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Autore: Noth    12/11/2012    16 recensioni
Sette audiocassette contenenti le tredici ragioni per le quali Blaine Anderson si è suicidato. E queste cassette stanno facendo il giro delle tredici persone colpevoli di aver distrutto la vita di Blaine. Quando arrivano a Kurt, però, lui non sa cosa aspettarsi e non capisce cosa possa c'entrare. Eppure è in una di quelle cassette, e prima o poi verrà il suo turno. Ascoltandole, Kurt comincerà un viaggio che lo porterà ad una nuova consapevolezza, ad una scoperta di emozioni e sentimenti che aveva dato per scontate e che, invece, non avrebbe dovuto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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13 Reasons Why
-Chapter 2-









Faceva freddo, eppure non era semplice trovare il coraggio di staccare gli occhi da quella casa. Era un po' come quando ormai hai guardato il cadavere, e non puoi tornare a fingere di non averlo visto. Sarà sempre là, alla fine degli occhi, appena oltre la soglia visiva, stampata nella memoria come inchiostro di fuoco. Quella casa, è iniziato tutto lì, Blaine. La tua fine, la valanga, la terra, come la chiami tu. Come vorrei aver intuito ogni cosa come nei film, e aver fermato tutto questo prima che fosse troppo tardi. Ma non l’ho fatto, anche se avrei potuto.

Riavvolsi velocemente il nastro dell'audio cassetta con le dita intirizzite dal freddo, poi la estrassi con le mani tremanti e la voltai, inserendola dal lato con scritto il numero 2. Avrebbe parlato di Sam Evans, il biondo muscoloso e alto che nascondeva la sua goffaggine in un'armatura da giocatore di football.
La cosa era sempre stata tanto triste quanto patetica, ma sembrava sempre fossi l'unico ad essermene accorto.

 Il resto del mondo lo adorava.

Chissà cosa aveva fatto a Blaine, oltre ad aver premuto quel pulsante, ovviamente.

Bè, immaginai di stare per scoprirlo.

Play.

Si sta rivelando più divertente di quanto pensassi. Spiegarvi tutti, dico. Avrei potuto non farlo, avrei potuto andarmene e basta, ma non è così che funziona. Mi spiace. Dov’ero rimasto?

Fece una pausa, e sentii il rumore di un foglio accartocciato mentre si tenta di distenderlo. Un mormorio pensieroso di sottofondo.

Ah, trovato! Sam Evans. Chiedo scusa, ma siete davvero tanti e finisco per dimenticarmi le cose. Bè, immagino che tra un po’ non sarà più un problema.
Sam, torniamo a te. Questo lato della cassetta è tutto tuo. O quasi.
Dopo l’episodio dell’interfono non ti parlai per settimane, nonostante tu cercassi di sistemare le cose. Mi lasciavi biglietti nell’armadietto, mi mandavi messaggi, ma mai una volta che tu ti sia presentato di persona. Parlare con me ormai portava giù nel ghetto nel quale ero stato relegato, dunque perché preoccuparsi eccessivamente? Meglio godersi la popolarità. Sì, avevi ragione. Ma la gente non sapeva di te. Oh, so benissimo che ora sai di che cosa sto parlando. Certo, avevi paura che l’avrei tirato fuori, vero? Lo so, anche io non volevo che quella conversazione facesse il giro della scuola, eppure… Ma questa cassetta non è per vendetta, Sam, davvero, non ti porto rancore, lo giuro.

Rise malinconicamente tra sé, ma non era affatto divertente. Ero curioso ma, allo stesso tempo, detestavo l’idea di non essermi accorto di nulla. Razza di imbecille.

Prima di continuare vorrei che andaste al Lima Bean, immagino che tutti ci siate già stati almeno una volta, è praticamente come la chiesa del paese per i vecchi. Ci vanno tutti. In caso abbiate un vuoto di memoria è  la zona F-1 e ci si arriva con qualsiasi autobus, visto che si trova vicino alla stazione.

Lima Bean? Voleva che ascoltassi la sua voce a un tavolo, sorseggiando caffè e guardando le facce degli altri che mi fissavano non capendo perché avessi quello sguardo da morto? Oh, no, scusa Blaine, non volevo pensare quella parola. Non voglio pensare che quello morto sei tu.
Feci dietrofront e mi misi a camminare verso la fermata dell’autobus che avevo notato all’entrata di Sunday Street. L’aria era veramente gelida e, essendo ormai tarda sera, la gente era già tornata da lavoro e si era rintanata nelle case, non dando peso al fatto che fuori dalle loro abitazioni io stavo ascoltando l’epitaffio personale di un ragazzo che sembrava a tutti stranissimo, ed invece non aveva nulla che non andasse. E io lo sapevo bene dopo quella festa, ma anche prima.

I jeans mi si erano irrigiditi per il freddo, e ogni volta che camminavo mi sembrava quasi di spezzarli, in più percepivo il morso del gelo sul viso e sulle spalle. Il cappotto non era decisamente abbastanza pesante, ma era l’unico che potesse contenere tutte le cassette che dovevo ascoltare.
Arrivai alla fermata, dove dovevo aspettare una decina di minuti per il passaggio del 27, così mi sedetti sul marciapiede, alitandomi sulle mani per scaldarle senza eccessivi risultati. Così continuai ad ascoltare, nell’attesa.

In ogni caso non mi aspettavo, entrando nello spogliatoio maschile per errore – sì, ero sovrappensiero per via dei vari spintoni che mi venivano dati – di vederti schiacciato sugli armadietti da Noah Puckerman. Non avrei mai detto che avrebbe potuto succederti, Sam.Pensavo di avere le allucinazioni, mi sono pietrificato sulla porta con la voglia di tirarti un pugno e di scappare. Perché stavi baciando un ragazzo, perché mi avevi fatto fare outing davanti a tutta la scuola, volontariamente o no, e non eri nemmeno venuto a cercarmi per dirmi che forse ti trovavi nella stessa situazione. Sai quanto sarebbe stato più facile affrontare la cosa insieme? Essere sostenuti? Non capisco ancora oggi come tu abbia potuto tenermelo nascosto. Eravamo amici. Vicini di casa. Appena arrivato in città ti sei subito presentato e mi hai mostrato il quartiere. Mi hai presentato i tuoi amici e, per tutta l’estate, eravamo sempre stati l’uno a casa dell’altro. Era tutto ciò che avrei mai potuto chiedere da un’amicizia, ma credevo almeno fossi stato sincero. Non appena io avevo avuto dei dubbi concreti sulla mia sessualità te ne avevo parlato, sembrava che tu non fossi stato dello stesso avviso.

Pause.

Deglutii faticosamente. Sam Evans e Noah Puckerman? Due dei ragazzi più popolari dell’intera scuola. E nessuno si era mai accorto di niente. Capii all’istante perché quelle cassette erano riuscite ad arrivare a me, nessuno aveva ancora avuto il coraggio di infrangere le regole e distruggerle, per paura che i propri segreti diventassero di dominio pubblico. Come non si sapeva, si sapeva solo che sarebbe successo, e che non si poteva rischiare. Per qualche istante temetti per me stesso.
L’autobus apparve dalla stradina e mi alzai in piedi, mettendo fuori la mano per richiedere la fermata. Quando frenò dinanzi a me mi investì una folata di vento gelido e rabbrividii, entrando del mezzo di trasporto. Le porte scricchiolarono all’apertura, ma dall’interno uscì una folata di calore dovuto al riscaldamento e mi precipitai dentro strisciando l’abbonamento che avevo per via della scuola e che tenevo costantemente in tasca. Per fortuna, oserei dire.

L’autista mi osservò a lungo, forse ero così pallido da sembrare un poco di buono. Ma un poco di buono, dopotutto, era pallido? Poi si decise a partire, considerando che ero solo uno dei due passeggeri dell’autobus. L’altro era un ragazzo che conoscevo da scuola, sono quasi sicuro fosse Mike Chang e, decisamente, non sapevo che ci facesse nell’autobus a quell’ora. Ma d’altra parte probabilmente si stava chiedendo la stessa cosa di me, quindi.

Play.

Ricordo che sentisti la porta aprirsi e ti voltasti. Poi mi vedesti e la tua mascella cadde in un’espressione colpevole, quindi sapeviperché ti stavo odiando in quel momento. Ora non ti odio più, non ce ne sarebbe ragione, ma in quel momento mi sentivo così tradito che non mi importava affatto del fatto che anche tu ti stessi nascondendo. Puckerman cercò di fermarti mentre mi rincorrevi, lo sentii sibilare il tuo nome. Mi spiegasti più avanti in un biglietto che nessuno doveva sapere che eravate lì, che era solo per via di un patto con un bidello che ti doveva un favore che potevate starci. A quell’ora nessuno studente era ammesso nelle stanze, infatti avrebbero dovuto essere chiuse. Chissà perché è proprio lì che sono capitato. Chissà perché ho tentato di aprire proprio quella porta che avrebbe dovuto essere chiusa. Se non fosse successo, forse, non ti avrei mai scoperto.
Scappai via, raggiunsi l’uscita di sicurezza che dava nel cortile e me ne andai. Chissà cosa pensavano gli altri studenti del fatto che mi stessi inseguendo. D’altra parte non potevano pensare peggio di così di me, quindi. Me ne andai da scuola quel giorno, e tu mi seguisti. Mollasti tutto per venirmi dietro e spiegarmi. Pensai fosse una cosa carina, ma forse ti sentivi solo in colpa. Finii per rifugiarmi al Lima Bean, che stava praticamente ad un isolato dalla scuola, e tu venisti con me. Mi sedetti e tu ti incastrasti nella sedia in fronte a me, anche se io finsi di non vederti.
“Posso spiegarti.” Dicesti, ma sinceramente era l’ultima cosa che avevo voglia di ascoltare, Sam. L’ultima.

Arrivammo alla mia fermata, quella praticamente in fronte al Lima Bean. Prenotai lo stop e scesi, continuando ad udire la voce sempre più stanca di Blaine dalle cuffie.

“Io e Puck…” dicesti, ma avevi iniziato decisamente nel modo sbagliato.
“Perché non partiamo da me e te, Sam, eh? Perché non iniziamo dal fatto che, al contrario di me, tu non hai detto una sola parola a riguardo?”
Forse ero io che vedevo le cose in maniera esagerata, ma dopotutto come poteva essere che un’intera estate assieme, costantemente, praticamente ogni secondo, non significasse nulla per te? O almeno era quello che credevo io. Forse sbagliavo. Dimmelo tu, Sam. Oh, no, aspetta: non puoi.
“Ho provato a dirtelo.” Mormorasti.
“Quando? Dopo che avevi già fatto sapere a tutta la scuola ciò che ti avevo detto con fatica?” domandai, cercando di non guardarti negli occhi perché mi sentivo davvero tradito, Sam. Tu eri popolare, avevi un ragazzo – o qualcosa del genere – e nessuno ti spintonava negli armadietti, perché nessuno sapeva. Ma io, a causa tua, non ero stato così fortunato, e nessuno si sarebbe mai sognato di mettersi con me visti i pericoli ai quali sarebbe andato in contro, e li capisco. Probabilmente la reputazione scolastica è una delle cose più importanti in assoluto per un adolescente. Ciò che tutti dimenticavano è che lo era anche per me.

Io ci sarei uscito con te, Blaine, ci sarei uscito mille volte. Semplicemente non avevo abbastanza autostima e coraggio per chiedertelo. E poi avevo la netta sensazione che per un motivo o per l’altro avresti rifiutato.

“Era… difficile.” Rispondesti.
“Anche per me.” Spiegai, sperando che avresti capito. Ma poi cosa dovevi capire? Non c’era nulla da capire.
“Lo so. Ma… è successo per caso, mi sono accorto di provare qualcosa per Noah e…”
“Non mi interessa, Sam, davvero. Sono felice per te, da qualche parte dentro di me, ma io ero solo. E lo sono ancora. Per colpa tua, mia, e di Santana e del mondo, credo. Non lo so, mi dispiace io… pensavo fossimo amici.” Sussurrai, e feci per alzarmi, ma tu mi prendesti il polso.
“Prima o poi ti tirerò fuori da questa merda, amico, te lo prometto.” Mi dicesti, ed io annuii, così mi avresti lasciato andare. Ma almeno un pochino ci credevo. Non hai mai mantenuto la promessa, Sam.

Pause.

Entrai al Lima Bean, tenevano aperto fino alle undici, quindi avevo ancora tempo per metabolizzare il tutto. Sapevo però che non mi sarebbe bastata una vita. La ragazza alla cassa era Tina Cohen-Chang, una ragazza di origini asiatiche con la quale avevo scambiato qualche parola durante falegnameria. Era stata gentile, ma ero sicuro che ci fosse altro, oltre la facciata.

Mi avvicinai al bancone, le mani tremanti e senza la più pallida idea di che faccia avessi in quel momento. Presi qualcosa a caso, giusto per non sembrare un imbecille nemmeno in grado di leggere.

Gli occhi mi caddero su un Medium Drip che non avevo nemmeno la più pallida idea di che diavolo fosse. Dovevo solo togliermi dalla testa le parole di Blaine, il senso di assoluta ingiustizia che mi aveva lasciato addosso e non osai pensare come avrebbe potuto essere per lui. Quanto era difficile avere a che fare con tutte queste cose, Blaine? Perché tutti pensavano che, in qualche modo, il tempo sarebbe passato e tu te le saresti dimenticate?
Tina mi guardò con gli occhi a mandorla spalancati, inspirò come a dirmi qualcosa, ma poi le sue spalle si abbassarono e si affrettò a preparare ciò che avevo ordinato.
Perché eravamo tutti così egoisti? Quella frase continuava a distruggermi il cervello.

Tina mi porse il caffè nel bicchiere di carta termica, e ne annusai il forte profumo. Non c’era nessuno nel bar, probabilmente perchè era decisamente tardi, così decisi che, per quanto non ne avessi assolutamente voglia, forse parlare con Tina mi avrebbe distratto da tutta quella sensazione di colpevolezza e frustrazione.

« Hey. » la salutai, dopo dieci minuti buoni che ero lì al bancone. Lei alzò lo sguardo dal registratore di cassa e sembrò onestamente triste.
« Kurt. » sussurrò, torturandosi le dita. Perché era così nervosa? Tina era sempre stata una ragazza dolce e sorridente, mi sembrava strana quella sua espressione così addolorata. Suonò la macchinetta del caffè, segno che era pronto.
« Come stai? » provai a chiedere, tentando di essere gentile, parlare, però, non mi stava aiutando affatto come sperato.
« Mi dispiace tanto Kurt… » sussurrò, e poi si portò le mani alla bocca, come se le fosse scivolato qualcosa di imperdonabile.
« Ti dispiace? » domandai, confuso. Lei scosse freneticamente la testa e si allontanò da me. Digitò qualcosa sulla macchina del caffè e mi diede lo scontrino che aveva battuto prima, mezzo accartocciato, facendomi capire che era il caso di terminare la conversazione. Non seppi spiegare quanto quella reazione mi fece rimanere male. Presi il resto dal bancone e mi avviai a sedermi.

Le sedie del Lima Bean erano così comode che avrei potuto prendere sonno sul tavolo ma, con il peso di quelle audiocassette in tasca ed il suono della voce di Blaine nella mente, mi pareva che nella mia testa qualcuno stesse strisciando le unghie su una lavagna. Sorseggiai il caffè e mi si scaldò lo stomaco, sentendo in arrivo qualcosa di buono in tutta quella serata, mentre le dita riprendevano sensibilità grazie al caldo contatto con il bicchiere.

Play.

Ma ho altro da dire su di te, Sam, anche se lo capirai più avanti. Per ora, se siete al Lima, sappiate solo che vi sono tornato spesso e, magari, potrei aver lasciato qualcosa nel Guest Book blu sopra la libreria dalla quale hanno rubato tutti i libri che vi stavano infilati.

Mi alzai, quasi rovesciando la sedia e spaventando Tina, e corsi a prendere il quaderno, che stava ancora al suo posto. Lo sfogliai alla ricerca di qualcosa che parlasse di Blaine tra i mille disegni fallici e le scritte di ragazzini che si giuravano eterno amore. Non fu difficile trovare l’unica frase che non c’entrava nulla.

Chissà se troverete ciò che ho lasciato. Chissà se riuscirete a cogliere quel poco di me che è rimasto su quel quaderno. Vi do solo un indizio: è davvero semplice.

“Don’t feel bad for me. Deep in the soul of my heart I really want to go.”

Era una canzone, il testo mi suonava familiare, ed era firmato con una data: 18/11/12. Il giorno in cui si era suicidato. Sentii che stavo per vomitare il caffè, così lasciai lì il bicchiere e corsi fuori.

Notai lo sguardo sempre più triste di Tina con la coda dell’occhio.

Mi ricordo quando scrissi quella frase.

Mi appoggiai al cestino appena oltre il parcheggio ed aspettai che quel senso di nausea atroce mi strizzasse lo stomaco, ma non successe nulla. Ero destinato a tenere dentro tutta quell’amarezza.

Che bel giorno, quello. Le decisioni migliori vengono quando meno te le aspetti.

L’aveva scritto. Nel Guest Book. E nessuno ci aveva mai nemmeno fatto caso, ero sicuro. Non era un annuncio a caratteri cubitali, ma restava una richiesta d’aiuto. Qualcuno doveva averlo visto scrivere. Almeno Tina. O Quinn Fabray, che lavorava lì.

Demolizione di una persona in pochi semplici passi. Ci stavate riuscendo veramente bene, mi dispiace.
Ma questo è solo il secondo nome, quindi vi starete chiedendo: quante persone ci sono volute per farmi sentire la creatura priva di senso che mi sento oggi? Non lo so, avrebbe potuto essere una, due, o tutte voi. Questa storia è un incatenarsi di varie vicende che hanno praticamente preso la mia storia e la hanno fatta a pezzi.
Non siate tristi, ormai non ne vale la pena, credevo solo che fosse giusto sapeste. E ora basta, la lista è lunga e il nastro sta finendo.
Ciao, Finn Hudson, sapevi che saresti spuntato fuori prima o poi, quindi meglio levare via il dente e toglierci questo dispiacere.
Fine cassetta numero due.














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Spazio Autrice:
Ho avuto tempo di scrivere il capitolo in classe grazie a delle interrogazioni scampate, quindi 
approfitto del fatto che ho tempo ora e lo pubblico, sperando di farvi un piacere!

Davvero, aver ricevuto un resoconto positivo è stato una manna dal cielo, non credevo questa storia potesse piacere tanto.

Ah, avviso tutte le persone che si sono comprate il libro: Sì, leggerlo spoilererà la fanfiction di sicuro, ma non è giusto che io vi impedisca di farlo, quindi a voi la scelta!

Grazie di cuore.

Noth
   
 
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