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Autore: Mary West    16/11/2012    7 recensioni
Un evento incredibile sconvolge la vita tranquilla di Tony Stark e lui si sentirà più solo e distrutto che mai proprio nel momento in cui il mondo ha bisogno di Iron Man più che mai prima d'ora. Un arrivo dal passato, un nuovo nemico da sconfiggere, amicizie indistruttibili e l'amore più puro fanno da sfondo all'avventura del secolo e tra litigi, notti insonni, travestimenti e bugie gli Avengers si riuniranno ancora.
Lei annuì e tornò ad accarezzargli la mascella, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi perfetti.
«Baciami» sussurrò adorante. «Tutta la notte.» Lui sorrise e la accontentò.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You'll find that life is still worthwhile, if you just smile'
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Capitolo V
Small ville



Era notte fonda a villa Stark. L’orologio imponente nel salotto segnava l’una appena scoccata quando Steve si levò dal letto per andare in cucina a prendersi da bere. Scostò lievemente il lenzuolo color mogano che Jarvis aveva predisposto per il letto in cui lui e Phil avrebbero dormito, dopo varie discussioni con Tony, il quale, alla fine, aveva scelto quelle coperte solamente perché non gli piacevano, e scivolò sul pavimento piacevolmente freddo a contatto con la pelle nuda dei piedi. Facendo estrema attenzione a non infastidire l’agente Coulson, si alzò dal materasso nel suo elegante pigiama color ciliegia e sdrucciolò con passo felpato fuori dalla stanza, muovendo con leggerezza le gambe sulla rampa di scale che conduceva al piano terra. Il motivo per cui Stark si ostinava a vivere in una villa a tre piani, con garage, laboratorio e giardino inclusi, data la presenza in quella casa di sole due persone, era per Steve piuttosto oscuro. Certo, non poteva negare che tutto quel lusso di cui il figlio di Howard si era voluto ostinatamente circondare si fosse rivelato estremamente utile in quell’occasione, ma Steve dubitava con serietà che si verificassero di frequente situazioni del genere in quella strana, sontuosa abitazione. Scuotendo la testa con aria di disapprovazione, raggiunse il pianerottolo inferiore e si avviò in cucina alla ricerca di un bicchiere e di una bevanda rinfrescante che non contenesse percentuali di alcol o altre sostanze poco raccomandabili.
L’orologio scoccò l’una e cinque e mentre il Capitano trafficava ancora con il mobile della cucina, impegnato in un’accurata lettura dei contenuti delle bibite presenti in quell’oscuro scaffale, Phil si destò. I suoi occhi si spalancarono e un sospiro pesante gli dischiuse la bocca, mentre uno strato di sudore freddo gli imperlava la fronte spaziosa, aderendo la seta del completo da notte scuro a stelle e strisce alla sua pelle palpitante. Aveva avuto un brutto sogno; ma non un brutto sogno qualsiasi: quello era davvero brutto. Era Sabato sera e lui e Marylin avevano un appuntamento a cena, dopo la sua esibizione settimanale al San Francisco Opera, che lui non aveva mancato di celebrare inviandole, come di consueto, un bouquet di peonie rosa prima dell’evento. Fin qui, non c’erano stati grandi ostacoli, anzi, nel sogno Marylin appariva ancora più dolce, romantica e talentuosa di quanto non fosse già nella realtà. Il problema era arrivato dopo: in seguito alla cena, infatti, lui e Marylin si erano recati a casa sua e si erano baciati con passione, tanta passione, e si erano spinti aldilà, molto più di quanto non avessero mai fatto: erano arrivati in terza base. Era successo proprio in quel momento: lui era steso su di lei e si guardavano. Le mani di Marylin l’avevano stretto con più forza e la sua voce gli era giunta soave alle orecchie: “Fammi vedere il Paradiso” gli aveva sussurrato conturbante, gli occhi lucidi per il piacere e l’emozione. E lui… be’, lui aveva provato a farle vedere il Paradiso, ma probabilmente le aveva fatto vedere l’Inferno… un crollo. Un crollo. Com’era potuto succedere? Insomma, lui amava Marylin e anche se non era unanimemente considerata bella quanto la sua omonima Monroe, Phil aveva sempre pensato che avesse un erotismo da paura. No, quel sogno non aveva il benché minimo senso. Così si girò dall’altro lato del letto – la visione del suo adorato Capitano avrebbe solo potuto giovare al suo animo agitato, in particolar modo con quell’attraente pigiamino corto color ciliegia – ma Steve non c’era. Immediatamente saltò giù dal letto e si guardò intorno con maggior attenzione, alla ricerca del suo idolo. Niente.
Subito i peggiori pensieri iniziarono ad accavallarsi nella sua testa ancora sconvolta – rapimento, incarcerazione, omicidio – e corse in camera di Clint alla ricerca di qualcuno che gli concedesse aiuto. Barton, però, non gradì la visita.
L’orologio scoccò l’una e un quarto e mentre Steve era passato alla vivisezione di tutti gli scaffali in cucina e Clint sgridava Phil per il modo violento e del tutto inopportuno con cui si era posto nei suoi riguardi, Bruce si destò. Aveva sentito un tonfo pesante al piano di sotto e i suoi occhi, allenati a risvegli improvvisi e poco dolci, scattarono all’erta. Rivolgendo lo sguardo all’alto, rimase in ascolto, con le orecchie pronte a cogliere ogni singolo rumore che potesse suggerire la presenza in casa di nemici o pericoli di altro genere. Si girò fra le lenzuola di quella rilassante tonalità verde mela e posò lo sguardo affaticato sul volto di Natasha. Mentre dormiva, i lineamenti del suo viso, di solito contratti dalla paura, la concentrazione o la rabbia, erano rilassati in una tenera espressione pacifica, le labbra piene e cremisi erano appena schiuse e un respiro regolare le sfuggiva dalla bocca, abbassandole e innalzandole ritmicamente il petto sotto le coperte, avvolto in quel raffinato tessuto di chiffon rosso borgogna. Le mani avevano abbandonato la stretta attorno al lembo del lenzuolo e giacevano morbide increspando la superficie liscia del copriletto. I capelli scivolavano in riccioli festosi e vivaci sulla stoffa di quella stessa sfumatura spiritosa che ricopriva il cuscino di piume. Bruce sbatté le palpebre e sorrise incantato. Stava quasi per svegliarla, voleva avvertirla del pericolo imminente che stavano correndo, poi pensò che era davvero dolce mentre dormiva, così diversa da quando era sveglia e pensò anche che quel suo lato nascosto gli piaceva più di quanto potesse permettersi L’Altro. Scostò le coperte e scivolò fuori dal letto, sollevando un lembo più in alto per coprire meglio il corpo di Natasha; lei si rigirò nel materasso ed emise un gemito di soddisfazione, ancora profondamente addormentata. Bruce annuì fra sé ed uscì con passo felpato dalla camera, cominciando a camminare con fare accorto e all’erta sul pavimento fresco, sfiorandolo con l’orlo del pantalone color pistacchio. Era quasi arrivato alla prima rampa di scala quando un altro tonfo ruppe quel silenzio addormentato e lui scattò di nuovo, sempre più attento. Proveniva dalla cucina, ora non nutriva dubbi. Respirò e andò incontro al pericolo.
L’orologio scoccò l’una e venticinque e mentre Steve radunava da un lato tutti gli alcolici e dall’altro tutte le bibite gassate che nuocevano alla salute almeno quanto i primi – Stark proprio non si curava della sua salute, vero? Incosciente – e Bruce scendeva l’ultima rampa di scale, pronto a colpire il nemico che, nel cuore della notte, stava tentando di aggredirli e Clint e Phil stavano ancora discutendo su quali fossero le migliori modalità per svegliare qualcuno senza provocargli un infarto con conseguente arresto cardiaco, Nick sospirava affranto. Steso nel suo letto, con indosso quel pesante pigiama grigio perla, sotto le lenzuola rosa shocking che Virginia, con un sorriso amabile e beffardo, gli aveva concesso generosamente, pensava che, dannazione, le donne erano davvero un ostacolo intramontabile. Aveva gestito per anni lo S.H.I.E.L.D. ed era stato in grado di superare qualsiasi ostacolo, senza mai perdere il controllo, la calma e il comando. Proprio adesso, che un pericolo come Damon Glanster si affacciava sul suo giardino perfetto e ben curato con l’intenzione si calpestare i fiori e strappare i frutti da quegli alberi che aveva allevato e accudito con tanta cura, quella ragazzina decideva di incominciare ad infilargli i bastoni fra le ruote. E come le dava retta Stark! No, non poteva succedere. Il Tesseract andava messo al riparo, il congegno andava recuperato e Glanster andava imprigionato. Virginia proprio non si rendeva conto di tutti i problemi che il direttore di un’importante società segreta doveva risolvere – roba che avrebbe fatto venire i capelli bianchi anche a Rogers, checché ne dicesse il suo curriculum da uomo senza tempo – e lo contrastava. Come poteva dormire, con tutte quelle preoccupazioni a gravargli sulla testa e sugli occhi – almeno su quello buono – tutta la notte?
Howard, dal canto suo, si era addormentato quasi subito, ma il suo, in ogni caso, era stato un sonno agitato e sconvolgente. Proprio quando i suoi occhi si erano rilassati, la sua testa era tornata al pensiero di Tony e immediatamente aveva ricordato la situazione scomoda e tragica in cui si trovava. Il sonno era fuggito come da un amante incapace nella sua veste blu notte e lui e Nick si erano ritrovati stesi con le gambe incrociate, le mani congiunte e gli occhi sbarrati come due sposi che avevano appena bisticciato sul colore della carta da parati da utilizzare nella loro nuova casa.
L’orologio scoccò l’una e mezza e mentre Steve cominciava a radunare in un terzo gruppo tutte le bevande dolci ricche di elementi artificiali e poco salubri, mentre Bruce raggiungeva con passo prudente la cucina affollata da nemici, mentre Phil e Clint concludevano che la migliore risposta al loro interrogativo fosse scuotere leggermente qualcuno sussurrandone il nome, mentre Nick e Howard giacevano immobili e seccati nel proprio letto, Natasha si svegliò. Aveva avvertito un morbido fruscio nell’aria accompagnato dalla carezza delicata del tessuto verde mela sulla pelle e, quando si era destata, aveva trovato il lenzuolo sottile a coprirle le spalle nell’esatto punto in cui la pelle d’oca segnalava il freddo sul suo corpo. Un inusuale quanto incredulo rossore le aveva subito pervaso le guance pallide e il pensiero del suo compagno di stanza l’aveva spinta a voltarsi, alla ricerca del suo sguardo. L’aveva osservato dormire per molto tempo ed era del tutto incredibile come d’improvviso potesse trovare qualcosa di così debole e disgustoso quasi piacevole. Lei era l’agente Romanoff, una spia russa, altamente preparata dalle fattezze severe e rigide e l’atteggiamento sempre distaccato, con una grande capacità di mentire e picchiare. Non aveva alcun senso quel suo repentino desiderio di osservare qualcuno dormire. Però l’aveva fatto e mentre lo faceva aveva pensato che Bruce – cioè, il dottor Banner – era davvero una persona brillante e gentile e con lei si era sempre comportato come un galantuomo, molto più di quanto mai qualcun altro avesse fatto prima, o anche dopo. E poi aveva anche pensato che era incredibile il modo in cui lottava per permettere alla parte migliore di se stesso di vincere e che la sua bocca, quando dormiva, si incurvava in un sorriso strano, ma stranamente attraente. Così aveva allungato le dita e aveva sfiorato quel sorriso e poi l’aveva impresso sulle labbra e nel pensiero e con quel pensiero si era addormentata. Ripensando a quella inaccettabile sensazione di fluttuamento che sembrava invaderla da capo a piedi, Natasha si girò con decisione, ma il letto era vuoto. I suoi occhi si incrinarono indispettiti e subito le lenzuola furono gettate all’aria mentre i suoi piedi diafani correvano in direzione del corridoio del piano superiore alla ricerca del dottore.
L’orologio scoccò l’una e quaranta e mentre Steve continuava a creare gruppi suddividendo le bibite in base al tasso di nocività, mentre Bruce si apprestava a raggiungere la cucina, combattuto dall’indecisione sulle modalità d’attacco, mentre Phil e Clint iniziavano a cercare una veste da camera che s’intonasse al pigiama di Barton in modo da poter avviare la ricerca del Capitano proprio come l’agente Coulson continuava a ripetere esagitato, mentre Nick e Howard languivano fra le lenzuola rosa shocking lacerati dai loro problemi anziani, mentre Natasha camminava silenziosa all’ultimo piano nel tentativo di trovare il dottore, Tony si svegliò.
L’aveva immaginato sin da subito, quando Pepper gli aveva indicato il divano con aria divertita, che avrebbe dovuto subire quel supplizio infame senza possibilità di rinuncia. Era peggio di qualsiasi altra cosa al mondo: peggio di Justin Hammer fuori di prigione, peggio di Bambi con i Chitauri, peggio di Vanko ancora vivo, peggio di Rogers nudo nel suo letto, tutto sudato… no, peggio di quello no; però era comunque tremendo. Era il mal di schiena. Uno strano scricchiolio ruppe il silenzio nel salotto e lui si rigirò facendo attenzione a non svegliare Pepper.
“Ti fa male la schiena, non è vero?”
Come non detto.
“Non preoccuparti. Dormi” le sussurrò accarezzandole una tempia calda, ma lei scosse la testa e si voltò verso di lui, stringendogli le braccia attorno al collo e prendendo a sfiorargli la nuca con le dita delicate e raggianti di calore.
“Ti fa molto male, non è vero?” gli bisbigliò ancora e posò la bocca sulla sua guancia, lasciandovi un bacio stanco. Lui scosse appena la testa e cercò le sue labbra.
“Non troppo” replicò dopo che ebbe conquistato con successo il bersaglio.
“Mi dispiace” sospirò lei e si strinse di più contro il suo corpo. Lui la accolse, entusiasta e adorante, e cominciò ad accarezzarle la pelle di un braccio che lei teneva ora stretto sul suo gomito. Le maglie bianche che indossavano, entrambe provenienti dall’armadio della biancheria intima del signor Stark, si sfioravano divertite.
“Non mi risulta sia colpa tua” la blandì divertito, guardandola mentre lei gli respirava contro senza aprire gli occhi.
“Ho fatto io la divisione delle stanze.”
“Io avrei fatto la stessa cosa. Per quanto, certamente, il fatto che siamo i padroni di casa e dormiamo sul divano mi disturbi e soprattutto per quanto mi disturbi la presenza di Rogers nel mio letto.”
Lei rise e Tony sentì la sua risata risuonargli dentro.
“Dai… è simpatico.”
“Scordatelo, bimba. È un idiota.”
“Non gli hai ancora dato la padella” replicò leale.
“Hai paura che non riesca a prepararci bene i pancake domani mattina? Gliela darò prima di colazione.”
“Scemo” gli sussurrò affettuosa e le loro labbra si unirono di nuovo.
“Però” aggiunse lui malizioso quando tornarono a respirare individualmente. “Questa disposizione ha dei vantaggi” continuò e la strinse ancora a sé come per evidenziare la cosa. “E domani voglio un massaggio.”
Lei rise un’altra volta.
“Va bene. Ti sei comportato bene oggi.”
“Grazie a te” le concesse lui e sfiorò l’anello al suo collo. “Signora Stark.”
Lei finalmente schiuse gli occhi e Tony vide che luccicavano.
“Ancora un poco.”
“E poi andremo a Venezia in viaggio di nozze” aggiunse Tony entusiasta.
“Certamente” rispose lei e di nuovo risuonarono baci e risate nel salotto.
L’orologio scoccò l’una e cinquanta e mentre Steve si guardava intorno osservando il suo lavoro quasi concluso prima di riprendere l’ardua opera, mentre Bruce tentava di trovare motivi di ira per scatenare L’Altro e affrontare i nemici in cucina, mentre Clint e Phil trovavano finalmente una vestaglia della giusta tonalità di rosso inglese, mentre Nick e Howard cominciavano lentamente un processo di mummificazione intellettuale e fisica, sempre nel letto con le lenzuola rosa shocking, mentre Natasha passava alla perlustrazione del primo piano, mentre Tony e Pepper continuavano a ridere di matrimoni e Veneziani stretti nel divano, Thor si svegliò.
Gli agenti Coulson e Barton avevano appena abbandonato la stanza gialla in cui la donna di ferro li aveva invitati a dormire quando gli occhi celesti e irreali del semidio si spalancarono irrequieti. Un rumore strano sembrava propagarsi nell’aria e il suo udito divino gli suggeriva la possibilità di un pericolo. Scattò in piedi e il lenzuolo color limone cadde leggiadro ai suoi piedi, non potendo nulla contro il potere del tuono. Thor allungò le gambe, strette in quel ridicoli shorts che sembravano richiamare le piume di un canarino, e prese il Mjolnir fra le mani, raggiungendo il salotto a passo spedito. Uno sconosciuto rumore di risate e gemiti proveniva dal divano e quando vide che qualcuno si muoveva languido, avvolgo in una coperta rossa e oro, Thor capì che doveva esserci qualche pericolo. Un fantasma, sicuro; dannazione, aveva sempre avuto paura dei fantasmi. Quando aveva solo cinque anni, ricordava bene come Loki aveva sfruttato quel suo punto debole per mettere a segno la prima di quella che sarebbe diventata la lista delle sue interminabili cattiverie: era stato il giorno del compleanno di Thor e Loki, fingendo di voler organizzare una bella sorpresa in onore del fratello, gli aveva nascosto il cavallo preferito e quando Thor era andato in cortile a cercarlo, si era ritrovato circondato da spettri, che poi si erano rivelati essere lenzuola ormai inutilizzabili. Sta di fatto che Thor quella notte aveva preteso di dormire nel letto di Frigga e  si era stretto al suo petto, tremando di paura e incubi per tutta la nottata. Ma quello non era il momento di tirarsi indietro: lui era Thor, figlio di Odino; erano finiti gli anni di infanzie impaurite. Così, alzò le braccia e si preparò a colpire; proprio nell’istante in cui si apprestava a battere il colpo, l’orologio scoccò le due e lui trasalì, inciampando insieme al Mjolnir con un urlo assordante.
L’orologio scoccò le due e Steve uscì freneticamente dalla cucina, ma nel farlo le bottiglie caddero tutte rovinosamente per terra e un mare di liquido nocivo e colmo di agenti artificiali gli bagnò i piedi. Quando riuscì ad abbandonare quella stanza, Bruce lo attendeva dietro la porta. Data l’evidente pigrizia che Hulk aveva dimostrato quella sera, aveva deciso di passare a modi più concreti e colpì il Capitano alla testa con una padella – una qualunque, sia chiaro – appena quello varcò la porta che, dalla cucina, dava al salotto. Avendo sentito il fracasso, Natasha, che si trovava nel corridoio precedente al salotto, corse nella stanza confusionaria, ma si fermò all’ingresso, senza riuscire a parlare. Phil e Barton giunsero insieme alla carica ed entrambi brandivano due grosse lampade a forma di pesce gatto, mentre inneggiavano se stessi alla battaglia. Nick e Howard erano per le scale e nella foga della corsa il direttore si ritrovò con il fondoschiena per terra alla base della rampa di gradini. Tony osservava il tutto e stava chiedendosi come fosse possibile che un genio, un miliardario, un playboy, un filantropo del suo calibro si potesse trovare in una situazione simile. Pepper si alzò e accese la luce.
“Ma che sta succedendo?” chiese con gli occhi sbarrati e le labbra che tremavano di riso represso.
Lei e Tony si guardarono e poi guardarono la stanza: Steve che si teneva la testa fra le mani, saltellando in modo ridicolo con addosso quel patetico pigiama color ciliegia, Bruce che cercava di aiutarlo, tamponandogli la nuca con l’orlo verde pistacchio della sua divisa notturna, Natasha che osservava la scena perplessa, con le labbra rosse come il suo vestito spalancate dalla sorpresa e l’incredulità, Nick che tentava di districarsi dalla manica troppo lunga della sua maglia grigio perla, ancora con il fondoschiena per terra, Howard che sembrava intenzionato ad aiutare il precedente, ma con l’unico risultato di ingarbugliare ulteriormente la cosa con l’intervento del suo pigiama blu, Clint e Phil che giacevano all’ingresso, con ancora le lampade a forma di pesce gatto fra le mani e le vestaglie rosso inglese e blu a stelle sulle spalle, Thor disteso per terra, con i pantaloncini gialli a tirargli nel punto cruciale del suo fisico possente da semidio.
Pepper guardò Tony ed entrambi sapevano che avrebbero perso qualche osso nel tentativo di non ridere.
“Non guardare me, tu mi hai convinto ad ospitarli.”
“Ed era la cosa giusta.”
“Sì, be’ non è questo che discuto. Ma non puoi negare che avessi torto, nel non voler avere niente a che fare con persone di tale non-spessore intellettuale e fisico.”
Entrambi strinsero la bocca per trattenere l’impulso di scoppiare a ridere in un modo che sarebbe senz’altro risultato scortese e inospitale. Così Pepper raggiunse Steve e lo aiutò a riprendere coscienza, mentre Tony tirava su dal pavimento Thor, che ancora stava imprecando contro quei maledetti aggeggi polverosi che coprivano il rivestimento in mattoni.
“Credo si chiami tappeto, amico” intervenne in suo aiuto Tony e cominciò a spolverargli le spalle del pigiama troppo aderente. Bruce continuava a scusarsi con il Capitano.
“Davvero, Steve, mi dispiace tanto. Io non sapevo che fossi tu, quello che creava tutto quel baccano in cucina, o non avrei mai…”
“Baccano?” ripeté Tony sospettoso. “Quale baccano?”
“Sì” confermò il dottore, ancora visibilmente a disagio. “Mi sono svegliato perché ho sentito dei rumori e pensavo fossero dei nemici venuti ad attaccarci nel cuore della notte.”
“Dottore, per l’Amor del Cielo!” esclamò Tony esasperato. “Proprio tu, sai perfettamente come nessuno può trovare questo posto. E invece…”
“Be’, ma non si sa mai” si difese sempre imbarazzato Bruce. “Poteva succedere una qualche disgrazia…”
“Il dottore si è comportato in modo giusto e coraggioso” replicò fredda Natasha e Tony sentì le labbra fremere dalle risate che non poteva urlare.
“E tu che ci facevi in giro per la casa?” le domandò non riuscendo a trattenersi più di tanto.
Lei arrossì appena, ma rispose con fierezza e superiorità.
“Stavo cercando Banner.”
“Volevi Bruce? Perché, ti fa male qualcosa? O volevi solo giocare al dottore…”
“Stark!” lo riprese Fury che finalmente era riuscito a riacquistare compostezza fisica e morale.
“E tu, grande capo? Anche tu eri coinvolto in questa patetica pantomima del nascondino notturno o ne sei un’ignara vittima come me?”
“Io sono solo accorso quando ho sentito le urla” replicò altezzoso il direttore. “Nessuno fra me e Howard è uscito prima dalla nostra stanza.”
“Quale stanza?” domandò divertito Barton. “Quella con le lenzuola rosa?”
Fury ringhiò minaccioso.
“Ringrazia che non ti faccia sospendere o, peggio, che non ti comprometta.”
“Di nuovo?!?”
“Dacci un taglio, Stark.”
“Uomo di ferro, la tua casa pullula di spettri” intervenne con tono cospiratore il dio del tuono, brandendo ancora all’erta il suo affezionato Mjolnir.
“Di che parli?” disse Natasha sollevando le sopracciglia dubbiosa.
“Prima, ho avvertito delle presenze oscure in salotto. Qualcuno si muoveva sul sofà e ho perfino sentito dei rumori provenienti da lì. Erano soffocati e inusuali… come dei gemiti..”
“Ah!” esclamò Tony, d’un tratto tinto di un vago rossore sulle guance coperte dalla barba scura. “Non temere, amico divino. Non erano fantasmi.”
“No” confermò Steve disgustato. “Assolutamente.”
“Non preoccuparti, Rogers” replicò sorridendo Tony. “Non stava succedendo nulla che le tue orecchie caste e pure sarebbero arrossite sentendo. Preferisco situazioni meno affollate e più discrete, che con otto impiccioni in giro per casa.”
“Buon per te.”
“Capitano, mio Capitano!” esclamò Phil accorrendo al suo idolo, come se solo in quel momento l’avesse visto, brandendo ancora quella lampada ridicola fra le mani. “Pensavo fossi in pericolo.”
“Grazie dell’interessamento, agente Coulson” rispose Rogers, che si teneva un pezzo di ghiaccio sulla nuca dolorante, sempre con aria vagamente provata. “Ero andato solo a bere.”
“E io pensavo fosse un nemico!”
“Io pensavo ti avessero rapito!”
“Rogers!” ululò il padrone di casa al limite della sopportazione. “Come ho fatto a non capirlo subito? Avrei dovuto immaginarlo sin dal principio!”
“Cosa?” chiese Steve con espressione stressata.
“Che eri tu il fautore di tutto questo, naturalmente.”
“Io non sono il fautore di proprio un bel niente. Sono solo andato a bere e se tu non avessi in casa tutte quelle bevande poco sane…”
“Oh, il signorino vuol farmi lezioni di biologia. Lui che non sa neanche cosa sia un elemento.”
“Non centra niente questo. Le bibite di cui disponi sono tutte, senza esclusione alcuna, ripiene di sostanze artificiali e poco salubri…”
“Nessuno ti ha chiesto di degustarle, Capitan Padella.”
“… da offrire ai tuoi poveri ospiti e non chiamarmi Capitan Padella…”
“Evidentemente l’educazione andava poco di moda negli anni Quaranta…”
“… se non la smetti immediatamente di comportarti da idiota…”
“… almeno io mi comporto, a differenza di altri che lo sono e non possono farci niente…”
“… allora sarà meglio che recuperi quel ridicolo ammasso di secchi e secchielli arrugginiti, così possiamo vedere sul campo chi…”
“… vuoi perdere ancora? Santo Cielo, Rogers, quando imparerai che…”
Un fischio assordante risuonò nella stanza che si stava facendo affollata e decisamente troppo piccola. Pepper squadrò tutti con aria decisa e parlò senza possibilità di replica.
“Sono quasi le tre. Domani sarà una giornata difficile, motivo per cui ora andremo tutti a letto e non ci saranno proteste” continuò perentoria e nessuno – nemmeno Nick – osò contraddirla. “Che ognuno torni nella sua stanza, adesso. Phil, tu e Clint posate quelle lampade da dove le avete prese. Capitano, se mi segue in cucina potremmo trovare una benda con cui fasciare la testa prima che si addormenti di nuovo.”
Tutti scattarono ubbidienti e, uno dopo l’altro, iniziarono a salire le scale, raggiungendo le rispettive camere da letto. Clint aveva ripreso a sgridare Phil per la sua imbecillità e ricominciarono a discutere sulla tinta delle vestaglie che, lo sguardo critico e sicuramente esperto di Stark, aveva bocciato. Nick e Howard non dissero una parola e si chiusero di nuovo nel loro stato di mummie interiori ed esteriori; Natasha seguì il dottore nella loro stanza ed entrambi sorridevano. Al piano inferiore, Pepper e il Capitano trovarono delle fasce adatte e Virginia sistemò nel miglior modo possibile due bende attorno al capo di Steve. Mentre lui beveva finalmente qualcosa di naturale e benefico, Pepper aveva risistemato velocemente tutte le bottiglie ai loro rispettivi posti.
“Grazie” le sussurrò quando lei ebbe finito il lavoro. “Mi dispiace aver disordinato” aggiunse dispiaciuto. Lei scosse la testa con un sorriso paziente.
“Non c’è nulla di cui dispiacersi. Ora vada a dormire, Capitano, ne avrà bisogno.”
“Steve” la corresse lui. Pepper parve non capire.
“Come?” chiese stupita.
“Steve. È il mio nome. Puoi chiamarmi Steve” ripeté lui e sembrava a disagio.
“Oh” esclamò lei lievemente imbarazzata. “C-Certo. Be’, allora suppongo che tu possa chiamarmi Virginia.”
“Virginia” sorrise lui. “Certo.”
“Bene, allora… buonanotte.”
“Buonanotte.”
Il Capitano posò il bicchiere e ripercorse le scale. Si fermò al primo pianerottolo e, senza farsi notare, osservò Virginia raggiungere Stark sul divano. Nel silenzio buio della stanza, risuonarono baci e risate e Steve sospirò. Si era sbagliato: quella casa era decisamente troppo piccola. 






















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Buona sera a tutti, Vendicatori <3
Eccomi di nuovo qui, finalmente con il quinto capitolo. Be', che dire? Solo una cosa: dovrebbe essere divertente, ma non so se lo è davvero, Ammetto che qundo l'ho pensato, quello che mi immaginavo era qualcosa di spassoso e simpatico e non sapete quanto ho riso come una cretina mentre lo scrivevo - i pigiamini colorati, le lenzuola, gli incidenti e, soprattutto, le facce - ma non credo di fare testo. A voi l'ardua sentenza. 
Come ormai credo si sia capito, la long verrà aggiornata ogni dieci giorni, ma statemi dietro perché quasi sempre, nello spacco fra un capitolo e l'altro, arriverà qualcosina - una drabble, una flash o chessoio - sempre in questo fandom o anche in altre - vediamo che mi dice la testa. 
Come sempre, ringrazio di cuore le persone che mi seguono con affetto e le cui recensioni - non ho ancora potuto rispondere, scusatemi, vi prego T.T - mi riempiono di gioia. Vi amo immensamente, sappiatelo; mi rendete una persona tremendamente felice e questo è tutto per voi. <3
Come al solito: 

[1]: Smallville è un telefilm americano con protagonista Clar Kent;
[2]: il nome della violoncellista è ispirato alla Monroe. Non so perché, ma mi piaveva un sacco l'idea; 
[3]: non credo ci sia bisogno vi spieghi cosa sia, il gioco del dottore;
[4]: la frase con cui Phil si rivolge a Steve - Capitano, mio Capitano! - è tratta da un film con Robin Williams, L'attimo fuggente, e, più precisamente, da una poesia di Walt Whitman dedicata ad Abramo Lincoln presente nel suddetto film. 

Non credo di dover aggiungere altro. Grazie ancora, Vendicatori miei: la vostra piccola writer vi ama sempre, sappiatelo. <3
Un bacio e alla prossima, Mary. 
   
 
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