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Autore: Alex e Finger    14/11/2012    2 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Istanbul,

Jumâda Ath-Thânî 884

(primi di settembre 1479)











quattro Assassini erano fuggiti per i tetti e il vociare delle strade affollate di Galata, li accompagnava solo di un poco attutito.

Yusuf non ce l’avrebbe mai fatta a tenere dietro a quella corsa forsennata, così suo padre se l’era caricato in spalla senza tante cerimonie e con la voce dura di chi è avvezzo a dare ordini aspettandosi di essere obbedito, gli aveva intimato di tenersi forte e di cercare di non intralciarlo.

Il calore del sole del tardo pomeriggio faceva tremolare l’aria sulle tegole roventi e la città pareva avvolta nella foschia.

Concentrato nello sforzo di bilanciarsi sulle spalle del padre e con un unico pensiero che gli martellava la testa —la mamma è morta Yusuf non si rese conto di quanto tempo fosse passato quando Yalìm lo depositò all’ombra, davanti a una porta tenuta aperta da uno dei compagni.

Il padre lo spinse dentro e insieme scesero per due rampe di scale percorrendo poi una larga passerella di tavole fino a raggiungere un’ampia sala dove un uomo imponente dalle folte sopracciglia aggrottate misurava lo spazio a grandi passi.

— Maestro. —

Yalìm chinò la testa, mentre Yusuf, che si trovava proprio davanti a lui con le sue mani strette sulle spalle, fissava quell’uomo con gli occhi spalancati e la bocca aperta.

— Perdona mio figlio se non ti mostra il dovuto rispetto, ma sua madre è appena stata uccisa, e la casa saccheggiata…—

— Cosa sono queste sciocchezze, Yalìm? Credi davvero che mi aspetti da lui che chini il capo e mi renda omaggio? Ha appena perso tutto quello che aveva, a parte la sua vita e un padre ossequioso. —

Yusuf sentì la presa sulle sue spalle allentarsi, come se le mani del padre avessero perso di colpo tutta la forza. Nel silenzio pesante, il ragazzo abbassò gli occhi sul pavimento consunto quasi del tutto coperto dai tappeti. La nausea gli rivoltava lo stomaco e respirava con difficoltà, mentre le gambe stentavano a reggerlo. Pensò di stare per vomitare, o svenire, o peggio di tutto piangere e di non avere nemmeno la forza per sottrarsi in qualche modo a quella situazione. Poi una voce, appena un sussurro, gli venne in aiuto.

— Vieni con me. —

Una donna dal viso gentile gli sorrideva tendendogli una mano. Yusuf fece d’istinto un passo verso di lei, poi si fermò, voltandosi a guardare il padre, le cui spalle curve sembravano oppresse da un peso insostenibile, attendendo un cenno d’assenso. Gli occhi di Yalìm però, parevano vagare altrove. Timoroso di pronunciare parola, il ragazzo spostò lo sguardo sul Maestro che annuì, dandogli il permesso di afferrare la mano della donna, aggrappandosi ad essa con tutta la poca energia che gli restava.

— Ti chiedo scusa, Yalìm. — disse il Maestro spazzando via la tensione che stagnava nella sala.

— Ti ho rivolto parole troppo dure. —

Yusuf lo vide avvicinarsi a suo padre e stringerlo in un abbraccio un po’ rude.

— Ho sbagliato tutto, Ishak. Ogni cosa. — sospirò Yalìm.

— Non posso restare. —

Di nuovo ci fu silenzio, mentre la donna lo conduceva in un angolo appartato e lo invitava ad accomodarsi sui cuscini colorati sparsi sul pavimento.

— Mi chiamo Zuhre. — disse.

— Riposati. Ti porto qualcosa di caldo. — si allontanò sfiorandogli la testa con una carezza.

Yusuf crollò esausto sui cuscini, mentre le lacrime scavavano due solchi nella polvere che gli imbrattava le guance.

— Per quanto mi riguarda puoi restare. — stava dicendo il Maestro. — Tu e tuo figlio. Lui non correrà alcun pericolo, sempre che non vada a cercarselo. Potrei ammetterlo tra i Novizi, ci sono ragazzi di poco più vecchi di lui. —

— No, amico mio. Devo rifiutare. —

— Perché, Yalìm? Sei il mio secondo in comando e mi hai sempre detto che il ragazzo è sveglio e intraprendente, forse persino troppo. Non credo che un po’ di disciplina potrebbe danneggiarlo. —

Nel suo cantuccio, Yusuf tese le orecchie e si asciugò gli occhi con la manica. Stavano parlando di lui?

Zuhre tornò con una tazza di caffè bollente. Lui la prese mormorando un grazie proprio mentre suo padre rispondeva.

— Perché non ci sono quasi mai stato per lui e sua madre è morta a causa mia. Non so come siano riusciti a trovarla, ma il bersaglio ero io. Sono arrivati armati fino ai denti, aspettandosi di affrontare un avversario impegnativo e invece hanno trovato solo una donna e un ragazzino su cui sfogare la frustrazione di aver mancato l’obiettivo. Quando sono arrivato Yusuf li fronteggiava davanti al corpo di sua madre, con in mano nient’altro che un coltello da cucina. Se avessi tardato anche solo di un attimo, non avrebbe avuto alcuna possibilità. Se resteremo sarà un bersaglio tale e quale a me e ci manca il tempo per insegnargli a difendersi in modo davvero efficace. Se non mi allontanerò dalla Confraternita i miei doveri mi terranno di nuovo lontano da lui e sarà l’Ordine a crescerlo, non suo padre. Ho un figlio che quasi non mi conosce, Ishak, e tu potrai anche dirmi che è stato così per molti di noi, ma non è questo che voglio per lui adesso. Ce ne andremo stanotte. —

Yalìm aveva pronunciato queste parole senza quasi prendere fiato e all’improvviso parve mancargli.

La spina dorsale di Yusuf si era gelata nel sentir rievocare l’accaduto. Le mani strette attorno alla tazza gli tremavano e il ragazzo si sforzò di ingurgitare un sorso di caffé senza rovesciarlo. Era amaro e forte e gli scottò la lingua.

Zuhre gli si era seduta accanto. Non aveva parole per lui e di questo le era grato: qualsiasi parola di conforto in quel momento, gli avrebbe solo fatto venire voglia di urlare e lei sembrava averlo compreso. Le parole del padre che asseriva di volergli stare finalmente più vicino non avevano fatto alcuna presa sulla sua mente stravolta; era come se tutti si fossero dimenticati di lui, parlandone come se non fosse lì, a pochi passi. Solo la presenza silenziosa di Zuhre gli faceva sentire di non essere una specie di fantasma. Yusuf pensò che se se ne fosse andata, lui si sarebbe semplicemente dissolto. La guardò, e timidamente le porse la tazza, come se con quel gesto sperasse di trattenerla. Lei la prese, bevve un sorso e gliela restituì. Lui la posò sul tappeto e si abbandonò sui cuscini, prostrato dalla stanchezza, raggomitolandosi vicino a lei, afferrando l’orlo della sua tunica. Sentì la sua mano sfiorargli i capelli e quel gesto lieve, quasi timoroso fece crollare ogni tentativo di difesa. Cominciò a singhiozzare in silenzio.

— Non puoi portarlo via stanotte, Yalìm. — disse Zuhre, e il tono della sua voce era duro quanto le braccia che ora avvolgevano Yusuf erano morbide e accoglienti.

— Sei un pazzo se pensi di portarlo via in questo stato. Ti dispiace di non essere stato un buon padre per lui e continui a dimostrare di non esserlo. Trascinarlo in una fuga precipitosa e non organizzata è proprio un ottimo modo per iniziare ad accorciare le distanze tra di voi! —

Gli occhi di Yalìm si allargarono costernati di fronte a quel sarcasmo e non una parola uscì dalla sua bocca.

— Devi dargli almeno una notte di riposo e anche tu devi prendertela, sei stravolto quanto lui.— continuò Zuhre. — Non parlare di Imran come se non fosse stata la tua compagna per anni, come se non avesse passato infiniti giorni e notti ad aspettarti con la paura di non vederti tornare, come se al tuo ritorno non ti fossi riposato nel suo grembo, mettendoci un figlio che lei ti ha cresciuto. È morta, Yalìm. Accetta questo dolore. —

Yalìm barcollò di fronte alla forza di quelle parole e si accorse di non avere nulla a cui appoggiarsi. Si mosse incerto verso una panca e vi crollò sopra, la testa fra le mani e il respiro affannoso, come se quei pochi passi gli fossero costati un’enorme fatica. Ishak lo raggiunse e si sedette accanto a lui, nell’intento di confortarlo con la sua vicinanza. Zuhre aveva colto nel segno e il Maestro le rivolse uno sguardo di muta approvazione.

La donna non aggiunse altro e riportò la sua attenzione su Yusuf che nel frattempo aveva ceduto alla stanchezza, cadendo in un sonno profondo e agitato. Chiamò con un cenno uno degli Assassini che lo sollevò delicatamente tra le braccia senza svegliarlo. Lo portarono in una stanza e lo misero a letto.

— Grazie, Raif. Resto io con lui. —

Abbassò la fiamma della lampada e si sedette sul bordo del letto.

Non fu sorpresa, un po’ di tempo dopo, di veder entrare Yalìm. La scarsa luce faceva apparire il suo viso ancora più esausto e il luccicare dei suoi occhi tradiva la presenza delle lacrime che le ombre nascondevano.

— Grazie, Zuhre. — sussurrò roco mentre guardava Yusuf addormentato; poi si voltò e sparì, chiudendosi la porta alle spalle.

Ci vollero tre giorni per organizzare la partenza, durante i quali a Yusuf non fu permesso di lasciare il Covo. Di certo lui non avrebbe voluto allontanarsene. All’idea di percorrere la passerella e uscire nelle strade affollate gli si stringeva lo stomaco e il pensiero del corpo di sua madre abbandonato in una pozza di sangue gli sommergeva il cervello al punto di impedirgli quasi di respirare. Cercava di scacciare quell’immagine sostituendola con una del suo viso sorridente, o arrabbiato, o col ricordo del bruciore degli schiaffi che lei gli aveva rifilato ogni volta che si era cacciato nei guai. Nei momenti in cui riusciva a non pensare a ciò che era accaduto o all’incertezza di ciò che lo attendeva, esplorava le stanze, lasciando indugiare la sua curiosità tra le rastrelliere delle armi e le pile di libri.

Gli Assassini erano assorbiti nelle loro attività quotidiane, ma avevano sempre un gesto o uno sguardo per lui, Zuhre era una presenza discreta e costante, sempre pronta ad essere al suo fianco quando aveva qualche timida domanda o sembrava sul punto di cedere allo scoramento.

Il primo giorno Yalìm e il Maestro Ishak avevano discusso a lungo. Yusuf aveva sentito spesso le loro voci alzarsi di tono, e si era affrettato a togliersi di torno, notando però che nessuno dei presenti sembrava dare peso a quelle dispute, come se ci fossero abituati.

Era stato il nome della città di Bursa a porre fine alle discussioni e nei due giorni successivi i colombi viaggiatori erano partiti e arrivati, gli accordi stretti e i bagagli fatti. Nei pensieri di Yusuf, alcune immagini della città in cui era nato e che aveva lasciato all’età di otto anni, erano molto vivide e tutte ruotavano intorno alla madre. Il ragazzo si rendeva conto che i ricordi di suo padre erano scarsi anche per quanto riguardava la sua vita più recente. Osservava Yalìm e doveva ammettere che l’ammirazione e l’orgoglio che aveva provato per lui erano stati pari alla sua assenza, domandandosi come sarebbe stata la vita con lui e tremando per l’aspettativa e il timore nello stesso tempo. Stentava ad accettare il fatto che per avere suo padre accanto aveva dovuto perdere la madre, così come non riusciva a comprendere gli sguardi che Yalìm gli rivolgeva, quando sembrava accorgersi di lui.

— Zuhre, tu conosci bene mio padre? — domandò la mattina della partenza.

Evet. Cosa vuoi chiedermi? —

— Perché mi guarda con quegli occhi? —

Zurhre gli sorrise e Yusuf pensò che quel sorriso gli sarebbe mancato.

— Perché vede tua madre in te. E perché ha paura. —

— Quindi soffre quando mi guarda, perché pensa a lei che… che non c’è più? E di cosa ha paura?—

— Soffre per lei sempre, anche quando non ti guarda. Lei gli manca, come manca a te, e ha paura che tu gli darai la colpa per quello che è successo, come già se la dà lui. Ha paura di non riuscire ad essere un padre per te. —

— Ma è mio padre, come può non riuscirci? —

— Infatti ci riuscirà, solo che ancora non lo sa. —

Raggiunsero il porto a piedi, trascinandosi i pochi bagagli come viaggiatori qualunque, se non fosse stato per la squadra di Assassini che li seguiva nell’ombra, pronta a intervenire al minimo accenno di pericolo.

Il Maestro Ishak li aveva salutati con poche parole, ma dalla sua voce e dal suo sguardo traspariva un certo rammarico. Padre e figlio erano poi stati oggetto degli abbracci, degli auguri salute e pace, delle parole di cordoglio dei compagni. Zuhre aveva baciato Yusuf sulla fronte e il ragazzo si era buttato tra le sue braccia senza curarsi di nascondere le lacrime. Anche gli occhi di lei erano lucidi e mentre si voltava per l’ultima volta verso di lei percorrendo la passerella verso l’uscita, notò la mano di Raif che le stringeva un braccio.

Non appena misero piede a bordo della nave che li attendeva, la ciurma si diede da fare a mollare gli ormeggi e in pochi momenti, la fiancata si staccò dal molo, allo schioccare delle vele che venivano spiegate e si riempivano di vento.

Yusuf alzò gli occhi verso suo padre, che non aveva aperto bocca da quando avevano lasciato il Covo, e si aggrappò alla sua manica. Non ebbe il cuore di fare altro, ma in quel gesto mise tutte le parole che non riusciva a dirgli, le domande che gli vorticavano nel cervello e il dolore che gli soffocava il cuore.

— Mi dispiace, Yusuf. — disse Yalìm affondando lo sguardo in quello del figlio, dello stesso colore di quello di Imran. — Spero solo di riuscire a farmi perdonare da te. —

— Di che cosa dovrei perdonarti? —

La risposta giunse senza parole e Yusuf si trovò stretto tra le braccia del padre, avvolto nell’odore di tabacco e olio per le armi della sua casacca, che gli trasmetteva calore e sicurezza come mai era accaduto in tutta la sua vita.

Le vele si tesero e le sartie scricchiolarono sotto la forza di una raffica improvvisa e la nave parve fare un balzo in avanti, allargando il braccio di mare che la separava dalla terraferma.

Padre e figlio osservavano in silenzio i minareti di Istanbul farsi più distanti ad ogni attimo, mentre le voci sui moli si affievolivano fino a tacere del tutto, lasciando al loro posto solo il suono delle onde che schiaffeggiavano il fasciame e gli stridii dei gabbiani lungo la scia.

Fu in quel momento che il pensiero di Dönek attraversò la mente di Yusuf. Strizzò gli occhi nella speranza di riconoscerlo tra le persone che ancora riusciva a distinguere sui moli, ma senza risultato, e un altro rammarico si aggiunse a tutti quelli che già gli affollavano il cuore: non era neanche riuscito a salutare il suo amico.

  
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