio di volte e ancora non si era stufata di guardarli. Non capiva come facesse, era una cazzata tremenda, i personaggi non facevano altro che cantare, ballare e pensare ai vestiti e alla moda. Oltretutto, un film pieno di cliché.

“Come fai a guardarti sempre questo stupido film?” le chiese, osservando come Troy Bolton stava giocando a golf nel campo del padre della bionda Sharpay.

“Non è un film stupido!” rispose lei indispettita, senza togliere gli occhi dallo schermo.

“Se lo dici tu”.

Il ragazzo avrebbe tanto voluto cambiare canale, ma se si azzardava a farlo la sorella si sarebbe incazzata di brutto e l’avrebbe pure picchiato. In realtà non aveva niente da guardare alla tv, anzi, non aveva proprio niente da fare, ma piuttosto che guardarsi High School Musical preferiva andare già a dormire.

“Blake! Susy!” si sentirono chiamare dalla voce della madre. “E’ pronta la cena”.

Il rossino si alzò subito senza farselo ripetere due volte e si diresse in cucina, mentre la ragazzina stoppò il registratore e lo seguì un po’ pigramente.

Quando si sedettero, la madre li servì e tutta la famiglia cominciò a mangiare e a parlare, come facevano sempre durante la cena. Il padre si dilungò in discorsi di quello che gli succedeva a lavoro, mentre la dodicenne Susy raccontava di quello che avevano fatto lei e la sua amica Sharon. La madre, invece, stava ad ascoltarli anche piuttosto interessata.
L’unico che non sembrava minimamente interessato e che non disse neanche una parola fu Blake. Continuava a mangiare quello che aveva nel piatto quasi controvoglia, senza neanche accorgersene, gli occhi fissi in un punto impreciso della tavola e la mente persa in chissà quali pensieri.

“Che cos’hai, Blake?” gli chiese il padre in tono gentile, notando che era piuttosto pensieroso. “Mi sembri un po’ sulle nuvole”.

Il figlio sollevò lo sguardo a guardarlo, ma non fece in tempo a rispondere che la sorella intervenne.

“E’ innamorato”. Cantilenò.

“Stai zitta, tu!” la sgridò, allora, il fratello, girandosi per lanciarle un’occhiata minacciosa.

La ragazzina, però, per tuta risposta, scoppiò a ridere rischiando di rovesciarsi il succo addosso e, in quel momento, anche la madre spostò gli occhi sul figlio interessata.

“Davvero, tesoro?” gli chiese.

“E anche se fosse?” fece Blake, abbassando lo sguardo nel piatto, imbarazzato. Era un pessimo bugiardo, se provava a mentire sua madre se ne sarebbe sicuramente accorta e poi, in genere, non c’erano molte cose che le nascondeva.
I suoi genitori sapevano quasi tutto di lui, persino che era gay e non si erano fatti molti problemi su questo. All’inizio erano rimasti un po’ scioccati, certo, ma gli volevano bene lo stesso. A loro bastava che fosse felice.

“E dimmi, chi è?” domandò ancora la donna che amava molto i pettegolezzi. “E’ figo?”

“Be’, abbastanza”. Si decise a parlare finalmente il figlio. “Si chiama Tyler, abita nella Sleepy Avenue…”.

“Ah, forse ho capito chi è”. lo interruppe il padre, servendosi altri spaghetti al pomodoro. “Si tratta mica di Tyler Bennet, quello che si è trasferito insieme alla madre nella casa della vecchia Signora Pegg?”

“Sì, proprio lui”.

“Ah. Ma quel ragazzo non è mica… cieco?”

“Sì, lo è”.

“Davvero?!” esclamò la madre sorpresa.

“Ma tu come fai a sapere chi è, papà?”

“Me ne ha parlato il signor Tanen, sono stati a pranzo da loro. Effettivamente mi ha anche detto che sua figlia Emily non ha fatto altro che ripetere quanto fosse attraente”.

Il ragazzo scrollò le spalle. Il padre di Emily lavorava  con il suo e andavano anche parecchio d’accordo, perciò era normale che si raccontassero alcune cose l’un l’altro.

“Mi ha anche detto che ha saputo che il padre di Tyler è morto in un incidente”. Aggiunse l’uomo.

Questa volta fu il turno di Blake di sgranare gli occhi per la sorpresa. “Davvero?!”

“Non lo sapevi?”

Il ragazzo negò col capo. No, non ne aveva idea. Effettivamente, aveva conosciuto solo sua madre, un presunto padre non l’aveva mai visto e il ragazzo non gliene aveva mai parlato. Ma non si era di sicuro immaginato che potesse essere morto.
Poi rimase un attimo a pensare e provò a fare due più due. Il padre di Tyler era morto in un incidente, poteva essere stato un incidente d’auto, il ragazzo, inoltre, alla festa aveva detto che in auto si potevano fare degli incidenti e che si poteva morire e poi aveva fatto un allusione che lui aveva perso la vista proprio in un incidente…
Non poteva essere che…

“Ma dimmi qualcosa di più di questo Tyler”. Insistè allora la madre, distraendolo dai suoi pensieri.

“E che cosa vuoi sapere?”

“Be’, che rapporto avete, ad esempio. Siete amici?”

“Sì, credo di sì”.

“Ma anche lui è gay?”

“Non lo so, non credo”.

“E lo sa che tu lo sei?”

“No, non gliel’ho detto”.

“Dovresti dirglielo”.

Il ragazzo annuì debolmente. Non aveva molti problemi a dire di essere gay, né a negarlo se glielo chiedevano, però non gli era mai capitato di doverlo proprio specificare. Di solito la gente lo capiva o almeno lo sospettava quando lo vedeva.
Quando lo vedeva, appunto, ma Tyler non lo poteva vedere.

Quando la cena fu terminata e anche l’interrogatorio da parte della madre, Blake si alzò dalla sedia e andò in camera sua, buttandosi di schiena sul letto.
Rimase un attimo ad ammirare il soffitto e a pensare ancora a Tyler e a come poteva dirgli che era gay, soprattutto a come avrebbe reagito a quella notizia.

Improvvisamente, sentì il cellulare vibrare e trovò due messaggi, uno di Lucy e l’altro di Ken.

Lucy: ehi, grazie ancora per il regalo, mi è piaciuto molto. Tu sì che hai gusto, sei il mio amico gay preferito xD. Ci vediamo presto, vienimi a trovare quando vuoi.
P.S. Tyler è proprio figo, adesso capisco perché ti sei innamorato di lui.

Ken: alla festa di Lu ci siamo divertiti, vero? E tutto per merito delle canne. Domani ci vediamo? Spero di sì. E magari porta anche Tyler, me lo scoperei volentieri. Cerca di scoprire se anche lui è gay.

Blake sorrise tra sé e sé. Lucy e Ken erano degli amici fantastici, non sapeva che avrebbe fatto senza di loro.
Ma decise di rispondere più tardi ai messaggi, in quel momento si sentiva abbastanza stanco e non aveva voglia di far niente, nemmeno di muovere un muscolo.

***

La madre di Tyler continuava a correre in giro per la casa, ogni volta dimenticandosi qualcosa. Riporre il portafoglio in borsa, indossare la maglietta, mettere il profumo...

Era il suo primo giorno di lavoro come segretaria nel museo d’arte dove lavorava anche la sorella ed era piuttosto agitata.
Chiedeva al figlio se magari aveva messo troppo profumo, se indossava una maglietta troppo scollata, dimenticandosi pure che lui non la vedeva, e il figlio le rispondeva con un sei perfetta, mamma come un disco rotto, tenendo gli occhi fissi alla tv sul quale stava guardando, o meglio, ascoltando un programma di cucina su Real Time.

“Più tardi arriverà la zia Mandy, così non starai tutto il tempo da solo, ok?”

“Ok”.

“Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Basta che schiacci in basso del tasto grande del telefono, va bene?”

“Va bene”.

Kelly sistemò un’ultima volta la borsa e indossò la giacca.

“Sei sicuro che ce la farai a stare da solo?”

“Sì, mamma, non ti preoccupare. Non è la prima volta”. Le rispose Tyler, leggermente frustrato.

“Ok, ti voglio bene”. gli sussurrò, dandogli un bacio sulla guancia.

“Anche io, mamma”.

La donna uscì velocemente e il ragazzo rimase finalmente solo, nel silenzio che circondava la casa.
Appoggiò la testa allo schienale del divano e chiuse gli occhi, concentrandosi per ascoltare il programma che stavano trasmettendo in Tv, ma improvvisamente, una certa fiacchezza lo colse e sentì di star cominciando pian piano ad entrare nel mondo dei sogni.

Quando le braccia di Morfeo stavano per coglierlo, il campanello della porta lo destò di colpo e per poco non lo fece balzare fino al soffitto.

Maledisse la zia Mandy che era già arrivata, se la aspettava molto più tardi.

Si alzò lentamente dal divano e andò alla porta, sbattendo contro il tavolino di vetro e tirando imprecazioni.

“Entra pure, Mandy”. Disse non appena aprì la porta, girandosi subito dall’altra parte per tornare in salotto.

“Non so chi sia questa Mandy, ma di sicuro io non sono lei”. Disse, invece, una voce maschile dietro di lui.

“Blake?!” esclamò Tyler sorpreso.

“Indovinato, baby”.

“Scusa, credevo fossi mia zia”.

“Sei rimasto deluso?”

“No, affatto!” esclamò il moro, sincero. In realtà, era contento che Blake fosse venuto. “Accomodati”. Gli disse, tornando a dirigersi in salotto. Qui inciampò di nuovo nel tavolino di poco prima, sbattendo forte il ginocchio. Questa volta, però, il mobile l’aveva fatto sbilanciare e così si era ritrovato a mulinare con le braccia in avanti, sentendo di stare per cadere.
Ciò però non successe perché Blake lo aveva afferrato da dietro con le braccia magre, circondandolo per la vita.

Riuscì a rimettersi dritto e poi si girò verso il rossino per ringraziarlo. Ma questi, non appena lo vide in volto, sgranò gli occhi ed esclamò: “Oh mio Dio!”

“Che c’è?” chiese Tyler un po’ preoccupato.

“Tu… tu hai degli occhi stupendi”.

“Eh?”

Blake rimase imbambolato a fissare gli occhi dell’altro, come incantato. Non aveva mai visto degli occhi come quelli di Tyler, erano azzurri, ma non un azzurro semplice. Erano come il cielo in estate, un cielo sereno e senza nuvole, mentre attorno alla pupilla diventavano sempre più chiari, assumendo tonalità di grigio.

Cristo, Tyler, perché devi essere così bello?

“Davvero, Tyler. Tu hai dei bellissimi occhi”.

Il moro li abbassò leggermente, sentendosi in imbarazzo. Blake, allora, lo lasciò andare, anche se avrebbe voluto stringerlo ancora tra le proprie braccia e magari baciarlo, ammirare ancora i suoi occhi che finalmente riusciva a vedere.

“Dovresti farli vedere più spesso, anziché metterti sempre gli occhiali. Sono davvero belli”.

“Ma tanto non mi servono a niente”.

Tyler sembrava essere diventato improvvisamente malinconico, forse anche sul punto di piangere, ma in poco tempo riuscì a riscuotersi e a tornare come era di solito: duro e impenetrabile.

“Comunque, posso offrirti qualcosa? Da bere? Da mangiare?”

“No, grazie. Piuttosto, vorrei vedere la tua stanza, se posso”.

“Certo. È di sopra”.

Il moro lo condusse su per le scale a chiocciola, mentre Blake gli stette dietro, attento che non si facesse male di nuovo.

“Wow! Non è male!” esclamò il rossino non appena fu entrato dentro. Tyler si buttò sul letto e vi si sedette sopra a gambe incrociate, aspettando che l’altro finisse di ammirare l’ambiente.
Blake fu attirato da una fotografia incorniciata e appoggiata ad uno scaffale che rappresentava il moro da piccolo, più o meno doveva avere dieci anni e lo riconobbe per quei particolari occhi azzurri, abbracciato ad un uomo piuttosto alto, ma ancora abbastanza giovane. Erano seduti per terra, in un giardino dal prato verde e ben curato ed entrambi sorridevano all’obbiettivo, anche il ragazzo aveva un sorriso radioso, come Blake non gliel’aveva mai visto fare.

“Chi è quest’uomo che è con te nella foto?” chiese a Tyler, quello in versione più grande seduto sul letto.

“Mio padre”. Rispose l’altro.

Blake rimase ancora un po’ ad ammirare la foto, come se fosse la cosa più bella o più straordinaria che avesse mai visto. Ma, improvvisamente, sentì una certa tristezza assalirlo. “Ti somiglia. Avete gli stessi occhi”.

“Mia madre si ostina a tenermela in camera anche se non posso vederla”.

“Be’, è un bel gesto”.

Piombarono entrambi in silenzio, Tyler perché non sembrava voler aggiungere altro e Blake mettendosi a scorrere i titoli dei libri che riempivano le mensole sopra la scrivania. Ne prese uno in mano e cominciò a scorrere le pagine incuriosito.

“Che strani questi libri”. Commentò, per poi esclamare subito dopo. “Ma sono scritti in brail?!”

“Sì”.

“Wow! Non ne avevo mai visto uno”.

“Adesso puoi dire di averlo visto”.

“Li hai letti tutti?”

“Alcuni sì”.

“Chi te lo ha insegnato?”

“Sono andato in una scuola”.

“Scusa, forse sto facendo troppe domande”. Disse poi Blake, notando che Tyler sembrava rispondergli un po’ controvoglia, come se fosse obbligato.

“No, è tutto ok. Solo che… non mi piace parlare di questo, tutto qui”. Fece l’altro, abbassando lo sguardo.

Blake ripose il libro e si appoggiò alla scrivania guardandosi intorno, come se volesse evitare lo sguardo del moro.

“Senti, Ty, ma io e te… siamo amici?” gli chiese un po’ imbarazzato.

Tyler assunse un’espressione perplessa. “Sì, direi di sì”.

Il rossino, allora, sorrise a quella risposta. Se non potevano stare insieme, almeno sarebbero stati amici. Anche se, doveva ammettere, non gli sarebbe stato semplice essere amico di qualcuno che amava.

“E ci possiamo raccontare tutto, quindi?”

“Blake, se vuoi sapere qualcosa da me, basta che me lo chiedi. Non servono tutti questi giri di parole”. Sbottò, infine, Tyler che aveva l’impressione di aver capito dove l’altro volesse andare a parare.

“No, no!” si affrettò a rispondergli Blake. “E’ solo che io… ti devo dire una cosa”.

“Dimmi”.

“Io sono… ecco, io sono… sono… gay”.

Tyler rimase con gli occhi fissi al muro di fronte a lui, senza cambiare espressione.

“Ok”. Disse infine.

Blake spalancò gli occhi. “Ok? Tutto qui?”

“Be’, che altro dovrei dire? Se ti piacciono gli uomini sono affari tuoi”.

“Ma non ti dà fastidio?” Il rossino era leggermente stupito, ma anche piuttosto sollevato.

“Perché dovrebbe darmi fastidio? Mica mi salterai addosso come un maniaco pervertito”.

Non sai quanto ti sbagli, Tyler. Non faccio altro che desiderare di farlo fin dal primo momento che t’ho visto.

Il rossino, allora, si sedette sul letto accanto al moro e, senza che l’altro se lo fosse assolutamente aspettato, lo abbracciò forte.

“Blake!” esclamò l’altro, trovandosi a soffocare nella sua morsa d’acciaio.

“Grazie, grazie, grazie…”. Cominciò a dire l’altro, senza lasciarlo andare. Tyler si ritrovò sdraiato sul letto sotto il peso del corpo di Blake che gli stava quasi sopra.

“E per cosa?”

“Be’, per avermi accettato per quello che sono”.

“E come ti dovrei accettare se no? E  poi, anche tu mi stai accanto nonostante io sia cieco”.

“La cecità non è mica trasmissibile”.

“Nemmeno la gaiezza”.

(NDA: sei sicuro? ^^)

Blake ridacchiò divertito e si rimise seduto. “Sai, Tyler, sei divertente a volte”.

“Davvero? Sei il primo che me lo dice”.

“Be’, è vero”.

“Ma i tuoi lo sanno? Che sei gay, intendo”.

“Sì, lo sanno. All’inizio, quando gliel’ho detto, erano rimasti un po’ scioccati, ma poi lo hanno accettato”.

“E i tuoi amici?”

“Lucy è stata la prima a saperlo, praticamente quando l’ho scoperto anche io. Ci conosciamo dalla prima liceo. Ken, invece… be’, diciamo che l’abbiamo scoperto insieme, di essere gay”.

“Anche lui è gay?!” questa volta sì che Tyler parve un po’ sorpreso.

“Sì. Io e lui ci conosciamo da quando avevamo nove anni”.

“Ma… fra voi due c’è qualcosa?”

“Oh no, no. Siamo solo amici, anzi, a volte è come se fossimo gemelli, praticamente ci piacciono le stesse cose e ci intendiamo anche senza parole”.

“E’ bello avere un amico così”. Sospirò il moro, un po’ malinconicamente.

“E tu? Ce l’hai?” gli chiese Blake con cautela, temendo di fare un’altra domanda inappropriata.

Tyler fece una smorfia. “No. Ho avuto parecchi amici una volta, ma… diciamo che le persone ti stanno accanto solo quando fa comodo a loro. Le persone preferiscono non avere molto a che fare con me perché pensano che poi dovranno sempre starmi appresso e quelli che mi stanno vicini di loro spontanea volontà lo fanno perché li faccio pena”.

Era la prima volta che il ragazzo diceva qualcosa di più su se stesso senza allusioni o giri di parole e Blake ne rimase un po’ stupito. Però gli fece anche piacere che si stesse aprendo con lui, da un lato almeno, dall’altro, invece, venne di nuovo assalito dalla tristezza.
Non era giusto, Tyler era un ragazzo fantastico che meritava di essere accettato e di essere felice.
Perché felice non lo era, Blake l’aveva capito in quel momento.

“Sai, anche per me è difficile essere accettato dagli altri. Oltre Ken, Lucy, i miei genitori e mia sorella nessun’altro sa che sono gay. I compagni a scuola credo lo sospettino perché io sono uno di quelli che si capisce subito che sono dell’altra sponda. Quindi, preferiscono starmi alla larga”.

Il moro sospirò. “Non serve circondarsi di molte persone. Ne bastano pochi, purché siano buoni”.

“Già”.

Cadde di nuovo il silenzio, ma solo per pochi secondi, poi fu Tyler il primo a interromperlo, cambiando totalmente argomento. “Hai una sorella?”

“Sì, si chiama Susan, ha dodici anni ed è una rompiscatole. Pensa che si guarda ancora High School Musical e le piacciono i Jonas Brothers”.

Il moro ridacchiò. “Se le piacciono i musical le consiglio di vedersi Mamma mia o Grease. Sono decisamente meglio”.

“Tu li hai visti?”

“Praticamente guardo solo quelli o gli horror, visto che mettono parecchie musiche e posso capire qualcosa”.

“Oh già, immagino”. Disse Blake. “Io, invece, gli horror non li sopporto, mi mettono paura. Lucy li adora e a volte mi costringe a guardarli, ma poi sto sempre con la faccia coperta”.

“Basta solo che pensi che si tratta soltanto di un film”.

“E’ facile dirlo”. Il rossino si mise ad osservare lo scaffale sopra il letto, notando che c’erano un sacco di CD. “Ti piace ascoltare la musica?”

“E’ praticamente una delle poche cose che riesco ancora a fare”.

“Ti piacciono tanto i Queen”.

“Già”.

“Oh mio Dio!” esclamò Blake, improvvisamente, saltando in piedi.

“Che c’è adesso?”

“Non ci credo! Anche tu leggi la saga di Connor Jempsy?”

“Be’, la leggevo. Non dirmi che piace anche a te?”

“Io l’adoro! Me li sono riletti non so quante volte”.

“Oh, io sono arrivato al quarto libro e a metà del quinto. Poi, sai… ho avuto questo piccolo problemino alla vista e non sono più potuto andare avanti. Mi hanno raccontato la storia, ma non nei minimi dettagli”.

“Se vuoi posso leggertelo io”. Si offrì Blake tutto contento.

“Adesso?” fece l’altro stupito.

“Sì, a me non dispiace leggerli di nuovo e poi gli ultimi sono quelli più belli”.

“Be’, se hai così tanta voglia, va bene”.

Blake si sdraiò nel letto accanto al moro. “Abbiamo trovato una cosa in comune”. Gli disse il rossino prima di iniziare a leggere e l’altro sorrise, preparandosi ad ascoltare. 

 

 

MILLY’S SPACE

Ed eccomi di nuovo qui con un altro capitolo bello lungo, per compensare l’attesa.
Allora: nemmeno qui succede nulla d’interessante, a parte Blake che svela a Tyler di essere gay. E meno male che Ty l’ha presa bene ^^.

Una piccola precisazione: la saga di Connor Jempsey l’ho inventata io. In realtà inizialmente avevo pensato a Harry Potter ma siccome la storia è ambientata più o meno nel nostro periodo e Tyler è rimasto cieco due anni fa, avrebbe fatto a tempo benissimo a  finire di leggere tutta la saga ^^.
Dettaglio insignificante ma ci tenevo a dirvelo.
Scommetto però  che vi starete chiedendo dove sono le foto che ho promesso l’altra volta ^^ ehehe… sì sì ci sono… se andate sulla mia pagina Facebook
http://www.facebook.com/MillysSpace sull’album You are my sunshine le troverete : )

E ricordatevi di lasciarmi qualche commentino.

Baci, baci,

M.

FEDE15498: secondo me le fotuzze sono belle, ma poi i gusti son gusti ^^ ma preparati a sbavare su Tyler ^^ Spero che ti sia piaciuto anche questo cappy e fatti risentire ^^.
E, mi raccomando, non sgobbare troppo sui libri o diventi gobba e cieca come Leopardi ^^
Un bacione, Milly.

  
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